UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e
Chirurgia
Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute
PROSPETTIVA TEMPORALE E GIOCO D’AZZARDO
NEGLI ADOLESCENTI: IL RUOLO DELLA PERCEZIONE
DEL PRESENTE E DEL FUTURO
Candidato: Relatore:
Alessandra Del Corto Prof.ssa Maria Anna Donati
INDICE
ELENCO DELLE TABELLE 2
RINGRAZIAMENTI 3
RIASSUNTO 4
CAPITOLO 1. IL GIOCO D’AZZARDO 6
1. Il comportamento di gioco d’azzardo 6
2. Il disturbo da gioco d’azzardo 8
3. Il gioco d’azzardo negli adolescenti 16 CAPITOLO 2. FATTORI DI RISCHIO DEL COMPORTAMENTO
DI GAMBLING PATOLOGICO NEGLI ADOLESCENTI 22
1. Fattori socio-demografici 22 2. Fattori di personalità 25 3. Fattori cognitivi 30 4. Fattori sociali 40 CAPITOLO 3. LA RICERCA 43 1. Introduzione 43 2. Metodo 53 2.1 Partecipanti 53 2.2 Strumenti e procedura 53
3. Analisi dei dati 56
4. Risultati 58
CAPITOLO 4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI 66
ELENCO DELLE TABELLE
Tabella 1. Correlazione tra la frequenza di gioco e il comportamento patologico del gioco con la sensation seeking, le distorsioni cognitive e le dimensioni della prospettiva temporale,
controllando l’effetto dell’età. 61
Tabella 2. Analisi della regressione lineare multipla gerarchica con la frequenza di gioco come variabile dipende e sensation seeking, distorsioni cognitive, presente edonistico e presente
fatalistico come predittori. 63
Tabella 3. Analisi della regressione lineare multipla gerarchica con il comportamento patologico come variabile dipendente e sensation seeking, distorsioni cognitive, passato negativo, presente edonistico, presente fatalistico e futuro come
RINGRAZIAMENTI
Per prima cosa, vorrei ringraziare di cuore la professoressa Maria Anna Donati per avermi seguita attentamente durante la stesura della tesi. In questo percorso mi ha aiutata ad acquisire più fiducia in me stessa, stimolandomi a fare sempre meglio e a raggiungere i risultati prestabiliti. Grazie alla sua determinazione e alle sue capacità, mi ha insegnato che dopo tanto impegno, costanza e dedizione arrivano grandi soddisfazioni. La ringrazio anche per la sua disponibilità nei miei confronti.
Ringrazio la professoressa Carmen Berrocal Montiel per i suggerimenti che mi ha dato, contribuendo a migliorare l’elaborato della mia tesi, e per la sua disponibilità.
Infine, un grande ringraziamento va ai miei genitori, Cinzia e Sandro, che hanno sempre creduto in me, e alla mia famiglia che mi ha supportata durante questi anni di studio. Al mio ragazzo, Simone, che mi è stato sempre accanto, sostenendomi anche nei momenti di difficoltà, dandomi fiducia e sicurezza. Alle mie amiche, che mi sono state vicine e con le quali ho condiviso le emozioni di questo percorso universitario, dandomi la forza per affrontarlo.
RIASSUNTO
Gli adolescenti sono coinvolti in molte attività di gioco d’azzardo e sono quindi considerati ad alto rischio per lo sviluppo delle problematiche associate a tale pratica. La letteratura evidenzia come il comportamento problematico di gioco d’azzardo negli adolescenti possa essere considerato un fenomeno multifattoriale, al quale cioè concorre una vasta gamma di fattori di rischio di natura diversa: di personalità, cognitivi, e sociali. Rimane tuttavia ancora poca esplorata la relazione tra la prospettiva temporale e questo pattern comportamentale in età giovanile. Sulla base di tali premesse, lo scopo di questo studio era investigare il ruolo della prospettiva temporale, intesa nei termini di costrutto multidimensionale definito da Zimbardo (1999), sulla frequenza di gioco d’azzardo e sul comportamento patologico di gioco negli adolescenti, prendendo in considerazione anche gli effetti della sensation seeking e delle distorsioni cognitive. I partecipanti sono stati 223 adolescenti maschi (Metà = 16.7; SD = 1.5) a cui sono stati somministrati lo Zimbardo Time Perspective Inventory (ZTPI), la Brief Sensation Seeking Scale (BSSS), la Gambling Related Cognitions Scale (GRCS), e il South Oaks Gambling Screen-Revised for Adolescents (SOGS-RA). Dai risultati è emerso che, oltre alla sensation seeking ed alle distorsioni cognitive, la tendenza a percepire il presente in termini fatalistici risulta essere un predittore positivo della frequenza di gioco, mentre la propensione a considerare il futuro in termini di pianificazione predice negativamente il comportamento patologico di gioco, che risulta essere influenzato anche dalle distorsioni cognitive. Nell’insieme i risultati suggeriscono che la prospettiva
temporale contribuisce a spiegare il fenomeno del gioco d’azzardo adolescenziale e sono utili per la messa a punto di interventi di prevenzione.
Parole-chiave: gioco d’azzardo; adolescenti; distorsioni cognitive; sensation seeking; prospettiva temporale.
CAPITOLO 1
IL GIOCO D’AZZARDO
1. Il comportamento di gioco d’azzardo
Il gioco d’azzardo (gambling) è un’attività basata sul rischio che la persona si assume nel predire un evento il cui esito è incerto, scommettendo denaro o beni di valore, con lo scopo di guadagnare una somma di denaro sempre maggiore o di ricevere come premio dei beni materiali (Molde, Pallesen, Bartone, Hystad, & Johnsen, 2009).
Nonostante la particolarità delle attività identificabili come giochi d’azzardo risieda nella prevalenza della componente legata alla casualità rispetto a quella legata alle abilità personali, si possono riconoscere molteplici tipologie di gioco che si distinguono in base al livello di predominanza del caso sulle proprie capacità individuali. Infatti, ci sono giochi in cui la componente del caso è fortemente predominante, come accade nelle lotterie, nel bingo, nel lancio della moneta, nel gioco con dadi, nelle slot machines e nella roulette, la cui caratteristica principale riguarda il fatto che i giocatori non possono esercitare un controllo sul risultato. D’altra parte, ci sono anche giochi in cui le conoscenze e le abilità personali possono influire particolarmente, anche se in modo sempre minoritario, rispetto alla componente aleatoria. Esempi di questi giochi sono le scommesse di soldi sulle corse di cani, di cavalli e sullo sport, il casinò (black jack, poker) e giochi da tavola e di carte con scommesse di soldi (Bastiani et al., 2010; Illinois Institute for Addiction Recovery, 2007).
Diverse ricerche condotte in questi anni a livello internazionale testimoniano che i giochi maggiormente diffusi sono la lotteria, seguita dal gratta e vinci, dalle scommesse sportive, dalle scommesse sui cavalli e dal casinò in paesi come America, Australia, Ungheria e Gran Bretagna (Delfabbro & LeCouteur, 2011; Kun, Balázs, Arnold, Paksi, & Demetrovics, 2012; Wardle et al., 2011; Welte, Barnes, Tidwell, Hoffman, & Wieczorek, 2014), mentre in Italia i giochi più praticati sono le slot machines e le videolottery (VLT), a cui fanno seguito il poker, il casinò online e le lotterie istantanee (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, 2014).
In questi ultimi venti anni stiamo assistendo ad un marcato incremento del comportamento di gioco d’azzardo e tale fenomeno ha suscitato molto interesse da parte degli studiosi. A questo proposito, sono state condotte varie ricerche che testimoniano quanto la pratica del gioco d’azzardo sia diffusa a livello internazionale (Ekholm et al., 2014; Kun et al., 2012; Loo, Raylu, & Oei, 2008). Nello specifico, i comportamenti di gioco sono diffusi tra le diverse culture e gli studi condotti attestano, per esempio, che in Danimarca il 77% della popolazione ha giocato nell’anno passato (Bonke & Borregaard, 2006), negli Stati Uniti d’America il 78.4% ha giocato almeno una volta (Kessler et al., 2008) e uno studio in Gran Bretagna ha riportato che il 73% era coinvolto in attività di gioco (Wardle et al., 2011).
