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4. Studio radiometrico e geochimico di acque sorgive del bacino idrografico del fiume Versilia

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Academic year: 2021

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4. Studio radiometrico e geochimico di acque sorgive del bacino

idrografico del fiume Versilia

4.1. Premessa ed obiettivi della ricerca

L’area investigata appartiene al complesso geologico delle Alpi Apuane che, dal punto di vista idrogeologico, rappresenta un caso unico in Toscana per la presenza di acquiferi carsici che alimentano sorgenti di elevata portata. Infatti le maggiori dieci sorgenti della Toscana si trovano tutte in quest’area.

L’assetto idrogeologico delle Alpi Apuane è fortemente condizionato dalla natura carbonatica delle rocce affioranti che conduce ad un elevato tasso di infiltrazione e all’esistenza di una rete sotterranea di condotti che smaltiscono rapidamente le acque di infiltrazione verso le sorgenti. Come conseguenza di ciò il ruscellamento superficiale dell’area è praticamente assente, salvo in caso di precipitazioni particolarmente intense (Piccini & Pranzini, 1989).

La seguente ricerca si inserisce, anche se non ne fa parte integrante, di uno studio per la valutazione delle risorse idriche del comprensorio Apuo-Versiliese (Risorse idriche dei bacini montani e della pianura costiera del comprensorio Apuo-Versiliese - comuni di Forte dei Marmi, Montignoso, Seravezza, Stazzema e Pietrasanta); quest’ultimo ha per scopo la definizione di un modello concettuale quali-quantitativo dei sistemi acquiferi attraverso l’integrazione di metodologie stratigrafico-sequenziali, idrogeologiche, geofisiche ed idrochimiche-isotopiche.

Gli scopi che si prefiggono, invece, la mia ricerca sono i seguenti: caratterizzare dal punto di vista radiometrico le acque campionate sviluppando una procedura analitica per la determinazione delle attività alfa e beta totali a bassissime concentrazioni, e studiare le possibili interazioni tra acqua e roccia in acquiferi altamente fratturati e carsici dominati da tempi medi di residenza bassi (< 2 anni) e dove la dissoluzione dei minerali è determinata principalmente da processi cinetici (Buhmann & Dreybrodt, 1985a, 1985b; Svensson & Dreybrodt, 1992; Borsato, 1997; Eisenlohr et al., 1999; Gabrovšek & Dreybrodt, 2001). Per raggiungere questi obiettivi sono state svolte le seguenti indagini analitiche sui campioni d’acqua: determinazione delle attività alfa e beta totale, determinazione delle concentrazioni dello ione orto fosfato e analisi di tracce e REE. Parallelamente sono state effettuate analisi petrografiche, mineralogiche e geochimiche su alcuni campioni di rocce e sedimenti rappresentative della zona studiata. La determinazione degli elementi maggiori e delle tracce dei campioni d’acqua sono state effettuate dalla Dottoressa Matia Menichini (dottoranda presso il Dipartimento di Scienze della Terra di Pisa) che svolge la sua ricerca su tematiche inerenti il progetto suddetto, e con la quale ho effettuato la fase di campionamento.

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4.2.

Inquadramento geologico

4.2.1. Evoluzione tettonica e geodinamica

La geologia dell’Appennino Settentrionale ha subito una orogenesi caratterizzata da diverse fasi e differenti regimi tettonici. Inizialmente, la fase compressiva (D1) ha determinato un accavallamento delle unità occidentali su quelle orientali (Carmignani et al., 1978), formando un edificio tettonico costituito, dall’alto verso il basso, dalle Unità Liguri, dalla Falda Toscana, dall’Unità di Massa e dall’Unità delle Apuane (quest’ultime due interessate da metamorfismo di medio-basso grado). La fase distensiva (D2) si svolge in due momenti: nel primo prevale la fase duttile, che ha provocato il denudamento e il sollevamento del complesso metamorfico (Carmignani & Kligfield, 1990), nel secondo quella fragile, che ha portato alla formazione di faglie ad alto angolo.

La figura 4.1 rappresenta schematicamente queste fasi e le conseguenti strutture deformative.

La collisione tra il blocco Sardo-Corso e la placca Adria, avvenuta nell’Eocene medio-superiore, ha generato un regime compressivo che ha determinato la chiusura dell’Oceano Ligure-Piemontese e, successivamente, si è propagato dai settori più interni della catena a SW verso quelli più esterni a NE fino al Mar Adriatico.

In queste prime fasi della convergenza tra le placche, la subduzione verso E dello slab determina l’impilamento delle Unità Liguri con un meccanismo di accrezione frontale (offscraping). Alcuni autori, tuttavia, propongono un’immersione dello slab verso W (Abbate et al., 1980; Principi & Trevers, 1984; Faccenna et al., 1996; Bortolotti & Principi, 2005).

La collisione tra il blocco Sardo-Corso e la placca Adria genera, nel tardo Eocene-inizio/medio Miocene, una subduzione litosferica immergente verso W (Boccaletti et al., 1971; Doglioni et al., 1998; Finetti et al., 2001; Marroni et al., 2002; Molli & Tribuzio, 2004). Durante la fase D1 (27 Ma) avvengono gli accavallamenti delle Unità Liguri, sul dominio toscano raddoppiato. La duplicazione della sequenza toscana è dimostrata dalla sovrapposizione della serie Toscana non metamorfica su quella metamorfica. Quest’ultima costituisce l’Unità Apuana ed è rappresentata da litologie che hanno subito vari processi metamorfici in facies degli scisti verdi (Barberi & Giglia, 1965; Giglia, 1967; Carmignani et al., 1978).

I movimenti collisionali coinvolgono anche l’Unità di Massa, la quale si interpone tra la Falda Toscana e le Unità delle Apuane subendo un metamorfismo in alcuni casi di grado superiore a quest’ultima (Giglia, 1967). Si ipotizza, sulla base della vergenza delle pieghe isoclinali dell’unità metamorfica, che l’accavallamento delle stesse fosse diretto da SW verso NE, (Carmignani et al., 1978).

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Fig. 4.1 – Evoluzione delle zone di taglio delle Alpi Apuane (modificata da Carmignani & Kligfield, 1990; Carmignani et al. 1994). A) Una geometria pre-collisionale mostra tracce di un thrust principale ed una geometria flats-ramps. B) Sviluppo di strutture duplex delle Alpi Apuane. Le rocce metamorfiche sono in tonalità scura. C) Sviluppo di un’antiforme attraverso il rapido underplating ed assottigliamento del cuneo di accrezione. D) Fase estensionale in uno stile Basin & Range il quale permette la risalita del metamorfic core delle Alpi Apuane. E) Fase estensionale completamente sviluppata con l’affioramento delle Alpi Apuane bordato dai graben del Magra e del Serchio.

Dal Miocene inferiore, inizia la fase estensiva (D2) che determina il denudamento ed il sollevamento del complesso metamorfico (Unità delle Apuane e Unità di Massa), attraverso lo sviluppo di fasce di taglio duttili inclinate, rispettivamente, a NE e SW nel versante nord-orientale e sud-occidentale del massiccio (Carmignani & Kligfield, 1990; Carmignani et al., 1991). Nelle unità superiori (Falda Toscana e Unità Liguri), la tettonica estensiva ha generato deformazioni di tipo fragili-duttili e fragili.

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Le due sequenze toscane sono separate dal Calcare Cavernoso, formato da cataclasiti, elementi metamorfici e non. Questa formazione ha avuto un ruolo di thrust NE-vergente nella fase D1 e di superficie di scollamento (detachement) durante la fase D2 (Carmignani & Kligfield, 1990).

Nel tardo Miocene-Pleistocene si sviluppano, nelle unità superiori dell’edificio appenninico, delle faglie dirette ad alto angolo, con direzione NW-SE. Queste faglie originano strutture ad Horst e Graben contemporaneamente all’attivazione di fenomeni vulcanici. A seguito di ciò si assiste alla dislocazione delle precedenti strutture compressive della fase D1 e distensive della fase D2 e alla formazione di pieghe chilometriche ben sviluppate.

Un’evidente anisotropia planare caratterizza la maggior parte delle rocce del Complesso Metamorfico delle Alpi Apuane e rappresenta la principale foliazione metamorfica legata alla fase deformativa D1. Nelle pieghe isoclinali, molto spesso non cilindriche (sheath fold), tale foliazione risulta essere di piano assiale, di dimensioni da millimetriche a plurichilometriche ed associata ad una lineazione di estensione (L1). Questa lineazione è interpretata come la direzione di trasporto principale delle unità tettoniche dell’Appennino Settentrionale. In accordo con il senso di trasporto delle varie unità tettoniche, ovvero SW-NE, sono infatti il rovesciamento verso E delle strutture plicative D1, le relazioni angolari tra la foliazione principale ed i contatti tettonici di primo ordine e la lineazione di estensione L1.

Nella fase deformativa D2 si sviluppano sia pieghe aperte che chiuse, variamente non cilindriche, di dimensioni da centimetriche a pluriettometriche ed associate ad un clivaggio di crenulazione di piano assiale generalmente sub-orizzontale.

