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Abstract: La tesi affronta un nodo tematico fondamentale del Sudafrica post‐apartheid, paese che deve ancora ripensare le urgenze della convivenza sociale sulle rovine e le ferite del passato

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Academic year: 2021

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Alessandra De Angelis, Phd. in “Studi culturali e postcoloniali del mondo anglofono”, A.A. 2009‐2010. 

Coordinatore: Prof. F. Jane Wilkinson   Tutor: Prof. F. Jane Wilkinson  Tesi di Dottorato di Ricerca: 

Sulle tracce di Krotöa. Storie, memorie e icone del Sudafrica post‐apartheid. 

 

Abstract: 

La  tesi  affronta  un  nodo  tematico  fondamentale  del  Sudafrica  post‐apartheid,  paese  che  deve  ancora  ripensare  le  urgenze  della  convivenza  sociale  sulle  rovine  e  le  ferite  del  passato;  la  prospettiva  critica  adottata,  scettica  verso  ogni  narrativa  a‐problematica  che  celebri  il  trionfo  della  “nazione  arcobaleno”,  è  legata alla ricerca su Krotöa, l’interprete khoikhoi parzialmente assimilata alla cultura olandese, poi morta  prigioniera  a  Robben  Island.  Le  sue  tracce,  riemerse  già  nel  1950  per  scardinare  l’archivio  materiale  e  biopolitico che andava costituendosi con l’apartheid, sono raccolte attraverso un tessuto vibrante di opere,  differentemente motivate, che negli anni della Transizione (1989 ‐ 1995 ca.) vertono sulla sua figura. Non  sono  i  documenti  storici  a  essere  interrogati:  si  tratta  di  una  ricerca  sull’archivio,  per  riaprirne  i  dualismi  concettuali e le premesse discorsive filosofiche ed epistemologiche che ne sono alla base, e per discutere il  legame “messianico” della memoria con il futuro e i suoi fantasmi (Jacques Derrida, Mal d’archive, 1994). 

Il  capitolo  I  tematizza  le  aporie  del  perdono  e  della  testimonianza  nel  lavoro  della  Truth  and  Reconciliation  Commission  (il  tribunale  non  penale  che  diede  udienza  alle  vittime  dell’apartheid,  garantendo l’amnistia ai carnefici confessi). Sullo sfondo, quasi a rendere testimonianza, ci sono Krotöa e il  mito  della  “Madre  Africa”,  la  cui  validità  epistemica  è  qui  ridiscussa.  Il  capitolo  II  è  una  ricerca  filosofico‐

genealogica  e  postcoloniale  sull’archivio,  che  qui  emerge  come  un  a‐venire  legato  alle  possibilità  ancora  indifferenziate del presente e del futuro, più che alle esigenze commemorative del passato. I capitoli III e IV  sono  dedicati  alle  analisi  delle  opere,  cominciando  dai  diari  della  compagnia  coloniale  olandese  e  dallo  stupefacente  prototipo  di  discorso  coloniale  razzista  e  sessista,  apparso  sotto  forma  di  necrologio  sui  giornali  di  Cape  Town  dopo  la  morte  dell’interprete.  Si  affronta  inoltre  un  nodo  teorico  importante,  che  riguarda la rappresentazione e la traduzione (culturale e artistica) nel campo scopico occidentale, segnato  dalla violenza epistemica dei binarismi concettuali che relegano la donna “nera” al margine dell’umano. Nel  capitolo  IV  è  analizzata  la  teoria  di  Jacques  Lacan  sullo  sguardo  (Il  Seminario  II.  II  quattro  concetti  fondamentali  della  psicoanalisi,  1964),  per  affrontare  una  querelle  artistico‐teorica  che  s’interroga,  e  ci  interroga:  di  Krotöa,  in  quanto  oggetto  del  desiderio  scopico  che  ne  fa  la  protagonista  di  una  battaglia  personale  combattuta  sulla  sua  figura,  si  può  e  si  deve  ancora  parlare?  Nel  capitolo  V,  incentrato  sul  superamento  dei  limiti  percettivi  e  discorsivi  nell’arte  visuale  e  su  una  riflessione  meta‐teorica  sulla  traduzione,  Krotöa  sopravvive  ancora  “in‐between”  nel  tessuto  artistico,  che  dalla  sua  figura  trae  spunto  per proporre fratture e complicazioni intorno al mito di una riconciliazione ancora in parte dimentica delle  strutture discorsive che precedono ogni forma di dominazione politica. 

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