Oltre ai dati riguardanti la diffusione internazionale, sono rilevanti anche quelli che attestano la prevalenza del gioco d’azzardo a livello nazionale. Lo studio di Bastiani e colleghi (2013) ha riportato che, in un campione di 3.253 adulti di età compresa tra i 25 e 64 anni estratto dall’IPSAD-Italia 2007-2008 (Sondaggio della Popolazione Italiana su Alcol e altre Droghe), il 45.3% ha giocato d’azzardo almeno una volta negli ultimi 12 mesi, mentre i dati provenienti dal Ministero della Salute
(2012), stimati sulla popolazione totale composta da circa 60 milioni di abitanti, hanno testimoniato che il 54% degli italiani ha giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno.
Questi risultati dimostrano quanto il gioco d’azzardo abbia assunto dimensioni rilevanti oggigiorno, anche a causa della sua maggior accessibilità e disponibilità. Infatti, a livello europeo la pratica del gioco è ben accettata dai governi perché ritenuta una sorgente proficua per le entrate fiscali (Kingma, 2008; Livingstone & Woolley, 2007) e in Italia, rispetto agli anni Novanta, sono state introdotte nei bar circa 400.000 slot machines, le tabaccherie assomigliano a dei piccoli casinò e i gratta e vinci vengono venduti nei supermercati oppure dalle macchinette automatiche nelle stazioni ferroviarie o nelle metro (Bastiani et al., 2013). Basti pensare che i dati dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato del 2011 attestano come l'industria del gioco abbia guadagnato 47.4 miliardi di euro nel 2008, 54.4 miliardi nel 2009 e 61.4 miliardi nel 2010, indicando una crescita del 30% dal 2008. In questi dati le slot machines rappresentano la prima fonte di guadagno per tali industrie, facendo registrare da soli una raccolta di 25 miliardi di euro nel 2009, quasi la metà dell’incasso totale; seguono, nello stesso anno, le lotterie tradizionali con una raccolta di quasi 10 miliardi di euro e le scommesse sportive con più di 4 miliardi di euro. È stato calcolato che i giocatori spendono da un minimo di 400 a un massimo di 1.500 euro al mese, a seconda del grado di coinvolgimento al gioco (Politecnico di Milano, 2010).
Il comportamento di gioco d’azzardo presenta livelli di rischio che possono essere rappresentati lungo un continuum (Shaffer & Korn, 2002), da attività ricreativa al gioco a rischio, problematico e patologico, con conseguenze che si riflettono sul benessere psicologico e fisico dell’individuo causando problemi finanziari, familiari, lavorativi, legali e sociali (Shaffer & Hall, 2002). Nonostante quindi il gioco d’azzardo possa essere considerato un’attività di svago e di divertimento, se praticato in modo eccessivo può diventare una patologia e indurre dipendenza.
L’idea del continuum permette di esplicitare il grado di coinvolgimento della persona al gioco e la gravità delle problematiche che ne derivano. Ad un’estremità si collocano i giocatori sociali (social gamblers), coloro che giocano per divertirsi e non presentano nessuna psicopatologia e di solito considerano il gioco come una forma di divertimento praticata in momenti specifici, per esempio durante un compleanno o un matrimonio, spesso in compagnia di amici, colleghi o familiari (Clarke et al., 2006). Tuttavia, essendovi un continuum, tali giocatori possono presentare, nel tempo, livelli di coinvolgimento sempre più rilevanti e preoccupanti.
Oltre al disturbo clinicamente osservabile, ci sono comportamenti a rischio e problematici di gioco che si possono trovare nella popolazione generale. I giocatori a rischio (at-risk gambling) sono coloro che esibiscono un numero inferiore di sintomi rispetto ai giocatori problematici (problem gamblers). Questi ultimi intraprendono comportamenti rischiosi di gioco e presentano difficoltà a causa di questo. Più dettagliatamente, si tratta di una condizione pre-clinica in cui la persona presenta una difficoltà moderata; ciononostante il giocatore non è capace di limitare i propri soldi e tempo nel gioco, quindi gioca molto frequentemente, con una cadenza settimanale
o mensile, e tale condizione porta a conseguenze negative per se stesso e per la comunità (Shaffer & Hall, 2002). Perciò, i giocatori a rischio e quelli problematici differiscono soltanto nel numero dei sintomi riportati dalla persona (Winters, Stinchfield, & Fulkerson, 1993).
All’altra estremità del continuum vi è, infine, il gioco d’azzardo patologico (GAP) (pathological gambling). Il GAP è comparso per la prima volta nell’International Classification of Diseases 9 (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1977) e nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders III (American Psychiatric Association, 1980) dove è stato riconosciuto definitivamente come un disturbo. Nel DSM III (APA, 1980) i criteri diagnostici erano ritenuti poco esaustivi per un’accurata descrizione di questo disturbo e facevano riferimento alla preoccupazione relativa al gioco, all’incapacità di resistere all’impulso, al deterioramento delle relazioni familiari, lavorative e sociali, alla messa in atto di reati, come frode e furto, per far fronte ai debiti accumulati a causa del gioco e il ricorso a menzogne. Successivamente, sulla base di revisioni della letteratura e sull’esperienza clinica degli esperti nel settore, i criteri diagnostici sono stati modificati nel DSM-IV (APA, 1994) al fine di specificare maggiormente le caratteristiche di tale disturbo, mantenendolo nella sezione in cui era stato collocato nel precedente Manuale Diagnostico, vale a dire nei “Disturbi del controllo degli impulsi non altrimenti specificati”. Ad oggi, nel DSM-5 (APA, 2013) sono presenti importanti innovazioni rispetto al DSM-IV (APA, 1994), tra cui la denominazione, la nuova collocazione del disturbo nella nuova sezione del Manuale Diagnostico, i criteri essenziali per poter porre diagnosi, l’arco temporale e alcune specificazioni sulla gravità, sul decorso e sugli esiti.
Per quanto riguarda il primo punto, nel DSM-5 (APA, 2013) il disturbo viene chiamato “Disturbo da gioco d’azzardo” per minimizzare il potenziale stigma associato alla categoria diagnostica “Gioco d’azzardo patologico”, che era presente nella denominazione del DSM-IV (APA, 1994). Tale disturbo è stato inserito nei “Disturbi senza sostanze”, all’interno della sezione dei “Disturbi da dipendenza e correlati all’uso di sostanze”, riconoscendolo e considerandolo per la prima volta una vera e propria dipendenza, intesa come un comportamento persistente intrapreso da un individuo, nonostante le conseguenze negative provocate, a cui si associa un controllo sempre minore su tale comportamento. Il gioco d’azzardo è, infatti, un’attività legale in grado di indurre una dipendenza senza sostanza, poiché sono presenti le tre componenti di base tipiche delle dipendenze, ovvero la compulsione, l’ossessività e l’impulsività (Blaszczynski, Walker, Sharpe, & Nower, 2008).
Rispetto al DSM-IV (APA, 1994), la soglia diagnostica nel DSM-5 (APA, 2013) si abbassa da 5 a 4 sintomi ed è stato ridotto il numero dei criteri da 10 a 9 poiché è stato eliminato il criterio che riguardava gli atti antisociali, risultato essere presente in una percentuale esigua di giocatori d’azzardo (Zimmerman, Chelminski, & Young, 2006). Il periodo di tempo minimo per poter diagnosticare tale disturbo è di 12 mesi. La gravità si basa sul numero dei criteri che vengono soddisfatti, per cui la presenza di 4-5 criteri definisce un quadro lieve di gioco d’azzardo, 6-7 criteri rappresentano un quadro moderato e 8-9 criteri conferiscono un quadro grave. Relativamente al decorso, occorre specificare se è di tipo episodico o persistente: nel primo caso, è presente un’oscillazione tra periodi in cui il gioco d’azzardo è assente o attenuato e momenti in cui il gioco diventa patologico; nel secondo, sono continuamente presenti i sintomi per molti anni. Per quanto riguarda gli esiti, bisogna
specificare se la remissione è precoce, quindi il soggetto non soddisfa i criteri diagnostici per almeno 3 mesi, o se è in remissione protratta, cioè i criteri non vengono soddisfatti per un periodo uguale o maggiore di un anno.