Sulla base delle strutture osservate, si sono distinte tre differenti fasi di piegamento (F1, F2, F3) soggette a differenti interpretazioni (Carmignani & Giglia, 1975, 1983; Carmignani et al., 1994; Kligfield, 1979; Boccaletti & Gosso, 1980; Boccaletti & Coli, 1983; Coli, 1989; Moratti et al., 1989; Carmignani & Kligfield, 1990; Molli & Meccheri, 2000; Molli & Vaselli, 2006). Nelle prime due fasi avviene la risalita dell’attuale Metamorfic Core, mentre nella terza fase si assiste ad un leggero ripiegamento dell’edificio formatosi precedentemente. Le interferenze tra le fasi di piegamento F1 ed F2, permettono la risalita delle maggiori strutture che attualmente caratterizzano il cuore metamorfico apuano ovvero la sinclinale di Carrara, l’anticlinale di Vinca, la sinclinale di Orto di Donna e l’anticlinale del Monte Tambura, tutte orientate NE-SW. Le strutture della fase F2 presentano sia degli elementi lineari longitudinali orientati NW-SE (con carattere di faglie dirette) sia degli elementi trasversali orientati in direzione NE-SW (con caratteri di trascorrenza). La fase di piegamento F3 (8-10 Ma) potrebbe essere dovuta ad una tarda esumazione che porta al tetto il cuore metamorfico. Sin da 4 Ma l’esumazione delle Alpi Apuane è stata principalmente dovuta

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all’erosione (Fellin et al, 2007) la quale è ancora in atto come testimoniato dai tassi di innalzamento di circa 1,0-1,2 mm/yr (Balestrieri et al., 2003; Bartolini, 1999).

Le tre fasi deformative all’interno della Falda Toscana, originano una scistosità (S1) sviluppata essenzialmente nelle rocce argillose, entro i limiti termobarici dell’anchizona, e un successivo clivaggio, meno evidente (S2), che deforma il sistema S0/S1. Il Complesso Metamorfico e la Falda Toscana si differenziano per la distensione post-collisionale: nel primo avviene prevalentemente per distorsione interna duttile concentrata in zone di taglio di spessore variabile, mentre nella seconda é invece realizzata in modo prevalentemente fragile mediante faglie dirette a basso ed alto angolo. Le faglie dirette principali hanno profilo listrico e si radicano entro l’orizzonte di scollamento del Calcare Cavernoso.

Il piegamento polifasico, è stato associato al metamorfismo che interessa l’area, il quale è caratterizzato da tre importanti eventi metamorfici datati: tardo Oligocene (27-24 Ma), medio Miocene (12 Ma) e tardo Miocene (10-8 Ma) (Kligfield et al., 1986; Fellin et al., 2007).

Quanto fino ad ora descritto fa riferimento ad una ipotesi sul meccanismo di esumazione ben definita, la quale, in sintesi, considera che la prima fase di piegamento si sia sviluppata solo in un contesto convergente e che la seconda sia contestualizzata in un regime estensionale responsabile dell’esumazione del cuore metamorfico delle Alpi Apuane in uno stile Basin e Range (Carmignani & Kligfield, 1990; Carmignani et al., 1994). In definitiva, quest’ipotesi considera il complesso metamorfico apuano un Metamorfic Core Complex (Carmignani & Kligfield, 1990; Carmignani et al., 1991) la quale struttura interessa la placca inferiore Sardo-Corsa, mentre la Falda Toscana e le unità sovrastanti derivano invece dalla placca superiore dell’Adria. In questo contesto estensionale, il detachement fault è collocato all’interno del Calcare Cavernoso.

La complessità geologico–strutturale delle Alpi Apuane ha portato altri autori ad ipotizzare altri possibili meccanismi e tesi evolutive.

Tra le più significative, ve ne è una che considera le due fasi di piegamento come il risultato di un regime convergente in una profonda zona di taglio crostale attiva dal tardo Oligocene (F1, 27-26 Ma) fino al Miocene medio (12 Ma) (Boccaletti et al.,1983) mentre la terza fase di piegamento, in accordo con la prima ipotesi, viene considerata come un evento tardivo di secondaria importanza. La scelta tra i due modelli dipende dalla relativa datazione delle fasi di piegamento. Questa seconda ipotesi citata è schematizzata in figura 4.2. Secondo Bonini et al. (2008) le fasi di piegamento F1 ed F2 danno insieme l’innalzamento arrivando all’attuale configurazione delle Alpi Apuane, interferendo anche a scala regionale.

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Fig. 4.2 – Modello schematico alternativo per l’evoluzione della zona di taglio delle Alpi Apuane. a) Sviluppo di zone di taglio crostali delle Alpi Apuane. b) Dettagli della zona di taglio durante la fase di piegamento F1 (27-24 Ma). c) Dettagli della zona di taglio durante la fase di piegamento F2 (12-14 Ma); questa fase implica che un ripiegamento della prima generazione di pieghe porta alla risalita dei patterns di interferenza anche alla scala di mappa. d) Ulteriore sviluppo della zona di taglio crostale; come conseguenza del cambiamento della parte orientale della zona di taglio, le Alpi Apuane passano dalla placca di tetto alla placca di letto e sono così sollevate (e.g. Hsu, 1991; Chemenda et al., 1995, 1996). e) Il sollevamento è associato con un’eliminazione del tetto dei livelli superiori i quali sono sottoposti ad estensione a causa dello sviluppo del bacino di Viareggio ad ovest. Il thrust crostale attivo sposta verso est portando alla risalita del maggiore thrust anticlianle di Corfino.(modificato da Bonini et al., 2008).

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4.2.2. Complessi stratigrafici

Le Alpi Apuane sia che si trattino di un Metamorfic Core Complex o meno, costituiscono un cuore metamorfico all’interno degli Appennini ed espongono le rocce del basamento ed i sedimenti successivamente deposti sul margine passivo della placca continentale dell’Adria.

Le rocce metamorfiche emergono come una finestra tettonica sotto la sequenza non metamorfica toscana che contorna i tre lati di tale nucleo metamorfico; solo nella zona costiera il contatto per faglia fra le unità metamorfiche e quelle non metamorfiche è nascosto dalla copertura alluvionale dei depositi della pianura.

Il basamento è principalmente composto da filladi e quarziti (tardo Cambriano inizio Ordoviciano) e metavulcaniti (porfiroidi e scisti porfirici, Ordoviciano medio) con sporadiche quarziti. Queste rocce sono seguite da dolomie e filladi del Siluriano (Orthoceras) e filladi e quarziti di inizio Devoniano (Carmignani et al., 2004; Pandeli et al., 2004).

Seguendo la successione stratigrafica metamorfica del Mesozoico, essa è stata correlata con la sequenza toscana non metamorfica sebbene questa mostri delle leggere differenze.

Fig. 4.3 – Schema geologico-strutturale delle Alpi Apuane. 1) Unità delle Alpi Apuane. 2) Unità di Massa. 3) Unità della Falda Toscana. 4) Unità Liguri. 5) Depositi plio-quaternari. 6) Alluvioni e depositi costieri. 7) Assi anticlinali. 8) Assi sinclinali. 9) Faglie principali. (Modificata da Dallan Nardi & Nardi, 1972.).

La successione metamorfica mesozoica inizia con sedimenti clastici e neritici-costali continentali (Verrucano, Fm di Vinca) di età tardo triassica, seguiti da metadolomie del Retico riferite

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all’apertura di un ambiente lagunare (Grezzoni). La successione prosegue con calcari di piattaforma di inizio Giurassico (Hettangiano) dai quali derivano i tipici marmi di Carrara le cui differenti variazioni commerciali dipendono dalle differenti facies dell’originale ambiente di piattaforma. Le altre formazioni metamorfiche delle Alpi Apuane sono calcari, calcescisti, metaradiolariti e filladi, deposte in un’età che va da inizio Giurassico fino ad inizio Oligocene. La formazione più giovane è lo Pseudomacigno del tardo Oligocene composto da metareniti e filladi.

La successione metamorfica, sinteticamente appena descritta, è tettonicamente suddivisa in 2 unità principali: l’Unità di Massa nel settore più interno delle Alpi Apuane che è principalmente composta da rocce del basamento ed è tagliata fuori dal principale cuore metamorfico e l’Unità delle Apuane. La facies metamorfica scisti verdi della successione è stata ottenuta durante la fase di convergenza (D1) all’interno delle zone di taglio crostali generate dalla collisione continentale (Carmignani et al., 1978). Il metamorfismo del cuore principale è caratterizzato da temperature di comprese tra 350 e 450°C e pressioni generalmente variabili tra 0,4 e 0,6 Pa (Carmignani et al., 2004; Molli & Vaselli, 2006). L’attuale distribuzione delle varie unità tettoniche in affioramento, quindi, appartengono a più unità stratigrafiche ed i loro rapporti geometrici sono schematizzati nella figura 4.3.

La successione delle formazioni geologiche affioranti, partendo da quelle tettonicamente più basse, è la seguente (Carmignani et al., 2001):

• Complesso Metamorfico Apuano (costituito dall’Unità Apuana e dall’Unità di Massa).

