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Lo studio della relazione attore-spettatore e i nuovi modelli cognitivi

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Academic year: 2021

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ARTICOLO

Lo studio della relazione a6ore-spe6atore e i nuovi modelli cognitvi

di Gabriele Soa

0. Introduzione

Se il teatro è sostanzialmente un insieme di relazioni a6uate in forme e modalità concrete e determinate, tale è anche la rifessione e gli studi sul teatro: la storiograa teatrale è, nel suo essere indagine storica, fondamentalmente pensiero dialetco (Cruciani 1993: 11).

Nella seconda metà del secolo scorso, la relazione a6ore-spe6atore viene considerata uno degli ogget privilegiat della teatrologia. Lo spostamento dell’a6enzione sulla cara6eristca relazionale dell’evento teatrale ha prodo6o l’emergere di due problemi fondamentali: il primo è la necessità di riconsiderare lo spe6atore come parte essenziale degli studi sul teatro1; il secondo è l’importanza dello studio dell’esperienza umana in quanto luogo dove il l’evento teatrale permane, si trasforma e “lavora” nella memoria degli individui che ne hanno preso parte, superando così la presunta natura “efmera” dello spe6acolo teatrale.

Lo studio del teatro in quanto “relazione” si presenta quindi dire6amente connesso allo studio dell’esperienza in prima persona e della natura radicalmente “relazionale” di essa.

L’analisi disciplinata dell’esperienza in prima persona è, tra l’altro, una problematca condivisa dagli studi teatrali e da quelli antropologici: studiare i processi cognitvi che so6endono l’esperienza di un evento signica anche individuare gli etnocentrismi sici e culturali che ne condizionano inevitabilmente la percezione e lo studio. Alcune proposte metodologiche, come quella dell’Etnoscenologia2, si basano proprio sull’individuazione dei pregiudizi “incarnat” dello studioso:

1 A questo proposito si possono ricordare le proposte avanzate nella seconda metà degli anni o6anta da Marco De Marinis a proposito della «nuova teatrologia», in cui si ipotzzava uno studio delle “reazioni pre-interpretatve” dello spe6atore (De Marinis 1988).

2 L’Etnoscenologia è una disciplina fondata dallo studioso francese Jean-Marie Pradier e da una comunità internazionale di studiosi di teatro, antropologi e artst nel 1995. L’obietvo è lo studio, nelle diverse culture, delle pratche e dei comportament umani spe6acolari organizzat (Pradier 1996).

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“Il punto di partenza dell’Etnoscenologia consiste nel valutare i pregiudizi sedimentat dello studioso, depositatasi lentamente nei suoi modi di pensiero, di percezione e d’azione durante la sua storia personale e colletva” (Pradier 2001: 53; traduzione di chi scrive3).

D’altronde, l‘analisi scientca dell’esperienza in prima persona ha costtuito una vera e propria rifondazione degli studi anche in ambito cognitvo. Alcuni approcci, come ad esempio quello denominato “Neurofenomenologia” e proposto da Francisco Varela nel 19964, si basano su un modello della cognizione umana radicalmente diHerente dalle ipotesi no a quel momento dominant. L’esperienza in prima persona, solitamente considerata come qualcosa di intmo e impenetrabile, è stata infat rivista a partre dalla sua radice organica, ponendo in risalto la necessaria collaborazione tra neuroscienze, psicologia cognitva e fenomenologia per un approccio non riduzionista.

A mio avviso, sia gli studi teatrali che quelli antropologici, possono trarre almeno due important vantaggi da queste ricerche: il primo riguarda la ricognizione di nuovi strument epistemologici per la ricerca sull’esperienza performatva dello spe6atore5, il secondo riguarda l’individuazione di un metodo che consenta allo studioso di tra6are la propria esperienza in prima persona come un vero e proprio “luogo d’indagine” dell’evento studiato6.

Tu6avia, per arrivare a quest risultat, bisogna prima individuare quelle problematche e quei punt d’interesse comuni tra studi teatrali, neuroscienze e fenomenologia che ne potrebbero alimentare il dialogo. È ciò che cercherò di fare con il presente testo.

3 Quando non diversamente indicato, la traduzione è di chi scrive.

4 Il saggio, inttolato proprio Neurophenomenology (Varela 1996) è stato pensato come un “rimedio metodologico” ad al così de6o hard problem presentato dal neuroscienziato David Chalmers: “The really hard problem of consciousness is the problem of experience” (Chalmers 1995).

5 Nel 1987 Ferdinado Taviani rife6eva a proposito della scarsità degli studi sullo spe6atore in quest termini: “È un problema storico: il fa6o che sia restato irrisolto ha inciso profondamente, sia pure in maniera so6erranea, sulla nostra cultura teatrale” (Taviani 1987: 23). Tra la ne degli anni O6anta e la prima metà degli anni Novanta alcuni studiosi hanno cercato di colmare questo vuoto con alcuni lavori specici sullo spe6atore (De Marinis 1988; Giacchè 1991; Pradier 1994). Recentemente sono stat Clelia Fallet e Luciano Marit a concentrarsi nuovamente sul tema alla luce dei nuovi contribut provenient dalle neuroscienze cognitve (Fallet 2009; Marit 2011). Sullo studio dell’esperienza dello spe6atore si concentra anche un mio il volume di prossima pubblicazione (Soa 2013).

6 Marco De Marinis ha recentemente denominato questa possibilità con la formula di embodied theatrology ovvero “una teatrologia incarnata, in cui anche il corpo del ricercatore, e dunque la sua soggetvità, siano messi in gioco in qualche modo” (De Marinis 2012: 80).

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I. I nuovi modelli cognitvi: tre aspet notevoli

I nuovi modelli cognitvi, nat grazie alla stre6a collaborazione tra neuroscienze e fenomenologia, non possono essere considerat un’evoluzione delle proposte precedent. Essi nascono piu6osto dalla profonda messa in discussione dei paradigmi dominant nell’ambito delle scienze cognitve. Tra i diversi element di novità esistono, a mio avviso, tre aspet partcolarmente important per lo studio della relazione a6ore-spe6atore:

1. La localizzazione di una connessione dire6a tra descrizione sensoriale e programmi motori;

2. La descrizione della coscienza come un processo circolare emergente dall’interazione tra individuo e ambiente;

3. Il superamento della dicotomia tra dimensione interna e dimensione esterna dell’azione7. Analizziamo quindi la “novità” di quest tre aspet.

1. Il primo aspe6o prevede l’azione e la percezione non più come funzioni radicalmente distnte, ma come processi che condividono dei substrat neuronali comuni. Sebbene la siologia classica dedicasse ai processi di azione e di percezione dei circuit e a delle aree diHerent8, le recent ricerche, riguardant in modo partcolare i lavori sul meccanismo dei neuroni specchio9, hanno

7 Quest tre aspet si oppongono ad altre6ante rappresentazioni della cognizione umana tu6ora present sia in una parte degli studi neurocognitvi che in buona parte degli studi teatrali: 1. La percezione e l’azione sono due processi diHerent; 2. La coscienza è il prodo6o del cervello; 3. Esiste una dimensione interna dell’essere umano, dove hanno luogo i processi di pensiero, immaginatvi e intenzionali, che avviano o azionano dei meccanismi “esterni”, muscolari, sici, spazializzat.