I criteri diagnostici del DSM-5 (APA, 2013) sono i seguenti:
A. Comportamento problematico persistente o ricorrente legato al gioco d’azzardo che porta a disagio o compromissione clinicamente significativi, come indicato dall’individuo che presenta quattro (o più) delle seguenti condizioni entro un periodo di 12 mesi:
1 Ha bisogno, per giocare d’azzardo, di quantità crescenti di denaro per ottenere l’eccitazione desiderata.
2 È irrequieto/a o irritabile se tenta di ridurre o di smettere di giocare d’azzardo.
3 Ha fatto ripetuti sforzi infruttuosi per controllare, ridurre o smettere di giocare d’azzardo.
4 È spesso preoccupato/a dal gioco d’azzardo (per es., ha pensieri persistenti che gli/le fanno rivivere passate esperienze di gioco d’azzardo, analizzare gli ostacoli e pianificare la prossima avventura, pensare ai modi di ottenere denaro con cui giocare d’azzardo).
5 Spesso gioca d’azzardo quando si sente a disagio (per es., indifeso/a, colpevole, ansioso/a, depresso/a).
6 Dopo aver perduto denaro al gioco d’azzardo, spesso torna un’altra volta per ritentare (“rincorrere le proprie perdite”).
8 Ha messo in pericolo o perduto una relazione significativa, il lavoro, opportunità di studio e di carriera a causa del gioco d’azzardo.
9 Conta sugli altri per procurare il denaro necessario a risollevare situazioni finanziarie disperate causate dal gioco d’azzardo.
B. Il comportamento legato al gioco d’azzardo non è meglio spiegato da un episodio maniacale.
Nello specifico, il primo criterio fa riferimento al fenomeno dell’assuefazione, per cui l’incremento dei soldi spesi è legato più al tentativo di rifarsi rapidamente piuttosto che alla ricerca di un’eccitazione (Blaszczynski, et al., 2008). Il secondo criterio è relativo alla presenza dei sintomi di astinenza, concepita in termini di ansia, nervosismo, irritabilità, desiderio, insonnia e da sintomi fisici, quali cefalea, debolezza, tachicardia, disturbi gastrointestinali, diarrea, crampi, tremori, brividi, febbre, sudorazioni e difficoltà respiratorie. Il terzo criterio si riferisce alla perdita di controllo sperimentata dalla persona e alla sua incapacità di porre termine al gioco, nonostante abbia provato diverse strategie. Il quarto criterio indica il coinvolgimento non soltanto del comportamento ma anche della sfera affettiva e cognitiva. Infatti, l’individuo può giocare per un periodo di tempo limitato investendo, però, particolare attenzione nella pianificazione delle strategie per il gioco e nel procurarsi il denaro necessario. Il quinto criterio esprime l’evitamento di emozioni negative, perciò il gioco funge da rinforzo negativo. Il sesto criterio rimanda alla ricerca di maggiori rischi o alla spesa di una maggiore quantità di denaro per recuperare i soldi perduti. Il
settimo è un criterio molto frequente poiché il giocatore mente ai propri familiari per nascondere che sta giocando e per eventuali debiti o perdite. L’ottavo criterio si riferisce al fatto che, a causa del gioco, il giocatore è venuto meno alle proprie responsabilità e agli impegni, perciò le relazioni familiari, sociali e il lavoro risultano minacciati. L’ultimo criterio esprime la possibilità che il soggetto possa ricorrere all’aiuto di altre persone, in termini finanziari, per poter uscire da una situazione difficile dovuta al gioco.
Infine, il criterio B sostiene che il comportamento di gioco potrebbe essere un’espressione dell’episodio maniacale, che è caratterizzato da uno stato di euforia. In tal caso, non è possibile fare diagnosi di disturbo da gioco d’azzardo.
In letteratura sono presenti strumenti di misura che permettono di valutare la persona lungo questo continuum, al fine di ottenere una migliore comprensione della problematica e delle conseguenze che il gioco ha nella vita del giocatore. Gli strumenti maggiormente utilizzati a tale scopo sono l’intervista diagnostica di Ladouceur (2000), basata sui criteri diagnostici del DSM- IV (APA, 1994), in cui un punteggio di 0-1 denota il giocatore sociale, con un punteggio di 2-3 il giocatore è considerato a rischio e un punteggio di 4 o più indica un comportamento di gioco problematico; il Victorian Gambling Screen (VGS; Ben-Tovim, Esterman, Tolchard, Battersby, & Flinders, 2001) possiede un cut-off di 21 che equivale alla presenza del comportamento di gioco problematico; il Canadian Problem Gambling Index (CPGI; Ferris & Wynne, 2001) indaga la partecipazione e la frequenza di gioco e un punteggio di 0 significa che la persona non è a rischio, un punteggio di 1-2 è a basso rischio, un punteggio compreso tra 3 e 7 indica un comportamento a rischio moderato e un punteggio tra 8 e 27 è valutato come problematico e patologico;
infine, il South Oask Gambling Screen (SOGS; Lesieur & Blume, 1987) rileva i problemi riguardanti il gioco d’azzardo e un punteggio di 0-1 si riferisce al giocatore non problematico, un punteggio di 2-3 al giocatore a rischio e un punteggio uguale o superiore a 4 al giocatore problematico.
A causa della legalizzazione e della proliferazione del gioco d’azzardo, la recente letteratura si è focalizzata su questi due livelli di coinvolgimento al gioco, vale a dire il gioco problematico e quello patologico. Uno studio ha raccolto dati provenienti da ricerche riguardanti la diffusione di tale attività a livello europeo, tra individui con un’età compresa tra i 14 e i 74 anni, ed è emerso che la prevalenza del gioco d’azzardo problematico varia dallo 0.18% in Spagna al 3% e il 4.5% in Finlandia, Estonia e Gran Bretagna; mentre, per quanto riguarda il gioco patologico, esso varia dall’0.1% in Danimarca (Bonke & Borregaard, 2006), all’1.1% in Svizzera, al 1.2% in Norvegia e in Svezia, al 1.5% in Finlandia, al 1.9% in Ungheria e al 3.4% in Estonia (Kun et al., 2012). Diverse ricerche condotte in altri contesti culturali rilevano anch’essi la presenza di giocatori d’azzardo problematici; nello specifico in Canada i giocatori che hanno giocato durante l’anno passato e che sono risultati problematici sono il 2% della popolazione (Marshall & Wynne, 2004), negli Stati Uniti sono il 3% (Kessler et al., 2008) e in Australia una percentuale compresa dallo 0.5% al 2% della popolazione è classificata come giocatrice d’azzardo problematica (Kingma, 2008).
Anche in Italia sono presenti percentuali di partecipazione al gioco simili, come testimoniano i dati provenienti dal Ministero della Salute (2012). Infatti, è emerso che dall’1.3% al 3.8% della popolazione, costituita da 60 milioni di persone, è considerata giocatrice problematica, mentre dallo 0.5% al 2.2% è ritenuta
patologica e, a questo proposito, pure lo studio di Scalese e colleghi (2016) ha riscontrato che, utilizzando i dati estratti dall’IPSAD degli anni 2010-2011 con un campione di 5.292 partecipanti di età tra i 15 e i 64 anni, l’1.3% degli individui è considerato un giocatore problematico. Inoltre, sono state rilevate delle differenze regionali sulla proliferazione di questo comportamento; in particolare le regioni italiane risultate maggiormente coinvolte nel gioco d'azzardo patologico erano la Liguria, l’Abruzzo e soprattutto quelle del sud tra cui Campania, Sicilia, Calabria, Puglia e Molise. Questo fenomeno può essere spiegato da fattori culturali, dato che nelle regioni meridionali il gioco d’azzardo è stato molto popolare e praticato per decenni, mentre non è stato lo stesso nelle regioni settentrionali (Bastiani et al., 2013).
3. Il gioco d’azzardo negli adolescenti
L’adolescenza risulta essere un periodo di suscettibilità per i comportamenti a rischio, infatti la maggior parte dei ragazzi fuma sigarette, beve alcol e fa uso di droga (Bastiani et al., 2013). Il comportamento di gioco d’azzardo rientra nei comportamenti a rischio intrapresi dagli adolescenti e, per questo motivo, è ormai diventato un problema rilevante. Pertanto gli adolescenti di oggi si trovano a vivere in un mondo dove le attività del gioco d’azzardo sono diffuse e molto pubblicizzate (Volberg, Gupta, Griffths, Ólason, & Delfabbro, 2010) e dove lo sviluppo della tecnologia ha contribuito al gioco utilizzando i telefoni cellulari, internet e la televisione (Griffiths & Parke, 2010).