L’Unità Apuana è la successione stratigrafica dell’Unità delle Alpi Apuane ed è costituita da un basamento scistoso-filladico ercinico e da una copertura alpina di natura prevalentemente carbonatica (Fig. 4.4). In particolare il basamento paleozoico è costituito da:

fl - Filladi inferiori (Cambriano?-Ordoviciano?): filladi quarzitico-muscovitiche, spesso cloritiche, con alternanza di quarziti e più raramente di filladi grafitiche. In alcuni casi è stato riscontrata la presenza di lenti di metavulvaniti basiche;

pf - Porfiroidi e scisti porfirici e Metarenarie quarzose (Ordoviciano?): metavulcaniti a composizione riolitica, con fenocristalli di quarzo e feldspati in matrice quarzitico-muscovitica, e metarenarie arcosiche, quarziti e quarziti filladiche;

co - Dolomie scistose ad Orthoceras e Calcari rossi nodulari (Siluriano): dolomie cristalline, filladi grafitiche e più raramente a quarziti nere (litidi), e metacalcari e metacalcari dolomitici rossastri, calcescisti e filladi carbonatiche a clorite e muscovite. In alcuni luoghi si rinvengono abbondanti resti di crinoidi e orthoceratidi.

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vr - Verrucano (Ladinico superiore?-Carnico): metaconglomerati quarzosi, a matrice quarzitico-filladica spesso dominante, di colore da grigio-violetta a verdastra; localmente sono presenti anche livelli quarzitici ed intercalazioni filladiche;

Formazione di Vinca (Carnico-Norico): alternanza di livelli di quarziti carbonatiche grigio rossastre e di dolomie microcristalline, spesso impure (quarzo e muscovite), da biancastre-avana a grigie, con livelli arrossati; intercalazioni centimetriche di filladi e filladi quarzose grigie e grigio-verdi; i litotipi carbonatici sono prevalenti verso l'alto;

gr - Grezzoni (Norico): dolomie con limitate modificazioni microstrutturali metamorfiche. Alla base brecce metamorfiche ed elementi dolomitici, nella parte intermedia dolomie grigio scure stratificate, nella parte alta dolomie a patina d’alterazione giallastra con tracce di filladi lungo i giunti di strato. Talvolta presenti noduli e liste di selci nere. Dolomie brecciate grigio-giallastre con struttura “a cellette” e talvolta “cariate”;

md - Marmi a Megalodonti (Retico): marmi saccaroidi, massicci o grossolanamente stratificati, con scarsa muscovite e clorite lungo i giunti di strato. Frequenti molluschi, brachiopodi e megalodonti; Brecce di Seravezza e Scisti a cloritoide (Retico-Lias inferiore?): brecce poligeniche metamorfiche a elementi marmorei e subordinatamente dolomitici, con matrice filladica a cloritoide di colore rossastro o verdastro. Localmente livelli discontinui di filladi a cloritoide, minerale che può divenire il principale costituente della roccia;

Marmi dolomitici (Lias inferiore): marmi dolomitici alternati a livelli di dolomie con frequenti alghe, gasteropodi, brachipodi e lamillabranchi. Talvolta sono presenti spessori variabili di dolomie cristalline massicce grigio chiare;

m - Marmi (Lias inferiore-medio?): marmi di colore variabile dal bianco al grigio, con rari e sottili livelli di dolomie e marmi dolomitici giallastri. Brecce monogeniche metamorfiche ad elementi marmorei da centimetrici a metrici. Brecce poligeniche metamorfiche a prevalenti elementi marmorei e subordinati elementi di dolomia e di selci grigio chiare e rosse, talvolta con matrice filladica rossastra o violacea;

cs - Calcari Selciferi (Lias medio-superiore): metacalcilutiti grigio scure, con liste e noduli di selce e rari livelli di metacalcareniti, in strati di potenza variabile spesso alternati con strati più sottili di calcescisti e filladi carbonatiche grigio scure con pirite e ammoniti piritizzate;

d - Diaspri (Malm): metaradiolariti rosse, viola, e verdi sottilmente stratificate con intercalazioni di filladi quarzitiche. Nella parte superiore della formazione sottili livelli di calcari silicei metamorfici e filladi carbonatiche;

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Calcescisti (Lias superiore-Dogger): calcescisti grigio-verdastri a patina d’alterazione marrone chiaro con sottili intercalazioni di filladi;

cse - Calcari Selciferi ad Entrochi (Titoniano superiore-Cretaceo inferiore): metacalcilutiti grigio chiare e color avorio, ben stratificate con liste e noduli di selce. La parte superiore è costituita prevalentemente da metacalcareniti grigie in strati più potenti con liste e noduli di selce. Localmente, al tetto della formazione, lenti di metacalciruditi derivate da originarie brecce poligeniche ad elementi di calcilutiti, dolomie e radiolariti;

sc - Calcari a nummuliti (Eocene?-Oligocene): filladi muscovitiche verdastre, rosso-violacee e più raramente grigie, con livelli di metacalcarenite grigie a macroforaminiferi (Valle del Serchio di Gramolazzo, Gorfigliano, Vagli di Sopra);

Cipollini (Eocene?-Oligocene): calcescisti verdastri e rosso-violacei, marmi e marmi a clorite, livelli di metacalcareniti grigie a macroforaminiferi;

Scisti Sericitici Varicolori (Cretaceo inferiore-Oligocene): filladi muscovitiche verdastre, rosso-violacee e più raramente grigie con rari e sottili livelli di filladi carbonatiche, marmi a clorite e metaradiolariti rosse;

pmg - Pseudomacigno (Oligocene medio?-superiore): metarenarie quarzose feldspatiche-micacee gradate, in strati e banchi; livelli di metasiltiti grigio scure ed intercalazioni di filladi nerastre;

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Tutte le formazioni sono state interessate da metamorfismo regionale di basso grado in facies di scisti verdi (Coli & Pandeli, 1992).

L’Unità di Massa è presente solo sul lato occidentale del complesso metamorfico Apuano, sovrasta tettonicamente l’Unità Apuana e si costituisce di un Basamento paleozoico e di una Successione triassica. Il basamento comprende:

flm - Filladi inferiori (Cambriano?- Ordoviciano?): filladi quarzitico-muscovitiche cloritiche, con alternanza di quarziti chiare;

pfm - Porfiroidi e scisti porfirici (Ordoviciano?): metavulcaniti a composizione riolitica, con quarzo e feldspati in matrice quarzitico-muscovitica metarcosi e filladi muscovitico-cloritiche con abbondanti cristalli di quarzo vulcanico;

Metarenarie quarzose (Ordoviciano superiore?): metarenarie, quarziti e quarziti filladiche;

com - Dolomie scistose ad Orthoceras (Siluriano?): metadolomie, metacalcari dolomitici grigi e filladi grafitiche; rare liditi.

La Successione triassica è invece costituita da:

fn - Filladi nere (Anisico): filladi muscovitiche e muscovitico-quarzitiche grigio-scure, spesso grafitiche, localmente con livelli di metarenarie grigie;

Conglomerato basale (Trias inferiore): metaconglomerati a clasti eterometrici per lo più quarzosi, in una matrice cloritico-muscovitica verde o grigio-verde;

mc - Marmi a Crinoidi: marmi e marmi a muscovite, bianchi o grigi, con rari livelli dolomitici e abbondanti resti di Crinoidi.

Brecce marmoree (Ansico superiore?-Ladinico): metabrecce ad elementi marmorei in matrice filladica muscovitica-cloritica;

op - Prasiniti (Ladinico): metabasiti ad albite, clorite, epidoto e quarzo, verdi e grige, alternate a livelli di filladi e meta conglomerati;

fs - Filladi sericiti che (Carnico): filladi quarzitico-muscovitiche grigie, grigio-verdi, violacee, alternate a filladi scure;

Anageniti (Carnico): metaconglomerati quarzosi con matrice quarzitico-filladica da grigio-verde a violacea. Gli elementi sono costituiti in prevalenza da quarzo rosato e quarziti bianche o rosate. Sono talvolta presenti livelli quarzitico-filladici violacei;

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• La Falda Toscana.