8 Parlando proprio a proposito dei possibili punt di conta6o tra le neuroscienze cognitve e l’Antropologia teatrale, il neuroscienziato Vi6orio Gallese me6e l’accento proprio sull’importanza del superamento delle dicotomie che giacciono nel cognitvismo classico: “L’antropologia teatrale, a6raverso la dissezione del comportamento dell’a6ore, riconduce la totalità della sua espressione a una molteplicità di livelli di organizzazione delle prassi corporee di movimento. Ciò costtuisce un naturale ponte di dialogo con le neuroscienze cognitve che indagano il ruolo del sistema corpo-cervello nella cognizione sociale. Ciò è tanto più vero oggi, quando la ricerca neuroscientca me6e in crisi il modello del cognitvismo classico, un modello che ha completamente reicato la dimensione corporea dello psichismo e dei processi cognitvi, concentrando ogni sforzo nell’enucleazione di regole formali che stru6urerebbero il funzionamento del nostro pensiero. Le neuroscienze dimostrano invece in modo sempre più evidente come l’intelligenza sociale della nostra specie non sia solo ed esclusivamente «meta-cognizione sociale», cioè capacità di pensare esplicitamente i contenut della mente altrui per mezzo di rappresentazioni in formato preposizionale, ma sia in larga parte fru6o di un accesso dire6o al mondo dell’altro. Questo accesso dire6o è garantto dal corpo vivo e dai meccanismi nervosi condivisi, di cui i neuroni specchio sono un esempio, che ne so6endono il funzionamento” (Gallese 2010: 251).

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mostrato una dire6a connessione siologica tra queste due funzioni. A dispe6o del nome, l’assoluta novità rappresentata dalla scoperta del meccanismo dei neuroni specchio non è quella di un’ipotetca funzione di “rispecchiamento” tra gli individui, quanto la dire6a connessione tra sensibile e motorio. In altre parole, è stato rilevato come, sia nelle scimmie che negli umani10, esistano delle cellule neuronali che si atvano sia quando un individuo esegue un’azione sia quando lo stesso individuo osserva un’azione simile11 eseguita da un altro. Questo signica che ogni volta che noi percepiamo un’azione, questa risuona nel nostro sistema corpo-mente che la “traduce” a seconda del nostro patrimonio motorio e biograco, dei nostri sistemi d’apprendimento, dei nostri condizionament culturali12.

Lo studio sul meccanismo “specchio” me6e quindi in risalto la radice profondamente motoria delle nostre percezioni e, di conseguenza, della nostra esperienza intesa anche nella sua dimensione temporale, ovvero come sedimentazione di event e di vissut che condizionano e modellano le nostre esperienze present.

Tale considerazione non vale solo per la percezione delle azioni ma per una gran parte degli at percetvi possibili. Sappiamo come la percezione visiva degli ogget13 così come la percezione uditva delle azioni14 siano rese possibili grazie all’atvazione delle aree motorie. Inoltre, alcuni dat scientci inducono a pensare che anche gli at percetvi più complessi, come per esempio la le6ura e la comprensione di una parola, necessitano un’atvazione delle aree motorie15.

Rizzolat – Sinigaglia (2006); Iacoboni (2008); Rizzolat – Fabbri-Destro (2010).

10 Sebbene tut gli esperiment iniziali avessero vericato in maniera dire6a la presenza dei neuroni specchio solamente nelle scimmie, nel 2010 quest sono stat individuat in maniera dire6a anche sugli esseri umani (Mukamel et al. 2010).

11 La presente frase sarebbe più chiara dicendo “sia quando un individuo esegue un’azione sia quando lo stesso individuo osserva la stessa azione eseguita da un altro”. Preferisco però utlizzare “simile” in quanto un’azione, nel momento che è eseguita da un’altra persona, dal punto di vista fenomenologico non può essere considerata come “la stessa azione”. Allora in questo caso “simile” deve essere le6o come “biomeccanicamente congruente” anche se, anche questo punto potrebbe essere ogge6o di discussione come dimostrano alcuni recent esperiment condot proprio con dei danzatori (Jola et al. 2012).

12 Il che costtuisce un’importante diHerenza tra la “semplice” idea di “rispecchiamento” e quella ben più complessa di “risonanza”.

13 Rimando qui alla teoria delle “aHordances” di James J. Gibson (Gibson 1979). 14 È il caso dei cosiddet neuroni specchio uditvi (Gazzola et al. 2006).

15 La teoria del linguaggio incarnato (Gallese – LakoH 2005) ipotzza, ad esempio, che i substrat neuronali che rendono

possibile la comprensione di un verbo d’azione coincidono in parte a quelli di cui abbiamo bisogno per eseguire l’azione descri6a dal verbo. Alcuni esperiment (Te6amant et al. 2005; Mirabella et al. 2012), hanno individuato delle evidenze scientche che la confermano. Nell’ambito del proge6o interdisciplinare “La neurosiologia

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Tu6avia non è solamente il meccanismo dei neuroni specchio che ci dimostra come i processi di percezione e di azione siano stre6amente connessi. È ben noto il lavoro realizzato da Antonio Damasio per riformulare lo studio delle emozioni nella loro dimensione sica e motoria (Damasio 1995), o i lavori realizzat dal neuroscienziato Alain Berthoz in collaborazione con il fenomenologo Jean-Luc Pett, a proposito del primato delle nozioni di a6o e di azione (Berthoz ‒ Pett 2006). Per non dimentcare ciò che n dagli anni Se6anta dichiarava il biologo francese Henri Laborit in maniera solo apparentemente provocatoria: “Il sistema nervoso non serve ad altro che ad agire” (Laborit 1979: 2). Non sorprende quindi come già prima della scoperta del meccanismo specchio, Francisco Varela e colleghi basassero lo studio della cognizione “incarnata” (embodied) sull’inscindibilità tra percezione e azione:

“Usando il termine incarnata intendiamo me6ere in risalto due idee: in primo luogo, il fa6o che la cognizione dipende dal tpo di esperienza derivante dal possedere un corpo con diverse capacità sensomotorie, e in secondo luogo, il fa6o che tali capacità sensomotorie individuali sono esse stesse incluse in un contesto biologico, psicologico, culturale più ampio. Usando il termine azione intendiamo porre l’accento ancora una volta sul fa6o che, nella cognizione vissuta, i processi sensori e motori, la percezione e l’azione, sono fondamentalmente inscindibili” (Varela – Thompson – Rosch 1992: 206).