Già a partire dagli anni Novanta, l’adolescenza era stata considerata un periodo a rischio per lo sviluppo del gioco d’azzardo patologico (Gupta & Derevensky, 1996;
Lesieur & Klein, 1987; Shaffer & Hall, 1996) e la prevalenza di tale problematica risulta essere, addirittura, quattro volte più presente tra gli adolescenti rispetto agli adulti (Parker, Taylor, Eastabrook, Schell, & Wood, 2008), un fattore che attesta la gravità di questa condotta. Inoltre, il senso di invulnerabilità tipico dell’adolescenza e la mancata comprensione delle conseguenze negative e dei problemi correlati al gioco d’azzardo rendono questa fascia d’età un periodo critico per la pratica del gioco d’azzardo, con le problematiche ad esso correlate (Derevensky, Gupta, & Winters, 2003).
Tuttavia, ad oggi sono a disposizione relativamente poche ricerche focalizzate sugli adolescenti, poiché la maggior parte degli studi sono stati realizzati sulla popolazione adulta (Volberg et al., 2010). A questo scopo, sono stati adattati appositamente degli strumenti di misura per indagare e valutare il gioco d’azzardo negli adolescenti partendo da quelli creati per la popolazione adulta. Tra gli strumenti più utilizzati sono a disposizione il South Oaks Gambling Screen-Revised for Adolescents (SOGS-RA; Winters, Stinchfield & Fulkerson, 1993), il Diagnostic Statistical Manual-IV-Adapted-Multiple Response format for Juveniles (DMS-IV-MR-J; Fisher, 2000), il Massachusetts Adolescent Gambling Screen (MAGS; Shaffer, LaBrie, Scanlan, & Cummings, 1994) e il Canadian Adolescent Gambling Inventory (CAGI; Tremblay, Stinchfield, Wiebe, & Wynne, 2010).
Relativamente al primo strumento, un punteggio di 4 o più indica il profilo di un giocatore problematico; per il DSM-IV-MR-J un punteggio uguale o superiore a 4 denota un probabile giocatore patologico; nel MAGS un punteggio da 3 a 4.5 corrisponde al giocatore problematico, mentre un punteggio uguale o superiore a 5 al giocatore patologico; infine, il CAGI è una scala in cui la gravità del gioco è
rappresentata lungo un continuum, da bassi ad alti livelli di gravità. Quest’ultimo strumento, a differenza degli altri sopra citati, non è un adattamento di una scala creata per gli adulti ma sono stati sviluppati item che riguardano il comportamento di gioco direttamente sugli adolescenti.
Sebbene il gioco d’azzardo rappresenti un’attività illegale per i minorenni, le ricerche condotte dimostrano una crescita rilevante del comportamento di gioco negli adolescenti, testimoniando la presenza di comportamenti di gioco problematici e patologici (Bastiani et al., 2010; Calado, Alexandre, & Griffiths, 2017; Donati, Chiesi, & Primi, 2013; Splevins, Mireskandari, Clayton, & Blaszczynki, 2010; Villella et al., 2010; Volberg et al., 2010).
A questo proposito sono presenti in letteratura alcuni studi che hanno indagato le forme di gioco più diffuse tra gli adolescenti (Calado et al., 2017; Donati et al., 2013; Scalese et al., 2012). Complessivamente, nel contesto internazionale una revisione sistematica della letteratura ha riscontrato che, tra i vari studi esaminati nei diversi Paesi, gli adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 20 anni erano coinvolti in una serie di attività di gioco: dal 5% al 36% degli adolescenti faceva scommesse, dal 7.4% allo 80.2% giocava alla lotteria, dallo 0.9% al 58.4% giocava a carte per soldi, dal 27.1% al 71% comprava gratta e vinci e, infine, dal 36% al 51.8% giocava alle slot machines (Calado et al., 2017).
Anche a livello nazionale si ha una situazione simile, infatti uno studio condotto dall’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa (2012), su un campione di studenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni, ha riscontrato che i giochi più diffusi erano i gratta e vinci e il Superenalotto per il 58% delle ragazze e il 23% dei ragazzi, mentre il poker texano e le scommesse sportive erano praticate dal 30% dei maschi e
dal 19% delle femmine. Sono stati indagati anche i soldi spesi dai giocatori ed è emerso che il 70% del campione ha speso circa 10 euro al mese, il 20% ne ha spesi da un minimo di 11 euro a un massimo di 50 e una percentuale del 6% ha scommesso oltre 51 euro (Scalese et al., 2012). In un altro recente studio sono emersi dati più allarmanti, visto che in un campione di 994 studenti che frequentavano il liceo, il 75% dei giocatori giocava al gratta e vinci, il 74% giocava a carte scommettendo soldi e, infine, il 57% giocava alle lotterie. I giochi meno diffusi erano il gioco dei dadi (25%), i giochi online (16%) e le scommesse sulle corse di cavalli e cani (7%) (Donati et al., 2013).
Per quanto riguarda la diffusione a livello internazionale, una ricerca ha valutato dagli anni 2000 al 2009 la prevalenza del gioco d’azzardo in Europa, America e Australia ed è risultato che tra il 41% e l’82% degli adolescenti, di età compresa tra i 12 e i 24 anni, ha giocato d’azzardo nell’anno precedente e che tra l’1,5% al 64% giocava frequentemente (Volberg et al., 2010), mentre Splevins e colleghi (2010) hanno riscontrato che tra il 60% e il 99% degli adolescenti, di età compresa tra i 12 e i 20 anni, ha giocato d’azzardo nell’anno passato. Inoltre, è stato stimato che il 14.7% di studenti australiani, con un’età compresa tra i 15 e 17 anni, era considerato un giocatore regolare e che tra il 5% e il 7% dei partecipanti giocava d’azzardo settimanalmente soprattutto alla lotteria, al gratta e vinci e alle scommesse sportive (Delfabbro & Thrupp, 2003). Un dato molto simile è stato riscontrato anche da un’altra ricerca in cui il 14.6% degli studenti canadesi, con un’età media di 18.5 anni, giocava regolarmente d’azzardo almeno una volta a settimana (Derevensky & Gupta, 2000). La recentissima revisione sistematica della letteratura di Calado e colleghi (2017), che comprende i dati ottenuti da una serie di studi, testimonia che
una percentuale compresa tra lo 0.8% e il 12.3% di adolescenti in tutta Europa sia classificata come giocatrice problematica e, in particolare, il tasso più basso è stato riscontrato in Gran Bretagna, mentre quello più elevato in Croazia.
A questo proposito è documentato che la frequenza di gioco è un predittore significativo della problematicità e delle conseguenze che ne derivano (Chiu & Storm, 2010). Volberg e colleghi (2010) hanno attestato che dallo 0.8% al 6% degli adolescenti presentava problemi legati al gioco d’azzardo.
Anche a livello nazionale sono emerse percentuali rilevanti di adolescenti che giocano d’azzardo. Infatti, i dati resi a disposizione dall’indagine ESPAD-Italia 2009 (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs) su 40.000 studenti italiani tra i 15 e i 19 anni affermano come il fenomeno del gioco d’azzardo interessi il 47% di essi (Bastiani et al., 2010). Ciò è stato confermato anche da un altro studio che ha evidenziato come, in un campione di 1.241 adolescenti italiani nella fascia d’età compresa tra 15 e 24 anni, il 35.7% avesse giocato d’azzardo nell’anno passato e il 2.3% di essi mostrasse un rischio moderato o problematico rispetto agli adulti di età compresa tra 25 e 64 anni (2.2%). Inoltre, il 6.9% dei giovani riportava un basso rischio di gioco contro il 5.8% degli adulti; perciò nonostante i ragazzi giocassero meno frequentemente al gioco d’azzardo (35.7%), risultavano più a rischio rispetto agli adulti (45.3%) (Bastiani et al., 2013). Un’altra ricerca ha dimostrato che, in un campione formato da 2.853 studenti tra i 13 e 20 anni di età, il 7% rientrava nell’etichetta diagnostica di giocatore patologico (Villella et al., 2010). Recentemente, invece, è emerso che il 91% del campione italiano ha giocato d’azzardo nell’anno passato almeno una volta e che il 46% gioca settimanalmente o giornalmente, mentre il 17% è classificato come giocatore problematico (Donati et
al., 2013). Un dato molto interessante, nella realtà italiana, riguarda la differente prevalenza del gioco d’azzardo adolescenziale nelle diverse regioni. Di fatto, in linea con i risultati dello studio di Bastiani e colleghi (2013), le regioni in cui è presente una maggior proliferazione di questa pratica sono risultate essere quelle del Sud (52% degli studenti), con un il tasso più alto nella Calabria (54%), mentre un tasso medio è stato riscontrato nelle regioni centrali (dal 46,6% al 49%) e una prevalenza ancora inferiore nelle regioni settentrionali (dal 37% al 41%) (Scalese et al., 2012).