La Falda Toscana è definita da una porzione di base mesozoica carbonatica, ed è seguita da formazioni calcareo-silico-marnose e da un complesso flyschiode argilloso-arenaceo terziario: cv - Calcare cavernoso e Brecce poligeniche (Norico-Retico): si tratta di un deposito di brecce sedimentarie trasgressive sul complesso metamorfico già metamorfosato e riesumato (Dallan Nardi & Nardi, 1973; Dallan Nardi, 1979); si tratta invece in parte della breccia tettonica di base della Falda Toscana, in parte di brecce legate alla tettonica distensiva recente a basso angolo, ed in parte infine di depositi recenti di versante e di bacini chiusi prossimali indotti dall’attività tettonica distensiva recente (Carmignani & Kligfield,1990,Carmignani et al., 1991);

cr - Calcari e marne a Rhaetavicula contorta (Norico-Retico): calcari, calcari dolomitici e dolomie con sottili intercalazioni di marne. Generalmente nella parte inferiore prevalgono calcari, calcari dolomitici e dolomie cui seguono calcilutiti nere alternate a sottili livelli di marne grigio scure a patina d’alterazione giallastra;

cm - Calcare massiccio (Hettangiano): calcari e calcari dolomitici grossolanamente non stratificati. La parte alta della formazione comprende calcilutiti grigie talvolta con sottili orizzonti giallastri in corrispondenza dei giunti di strato;

ca - Calcari ad Angulati (Lias inferiore): calcari e calcari marnosi grigio scuri alternati a marne siltose grigie e ad argilliti alterate in giallo;

ra - Rosso ammonitivo (Lias inferiore): calcari nodulari rosati, rossi o giallastri e calcari stratificati rosa talvolta con sottili interstrati di marne rosse e rare selci rosse;

csi - Calcari selciferi inferiori (Lias medio-superiore): calcari e calcari marnosi grigio chiari ben stratificati con noduli e liste di selce grigio chiare e sottili interstrati marnosi, rari livelli calcarenitici;

mp - Marne a Posidonia (Toarciano inferiore-Calloviano?): marne, calcari marnosi e argilliti marnose di vari colori, con sporadici livelli radiolaritici nella parte sommitale. Localmente sono presenti livelli di argilliti nere grafitose; talora alla base della formazione si trovano sottili lenti di brecce calcareo-silicee;

css - Calcari selciferi superiori (Oxfordiano-Kimmeridgiano superiore): calcari e calcareniti gradate (torbiditi) di colore grigio scuro a liste e noduli di selce nera;

di - Diaspri (Malm): radiolariti rosso-scure o verdi sottilmente stratificate, localmente con interstrati argillitici. Localmente, nella parta alta della formazione, marne silicee e argilliti rosse con rare intercalazioni di calcilutiti silicee grigio-verdastre;

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mac - Maiolica (Titoniano superiore-Cretacico inferiore): calcilutiti e calcilutiti silicee bianche e grigie a frattura concoide con liste e noduli di selce che prevalgono nella porzione inferiore; nella parte sommitale calcareniti e brecce torbiditiche;

st - Scaglia toscana (Cretacico inferiore-Paleogene): argilliti di vari colori, marne e marne calcaree rossastre con intercalazioni di calcilutiti, calcilutiti silicee e calcareniti;

cn - Calcari a Nummuliti (Eocene-Oligocene inferiore): calcareniti a macroforaminiferi e calciruditi grigie, talora selcifere, in strati di potenza variabile, alternate con argilliti e marne rosse o verdastre; mg - Macigno (Oligocene superiore-Miocene inferiore): arenarie quarzoso-feldspatico-micacee in strati di potenza variabile con livelli più sottili di argilliti siltose.

Unità Liguri e Subliguri.

Le Unità Liguri sono costituite da relitti di basamento oceanico e coperture pelagiche giurassico– cretacee (Dominio Ligure interno) e da flysch cretacei-paleogenici scollati dal loro substrato (Dominio Ligure esterno).

Il Dominio Subligure è formato da una successione sedimentaria prevalentemente paleogenica, profondamente tettonizzata (Unità di Canetolo), sedimentata in un’area di transizione tra la crosta oceanica del Dominio ligure e il substrato continentale del Dominio toscano. Tali formazioni fanno parte dell’Unità del Caio, dell’Unità del Gottero e del Supergruppo della Calvana (Boccaletti & Coli,1983). I terreni delle Unità Liguri e Subliguri non appartengono ad un'unica successione stratigrafica ma costituiscono unità alloctone indipendenti, che ricoprono in modo non uniforme le unità della Falda Toscana. Si tratta prevalentemente di flysch arenacei con età variabile dal Giurassico sup. all'Eocene.

L’Unità di Canetolo si compone di:

ac - Argille e calcari (Cretacico superiore?-Eocene medio): argilliti alternate a calcari, calcari marnosi e calcareniti, con livelli di siltiti e arenarie;

cb - Complesso di base (Cretacico superiore?-Eocene medio): nel bacino di Camaiore è stata distinta questa unità geologica, composta da argilliti prevalenti con inclusi di varia litologia, corrispondente ad ac della Carta Geologica del Parco delle Apuane, ma in facies più caoticizzata. L’Unità di Monte Caio è caratterizzata da:

mv - Argille a blocchi di M. Veri (Campaniano superiore-Maastrichtiano): brecce poligeniche ad elementi di calcari, ofioliti, diaspri, arenarie e argille in abbondante matrice argillosa grigia;

fh - Flysch ad Elmintoidi di Ottone-S. Stefano (Campaniano inferiore-superiore): calcari, calcari marnosi, marne ed argilliti calcaree torbiditiche con intercalazioni di arenarie e siltiti;

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ag - Arenarie del Gottero (Maastrichtiano-Paleocene): arenarie torbiditiche quarzoso-feldspatiche, micacee, con intercalazioni di argilliti e siltiti;

mo - Depositi glaciali e fluvio-glaciali (Pleistocene medio-superiore): clasti eterometrici di forma arrotondata e subangolosa in abbondante matrice limoso-sabbiosa;

rv - Ravaneti: discariche di detriti provenienti dallo scavo e dalla lavorazione del marmo;

dt - Detriti di versante, accumuli di frana: accumuli di frammenti litoidi eterometrici con matrice sabbiosa o sabbioso-limosa in quantità variabile.

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4.3. Descrizione degli aspetti fisici del territorio

4.3.1. Geomorfologia e Climatologia

Le Alpi Apuane si collocano nelle province di Massa Carrara e Lucca (una parte del massiccio rientra nel Parco Naturale Regionale delle Alpi Apuane) e sono un gruppo montuoso ben delimitato ed abbastanza continuo, racchiuso dal fiume Serchio e dal torrente Aulella, affluente del fiume Magra; esse separano l’Appennino mediante il Bacino del Serchio.

L’altitudine delle Alpi Apuane è mediamente di 1700 m e la vetta più alta è il Monte Pisanino con i suoi 1946 m; la dorsale principale è allungata in direzione NW-SE e la superficie totale dell’area in questione è di circa 900 Km2.

La morfologia dell’area presenta la contrapposizione tra la pianura costiera e le forti pendenze del rilievo delle Alpi Apuane contraddistinte da creste affilate e profondi valloni. Il passaggio tra queste due diverse morfologie avviene attraverso un ambiente collinare caratterizzato da declivi dolci e quote medie comprese tra 200 e 300 m.

Quest’area, sin dall’epoca romana, ha subito l’attività estrattiva del marmo sia con la cavatura di grossi volumi di roccia sia con l’accumulo di materiale lapideo di scarto di varia pezzatura in corpi detritici detti “ravaneti”. Questa attività ha condizionato la morfologia della parte montana del territorio, tuttavia negli ultimi anni il riutilizzo del materiale di scarto dei ravaneti e lo sviluppo dell’attività estrattiva in galleria o in pozzi verticali, hanno contribuito, almeno da un punto di vista morfologico, ad un minor impatto ambientale.

I corsi d’acqua, per lo più di tipo torrentizio, del versante marino delle Alpi Apuane, raggiungono la pianura con pendenze molto elevate e determinano il notevole trasporto solido che, in associazione agli eventi pluviometrici estremi, sono la causa dei disastrosi episodi alluvionali che in molte occasioni hanno colpito l’area.

Oltre all’azione erosiva dell’acqua hanno contribuito al modellamento delle Alpi Apuane anche fenomeni glaciali (legati all’ultima glaciazione) e fenomeni carsici (Marcaccini, 1964; Piccini, 1994a). Questi ultimi, non hanno dato origine a forme superficiali di carsismo epigeo particolarmente vistose (ad esempio le doline non sono abbondanti), invece, il carsismo ipogeo è tra i più sviluppati d’Italia: sono infatti note quasi 1000 grotte, che sono delle cavità di assorbimento sviluppatesi prevalentemente nei marmi, nei marmi dolomitici e nelle dolomie (Grezzoni).

La pianura costiera fa parte di un’unica unità fisiografica (lunga circa 65 km), si estende da Punta Bianca ai Monti Livornesi, ed è divisa in due parti: la Versilia (da Viareggio a Forte dei Marmi) e la Riviera Apuana (dal Fiume Versilia, che sfocia al Cinquale, fino a Bocca di Magra). Nella pianura Apuo-versiliese si riconoscono tre fasce con andamento parallele alla linea di costa. La fascia

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interna, che borda il piede delle Apuane, è formata da conoidi di deiezione dei fiumi che provengono dalle Apuane stesse e dai detriti di versante rimaneggiati e ridistribuiti dalle acque. Questi conoidi, alti una decina di metri dal livello marino, sono piuttosto piatti e partono da quote vicine ai 50 metri nella Riviera Apuana e intorno ai 30 metri in Versilia. Nella Riviera Apuana i conoidi principali sono due: il conoide del Fiume Frigido e quello del Torrente Carrione. I depositi di conoide sono costituiti da ghiaie prevalentemente carbonatiche (marmi e grezzoni), in parte cementate, in conglomerati, a causa della percolazione di acque ricche di bicarbonati. (Salvatori & Spandre,1996).