2. Il secondo punto riguarda l’ipotesi secondo cui la coscienza non è un prodo6o del cervello ma è il risultato emergente della relazione tra il proprio corpo-mente e mondo circostante. In una delle sue ultme interviste, Varela dichiarava: “La mente non è altro che il corpo in movimento“ (Varela 2002: 174). Se oggi una buona parte di studiosi, provenient anche da corrent diHerent, sono sostanzialmente concordi nell’amme6ere che il processo dell’esperienza cosciente non è un risultato esclusivo del lavoro del cervello16, gran parte delle scienze cognitve non sono ancora

dell’a6ore e dello spe6atore” condo6o da Clelia Fallet alla Sapienza Università di Roma, quest esperiment sul linguaggio incarnato sono stat ripropost scegliendo come sogget alcuni a6ori. I gruppi coinvolt sono stat il Teatro Tascabile di Bergamo, il Teatro La Madrugada di Milano, l’Abraxa Teatro di Roma, il Teatro-Studio Vocabolo Macchia di Lugnano in Teverina, Terni, il Teatro Rido6o di Bologna, il Teatro delle Selve di Pella, Novara, il Teatro Natura di Roma, il Gruppo Taiko di Roma. Le prime considerazioni inerent ai risultat preliminari dell’esperimento sono state pubblicate in Soa et al. (2012).

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riuscite a superare un modello “rappresentazionale” della mente umana17. Al contrario, la proposta di Varela puntava proprio a un modello “non rappresentazionale” di cognizione. Ovvero un modello che riuta, da una parte, l’idea che l’esperienza del mondo sia il risultato di una ricomposizione “interna” delle percezioni “esterne”, dall’altra l’idea che il mondo sia un luogo “esterno” dove il cervello proie6a i propri contenut “interni”. Il modello embodied (denominato anche “enazione”) proposto da Varela sostene, piu6osto, che il modo con cui esperiamo e abbiamo coscienza del mondo consista in un processo circolare tra essere umano e ambiente: ogni volta che “percepiamo” il mondo, noi stamo in realtà agendo su di esso, stamo ovvero modicando l’ogge6o che intendiamo percepire. Se ogni a6o percetvo modica l’ogge6o stesso della percezione, non esiste un mondo pre-determinato che viene percepito “così com’è”, ma il mondo è esso stesso fondato e modicato dall’individuo che lo percepisce. Ciò che siamo abituat a chiamare “percezione” è il risultato della contnua interazione tra individuo e mondo18. Se poi aggiungiamo il fa6o che l’ambiente che circonda l’individuo è solitamente costtuito da altri esseri umani, ovvero da altri individui dotat di conformazioni e abilità motorie simili o in qualche modo coerent alle sue – e quindi capaci di risuonare nel suo sistema corpo-mente – ci rendiamo conto di come l’esperienza del mondo esterno dipenda, in maniera stretssima, dal modo con cui gli altri individui interagiscono con esso19. Dal punto di vista fenomenologico, il mondo che esperiamo non esiste a

stata fornita da quest’ultmo: “Il cervello non è responsabile di quello che facciamo più di quanto non lo sia un sursta dell’onda che cavalca. Il cervello, il corpo e il mondo formano un processo di interazione dinamica. È qui che ritroviamo noi stessi” (Nöe 2010: 99).

17 Solo per fare un esempio: uno dei neuroscienziat più important e produtvi degli ultmi trent’anni, il francese Marc Jeannerod, ha sempre rige6ato la connessione dire6a tra percezione e azione, sostenendo la necessità di un “motor rapresentaton” tra i due meccanismi. In un’intervista rilasciata a Shaun Gallagher dichiarava infat: “What I think is wrong is the direct link from percepton to acton, without having a representaton in between the two. I think that one rst has to store the goal of the movement, and then use it to guide the movement. This is the representaton” (Jeannerod – Gallagher 2002: 7).

18 Questo ragionamento risiede alla base del modello enatvo proposto da Varela: “Il punto di partenza dell’approccio enatvo è lo studio di come il perce6ore possa guidare le proprie azioni nella sua partcolare situazione. Poiché tali situazioni speciche cambiano costantemente per eHe6o dell’atvità del perce6ore, il punto di riferimento per comprendere l’atvità del perce6ore non è più un mondo prestabilito e indipendente del perce6ore, ma piu6osto la stru6ura sensomotoria del perce6ore stesso (il modo in cui il sistema nervoso collega le superci sensorie e motorie)” (Varela – Thompson – Rosch 1992: 206).

19 In uno scri6o nato dalla collaborazione tra la losofa Dorothée Legrand ed il neuroscienziato italiano Marco Iacoboni – scienziato che ha lavorato intensamente sul meccanismo specchio negli esseri umani – questo fenomeno viene così chiarito: “Una prima relazione intersoggetva è resa possibile a6raverso la condivisione di un mondo comune, in virtù dell’esecuzione e dell’osservazione delle azioni dire6e verso uno scopo: lo scopo di un’azione diventa rappresentata come qualcosa che può essere condiviso, nel senso che l’ogge6o non è solo l’ogge6o

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priori ma esiste come risultato dell’esperienza dei sogget che lo “co-costtuiscono”20:

“Se posso guardare al mondo come già costtuito, è grazie al fa6o che il mondo è stato costtuito da un sogge6o che è co-costtuente con me. Costtuito, diciamo, da un altro che non può essere considerato come uno tra gli ogget costtuit (da un sogge6o costtuente unico) ma un altro, uomo o donna, in sé, fornito di tu6e le prerogatve trascendentali proprie del sogge6o co-costtuente ” (Berthoz – Pett 2006: 244).

3. Ado6are l’idea di una cognizione incarnata, superando i modelli rappresentazionali signica inevitabilmente superare la dicotomia tra interno ed esterno. Superare, ovvero, le dicotomia tra intenzione ed azione, come quella tra pensiero e movimento.

Ogni nostra azione è in qualche modo guidata dalle nostre descrizioni sensoriali di natura visiva, uditva, propriocetva, cinestetca, che a loro volta richiedono l’atvazione di programmi motori che modicano l’azione stessa. In questo senso l’azione “eseguita” è sempre il risultato dei feedback sensoriali che contnuano a modicarla, in un processo contnuamente circolare. Ogni azione non equivale quindi a un’“esecuzione” sico-muscolare di un’intenzione interna, ma è da considerarsi sempre come il processo emergente dalla comparazione pre-cosciente tra le azioni potenziali dell’individuo e il mondo circostante. Allo stesso tempo, ogni intenzione è modellata dalle potenzialità motorie dell’individuo. De6a in altri termini, la stru6ura di ciò che siamo abituat a individuare con il termine “intenzione” è inscindibile dalle capacità motorie e dal mondo circostante21. L’azione è quindi un processo struuralmente intenzionale:

“Così come il classico modello comportamentale stmolo-risposta, negando le determinazioni interne dell’azione, ha fallito, in modo speculare anche il modello che minimizza il ruolo dei

intenzionale di qualcuno, ma anche l’ogge6o intenzionale di altri” (Legrand – Iacoboni 2010: 261).