Alla luce dei risultati emersi deriva la conferma di come la pratica del gioco d’azzardo sia molto diffusa tra gli adolescenti, rilevando percentuali importanti di ragazzi/e coinvolti in tale comportamento, con tutte le conseguenze negative che da esso scaturiscono. La letteratura sull’argomento sostiene come la frequenza legata al gioco d’azzardo sia un predittore significativo della problematicità e della gravità del comportamento di gioco e, quindi, delle conseguenze negative che si associano a tale pratica (Chiu & Storm, 2010). In sintesi, i dati emersi tra i diversi studi testimoniano percentuali sempre crescenti di giocatori problematici e patologici (tra gli altri, Calado et al., 2017; Donati et al., 2013, Volberg et al., 2010), conferendo la necessità di comprendere i vari fattori di rischio associati al gamling adolescenziale. Effettivamente molti giocatori patologici adulti riportano di aver giocato per la prima volta nell’adolescenza (Gupta, & Derevensky,1998; Jacobs, 2000), con un’età media di inizio al gioco compresa tra 11 e 13 anni (Jacobs, 2000).
CAPITOLO 2
FATTORI DI RISCHIO DEL COMPORTAMENTO DI GAMBLING PATOLOGICO NEGLI ADOLESCENTI
In letteratura sono molteplici gli studi che hanno indagato i possibili fattori implicati nello sviluppo e nel mantenimento del gioco d’azzardo patologico tra i giovani. Tali studi hanno portato a mettere in luce che il gioco d’azzardo patologico negli adolescenti è un fenomeno multifattoriale a cui concorrono diversi fattori di rischio. Per sintetizzare, è possibile raggruppare questi fattori in quattro principali tipologie: fattori socio-demografici, fattori di personalità, fattori cognitivi e fattori psicosociali (tra gli altri, Chiu & Storm, 2010; Cosenza, Baldassarre, Matarazzo, & Nigro, 2014; Delfabbro, Lambos, King, & Puglies, 2009; Donati, Ancona, Chiesi, & Primi, 2015; Donati et al., 2013; Langhinrichsen-Rohling, Seeley, & Rohling, 2004).
1. Fattori socio-demografici
Per quanto riguarda i fattori socio-demografici, i diversi studi concordano nel ritenere il genere maschile come più a rischio, rispetto al genere femminile, di giocare d’azzardo (Chalmers & Willoughby, 2006; Donati et al., 2013; Ellenbogen, Derevensky, & Gupta, 2007; Jackson, Dowling, Thomas, Bond, & Patton, 2007; Spritzer et al., 2011). Inoltre sono state riscontrate differenze per la tipologia di giochi a cui partecipano i ragazzi e le ragazze: i primi preferiscono giochi di abilità, mentre le seconde i giochi di fortuna (Donati et al., 2013; Ellenbogen et al., 2007).
Nello specifico, dalla ricerca di Donati e colleghe (2013), con un campione della regione Toscana formato da 994 adolescenti con un’età media di 16 anni, è
emersa una differenza in termini di frequenza di gioco tra i ragazzi e le ragazze; infatti, il 55% dei maschi risultava giocare con frequenza regolare in confronto al 29% delle femmine. Differenze di genere sono emerse anche per la gravità del comportamento di gioco, in cui una bassa percentuale di ragazze è stata classificata come giocatrice a rischio e problematica (rispettivamente il 12% e l’8%), mentre le percentuali di maschi classificati a rischio e problematici sono risultate maggiori (rispettivamente il 22% e il 22%). Per quanto riguarda le tipologie di gioco, i maschi giocavano maggiormente a carte scommettendo soldi (80%), alla lotteria (61%), alle scommesse sportive (57%), alle scommesse su corse di cani e cavalli (9%), alle slot machines (41%) e ai giochi on-line (20%); le ragazze, invece, erano più coinvolte in attività come il bingo (48%), il lancio della moneta (39%) e i giochi con dadi (31%).
Anche lo studio di Ellenbogen e colleghi (2007) ha confermato come il genere sia un fattore di rischio per gli adolescenti. In particolare, nel loro campione di 7.819 studenti di età compresa tra i 12 e 18 anni, i maschi considerati a rischio hanno riportato un punteggio più elevato di comportamento patologico rispetto alle femmine, mentre non è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa tra i punteggi ottenuti dai maschi e dalle femmine classificabili come probabili giocatori patologici. Altre differenze legate al genere, riscontrate nei gruppi di giocatori a rischio e nei probabili giocatori patologici, sono emerse per quanto riguarda le manifestazioni fisiche e psicologiche che il gioco d’azzardo patologico comporta, tra cui il rincorrere le perdite, la preoccupazione e la tolleranza. Tali caratteristiche erano più evidenti nei maschi, infatti essi riportavano di pensare spesso al gioco, di voler giocare sempre di più per raggiungere un livello di eccitazione maggiore e per rimediare alla quantità di denaro spesa. Nei confronti,
invece, delle conseguenze negative del gioco nelle femmine, le ragazze definite a rischio hanno riportato di aver rubato soldi ai loro familiari per giocare, mentre quelle probabili giocatrici patologiche presentavano, spesso, difficoltà a livello sociale e accademico, considerando il gioco d’azzardo un modo per fuggire dai problemi.
Altri studi sono in linea con i risultati precedenti riguardo la partecipazione al gioco, riscontrando come il gioco d’azzardo problematico risulti essere due volte maggiormente presente nei maschi (Chalmers & Willoughby, 2006) e questi ultimi hanno una probabilità tre volte maggiore di essere classificati a rischio e cinque volte di essere classificati come probabili giocatori patologici (Hardoon, Gupta, & Derevensky, 2004), con una preferenza per i giochi che richiedono strategia (Ellenbogen et al., 2007; Spritzer et al., 2011).
Infine, anche le somme di denaro scommesse nel gioco variano a seconda del genere. In particolare, è stato rilevato che i maschi scommettono somme di denaro maggiori rispetto alle femmine, con una media di 23.70$ dei maschi contro una media di 16.06$ delle femmine (Derevensky, Gupta, & Baboushkin, 2007).
L’altro fattore socio-demografico che rappresenta un fattore di rischio è l’età in cui si inizia a giocare d’azzardo, pertanto i giocatori problematici e patologici riportano di aver iniziato a giocare ad un’età precoce (Volberg et al., 2010). Uno studio riporta che, in un campione formato da un totale di 3.007 partecipanti, di cui 661 erano di età compresa tra i 14 e i 17 anni, l’età media di inizio è risultata essere di 13.9 anni sia per i giocatori problematici che per i patologici (Spritzer et al., 2011). Pure un’altra ricerca ha riscontrato risultati simili, infatti in un campione di 500 studenti in Romania, di età compresa tra 14 e 19 anni, è stata evidenziata un’età
media di inizio al gioco di 14 anni (Lupu, Onaca, & Lupu, 2002). In effetti, gli adulti giocatori patologici riportano di aver cominciato a giocare quando frequentavano la scuola (Shaffer & Hall, 2001).
2. Fattori di personalità
Per quanto riguarda i fattori di rischio di personalità, essi fanno principalmente riferimento all’impulsività, alla ricerca di sensazioni forti e intense (sensation seeking) e all’alessitimia. Dai vari lavori emerge come il giocatore d’azzardo problematico o patologico presenti alti livelli di impulsività, di sensation seeking e alti livelli di alessitimia (Chiu & Storm, 2010; Cosenza et al., 2014; Donati et al., 2013; Estevez; Herrero-Fernández, Sarabia, & Jauregui, 2015).
Riguardo al primo fattore, con il termine impulsività si intende un comportamento spontaneo intrapreso da una persona senza la considerazione delle conseguenze che provoca tale comportamento (Raylu & Oei, 2002) e indica anche la preferenza per i premi più piccoli e immediati piuttosto che per i premi più grandi ma tardivi nel tempo (Ainslie, 1975).