Fig. 4.5 – Pianura costiera apuana. 1) Tratti di ripa visibili. 2) Probabile posizione della linea di costa durante l’ultima trasgressione. 3) Curve di livello con equidistanza di 5m (solo sui coni di deiezione). La punteggiatura indica la zona sabbiosa, il tratteggio distingue le formazioni montane delle Apuane. (Modificata da Sestini, 1950).

In Versilia il conoide maggiore è formato dal Fiume Versilia, mentre quello del Fiume Camaiore è meno sviluppato e meno acclive, poichè la maggior parte dei sedimenti si fermano nella conca di Camaiore.

La fascia intermedia è piuttosto stretta nella Riviera Apuana, mentre in Versilia si allarga fino a 2-3 Km, quest’ultima è la parte topograficamente più depressa (in alcune zone è al disotto del livello marino). Questa fascia corrisponde alle aree lagunari e paludose isolate dal mare a seguito dello sviluppo dei cordoni sabbiosi litorali e delle dune. Le aree umide sono state in massima parte bonificate; infatti, attualmente gli specchi d’acqua sono limitati al Lago di Massaciuccoli e al Lago di Porta, quest’ultimo ormai ridotto ad una piccola area umida interamente coperta dal canneto. I terreni sono prevalentemente fini (limi ed argille, anche con torba) e sono sia di natura alluvionale che lagunare e palustre.

La terza fascia, quella litorale, è costituita da sabbie di spiaggia e di duna: le sabbie sono state trasportate dai corsi d'acqua apuani ma soprattutto dal Magra e dall'Arno, le dune, invece, formatesi

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per azione delle onde marine e del vento, sono state quasi tutte spianate dall’intensa urbanizzazione. Tutta la pianura ha visto un rapido aumento di superficie durante gli ultimi 4000 anni, come conseguenza della deforestazione e dell’introduzione dell’agricoltura, che hanno causato un aumento dell’erosione delle terre e un forte incremento della portata solida dei corsi d’acqua: ciò ha portato ad una regressione marina nonostante che il livello marino abbia continuato ad alzarsi. La tendenza all’avanzamento si è invertita con la costruzione del porto di Marina di Carrara negli anni ‘20, che ha provocato l'interruzione del trasporto litoraneo dei sedimenti da nord: le conseguenze sono state l’aumento della spiaggia posta a nord del porto e l’erosione di quella meridionale (Cipriani et al., 2001). L'estrazione di inerti in alveo del fiume Magra iniziata nel dopoguerra ha peggiorato ulteriormente la situazione. Attualmente siamo di fronte ad un'erosione di spiaggia che da Marina di Carrara procede verso sud piuttosto velocemente nonostante gli interventi eseguiti. Il clima delle Alpi Apuane è caratterizzato da precipitazioni molto elevate, questo avviene a causa della loro vicinanza al mare e alla diretta esposizione alle correnti umide che accompagnano le perturbazioni di origine atlantica. Le precipitazioni sono concentrate soprattutto nel periodo autunnale e, secondariamente, in quello primaverile; tranne che nella parte montana dove non esiste una stagione secca prolungata. Il valore medio delle piogge su tutta l’area apuana è di circa 2500 mm per anno (Civita et al., 1991), ma alle quote maggiori ed esposte verso W le precipitazioni medie possono raggiungere i 3500 mm per anno. Tali valori fanno delle Apuane una delle zone più piovose d’Italia e probabilmente dell’intera area del Mediterraneo. Le temperature, stimando una quota media di 650 m dell’area, si aggirano intorno agli 11 °C.

4.3.2. Idrogeologia.

Nell’area delle Alpi Apuane si trovano le maggiori dieci sorgenti della Toscana, che sono alimentate da acquiferi prettamente carsici, caso unico in Toscana.

Le Apuane fanno parte del Bacino idrografico Versilia, il quale è situato all’interno del Bacino Regionale Toscana Nord compreso tra il Bacino del Fiume Magra a N (confine: Torrente Parmignola), il Bacino del Fiume Serchio ad E (confine: crinale apuano) e SE (confine: Fiume Camaiore) ed il Mar Tirreno ad W. Date queste caratteristiche, pertanto, esso non è un vero e proprio bacino idrografico ma comprende un insieme di corsi d’acqua che si originano dalla catena delle Alpi Apuane con recapito diretto a mare. Il carattere dei corsi d’acqua è tipicamente torrentizio ed essi sono caratterizzati da un percorso piuttosto breve con andamento generalizzato E-W e da pendenza elevata nei tratti montani e collinari (alto e medio bacino) e bassa nella parte di pianura (basso bacino) dove risultano arginati con pensilità più o meno elevata; fa eccezione il Fiume Versilia che, dopo la deviazione verso il Lago di Porta (attuata a partire dal 1600), presenta

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un tratto con andamento NE-SE e pendenze piuttosto ridotte nel tratto di valle arginato artificialmente.

Le rocce affioranti delle Alpi Apuane, essendo prevalentemente di natura carbonatica, sono soggette ad un elevato tasso di infiltrazione, pertanto il ruscellamento superficiale dell’area è praticamente assente, salvo in caso di precipitazioni particolarmente intense. Le acque di infiltrazione sono smaltite rapidamente verso le sorgenti attraverso una fitta rete di condotti sotterranei (Piccini & Pranzini, 1989).

La circolazione delle acque sotterranee non è condizionata quasi per nulla dagli spartiacque superficiali; per questo motivo la ricostruzione dell’assetto idrogeologico dell’area è principalmente legato alla struttura dei sistemi carsici. La presenza di numerose e profonde incisioni vallive, favorisce una frammentazione delle strutture carbonatiche in numerosi sistemi idrogeologici, ovvero un insieme di acquiferi e relative aree di ricarica superficiale le cui acque hanno come recapito una o più sorgenti. La maggior parte delle sorgenti carsiche ha portate medie variabili tra qualche decina e qualche centinaio di litri al secondo, con variazioni di portata stagionali molto marcate, e si concentrano sul lato SW del versante (quello marino). Alcuni sistemi idrogeologici non presentano punti di emergenza e ciò si verifica quando i complessi carbonatici sono in continuità con i depositi altamente permeabili della pianura costiera.

L’idrogeologia dell’area apuana è, in effetti, vincolata alla permeabilità, alla distribuzione spaziale ed ai rapporti geometrici tra le varie unità stratigrafiche; quest’ultime due derivanti dall’evoluzione geotettonica e strutturale dell’area (Fig. 4.6).

Per determinare la permeabilità delle formazioni geologiche delle Alpi Apuane si tiene conto della litologia, della stratificazione e del grado di carsismo. La tabella 4.1 sintetizza il grado di permeabilità delle varie formazioni (Pranzini, 2004).

Tab. 4.1 – Formazioni permeabili per porosità secondaria (Pranzini, 2004)

A. alta cm: Calcare massiccio. cv: Calcare cavernoso, Brecce poligeniche. mc: Marmi a Crinoidi, Brecce marmoree. m: Marmi. md: Marmi dolomitici. gr: Grezzoni

B. medio-alta mac: Maiolica. css: Calcari selciferi superiori. csi: Calcari selciferi inferiori. cse: Calcari selciferi a Entrochi. cs: Calcari selciferi.

C. media

ag: Arenarie del Gottero. fh: Flysch ad Elmintoidi. mg: Macigno. cn: Calcari a Nummuliti. di: diaspri. ra: Rosso ammonitico. ca: Calcari ad Angulati. cr: Calcari e marne a Rhaetavicula. op: Prasiniti. pmg: Pseudomacigno. d: Diaspri, calcescisti. fs: Filladi sericitiche, anageniti.

D. medio-bassa fn: Filladi nere, conglomerato basale. com e co: Dolomie scistose a Orthoceras. pfm e pf: Porfiroidi e scisti porfirici, metarenarie quarzose.

E. bassa

ac: Argille e calcari. sc: Calcari a Nummuliti, cipollini, scisti sericitici. vr: Verrucano, Formazione di Vinca. fl: Filladi inferiori dell’Unità Apuana. flm: Filladi inferiori dell’Unità di Massa

F. quasi nulla mv: Argille a blocchi di M.Veri. st: Scaglia toscana. mp: Marne a Posidonia. cb: Complesso di base.

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Il principale acquifero dell’area è rappresentato dalla successione Marmi-Grezzoni, è racchiuso nel complesso metamorfico, ed è stratigraficamente compreso tra un basamento praticamente impermeabile costituito da Filladi e Porfiroidi ed un tetto rappresentato da Diaspri con bassa permeabilità secondaria decrescente. I Grezzoni la cui composizione è prevalentemente dolomitica, hanno una minor solubilità rispetto ai Marmi, ma compensata da una maggiore fratturazione, cosicché il carsismo di sottosuolo risulta ben sviluppato in entrambe le formazioni (Piccini & Pranzini, 1989).

Fig. 4.6 – Schema idrostrutturale della regione Alpi Apuane-Valle del Serchio (modificato da Baldacci et al., 1993). sS1: acquiferi carbonatici della Falda Toscana; sS2: acquiferi carbonatici dell’Unità delle Apuane; Act1: acquicludi/acquitardi costituiti dall’Unità di Massa e dagli Scisti sericitici-Pseudomacigno dell’Unità delle Apuane; Act1 e Act2: acquicludi/acquitardi costituiti da nuclei di basamento implicati in anticlinali.