20 La nozione di “co-costtuzione del mondo” utlizzata da Alain Berthoz e Jean-Luc Pett fa preciso riferimento a quella di mitkonstuon proposta da Husserl nei suoi lavori sulla fenomenologia dell’intersoggetvità (Husserl 1973; Berthoz – Pett 2006).

21 Chiaramente dobbiamo fare qui una ne6a distnzione tra la nozione di intenzione intesa nel suo signicato neurocognitvo in cui l’obietvo è potenzialmente raggiungibile dalla nozione quella più generale di intenzione come “desiderio” di realizzare un’azione o una serie d’azioni (“ho intenzione di andare in vacanza il mese prossimo”). Osservando gli studi recent sulla siologia dell’azione e del movimento volontario troviamo a più riprese un modello che prevede una contnua comparazione tra le emulazioni d’azioni potenziali dell’individuo e i feedback sensomotori sulla relazione tra il corpo e lo spazio circostante (Wolpert et al. 1996; Wolpert – Flanagan 2001; Haggard 2008).

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condizionament esterni dell’azione si è rivelato fuorviante. Essere capace di agire verso un obietvo implica non solamente il controllo della propria azione ma anche il fa6o di essere recetvi ai condizionament del contesto e dell’ambiente esterno in cui l’azione si sta svolgendo” (Legrand 2010: 165).

Dal punto di vista cognitvo, a questo livello, la dicotomia tra mondo interno e mondo esterno perde validità: “È nostra intenzione evitare completamente questa geograa logica dell’interno in contrapposizione all’esterno, vogliamo invece studiare la cognizione non come ricostruzione o proiezione, ma come azione incarnata” (Varela – Thompson – Rosch 1992: 205-206).

II. L’intenzione dilatata

Per capire come i nuovi modelli cognitvi possono aiutare lo studio della relazione a6ore-spe6atore bisogna, a mio avviso, esaminare prima di tu6o la diHerenza che esiste tra le relazioni intersoggetve quotdiane e quelle di tpo teatrale22. È importante, infat, tenere sempre ben presente il fa6o che lo scopo della maggioranza degli esperiment neuroscientci è quello di analizzare le interazioni quodiane tra gli individui23. Di conseguenza, i risultat e le deduzioni, che i neuroscienziat ricavano dalle ricerche empiriche, non possono essere immediatamente utlizzat per uno studio del teatro, ma devono essere sistematcamente problematzzat e ricalibrat su una relazione che proprio dalla diRerenza rispe6o al quotdiano trae la sua ricchezza. Ma è possibile individuare questa diHerenza a livello neurocognitvo?

Nel Lavoro dell’aore su se stesso, Stanislavskij notava a più riprese come uno dei problemi più ostli per l’a6ore è l’inevitabile perdita della sua naturalezza quotdiana nel momento in cui entra in relazione con lo spe6atore: “È sconcertante come una cosa così comune, che normalmente si crea

22 La distnzione che qui intendiamo fare riprende le intuizioni proposte dell’Antropologia teatrale nel momento in cui ha individuato una diHerenza tra le tecniche quotdiane e le tecniche extra-quotdiane. Rispe6o alle proposte dell’Antropologia teatrale cambia, però, il livello d’indagine, in quanto l’a6enzione si pone in questo caso al livello neurocognitvo degli esseri umani coinvolt nella relazione. Questo cambio di livello implica necessariamente un parziale sli6amento dei paradigmi epistemologici e degli strument d’analisi utlizzat.

23 E questo, sfortunatamente, succede anche quando vengono utlizzat degli a6ori o dei danzatori per gli esperiment. Nella stragrande maggioranza dei casi, infat, i neuroscienziat utlizzano gli a6ori come persone in grado di “replicare” le interazioni quotdiane, ignorando che ciò che gli scienziat considerano come una replica delle interazioni reali, è l’eHe6o di un processo complesso diHerente da quello messo in a6o durante le interazioni quotdiane.

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spontaneamente, scompaia senza lasciar traccia, appena l’a6ore tocca il palcoscenico, e per ristabilirla ci vogliono tanto lavoro, studio e tecnica” (Stanislavskij 1956: 517). Come si spiega questo dal punto di vista cognitvo? Interrogandosi sul problema, Clelia Fallet ha utlizzato l’aHascinante immagine del “gladiatore”:

“Mi piace pensare all’a6ore a questo livello base come a un gladiatore nell’arena: per l’a6ore tu6a la sua vita sulla scena dipende dalla sua capacità di tenere l’a6enzione dello spe6atore – se lo spe6atore distoglie lo sguardo lui muore. Scenicamente” (Fallet 2009: 19).

L’a6ore “gladiatore” non può concentrarsi solo sulla corre6a e motvata esecuzione dell’azione prevista dalla parttura – processo comunque necessario per essere credibile – ma deve anche preoccuparsi di guidare e mantenere viva l’a6enzione dello spe6atore. Questo doppia necessità crea già una forte diHerenza tra le dinamiche quotdiane e quelle teatrali. Lo sguardo di qualcuno, il sapere che c’è qualcuno che “a-spe6a” qualcosa da quelle stesse azioni, che nella vita quotdiana probabilmente si susseguirebbero in maniera quasi automatca, crea una sorta di interferenza che corrompe la “naturalezza”, la fuidità, la destrezza dell’agire quotdiano. Se è ben nota l’importanza dello sviluppo di un’intenzione reale nei processi di risonanza delle azioni24, questa non è sufciente se non viene accompagnata dalla consapevolezza che lo spe6atore è presente, e che la relazione con quest’ultmo deve essere sorre6a e guidata dall’a6ore. Di conseguenza, in scena gli obietvi della stessa azione sono due: raggiungere lo scopo previsto nella parttura e, allo stesso tempo, stmolare lo spe6atore. L’a6ore deve trovare un modo per “dilatare” la propria intenzione, al ne di soddisfare entrambe le necessità.

III. Intenzione e body schema performavo

24 Sono proprio le ricerche sul meccanismo dei neuroni specchio che evidenziano il ruolo fondamentale giocato dall’intenzione nei processi di risonanza delle azioni (Fogassi et al. 2005; Umiltà et al. 2001; Umiltà et al. 2008). Alcuni esperiment hanno inoltre dimostrato come i moviment senza scopo reale (tecnicamente chiamat meaningless) o i gest simbolici non riescano ad atvare alcune precise aree del meccanismo specchio dell’osservatore. Al contrario, le azioni mimate da un a6ore capace di ricreare le dinamiche motorie (e quindi l’intenzione) adeguate anche in una situazione di nzione (ovvero senza un correlato concreto) portavano a un’atvazione del meccanismo specchio (Buccino 2005; Lui et al. 2008). Delle dimensioni biologiche dell’intenzione dell’a6ore ho parlato in maniera più approfondita in alcuni artcoli precedent (Soa 2009, 2011).