Sebbene ad oggi non siano presenti molti studi che abbiano indagato la relazione tra impulsività e gioco d’azzardo negli adolescenti, è comunque stato riscontrato che l’impulsività è coinvolta nella partecipazione al gioco d’azzardo sia nei bambini (Pagani, Derevensky, & Japel, 2009) che negli adolescenti (Benson., Norman, & Griffiths, 2012) ed è risultata associata anche alla relativa problematicità del comportamento di gioco (Chiu & Storm, 2010; Estevez et al., 2015). Nello specifico, è stato dimostrato che un’impulsività precoce, intorno ai 5 e 6 anni, aumentava la probabilità di coinvolgimento al gioco d’azzardo nel futuro (Pagani et
al., 2009). Questo dato è in linea con i risultati di lavori longitudinali che dimostrano come alti livelli di impulsività predicono futuri problemi derivanti dal gioco (Slutske, Caspi, Moffitt, & Poulton, 2005; Vitaro et al., 1999).
Nei confronti dell’adolescenza, gli studi disponibili dimostrano come l’impulsività sia un predittore significativo per la frequenza di gioco. Più precisamente, i dati nello studio di Benson e colleghi (2012), effettuato su un campione di 109 studenti universitari di età compresa tra 19 e 33 anni, ha dimostrato che l’impulsività era il predittore più forte del coinvolgimento al gioco d’azzardo, considerando un insieme di predittori tra cui l’intensità delle sensazioni, il coping centrato sull’emozione e l’anno di studio accademico.
Altri studi hanno indagato il ruolo dell’impulsività nel comportamento patologico di gioco d’azzardo adolescenziale. Per esempio, in uno studio condotto su un campione di 185 studenti universitari con un’età media di 21 anni, è stato dimostrato che l’impulsività prediceva la gravità del comportamento di gioco e sono stati riscontrati livelli elevati di impulsività nei giocatori problematici; in più, questi ultimi presentavano uno scarso senso di autocontrollo (Chiu & Storm, 2010). Anche un recente lavoro di Cosenza, Nigro e Ciccarelli (2017) ha rilevato, in un campione di 1.010 adolescenti di età compresa tra 12 e 19 anni, che i giocatori classificati come a rischio e problematici (rispettivamente il 19% e il 7.9%) avevano più alti livelli di impulsività rispetto ai giocatori non problematici (51.5%) e ai non giocatori (21.6%). Lo stesso è stato dimostrato da altri studi, i quali hanno confermato la variabile dell’impulsività come strettamente correlata al comportamento di gioco patologico e ai sintomi associati, per esempio ansia e depressione (Cosenza & Nigro, 2015; Estevez et al., 2015). Lo studio longitudinale di Dussault, Brendgen, Vitaro, Wanner,
e Trembaly (2010) ha dimostrato che elevati livelli di impulsività all’età di 14 anni erano predittori significativi della problematicità del gioco all’età di 17 e di 23 anni. A supporto di ciò, anche i giocatori adulti problematici possiedono livelli più alti di impulsività rispetto ai non giocatori e ai giocatori non problematici (Carlton & Manowitz, 1994).
Un altro tratto di personalità indagato dai ricercatori in relazione al gioco d’azzardo adolescenziale, e correlato all’impulsività, è quello della sensation seeking, termine con il quale ci si riferisce alla tendenza della persona a ricercare esperienze rischiose ed eccitanti (Zuckerman, 1979). Ciò può spiegare l’attrazione dei giocatori verso i giochi guidati dalla fortuna e dal rischio (Heinz et al., 2003). Secondo Zuckerman (1994) questo costrutto è costituito, a sua volta, da quattro dimensioni: la ricerca di esperienze (Experience Seeking), ossia ricercare esperienze sensoriali o mentali attraverso stili di vita anticonformisti o viaggi; la suscettibilità alla noia (Boredom Susceptibility), che consiste in un’avversione nei confronti della quotidianità e della ripetizione accompagnato da irrequietezza; la ricerca del brivido e di avventura (Thrill and Adventure Seeking), cioè il desiderio di partecipare ad attività caratterizzate dal rischio, dal pericolo o dalla velocità; e la disinibizione (Disinhibition), quindi la volontà di essere disinibiti socialmente e sessualmente.
Secondo Arnett (1994), invece, questo tratto di personalità è concepito come un costrutto bidimensionale, presentando due varianti: la ricerca di novità (Novelty Seeking) e di intensità (Intensity Seeking); nello specifico, la prima indica la tendenza ad aver bisogno di esperienze nuove ed eccitanti, mentre il secondo termine fa riferimento al desiderio di raggiungere e mantenere livelli sensoriali intensi.
Varie evidenze empiriche confermano il ruolo della sensation seeking nel gambling patologico adolescenziale (Donati et al., 2013; Gupta, Derevensky, & Ellenbogen, 2006; Hurt, Giannetta, Brodsky, Shera, & Romer, 2008; Nower, Derevensky, & Gupta, 2004).
In linea con la classificazione di Zuckerman (1994), Gupta e colleghi (2006) hanno riscontrato che nel loro campione di 817 adolescenti, di età compresa tra i 7 e gli 11 anni, i ragazzi classificati come problematici riportavano più alti livelli di suscettibilità alla noia, di ricerca di esperienze e di disinibizione rispetto ai non giocatori.
In un altro studio, Nower e colleghi (2004) hanno dimostrato come, in un campione di 1.339 studenti tra 17 e 21 anni, i giocatori problematici e patologici riportavano alti livelli di ricerca di intensità (Intensity Seeking) rispetto ai giocatori sociali e ai non giocatori. Anche i ragazzi giocatori di 10 e di 12 anni presentavano più alti livelli di sensation seeking e di impulsività rispetto ai loro compagni che non giocavano (Hurt et al., 2008). Tali dati sono in linea con quelli riscontrati da uno studio alla fine degli anni Novanta, in cui queste due forme erano risultate presenti a livelli elevati negli studenti giocatori problematici rispetto ai pari (Powell et a.l., 1999) e da Estevez e colleghi (2015), che hanno indagato il ruolo dell’impulsività e della sensation seeking nei confronti delle conseguenze del comportamento patologico.
Per quanto riguarda il valore predittivo della sensation seeking nei confronti del comportamento di gioco d’azzardo, nello studio di Donati e colleghe (2013) la sensation seeking è risultata essere un predittore statisticamente significativo del comportamento di gioco a rischio e problematico negli adolescenti, sia per i maschi
che per le femmine. Nello specifico, è stata condotta un’analisi della regressione dalla quale è emerso che per ogni punto di incremento alla scala relativa alla sensation seeking era 1.06 volte più probabile che l’adolescente venisse classificato come giocatore a rischio e problematico.
Infine, i ricercatori hanno effettuato delle ricerche al fine di indagare la presenza di alessitimia nei giocatori adolescenti. Il termine alessitimia è stato introdotto per la prima volta da Sifneos nella metà degli anni Settanta e fa riferimento alle difficoltà, riscontrate dai pazienti con un disturbo da somatizzazione, nel descrivere e comunicare i propri sentimenti e nel discriminarli dalle sensazioni somatiche. Successivamente, Toneatto, Lecce, e Bagby (2009) hanno definito questo costrutto come la difficoltà che la persona presenta nel descrivere e identificare le emozioni e nel discriminare i sentimenti associati a tali emozioni dalle sensazioni fisiche; di conseguenza le caratteristiche tipiche di un individuo alessitimico sono una ridotta capacità di introspezione, di immaginazione e la tendenza ad un comportamento guidato dall’impulso.