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A questo acquifero principale, sempre nel complesso metamorfico, si aggiunge quello situato nei Calcari selciferi i quali però avendo un grado di fratturazione e di carsismo più basso costituiscono degli acquiferi meno sviluppati.

Le formazioni carbonatiche, nella Falda Toscana, corrispondenti al Calcare Cavernoso-Brecce poligeniche, al Calcare Massiccio, al Calcare selcifero ed al Calcare della Maiolica, costituiscono un acquifero di potenzialità leggermente inferiore rispetto ai precedenti a causa di una minore permeabilità relativa della roccia e dei loro spessori inferiori. Queste formazioni sono discretamente permeabili e contengono consistenti risorse idriche per la presenza di un elevato grado di fratturazione e di cavità di dissoluzione, anche se sono meno carsificabili rispetto ai marmi.

Scambi idrici tra gli acquiferi del complesso metamorfico e quello della Falda Toscana sono possibili laddove tra essi s’interpongono solo le brecce poligeniche.

Il moto e la direzione della circolazione sotterranea, che avviene lungo condotti carsici e fratture allargate dalle acque di percolazione, sono condizionate dalla quota dei livelli di base e, solo in sporadici casi, dalla geometria dei substrati impermeabili. Il basamento cristallino svolge funzione di substrato impermeabile solo in aree ristrette, mentre funge da sbarramento per molte delle sorgenti maggiori (Piccini & Pranzini, 1989; Civita et al., 1991; Baldacci et al., 1993).

Il bacino idrografico d’interesse, nel presente studio, è quello del fiume Versilia che comprende tre idrostrutture sinclinali con al nucleo acquiferi carbonatici carsici che sono la terminazione sud-occidentale della sinclinale di Carrara, la sinclinale del Monte Altissimo e quella del Monte Corchia (Piccini et al., 1997).

Tra i comuni di Montignoso e Pietrasanta troviamo inoltre i sistemi idrogeologici di Fontane e di Porta mentre nel comune di Stazzema troviamo i sistemi idrogeologici delle Panie e della Pollaccia. Il bacino del fiume Versilia si estende dalle pendici meridionali delle Alpi Apuane e riceve i maggiori contributi dai torrenti Serra e Vezza. Questi due affluenti incontrandosi a Seravezza danno origine al fiume Versilia. Esso percorre circa un chilometro in alveo inciso per poi entrare nella piana versiliese. Poco a monte di Pietrasanta il corso d’acqua diventa arginato deviando verso W. Prima dello sbocco al mare, il fiume lambisce anche la zona umida del Lago di Porta, area che è stata progressivamente colmata con apporti solidi del fiume stesso.

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4.4. Metodi di campionamento

L’area campionata appartiene al comprensorio Apuo-Versiliese e ricade nei comuni di Forte dei Marmi, Montignoso, Seravezza, Stazzema e Pietrasanta, le quote topografiche dove sono ubicate le sorgenti vanno da un minimo di 10 m.s.l.m, ovvero quelle presenti in località Porta, fino ad un massimo di 850 e 870 m.s.l.m, e sono rispettivamente quella di Rifugio Forte e Moscoso; le altre sorgenti si aggirano mediamente intorno ad una quota compresa tra i 300 ed i 600 m.s.l.m. (Fig. 4.7) Questa fase si è svolta in concomitanza e in collaborazione con la dottoressa Matia Menichini, la quale, come detto anche negli obiettivi della mia ricerca, svolge un dottorato inerente la caratterizzazione idrogeologica di questa zona della Versilia.

Fig. 4.7 – Localizzazione delle sorgenti e loro facies idrochimica

Il campionamento è stato effettuato in due diversi momenti, nell’arco di un anno, durante il periodo di piena delle sorgenti, ovvero in primavera, e durante quello di morbida, ovvero a fine estate. La prima campagna si è svolta nel periodo che va dal 15 al 20 maggio 2009 ed ha visto il campionamento di 20 sorgenti.

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La seconda campagna è stata invece effettuata tra il 3 ed il 9 settembre 2009 (ad eccezione della sorgente Carchio che è stata campionata il 24 settembre 2009) per un totale di 26 sorgenti campionate, 20 delle quali già prelevate anche nella campagna precedente mentre 6 ex novo.

In tabella 4.2 sono riportate tutte le sorgenti campionate con la rispettiva sigla identificativa e la facies idrochimica a cui appartengono.

fuoriesce

Tab. 4.2 – Sorgenti campionate, sigla identificativa, facies idrochimica e formazioni geologiche da cui sgorgano Nome Codice Classificazione Formazioni geologiche

Acqua Filante AF/05 Bicarbonato-magnesiaca Porfiroidi-Filladi

Azzano AZ/05 Clorurato-sodica Filladi

Bendiloni BD/05 Clorurato-sodica Filladi

Foccola FC/05 Solfato-calcica Filladi

Gabberi GB/05 Bicarbonato-calcica Marmi-Filladi

Gamello GM/05 Bicarbonato-calcica Calcare Cavernoso-Porfiroidi La Polla LP/05 Bicarbonato-calcica Marmo-Grezzoni

Le Lame LL/05 Bicarbonato-calcio-magnesiaca Porfiroidi

Moscoso MS/05 Bicarbonato-calcica Grezzoni-Pseudomacigno Mulinette 1 ML1/05 Bicarbonato-calcica Pseudomacigno

Mulinette 2 ML2/05 Bicarbonato-calcica Pseudomacigno Ponte Stazzemese 1 PS1/05 Bicarbonato-calcica Filladi

Ponte Stazzemese 2 PS2/05 Bicarbonato-calcica Grezzoni

Porta 1 PR1/05 Solfato-calcica Calcare Cavernoso Porta 2 PR2/05 Solfato-calcica Calcare Cavernoso Porta 3 PR3/05 Solfato-calcica Calcare Cavernoso Rifugio Forte RF/05 Bicarbonato-calcica Grezzoni-Pseudomacigno Segheria SG/05 Clorurato-sodica Filladi

Zeppolino ZP/05 Bicarbonato-clorurato-calcica Porfiroidi Acqua Filante AF/09 Bicarbonato-magnesiaca Porfiroidi-Filladi

Azzano AZ/09 Clorurato-sodica Filladi

Bendiloni BD/09 Clorurato-sodica Filladi Carchio CR/09 Bicarbonato-calcica Marmi Foccola FC/09 Bicarbonato-solfato-calcica Filladi Fonte del Prete FP/09 Clorurato-sodica Filladi Gabberi GB/09 Bicarbonato-calcica Marmi-Filladi La Polla LP/09 Bicarbonato-calcica Marmo-Grezzoni

Marginetta MR/09 Bicarbonato-calcica Calcare Cavernoso-Calcare a Rhaetavicula Metatello MT/09 Clorurato-sodica Filladi

Moscoso MS/09 Bicarbonato-calcica Grezzoni-Pseudomacigno Mulinette 1 ML1/09 Bicarbonato-calcica Pseudomacigno

Mulinette 2 ML2/09 Bicarbonato-calcica Pseudomacigno Mulinette 3 ML3/09 Bicarbonato-calcica Pseudomacigno Pancetto PC/09 Clorurato-sodica Filladi

Ponte Stazzemese 1 PS1/09 Bicarbonato-calcica Filladi Ponte Stazzemese 2 PS2/09 Bicarbonato-calcica Grezzoni

Porta 2 PR2/09 Solfato-calcica Calcare Cavernoso Porta 3 PR3/09 Solfato-calcica Calcare Cavernoso Rifugio Forte RF/09 Bicarbonato-calcica Grezzoni-Pseudomacigno S.Anna SA/09 Bicarbonato-calcica Calcare Cavernoso-Filladi Segheria SG/09 Clorurato-sodica Filladi

Tarabella TR/09 Clorurato-sodica Filladi Zeppolino ZP/09 Bicarbonato-clorurato-calcica Porfiroidi

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L’aumento delle sorgenti campionate nella seconda campagna è dovuto all’opportunità gentilmente offerta dal Gestore unico del servizio idrico della Toscana Nord (GAIA s.p.a) che ci ha permesso di avere accesso anche alle sorgenti captate.

Durante l’estate del 2010 (10-12 luglio) sono state ricampionate alcune sorgenti per effettuare analisi di REE (Rare Earth Elements), inizialmente non previste.

Durante il campionamento sono state effettuate in sito misure di tipo fisico-chimico: temperatura, pH, Eh, conducibilità, alcalinità e ammoniaca e sono stati raccolti in modo opportuno aliquote d’acqua necessarie per la determinazione dei cationi, degli anioni, degli elementi in tracce e della silice ed infine per la determinazione della composizione isotopica (O, H, C); queste operazioni sono state effettuate dalla Dottoressa Menichini.

Per le analisi radiometriche è stata campionata una aliquota di 200 ml di acqua, il campione e contenuto all’interno di contenitori in PET dopo essere stato filtrato (0.45µ m) e analizzato nell’arco di pochissimi giorni.