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Bisogna però fare a6enzione a non incorrere nell’errore di descrivere l’azione isolandola dall’intero corpo: nell’agire quotdiano, così come nell’agire dell’a6ore ben allenato, ogni azione coinvolge sempre l’intero corpo. Ciò che solitamente individuiamo come una “singola” azione, è in realtà un processo che richiede tu6a una serie di sinergie, aggiustament dell’equilibrio, micromoviment e contrappesi periferici che coinvolgono in maniera completa l’impianto biomeccanico del corpo25. Se dal punto di vista fenomenologico “avere un’intenzione non è solo avere un motvo per agire ma anche avere un corpo orientato verso un obietvo” (Legrand 2010: 166), ciò che è stato prima denito come “intenzione dilatata” è un processo che non può essere localizzato solo nell’arto eHe6ore ma piu6osto nella riorganizzazione dell’intero sistema corpo-mente. Non a caso è proprio la coerente sinergia tra le diverse part del corpo ciò che entra in crisi in maniera evidente nel momento in cui l’essere-umano-a6ore si trova nella condizione di dovere gestre e condurre la sua relazione con lo spe6atore.

Dal punto di vista neuroscientco, questa coerente sinergia fra le varie part del corpo è organizzata da un meccanismo chiamato body schema. Per denire questa nozione, possiamo afdarci ad un esempio classico. Se nell’ambito del mio agire quotdiano devo prendere un bicchiere d’acqua poggiato su un tavolo, non avrò bisogno di pensare a tu6e le tensioni muscolari da me6ere in opera, agli aggiustament dell’equilibrio da regolare o alla forza da impiegare per sollevare il bicchiere: agirò verso il bicchiere con la precisa intenzione di aHerrarlo: tut i processi motori necessari si organizzeranno nella maniera più efcace possibile. Non solo, se l’intenzione non è esclusivamente quella di aHerrarlo, bensì è quella di “aHerrarlo per bere l’acqua”, probabilmente alcune part del corpo non dire6amente coinvolte nell’azione dell’aHerrare – come ad esempio la mia bocca – antciperanno l’azione successiva per rendere più fuida la concatenazione delle azioni: la mia bocca inizierà quindi ad aprirsi prima che il bicchiere la raggiunga (e senza un comando esplicito e cosciente)26. Questo insieme di processi motori cooperant in modo preciso sono regolat

25 E che rendono, tra l’altro, tecnicamente impossibile stabilire in maniera ne6a i limit iniziali o nali di un’azione, anche dal punto di vista neurosiologico. Uno degli esempi classici è l’esperimento realizzato nel 1983, da un team francese guidato da Benjamin Libet. L’esperimento mostrò come, ben prima che l’individuo decidesse di avviare un’azione volontaria (in quel caso l’azione riguardava la pressione di un pulsante), vi era un aumento dell’atvità delle aree motorie relatve a quell’azione (Libet et al. 1983).

26 Un altro evidente meccanismo di antcipazione della concatenazione di azioni che si può notare nello stesso esempio riguarda le dita della mano: nell’azione di aHerrare un bicchiere d’acqua le dita della mano assumono in maniera precisa la forma ada6a per aHerrare il bicchiere prima che la mano lo raggiunga eHetvamente.

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dal body schema, la cui partcolarità è quella di operare sempre al di so6o della nostra soglia cosciente, ossia senza richiedere uno sforzo cognitvo esplicito27. L’efcacia di questo processo ha portato Berthoz a denirlo come una sorta di “doppio” di noi stessi, che lavora “per noi” senza che noi ne siamo coscient28. Non bisogna pensare al body schema come un meccanismo centralizzato e collocabile nel cervello, esso è piu6osto un meccanismo diHuso nel corpo intero che ne regola l’interazione con l’ambiente operando una contnua integrazione delle coordinate egocentriche29 con quelle allocentriche30. Il body schema opera quindi un contnuo confronto tra le informazioni relatve allo spazio circostante e le informazioni (in gran parte di natura propriocetva, visiva e vestbolare) relatve alla postura, alla posizione degli art e alla potenzialità d’azione.

Non bisogna dimentcare, inoltre, che esiste una forte connessione tra il body schema e i processi intenzionali. Non solo il body schema si riorganizza afnché l’obietvo venga raggiunto nel modo più efcace possibile, ma il corre6o funzionamento del body schema di un individuo osservato, garantsce all’osservatore il cara6ere intenzionale dell’azione osservata. In altre parole, la credibilità di un’azione dipende anche dal coordinamento delle part periferiche del corpo:

“Le regolazioni [della postura] come quelle dei moviment collaterali, o come gli aggiustament della posizione del corpo e degli art in relazione all’ambiente circostante, sono necessarie sia dalla prospetva dell’osservatore che da quella dell’agente al ne di percepire il movimento come intenzionale” (Livet 2010: 189).

Se ci spostamo adesso al teatro, possiamo renderci conto di come, per l’a6ore, ricostruire delle azioni “fondate e con uno scopo”, signica ricostruire l’intera sinergia e coerenza sica globale dell’azione. Un esempio su tut è il primo dei 44 principi della biomeccanica teatrale: “L’intera

27 La nozione di body schema ha una lunga storia costellata da numerose confusioni e fraintendiment. La nozion e che verrà qui ado6ata sarà quella recentemente proposta da Shaun Gallagher, losofo e scienziato americano, che da oltre vent’anni ha dedicato diversi lavori all’argomento (Gallagher 1986, 2005b).

28 Scrive Berthoz: “Vorrei proporre qui un’idea nuova: noi siamo fondamentalmente due. I neurologi hanno avuto questa intuizione quasi cent’anni fa, nel momento in cui hanno proposto il conce6o di schema corporeo” (Berthoz 2003: 143).

29 Ovvero quelle informazioni riguardant la postura del corpo nello spazio, lo stato di equilibrio, la posizione degli art, ecc.

30 Ovvero quelle informazioni relatve alla codica della relazione degli ogget circostant tra di loro e alla relazione tra le loro diHerent part.

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biomeccanica si fonda sul principio che se si muove la punta del naso, si muove tu6o il corpo. Tu6o il corpo prende parte al movimento del più piccolo organo” (Mejerchol’d 1993: 76).

Il problema è che, se il lavoro sull’intenzione può essere condo6o tramite dei processi creatvi coscient, la coerenza del body schema non può essere cosciente in quanto, come de6o, il body schema lavora al di so6o della nostra consapevolezza. Ma allora come può fare, l’a6ore, a ricostruire qualcosa di cui non è cosciente?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitu6o chiarire: dire che il body schema non è un processo cosciente non signica aHermare che esso sia automaco. Anzi, la partcolarità dei processi regolat dal body schema è proprio quella di non essere né coscient, né automatci, piu6osto secondo la denizione di Gallagher, essi possono essere considerat come pre-riTessivi31. Un processo motorio pre-riTessivo non è un processo automatco perché è comunque legato all’indirizzamento dell’intero corpo verso un obietvo che, invece, è cosciente. Il proseguire tacito e non cosciente di quest processi sono una contnua conferma, un monitoraggio pre-riTessivo del fa6o che il mio agire si sta svolgendo regolarmente. Nel caso in cui un ostacolo renda impossibile il mio agire routnario, il corpo-mente sovrappone al body schema un ricorso all’intervento cosciente. Noi possiamo, ad esempio, un controllo pre-rifessivo dei nostri passi no a quando un ostacolo non ne me6e in crisi la routne e ne rende improvvisamente necessaria (e cosciente) l’interruzione32. Inoltre bisogna ricordare che, tut noi, aggiorniamo e plasmiamo in ogni momento il nostro body schema secondo la nostra esperienza quotdiana. Più atviamo un determinato paern d’azioni, meno sforzo esplicito verrà compiuto per atvarlo nuovamente. Pensiamo, ad esempio, all’impegno cognitvo necessario per imparare a guidare un’automobile. Durante i primi tentatvi, l’atvazione dei paern d’azione simultanea dei nostri art richiede uno sforzo esplicito e una certa macchinosità d’esecuzione. Con l’esperienza, l’atvazione di quest stessi paern richiede uno sforzo sempre minore, no al punto in cui le azioni vengono incarnate in meccanismi pre-rifessivi. A quel punto il