Anche in questo caso, sono scarsi gli studi che hanno indagato la relazione tra alessitimia e gioco problematico tra gli adolescenti. Ci sono studi che hanno esaminato tale relazione ed hanno riscontrato alti livelli di alessitimia nei giocatori patologici rispetto ai non problematici (Cosenza et al., 2014; Parker, Shaughnessy, Wood, Majeski, & Eastabrook, 2005). Le ricerche condotte da Parker e colleghi (2005) su 562 studenti universitari con un’età media di 19.86 anni hanno, infatti, evidenziato che i partecipanti risultati alessitimici riportavano anche più sintomi correlati al gioco d’azzardo patologico rispetto a coloro che non erano alessitimici. Inoltre, è stata rilevata una maggiore prevalenza dei giocatori patologici (14.9%)
all’interno del gruppo classificato come alessitimico rispetto ai non alessitimici (6.6%). Nello specifico, i giocatori patologici avevano ottenuto punteggi alti nella Toronto Alexithymia Scale (TAS-20; Bagby, Parker, & Taylor, 1994), in particolare nella sottoscala che valuta il “pensiero orientato all’esterno” (“Externally-Oriented Thinking”, EOT), in quella che valuta la “difficoltà nel descrivere i sentimenti” (Difficulty Describing Feelings, DDF) e nel punteggio totale della scala. Dai risultati è emerso che il 22.5% dei partecipanti alessitimici erano anche giocatori patologici; dunque l’alessitimia rappresenta un fattore di rischio associato alla gravità del gambling patologico negli adolescenti e in giovani adulti.
Anche nello studio di Cosenza e colleghi (2014), effettuato su 546 adolescenti del sud Italia di età compresa tra 17 e 19 anni, è emersa una relazione positiva tra il gioco d’azzardo problematico e l’alessitimia, in particolare nelle due sottoscale della Toronto Alexithymia Scale (TAS-20; Bagby et al., 1994) denominate “difficoltà nell’identificare i sentimenti” (Difficulty Identifying Feelings) e “difficoltà nel descrivere i sentimenti” (Difficulty Describing Feelings). Procedendo con un’analisi della regressione, è risultato che il predittore più forte della gravità del gioco d’azzardo problematico fosse solamente la prima sottoscala, a differenza dello studio di Parker e colleghi (2005), e tali risultati sono in linea con quelli effettuati sulla popolazione adulta (Bonnaire, Bungener, & Varescon, 2013; Mitrovic & Brown, 2009).
3. Fattori cognitivi
Per quanto riguarda i fattori di rischio di tipo cognitivo, è crescente l’interesse dei ricercatori rispetto al ruolo che i processi di ragionamento hanno sul gambling
patologico adolescenziale. Infatti è emerso che i giocatori ricadono in una serie di errori sistematici (biases) durante il loro comportamento di gioco e questo porta a credenze erronee circa le aspettative e le probabilità di vincita (Delfabbro, Lahn, Grabosky, 2006; Delfabbro et al., 2009; Donati et al., 2013; Turner, Macdonald, Bartoshuk, & Zangeneh, 2008). In particolare, sono state indagate le competenze in matematica e sulla probabilità negli adolescenti e, dai vari studi condotti su questo argomento, è stato riscontrato che gli adolescenti giocatori problematici, pur non dimostrando una carenza nei confronti delle regole matematiche di probabilità, commettono degli errori di ragionamento probabilistico. Gli adolescenti commettono tali errori poiché ricorrono ad un’euristica, chiamata euristica della rappresentatività, che è una modalità di ragionamento economica e veloce. Un esempio di questo tipo di errore è la “fallacia del giocatore” (gambler’s fallacy), ovvero una credenza errata relativa al fatto che la probabilità di un evento sia legata ad un evento indipendente avvenuto precedentemente; in altre parole, è la credenza per la quale si ritiene che dopo una lunga serie di perdite ci sarà una maggiore probabilità di vincita (Langer, 1975; Tversky, 1974; Walker, 1992).
Nello specifico, i giocatori problematici mostrano più errori per quanto riguarda l’attribuzione di casualità rispetto ai giocatori non problematici (Delfabbro et al., 2009; Donati et al., 2013; Turner et al., 2008). Come riportato dallo studio di Delfabbro e colleghi (2009), effettuato su un campione di 2.669 studenti di età compresa tra i 13 e i 17 anni, i giocatori non differivano in compiti che richiedevano di ragionare sulla probabilità di eventi indipendenti, come per esempio la probabilità di ottenere con il lancio di due monete due volte l’esito “coda” o quando gli studenti dovevano stimare la probabilità, nel gioco della roulette, di una sequenza consecutiva
di due numeri rossi; però, se veniva loro chiesto di ragionare sulla probabilità nei confronti di una sequenza di esiti, essi commettevano l’errore ricorrendo all’euristica della rappresentatività, ovvero credevano che la sequenza maggiormente probabile fosse quella in cui si verificavano esiti alternati. In un compito che chiedeva di indicare quale sequenza era più probabile durante il lancio di una moneta, gli studenti classificati come giocatori patologici riportavano più errori rispetto ai giocatori a rischio e quelli non a rischio. Questo è un esempio di come il fenomeno della gambler’s fallacy è frequente tra i giocatori patologici, i quali possiedono delle credenze erronee nei confronti degli esiti del gioco. Pure lo studio di Turner e colleghi (2008) ha riscontrato che, su un campione di 498 studenti, le credenze erronee sulla probabilità, cioè la tendenza dei giocatori a ragionare sulle probabilità ricorrendo all’euristica della rappresentatività, erano associate al gioco d’azzardo problematico.
Infine, anche nella ricerca di Donati e colleghe (2013) è stato esplorato il ragionamento probabilistico negli adolescenti, in particolare il fenomeno della gambler’s fallacy. A questo proposito, è emersa una relazione negativa tra il comportamento di gioco d’azzardo e il ragionamento probabilistico corretto, per cui ad ogni punto di incremento nel compito del ragionamento probabilistico era .89 volte meno probabile che il partecipante venisse classificato come giocatore a rischio o problematico; in relazione, invece, alle differenze di genere, è stato sottolineato che per ogni punto crescente al compito di ragionamento probabilistico, era .87 volte meno probabile che uno studente maschio venisse classificato come tale.
In sintesi, da questi studi emerge come i giocatori non mostrano delle carenze nella comprensione delle probabilità di eventi ma commettono dei biases quando devono stimare la probabilità di una sequenza di esiti.
È stato anche confermato che i giocatori riportano delle credenze erronee derivanti dalla comprensione errata sulla casualità, tra cui le credenze superstiziose, (Chiu & Storm, 2010; Donati et al., 2013), la credenza sistematica a sovrastimare le proprie abilità personali durante il gioco e la credenza di una proficuità economica derivante da questa pratica (Delfabbro et al., 2006; Delfabbro et al, 2009; Donati et al., 2013).
Le credenze superstiziose fanno riferimento ad una errata convinzione basata sull’associazione di causa ed effetto tra due eventi che, però, sono indipendenti (Toneatto, Blitz-Miller, Calderwood, Dragonetti, & Tsanos, 1997; Walker, 1992). In particolare, è stato riportato che gli adolescenti possiedono alti livelli di credenze superstiziose riguardo le aspettative di vincita e l’idea di fortuna nel gioco d’azzardo (Moore & Ohtsuka, 1999). Ciò è stato anche confermato dallo studio di Chiu e Storm (2010) su un campione di 185 studenti universitari di età compresa tra 18 e 38 anni, in cui i giocatori problematici ottenevano punteggi molto elevati nei confronti della credenza nella fortuna, se confrontati con i partecipanti classificati non a rischio, a basso rischio e a rischio moderato. Quindi, i giocatori problematici considerano la fortuna come un attributo personale, interno e stabile (Darke & Freedman, 1997) e questo porta ad un’erronea credenza di poter influenzare la probabilità di vincita al gioco (Wohl & Enzle, 2003).
Anche lo studio di Donati e colleghe (2013) ha dimostrato che per ogni punto alla Superstitious Thinking Scale (STS; Kokis, MacPherson, Toplak, West, &
Stanovich, 2002; Versione italiana: Chiesi, Donati, Papi, & Primi, 2010), scala che misura il pensiero superstizioso, il partecipante era 1.06 volte più probabile che venisse classificato come giocatore a rischio e problematico. Inoltre, per quanto concerne le differenze di genere, la credenza superstiziosa era risultata un predittore significativo sia nei maschi che nelle femmine.
L’altra caratteristica tipica dei giocatori d’azzardo problematici è la sovrastima delle proprie capacità personali nel gioco e la considerazione del gioco come una potenziale attività proficua. A questo proposito, nello studio di Delfabbro e colleghi (2006) è emerso che, in un campione di 926 adolescenti tra gli 11 e 19 anni, gli studenti possedevano forti convinzioni riguardo alle due credenze sopracitate, ovvero alla credenza errata sulle abilità richieste dai giochi e una visione ottimistica del gioco, considerandolo come una possibile fonte di guadagno. Anche Delfabbro e Thrupp (2003) hanno rilevato che la visione del gioco d’azzardo differiva tra i giocatori classificati come frequenti, infrequenti e non giocatori. Nel dettaglio, i giocatori frequenti ritenevano che il gioco d’azzardo fosse un’attività che permetteva di guadagnare soldi facilmente, rispetto agli altri due gruppi di partecipanti.