In fase di raccolta dei campioni d’acqua sono stati raccolti, inoltre, alcuni campioni di roccia (11 campioni) e sedimenti (2 campioni) dei litotipi più rappresentativi degli acquiferi della zona oggetto d’indagine al fine di effettuarne un’indagine petrografica mineralogica e chimica.

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4.5. Procedure analitiche di laboratorio

4.5.1. Determinazione dello ione ortofosfato

L'ortofosfato è stato misurato mediante colorimetria con il metodo che ricorre alla reazione degli ioni fosfato attraverso il molibdato acido fosfolìmolibdenico in una soluzione acida e successiva riduzione con acido ascorbico a blu di fosfomolibdeno, il quale è misurato fotometricamente. Per questo metodo si è fatto uso dello spettrofotometro UV VIS PERKIN-ELMER (IGG di Pisa) e si è impostato lo strumento su una lunghezza d’onda di 650 nm. Le concentrazioni rilevabili sono dell’ordine di 2·10-3 ppm.

4.5.2. Determinazione delle attività Alfa e beta totale e 226Ra

Le misure di attività alfa e beta totale sono state eseguite tramite uno scintillatore liquido modello Quantulus della Perkin Elmer. Dopo aver concentrato 1:20 (circa) per lenta evaporazione a 100° C (24 ore circa) in stufa 200 ml di acqua precedentemente acidificata a pH 2,7, ne sono stati prelevati 8 ml e miscelati con 12 ml di liquido scintillante in una fiala di polietilene teflonato a bassa diffusione da 20 ml. La maggiore preconcentrazione del campione, fino ad ottenere volumi molto ridotti, è dovuta, dato il bassissimo contenuto salino di queste acque, a conseguire valori della MAR e dell’incertezza più piccoli rispetto alle procedure abituali.

Il cocktail così ottenuto è stato conteggiato per 6 ore, lasciando trascorrere almeno un’ora dalla preparazione. Le minime attività rivelabili sono risultate mediamente comprese tra 0,004 e 0,008 Bq/kg per l’attività alfa e di tra 0,030 e 0,050 Bq/kg per l’attività beta.

L’attività del 226Ra è stata determinata attraverso un metodo speditivo proposto da Salonen (1993) e Sanchez-Cabeza & Pujol (1998) che consiste nella misura del picco del 214Po prodotto dallo stesso radio dopo circa 25 giorni, cioè dopo che si è raggiunto l’equilibrio secolare tra i vari isotopi radiogenici prodotti dal decadimento del radio stesso e utilizzando il campione preparato per la determinazione alfa e beta totale. Le MAR, in questo caso, sono comprese tra 0,002 e 0,004 Bq/kg.

4.5.3. Determinazione degli elementi chimici maggiori su campioni di rocce e stream sediment

I componenti chimici maggiori (SiO2, TiO2, Al2O3, Fe2O3, MnO, MgO, CaO, Na2O, K2O, P2O5)

sono stati determinati in fluorescenza a raggi-X, utilizzando la metodologia messa a punto da Franzini et al. (1975); i componenti volatili (CO2, H2O e sostanza organica) sono stati determinati

globalmente come perdita alla calcinazione (P.C.) a 950°C su polveri precedentemente essiccate a 105 ± 5°C. Le analisi sono state eseguite presso il Dipartimento di Scienze delle Terra di Pisa e lo strumento utilizzato è un spettrometro automatico XRF Philips PW 1480. La tabella 4.3 riporta le

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composizione mineralogica qualitativa è stata ottenuta mediante osservazioni in microscopia ottica di sezioni sottili lucidate, lo studio in microscopia ottica ha permesso di determinare anche la tessitura e la granulometria delle rocce.

Tab. 4.3 XRF: Limiti di detezione e incertezze Ossido D.L. (%) Inc. (%) SiO2 0,02 2,0 TiO2 0,004 18,0 Al2O3 0,04 2,0 Fe2O3 0,002 20,0 MnO 0,002 20,0 MgO 0,04 2,0 CaO 0,006 4,5 Na2O 0,04 1,5 K2O 0,004 4,5 P2O5 0,04 3,5

4.5.4. Microscopia elettronica e microanalisi EDS

Le analisi in microscopia elettronica, eseguite su alcune sezioni sottili, sono state effettuate presso il laboratorio del Dipartimento di Scienze della Terra di Pisa. Il sistema analitico Philips – Edax è costituito da un microscopio elettronico a scansione XL30 equipaggiato con uno spettrometro EDS. Il sistema impiega il programma analitico quantitativo EDAX DX4i che è composto di un rivelatore allo stato solido S(Li) ad alta risoluzione. Sono state utilizzate una tensione di accelerazione di 20 kV e una corrente di fascio di 10-10 A. Il campione, prima di effettuare le analisi, viene lucidato e ricoperto con grafite. L’accuratezza è per tutti gli elementi misurati inferiore al 5 %, il limite di rivelabilità è minore di 0,1 % in peso, mentre le incertezze sono dell’ordine del 2 %.

4.5.5. Determinazione di elementi in traccia tramite ICP-MS su campioni acquosi e rocce.

Queste analisi sono state effettuate dal laboratorio ACTLABS di Ancaster (Ontario - Canada) dotato di un’apparecchiatura ad alta risoluzione (High Resolution Magnetic Sector): ICP-MS (Mat Finnegan ELEMENT 2). Questo strumento permette di determinare la maggior parte degli elementi di uno o due ordini di grandezza inferiori rispetto ai tradizionali quadrupoli ICP/MS. La tecnologia utilizzata elimina la maggior parte interferenze e prevede limiti di rilevazione migliore di quelli tradizionali. Il laboratorio è certificato secondo le norme ISO 17025 per le specifiche metodologie analitiche. Il limite di rilevabilità per tutti gli analiti viene mostrato all’interno della tabella delle misure di concentrazione dei campioni di acque e rocce in appendici B2 e B3.

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4.6. Caratteristiche idrochimiche delle acque sorgive

Durante le due fasi di campionamento (piena e morbida) le caratteristiche chimico-fisiche delle acque campionate hanno subito, in alcuni casi, variazioni apprezzabili. Infatti durante la campagna di maggio le temperature delle acque delle sorgenti campionate sono risultate comprese tra gli 8,5 C° di Mulinette 1 e i 17,8 C° delle sorgenti di Porta 2 e 3, mentre dopo il secondo campionamento (settembre) la temperatura delle sorgenti sono risultate variabili tra i 9,6 C° delle sorgenti Rifugio Forte, Moscoso e La Polla, ed i 17,4 e i 16,6 di Porta 3 e Porta 2. Nelle due campagne la temperatura delle acque è variata mediamente di circa 3-4 C°

Per quanto riguarda il pH di maggio è per tutte le sorgenti vicino a 7, Segheria (6,23) e Le Lame (6,79) sono le più acide mentre quelle più basiche sono Mulinette 2 (8,17) e La Polla (8,12), durante il periodo di morbida anche in questo caso i valori sono tutti prossimi a 7, a parte Segheria con un pH pari a 6,42 e Mulinette 2 con 8,35. Quindi tra i due periodi di campionamento il pH non ha subito variazioni significative.

AF AZ BD FC LL P1 P2 P3 SG ZP AZ BD FC FP LP MT PC P2 P3 SG TR ZP Ca++ 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 100 Cl -100 0 N a+ + K+ Mg ++ 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 0 100 0 0 0 100 100 C a+ + + M g+ + SO 4 --+ Cl -S O 4 --HC O3 - + C O3 --0 0

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La conducibilità, estremamente variabile tra le varie sorgenti, va dai 68,8 µS di Bendiloni ai 1063 µS di Porta 3 a maggio, e da 86,6 µS di Bendiloni fino a 1044 µS di Porta 3 a settembre.

I campioni contengono, quasi tutti, una quantità di sali disciolti (TDS) estremamente bassa. La maggior parte delle sorgenti presenta una salinità compresa tra 30 e 250 mg/l, Ponte Stazzemese 1 /09, Marginetta/09, Sant’Anna/09 e Gamello/05 hanno una salinità pari a circa 300 mg/l, mentre, solo quella di Gabberi/05 e Gabberi/09 superano i 350 mg/l, ed infine i campioni di Porta hanno un contenuto salino vicino a 800 mg/l.

Da un punto di vista classificativo la maggior parte delle sorgenti appartengono alla idrofacies Ca-HCO3, in taluni casi alla Ca-Mg-HCO3, queste acque sono localizzate quasi tutte nella zona

orientale dell’area studiata, a parte le sorgenti del Carchio e de La Polla che sono localizzate nella zona nord-occidentale. Molti campioni appartengono, invece, alla idrofacies Na-Cl, queste sorgenti sono localizzate nell’area centrale e drenano terreni detritici e poco permeabili; solo una sorgente (Zeppolino) ha caratteristiche Ca-HCO3-Cl. I campioni di Porta sono risultati tutti di tipo

solfato-calciche (Ca-SO4). La sorgente di Foccola evidenzia caratteristiche intermedie ed appartiene alla

idrofacies Ca-HCO3-SO4 (Fig. 4.8).