31 Questo territorio di controllo pre-rifessivo è quello che cara6erizza, ad esempio, il controllo che un pianista ha delle proprie dita durante l’esecuzione di un pièce musicale e sarebbe quello che, nella mia ipotesi, accomunerebbe i musicist a a6ori, danzatori, mimi, acrobat, ecc.

32 L’esempio riguardante l’ostacolo improvviso all’azione del camminare non è casuale ma vuole richiamare l’esempio fa6o da Grotowski all’interno delle lezioni tenute alla Sapienza all’inizio degli anni '80 (Grotowski 1982). Tu6avia il discorso in questa direzione sarebbe molto ampio, il mio intento qui è solo quello di me6ere in evidenza questa possibile connessione.

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nostro controllo cosciente non si occupa più del problema di “come guidare” ma può dedicarsi semplicemente al “dove andare”. Grazie a una ripetuta esperienza, il nostro body schema si è ada6ato all’interazione con l’automobile e con la strada. Allo stesso modo, tramite la ripetzione e l’esperienza, l’a6ore riesce ad incarnare delle routne neuromotorie diHerent e so6oposte ad una consapevolezza pre-rifessiva di sé più rafnata. Possiamo notare, infat, come una parte degli esercizi di apprendistato per l’a6ore, in diverse tradizioni performatve, si basino proprio su un principio che applica delle costrizioni siche, dei veri e propri “ostacoli” alle azioni abituali. Gli esercizi funzionano quindi come: “piccoli labirint che il corpo-mente dell’a6ore può percorrere e ripercorrere per incorporare un paradossale modo di pensare, per distanziarsi dal proprio agire quotdiano e spostarsi nel campo dell’agire extra-quotdiano” (Barba 1997: 15). A livello neurocognitvo questa “incorporazione di un paradossale modo di pensare” può essere le6o come la vera e propria creazione di un body schema diHerente da quello quotdiano: un body schema performavo33.

Bisogna però precisare che il body schema performavo non deve essere interpretato come un sistema separato dal body schema quotdiano, ma come una sua potenzialità, conquistata dall’a6ore grazie al training e messa in a6o sulla scena per o6enere un diversa consapevolezza di sé e dello spe6atore.

IV. L’esperienza performatva dello spe6atore: ambiguità e co-costtuzione

Il rafnato controllo di sé che l’a6ore acquisisce nel momento in cui incarna un body schema diHerente da quello quotdiano serve sia ad evitare che lo spe6atore antcipi le azioni dell’a6ore sulla scena, sia a stmolare ad arte delle previsioni nello spe6atore. Previsioni che possono “sbilanciare” lo spe6atore e che oHrono all’a6ore la possibilità di sorprenderlo o assecondarlo34. In

33 L’ipotesi di un body schema performavo potrebbe dunque indicare non solo l’insieme di quelle conoscenze tacite dell’a6ore che si acquisiscono con l’esperienza, ma anche quel partcolare pensiero non linguistco, quel thinking in moon che ogni performer riconosce nel proprio agire. In questo senso ci avviciniamo alla concezione che Maurice Merleau-Ponty aveva di savoir du corps, come so6olinea lo studioso Emmanuel de Saint Aubert: “Lo schema corporeo comprende anche la questone del savoir du corps: ciò che il corpo conosce, ciò che conosce di se stesso e il modo originario di questo tpo di «conoscenza». Il corpo conosce e si conosce nello stesso tempo, secondo un narcisismo isttuzionale che porta il mondo e gli altri nel proprio processo circolare” (De Saint Aubert 2010: 25). 34 Uno degli esempi più conosciut è quello del sats utlizzato da Eugenio Barba e dai suoi a6ori dell’Odin Teatret. Nella

Canoa di Carta il sats è denito come “un momento di transizione che sfocia in una nuova postura ben precisa, quindi un mutamento di tonicità dell’intero corpo. Se ci stamo sedendo, ad esempio, possiamo individuare quel

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questo modo possono scaturire quegli eHet di sospensione o sorpresa che potrebbero costtuire la base psicosiologica dei meccanismi di piacere dello spe6atore35.

Se, nell’agire quotdiano, è senza dubbio un vantaggio essere coinvolt in una sorta di “consonanza intenzionale”36, che perme6e un’immediata comprensione delle intenzioni ed una previsione implicita degli scopi motori altrui, sulla scena l’a6ore si trova spesso nella situazione in cui questa “consonanza” deve essere scardinata, sfasata, dilatata, per rendere l’esperienza teatrale diHerente e unica rispe6o alle esperienze quotdiane. È sull’ambiguità delle proprie azioni – piu6osto che sull’immediata comprensione – che l’a6ore fonda la relazione e la sua capacità a6ratva. Non bisogna quindi creare un’equivalenza dire6a tra la credibilità dell’azione, necessaria per “muovere” lo spe6atore e la sua immediata comprensione.

L’ambiguità, in quest’otca, non coincide con una rinuncia alla credibilità dell’azione, bensì ad una moltplicazione delle sue potenzialità nell’esperienza dello spe6atore.

Come rilevato nell’ambito delle art plastche da Semir Zeki, fondatore della disciplina denominata “neuroestetca”, l’ambiguità non sta nell’assenza di previsioni possibili, ma nella possibilità di operare più previsioni allo stesso tempo (Zeki 2004).

Ciò che Zeki rischia però di so6ovalutare è la radice fortemente motoria presente già nell’etmologia della parola ambiguità. Essa infat è legata all'aggetvo ambiguo che deriva dal latno ambíguus che, a sua volta è formato da amb (che signica intorno, da due o più par), e àgere ovvero condurre, agire. Il signicato etmologico di ambiguità sarebbe quindi vicino ad un agire intorno, agire in più direzioni. Calata nella dimensione neuromotoria, la nozione di ambiguità potrebbe essere rile6a come la difcoltà di prevedere il proseguire di un’azione quando questa presenta numerose potenzialità equivalent e opposte tra di loro. Ovvero senza che sia possibile in chi osserva ipotzzare una soluzione motoria privilegiata. La nozione di ambiguità diventa così molto punto scendendo oltre il quale non è possibile controllare il peso e il corpo va giù. Se ci fermiamo immediatamente prima di quel punto, siamo in posizione di sats: possiamo tornare in posizione ere6a, oppure decidere davvero di sederci” (Barba 1993: 90). Il sats è quindi un momento in cui l’a6ore oHre allo spe6atore più possibilità di previsione (si siede o si rialza?). Il sats è stre6amente legato alla potenzialità d’azione, a quel preciso istante in cui l’a6ore apre diverse possibilità d’azione che vengono via via antcipate dallo spe6atore, ovvero perme6e di “trar di scherma con il senso cinestetco dello spe6atore e impedirgli di antvedere l’azione che invece dovrà sorprenderlo” (Barba 1993: 90).

35 Secondo alcuni psicosiologi come Vezio Ruggieri, i meccanismi di a6esa hanno una radice in quelle dinamiche muscolari di “accumulo e scarica” che starebbero alla base dell’esperienza del piacere (Ruggieri 1997).

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fertle se riferita all’a6ore.

L’a6ore cerca l’ambiguità nel vissuto esperienziale dello spe6atore stmolandolo proprio ad una molteplicità di previsioni, di azioni potenziali. Prendiamo come esempio l’esperienza spe6atoriale dello spazio scenico. Come abbiamo so6olineato all’inizio, nel quotdiano l’esperienza dello spazio circostante è di tpo motorio e dipende non soltanto da come noi possiamo interagire con lo spazio circostante, ma anche da come gli altri esseri compresent possono interagire con con esso. Questo signica che, se l’a6ore utlizzerà delle routnes neuromotorie diHerent – un body schema performavo – per interagire con lo spazio scenico (ogget compresi), la percezione di questo spazio che ne avrà lo spe6atore sarà a sua volta diHerente. Nel momento in cui l’a6ore crea delle nuove potenzialità d’interazione con un ogge6o quotdiano, esso lo trasforma nell’esperienza dello spe6atore.

Pensiamo ad esempio alla stoHa rossa utlizzata da Cieslak nel “Principe Costante” dire6o da Jerzy Grotowski. Nella testmonianza dell’allora aiuto regista Serge Ouaknine, la stoHa è paragonata a un vero e proprio personaggio che “come un a6ore si trasforma, mantello di principe, telo da corrida, sudario, drappo di chiesa, ecc.” (Ouaknine 1970: 33). Moltplicando le modalità di interazione con un ogge6o, l’a6ore cambia l’esperienza che di questo ogge6o ne fa lo spe6atore. Se, nell’esperienza quotdiana, ogni ogge6o viene esperito non solo come “l’ogge6o intenzionale di qualcuno, ma anche come l’ogge6o intenzionale di altri” (Legrand ‒ Iacoboni 2010: 261) e l’esperienza che si ha del mondo “come già costtuito, è grazie al fa6o che il mondo è stato costtuito da un sogge6o che è co-costtuente con me” (Berthoz ‒ Pett 2006: 244), signica che il modo con cui si ha esperienza di un ogge6o dipende anche da quali routnes motorie vengono utlizzate dagli altri per interagire con l’ogge6o stesso. Quindi, nel momento in cui l’a6ore interagisce con un ogge6o secondo delle routne neuromotorie diHerent da quelle quotdiane, l’esperienza dell’ogge6o che ne avrà lo spe6atore non potrà che essere di tpo diHerente, performavo. Gli ogget di scena, così come lo spazio co-costtuito da a6ore e spe6atore “prendono vita” grazie alle azioni dell’a6ore. O, per meglio dire, acquisiscono una vita diHerente da quella esperita nel quotdiano dello spe6atore. Lo spazio di co-costtuzione diventa così un vero e proprio partner che l’a6ore trasforma nell’esperienza sia sua che dello spe6atore. Il modello di co-costtuzione del mondo, rinforzato recentemente da alcune evidenze neuroscientche (Costantni

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2012; Costantni et al. 2010; Costantni et al. 2011), riformula così il ruolo dello spazio scenico. Prendiamo come esempio l’idea di “spazio vivente” formulata dal regista svizzero Adolphe Appia:

“Facciamo un esempio: supponiamo di avere un pilastro vertcale quadrato dagli spigoli ne6amente marcat. Questo pilastro poggia, senza basamento, su delle lastre di pietra orizzontali. Esso dà un’impressione di stabilità e resistenza. Un corpo vi si avvicina. Dal contrasto fra il movimento di quest’ultmo e l’immobilità tranquilla del pilastro scaturisce già una sensazione di vita espressiva, che il corpo senza pilastro, e il pilastro senza quel corpo che viene avant, non avrebbero mai o6enuto. Inoltre le linee sinuose ed arrotondate del corpo diHeriscono essenzialmente dalle superci piane e dagli spigoli del pilastro, e questo contrasto è già da solo espressivo. Ma ecco che il corpo tocca il pilastro; l’opposizione si accentua ulteriormente. Inne il corpo si appoggia al pilastro, la cui immobilità oHre a quello un solido punto d’appoggio: il pilastro resiste. Esso agisce! L’opposizione ha creato la vita della forma inanimata: lo spazio è divenuto vivente!” (Appia 2008).

Lo spazio otene una “nuova vita” perché lo spe6atore tende contnuamente a ri-mapparlo a seconda delle potenzialità d’azione dell’a6ore. Il body schema performavo con cui l’a6ore interagisce sulla scena cambia non solo la percezione del mondo scenico ma anche le dinamiche di co-costuzione del mondo su cui l’a6ore e lo spe6atore basano la propria relazione intersoggetva. Sia dal punto fenomenologico che da quello cognitvo l’esperienza performatva dello spe6atore si diHerenzia quindi in modo ne6o dalle esperienze quotdiane. Non solo, esso si diHerenzia anche dalle altre esperienze “spe6atoriali” che non prevedono una co-costtuzione dello stesso ambiente, come per esempio l’esperienza dello spe6acolo cinematograco o televisivo.

V. Conclusioni

Se dal punto di vista neuroscientco e fenomenologico “una prima relazione intersoggetva è resa possibile a6raverso la condivisione di un mondo comune, in virtù dell’esecuzione e dell’osservazione delle azioni dire6e verso uno scopo” (Legrand ‒ Iacoboni 2010: 238), analizzando, come abbiamo fa6o n qui, le dinamiche di intenzionalità e di co-costtuzione nel caso del teatro, è possibile raccogliere dei primi esempi di un modo d’indagine della relazione a6ore-spe6atore alla

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luce dei nuovi paradigmi cognitvi.