Le portate sono risultate, quando è stato possibile effettuarne una valutazione, molto variabili nei due periodi considerati. Tra maggio e settembre le portate sono diminuite vistosamente, nel caso di Mulinette 1 si è passati da 40 l/s ad 11 l/s, ed per di più, due delle sorgenti campionate a maggio, ovvero Le Lame e Gabberi, sono risultate secche nella campagna di settembre. Le sorgenti che scaturiscono da complessi carbonatici hanno portate di un certo rilievo, mentre tutte le altre hanno portate inferiori al un l/s.

(28)

4.7. Caratterizzazione radiometrica e geochimica delle acque sorgive

Tutte le acque analizzate hanno un contenuto radiometrico basso, si va infatti da valori di concentrazione, espressa come attività alfa totale, di 4 mBq/kg della sorgente Zeppolino/05 a 46 mBq/kg di Foccola/09 (appendice B1). La maggior parte di questi campioni ha un’attività generalmente compresa tra circa 10 e 20 mBq/kg, si distinguono per un’attività un po’ più elevata, se si esclude la già citata Foccola, tutti i campioni di Porta con valori in attività compresi tra 29 e 43 mBq/kg.

Solo i campioni di Acqua Filante/05, Le lame/05 e Bendiloni/05, durante la prima campagna di maggio, e Metatello/09, Pancetto/09, Segheria/09, Tarabella/09 e Zeppolino/09, durante la seconda campagna di settembre, sono risultati avere un’attività inferiore alla MAR. Nel caso di Acqua Filante e Bendiloni, campionate sia nel periodo di piena che di morbida, questo potrebbe essere spiegato come un effetto dovuto alla maggiore concentrazione radiogenica causata dalla minore diluizione delle acque piovane. Questo effetto è riscontrabile anche su gli altri campioni dove, dai dati, si evince un’attività generalmente più elevata nei campioni di settembre.

PR3/05 PR2/05 PR1/05 FC/05 PR3/09 PR2/09 FC/09 0 10 20 30 40 50 60 0 200 400 600 800 1000 TDS (mg/l) a lf ato t. (m B q /k g ) Camp. di maggio Camp. settembre

Fig. 4.9 – Alfa totale vs TDS

L’intensità dell’interazione acqua roccia, in questo tipo di sistema idrogeologico, è caratterizzata da un tipo di percolazione veloce che agisce in maniera particolarmente attiva lungo le zone di frattura

(29)

o all’interno di cavità carsiche, quindi la solubilizzazione dei minerali disciolti avviene maggiormente lungo le superfici di contatto su cui scorre l’acqua.

Se si osserva il grafico TDS – Alfa totale (Fig. 4.9) si possono suddividere i campioni in tre gruppi: il primo, molto eterogeneo, è costituito dalla quasi totalità dei campioni ed è caratterizzato da valori di attività alfa generalmente inferiori a 20 mBq/kg e con un contenuto salino inferiore a 400 mg/l, il secondo è costituito dai due campioni della sorgente di Foccola che hanno TDS comparabile con i campioni precedenti ma un’attività significativamente diversa e di circa 40 mBq/kg. Il terzo gruppo è dato dai campioni di Porta i quali mostrano un contenuto salino certamente più elevato (circa 800 mg/l) e un’attività alfa totale mediamente di circa 40 mBq/kg.

Le attività beta totali sono risultate quasi tutte inferiori alla MAR, nei pochi casi in cui esse sono rilevabili risultano comprese tra 32 e 120 mBq/kg, i valori più elevati risultano essere quelli dei campioni di Porta (71 – 120 mBq/kg). Come si può osservare dal grafico 4.10 le attività beta sono sicuramente da associare al contenuto in potassio (40K), essendo questo l’elemento beta emettitore che in generale contribuisce con maggior peso nei sistemi naturali, certo non si può escludere un contributo, se pur trascurabile, dei radioisotopi emettitori beta della serie del 238U.

PR3/05 PR2/05 PR1/05 PS1/05 ML1/05 LL/05 FC/05 ZP/09 SG/09 PR3/09 PR2/09 PS2/09 0 20 40 60 80 100 120 140 160 0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 K (mg/l) B et a t o t. ( m B q /k g ) Camp. maggio Camp. settembre

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L’isotopo radiogenico più abbondante, così come evidenziano tutti gli spettri ottenuti in scintillazione liquida, è certamente l’uranio, e se i valori in attività vengono espressi in concentrazione sono compresi tra 0,1 e 0,4 ppb. Queste concentrazioni risultano del tutto plausibili con il contesto geologico in esame, costituito prevalentemente da rocce carbonatiche la cui porosità è prevalentemente di tipo secondaria (Andreo & Carrasco, 1999) e in linea con il basso contenuto salino di queste acque sorgive.

Per quanto riguarda la speciazione chimica dell’uranio, tenendo in considerazione il fatto che queste acque hanno un contenuto in calcio quasi sempre inferiore a 2 mM e che quindi scarse o nulle concentrazioni di specie calcio-uranil-carbonato, chiaramente escludendo i campioni di Porta, si ritiene che le specie più rappresentate in fase acquosa siano, in sistemi naturali eterogenei (U – H2O

– O2 – CO2), i complessi uranil-idrossido e più frequentemente i complessi uranil-carbonati

(UO2(CO)3, UO2(CO3)22- o UO2(CO3)34-) che risultano altamente stabili (Langmuir & Herman

1978; Molinari & Snodgrass, 1990).

Fig. 4.11 – Diagramma di stabilità Eh – pH e speciazione dell’uranio

Sulla base di questi presupposti e considerando le concentrazioni medie dei cationi ed anioni che maggiormente possono contribuire alla formazione di complessi di uranio si è costruito, con

Specie Log (a)

U -8.0 Ca -2.9 Mg -3.4 Ctot -2.6 Cl -3.5 F -4.3 SO4-- -4.0

(31)

l’ausilio del software The Geochemist's Workbench v.4.0 (Bethke, 1996) il diagramma di stabilità Eh – pH a 20 °C. Per la costruzione del diagramma si è ipotizzata valida l’approssimazione per cui il coefficiente di attività è circa pari all’unità (γ ≈1).

Come si osserva dal diagramma di stabilità termodinamico (Fig. 4.11) i complessi maggiormente rappresentati per i valori di pH tra 6 e 8 sono lo ione uranil-bicarbonato UO2(CO3)22- e lo ione

uranil-tricarbonato UO2(CO3)34-. Il primo risulta avere una concentrazione mediamente di circa 10 -9

-10-10 M, il secondo circa 10-10-10-11 M. I complessi di fluoro potrebbero risultare importanti solo in condizioni francamente acide.

Le acque, come osservato precedentemente, appartengono a diverse tipologie di facies idrochimiche, questo è dovuto principalmente a due fattori, e cioè al tipo di litologia prevalente e al grado di interazione che esse hanno avuto con la matrice rocciosa; possiamo tuttavia dividerle in due gruppi: quelle che attraversano complessi carbonati (tempi medi di residenza più o meno lunghi), e quelle appartenenti alle facies clorurate o miste, che attraversano detriti superficiali con tempi medi di residenza molto rapidi.

Fig. 4.12 – Temperature vs, silice e curve di saturazione di quarzo e calcedonio (software EQ6 water geochemistry), modificato da De Filippo, 2010.

(32)

Tutte le acque risultano sottosature in calcedonio (Fig. 4.12), mentre solo le acque appartenenti alla facies delle Ca-HCO3 sono sotto sottosature anche in quarzo. Questo secondo gruppo è costituito da

acquiferi prettamente carbonatici alla cui base sono presenti litotipi impermeabili o parzialmente impermeabili.

Se si mettono in relazione i contenuti radiometrici relativi all’uranio e le concentrazioni in fluoro (Fig. 4.13) si evince una chiara correlazione positiva tra i due parametri considerati, con R2 pari a 0,9235 (dalla regressione lineare sono stati esclusi i campioni di FC/05 e FC/09). Questo fatto appare molto evidente per i cinque campioni di Porta, mentre, escludendo i campioni di Foccola che risultano isolati, tutti gli altri dati appaiono piuttosto concentrati in un range composizionale piuttosto limitato, solo i campioni di La Polla e Ponte Stazzemese hanno concentrazioni in fluoro leggermente più elevate.

Alfa tot. vs Fluoro

PR3/05 PR2/05 PR1/05 PS2/05 PS1/05 LP/05 FC/05 PR3/09 PR2/09 PS2/09 PS1/09 LP/09 FC/09 y = 99,661x + 6,0059 R2 = 0,9235 0 10 20 30 40 50 60 0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35 0,4 F (mg/l) A lf a t o t. ( m B q /k g ) Camp. maggio Camp. settembre

Fig. 4.13 – Alfa totale vs F

Nelle tipologie di rocce presenti nell’area i minerali che contengono fluoro (con concentrazioni apprezzabili) possono essere l’apatite, la fluorite e le miche, ma solo l’apatite può contenerne frazioni importanti dell’ordine di 1 – 6 % (Deer et al., 1992).

La fluorite si presenta nel marmo di Carrara in scarse e sporadiche mineralizzazioni costituite di minuti cristalli all'interno di piccole cavità, tipiche strutture metamorfiche deformative (tension

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