Questo rimane tu6avia solo uno dei livelli di ricerca che potrebbero trarre vantaggio da una collaborazione con le neuroscienze cognitve. Un altro livello d’indagine potrebbe concernere l’analisi dell’interazione con le nuove tecnologie37, oppure potrebbe coinvolgere il campo più pre6amente epistemologico38. Quante volte, infat, la teatrologia ha fa6o ricorso a un modello che prevedeva una rigida distnzione tra mondo interno e mondo esterno dell’a6ore39? Quante volte è possibile assistere a delle descrizioni che fanno una rigida distnzione tra immaginazione e movimento, tra intenzione e azione40? Tu6’oggi quest punt rimangono pressoché indiscussi, nonostante proprio gli uomini e le donne di teatro abbiano più volte denunciato le loro difcoltà a riconoscersi in queste opposizioni:

“È l’impostazione del problema in quest termini ad essere sbagliata, poiché essa porta in sé il peso della tradizione, l’impronta della visione dualistca del mondo: vale a dire la divisione dell’unità di tu6e le espressioni, psichiche e motorie, che andrebbero intese invece come un processo unitario” (Ejzenstein 2009: 62).

Il fa6o che oggi la scienza trovi alcune formule quali “pensiero-azione”, “corpo-mente”, “thinking in moton”, “tacit knowledge” non più metaforiche, ma come problemi epistemologici da indagare e approfondire in quanto problematche comuni tra discipline, implica una forte ridiscussione dei modelli epistemologici no ad oggi utlizzat.

Non sto qui dicendo che gli studi teatrali trarrebbero per forza un vantaggio dall’operare una rifessione simile. In n dei cont, le scienze non dicono niente che il teatro non abbia già scoperto in

37 Mi riferisco qui, ad esempio, ai lavori di Enrico Pitozzi (2010, 2011).

38 Delle implicazioni epistemologiche che scaturiscono dal dialogo tra le neuroscienze cognitve e la scienza dell’a6ore si è occupato in maniera approfondita anche Victor Jacono (2012a, 2012b).

39 L’esempio più famoso è forse quello che riguarda il passaggio della ricerca di Stanislavskij dalla “reviviscenza” al “metodo delle azioni siche”, descri6o spesso secondo uno schema binario che si spostava in modo speculare dalla logica “interno verso esterno” a quella “esterno verso interno”. In questo modo la complessità e le ricchezza delle ricerche vengono inesorabilmente appiatte su rigidi schemi che trovano poche corrispondenze nella pratca a6oriale. Esemplare è, a questo proposito, l’intervento di Julia Varley: “La precisione è l’intelligenza dell’a6ore; è non sapere se viene prima l’intenzione o l’azione; è la parttura che si è fa6a so6oparttura e viceversa. La precisione avviene quando non si può più chiedere all’a6ore se essa è de6ata da una motvazione interiore o da un movimento sico esteriore, quando quest termini non sono più rilevant e la tecnica è diventata vita” (Varley 1997: 115). 40 E la lista si potrebbe allungare: quante volte, ad esempio, lo spazio scenico è studiato in maniera separata e

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maniera pragmatca. Eppure capire quali sono i correlat scientci e cognitvi di ciò che la prassi teatrale individua e cristallizza spesso a6raverso neologismi partcolari e difcilmente condivisibili, può oHrire la terminologia e i riferiment necessari per sviluppare un dialogo alla pari.

Ancora una volta, non è de6o che il dialogo port necessariamente dei vantaggi. Ma se vi è l’intenzione di provarlo, questo può andare avant solo grazie a uno sforzo reale e sistematco, profondo e, per cert versi, radicale. In questo modo il pensiero dialetco necessario allo studio del teatro in quanto insieme di relazioni a cui si riferiva Fabrizio Cruciani nella frase citata in apertura, potrebbe riverberare tra le problematche delle culture teatrali e quelle proprie delle scienze cognitve.

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Abstract – ITA

Lo studio della relazione a6ore-spe6atore può essere oggi approfondita alla luce dei nuovi modelli cognitvi. Quest modelli, legat in diversi modi alle proposte di embodied mind e alla neurofenomenologia introdo6a da Varela negli anni ’90, hanno operato tre cambiament di paradigma fondamentali per lo studio della relazione teatrale: 1. esiste una connessione dire6a tra percezione e azione; 2. la coscienza non è il risultato del lavoro del solo cervello ma può essere descri6a come processo circolare tra essere umano e ambiente; 3. la descrizione dei processi cognitvi necessita il superamento della dicotomia logica tra interno e esterno.

Grazie a quest avanzament, lo studio della relazione a6ore-spe6atore conquista dei nuovi concet che ne rafnano l’analisi: l’intenzione dilatata, il body schema performatvo, la co-costtuzione dello spazio scenico, l’esperienza performatva dello spe6atore.

Abstract – EN

The research on the actor-spectator relatonship can achieve a higher precision thanks to the new cognitve models. Linked to the propositons of embodied mind and neurophenomenology, proposed by Varela in the 90s, this models propose some important paradigm’s shif: 1. a direct connecton between percepton and acton has been showed; 2. consciousness is not the result of the brain alone but it is a circular process between human being and the world; 3. the descripton of the cognitve processes has to bypass of the logical dichotomy inner/outer. From the point of view of this advancements, the study of the actor-spectator relatonship gains new concepts which improve the precision of the analysis: the dilated intension, the performatve body schema, the co-consttuton of the theatrical space, the spectator performatve experience.

GABRIELE SOFIA

Svolge una ricerca post-do6orale in collaborazione tra il Dipartmento di Storia dell’Arte e Spe6acolo della Sapienza Università di Roma e il Laboratoire d’Ethnoscénologie della Maison des Sciences de l’Homme Paris Nord. Dal 2006 porta avant una ricerca transdisciplinare sulla neurosiologia dell’a6ore e dello spe6atore. Nel 2009, 2010, 2011 e 2012 ha organizzato qua6ro edizioni del Convegno Internazionale “Dialoghi tra teatro e neuroscienze”. Nel 2009 ha curato il volume Dialoghi tra teatro e neuroscienze (Edizioni Alegre). Con Clelia Fallet ha curato inoltre Nuovi dialoghi tra teatro e neuroscienze (Editoria & Spe6acolo, 2011) e Prospetve su teatro e neuroscienze. Dialoghi e sperimentazioni (Bulzoni, 2012). Altre informazioni su: www.gabrielesoa.it GABRIELE SOFIA

Post-doc researcher of the Department of History of Art and Live Arts at Sapienza ‒ University of Rome and the Laboratoire d’Ethnoscénologie of the Maison des Sciences de l’Homme Paris Nord. Since 2006 he has been carrying out a transdisciplinary research project on the neurophysiology of the actor and the spectator. In 2009, 2010, 2011 and 2012 he promoted and organized the rst, the second, the third and the fourth editon of the Internatonal Conference “Dialoghi tra teatro e neuroscienze” [Dialogues between Theatre and Neuroscience]. He edited the book Dialoghi tra teatro e neuroscienze (Edizioni Alegre, 2009) and, with Clelia Fallet, Nuovi dialoghi tra teatro e neuroscienze (Editoria & Spe6acolo, 2011) and Prospetve su teatro e neuroscienze. Dialoghi e sperimentazioni (Bulzoni, 2012). Further informaton: www.gabrielesoa.it.

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