La presenza di queste credenze è stata dimostrata anche nella ricerca di Delfabbro e colleghi (2009), dai cui risultati è emerso che alcuni studenti credevano che le abilità personali fossero implicate anche nei giochi determinati, invece, dalla fortuna, come le lotterie o le slot machines. Inoltre, i giocatori problematici mostravano un atteggiamento positivo verso il gioco d’azzardo, visto come un modo attraverso cui arricchirsi, e soprattutto questo si verificava maggiormente nei maschi.
Quest’ultimo dato relativo alla differenza legata al genere per gli atteggiamenti verso il gioco è stata dimostrata anche da altri studi, in cui i maschi possedevano più
attitudini positive rispetto alle femmine (Moore & Ohtsuka, 1997; Wood & Griffiths, 1998), erano maggiormente a favore del gioco, lo consideravano un mezzo per guadagnare soldi e questo rappresentava la motivazione principale per giocare (Wood & Griffiths, 1998). In più, nello studio di Donati e colleghe (2013) è stato evidenziato che la credenza sulla redditività del gioco è predrittrice significativa soltanto nel gruppo dei maschi; infatti, per ogni punto alla Gambling Attitude Scale (GAS; Delfabbro & Thrupp, 2003; Versione italiana: Primi, Donati, Bellini, Busdraghi, & Chiesi, 2012) era 1.04 volte più probabile che lo studente venisse classificato a rischio e problematico.
Infine, alcune ricerche hanno indagato il ruolo delle distorsioni cognitive nel comportamento di gioco patologico negli adolescenti ed esse hanno documentato che i giocatori problematici riportano un alto numero di distorsioni cognitive legate alla pratica del gioco. Le distorsioni cognitive sono, infatti, risultate associate al comportamento e alla frequenza di gioco d’azzardo, indicando che un numero elevato di distorsioni cognitive è correlato ad alti livelli di gioco d’azzardo problematico (Donati et al., 2015; Tang & Wu, 2012; Taylor, Parker, Keefer, Kloosterman, Summerfeldt, 2014). A questo riguardo è stata notata anche una differenza tra i maschi e le femmine, per cui i ragazzi riportano più distorsioni cognitive rispetto alle ragazze (Donati et al., 2015; Tang & Wu, 2012; Taylor et al., 2014; Yu & Fu, 2014).
Inizialmente, i primi a concettualizzare le distorsioni cognitive sono stati Toneatto e colleghi (1997) e Toneatto (1999), i quali hanno identificato tre principali categorie di distorsioni cognitive legate al gioco: l’illusione di controllo, ossia il fatto che il giocatore creda di poter controllare attivamente l’esito del gioco grazie alle
proprie abilità personali o conoscenze, quindi intraprende comportamenti superstiziosi, rituali, possiede uno stato mentale positivo o ha dei numeri ritenuti fortunati, oppure può sviluppare tale controllo illusorio passivamente, cioè interpretare, per esempio, successi in alcune aree della vita come un segno di un successo nell’esito del gioco d’azzardo; il controllo predittivo, che riguarda la credenza di attuare predizioni sull’esito del gioco basandosi su alcuni indizi importanti, come intuizioni, sensazioni oppure su precedenti vincite o perdite (aspettarsi una serie di vincite dopo una serie ripetuta di perdite) e riguarda anche gli errori sulla probabilità, come la credenza che se si continua a giocare prima o poi si recupereranno i soldi persi oppure collegare a fattori esterni la vincita al gioco; e il bias interpretativo, il quale consiste in un’attribuzione o riformulazione erronea degli esiti del gioco che incoraggia a giocare d’azzardo, dunque attribuire i successi a se stessi e alle proprie abilità (locus of control interno) e gli insuccessi alla fortuna o a fattori esterni (locus of control esterno) e ricordare principalmente le vincite passate.
Successivamente, sono state evidenziate altre due distorsioni cognitive che provengono però da studi che riguardano l’abuso di sostanze, poiché sono risultate determinanti anche nel gioco d’azzardo problematico (Lee, Oei, & Greeley, 1999). Esse sono l’aspettativa di gioco e l’incapacità di smettere di giocare; la prima comprende le aspettative positive che derivano dalla pratica del gioco, come alleviare stati emotivi negativi e dolorosi, ricercare approvazione sociale e accettazione da parte degli altri, esperire momenti di eccitazione e di divertimento; la seconda indica la percezione soggettiva del giocatore di non riuscire a smettere di giocare e questo non fa altro che indebolire i tentativi volti a tale scopo.
Riguardo agli studi condotti in tale ambito, i ricercatori Yu e Fu (2014) hanno rilevato che, su un campione di 801 studenti con un’età media di 16.94 anni, i giocatori patologici avevano un alto punteggio al The Illusion of Control Beliefs Scale (ICB; Moore & Ohtsuka, 1999), quindi presentavano una maggiore credenza riguardo l’illusione di controllo sul gioco e, soprattutto, era presente una differenza statisticamente significativa tra i giocatori patologici e quelli non patologici per quanto riguarda un item relativo alla convinzione di poter controllare l’esito di un numero durante un gioco.
Anche lo studio di Tang e Wu (2012) ha indagato il ruolo delle distorsioni nei giocatori patologici in un campione formato da 2.835 adolescenti tra gli 11 e i 17 anni, da 934 giovani adulti di età tra i 18 e i 25 anni e da 162 adulti di età superiore ai 26 anni. Nel dettaglio, i partecipanti classificati come probabili giocatori patologici riportavano alti punteggi alla Gambling Related Cognitions Scale (GRCS; Raylu & Oei, 2004), quindi un numero maggiore di distorsioni cognitive rispetto ai giocatori problematici e questi ultimi, a loro volta, riportavano elevati livelli di distorsioni nei confronti dei giocatori non problematici. Inoltre, non sono state evidenziate differenze legate al genere per i maschi e le femmine classificati come probabili giocatori patologici per la sottoscala relativa all’incapacità di smettere di giocare (GRCS-IS), ma i giocatori problematici vi commettevano più biases rispetto ai non problematici. Una differenza consistente è stata trovata nella sottoscala delle aspettative legate al gioco (GRCS-GE), in cui i maschi avevano più aspettative positive rispetto alle femmine. Perciò, solo queste due sottoscale sono risultate predittrici del gioco problematico.
Lo studio di Taylor e colleghi (2014), effettuato su 1.490 adolescenti tra 16 e 18 anni, ha riscontrato tre predittori significativi del gioco d’azzardo, somministrando il GRCS (Raylu & Oei, 2004): la sottoscala dell’illusione di controllo (GRCS-IC), delle aspettative di gioco (GRCS-GE) e dell’incapacità di smettere di giocare (GRCS-IS). Anche in questa ricerca sono state evidenziate differenze di genere, ossia i maschi riportavano un alto punteggio alla scala e alle sottoscale rispetto alle femmine.
Nel contesto italiano troviamo un quadro simile. Infatti, nello studio di Donati e colleghi (2015), con un campione di 1.656 studenti di età tra i 13 e i 24 anni, il punteggio totale alla scala correttamente classificava i partecipanti in giocatori regolari e non regolari. Questo significava che ad ogni punto di incremento ottenuto alla GRCS (Raylu & Oei, 2004), il partecipante possedeva una probabilità di 1.05 volte di essere classificato come un giocatore regolare. In più, è presente un’ulteriore conferma della presenza di differenze di genere, poiché i maschi riportavano più distorsioni cognitive. Per quanto riguarda il peso specifico relativo alle cinque categorie di distorsioni cognitive, l’analisi della regressione ha rilevato che i tre predittori del gioco d’azzardo problematico fossero l’incapacità di smettere di giocare, le aspettative legate al gioco e il bias interpretativo, risultati simili rispetto ai due studi sopracitati e anche nei confronti della ricerca di Cosenza e colleghi (2014), che indagava il ruolo delle distorsioni cognitive con il GRCS (Raylu & Oei, 2004) e dell’alessitimia nel gioco d’azzardo degli adolescenti, in cui il bias interpretativo e l’incapacità di smettere di giocare sono emersi come principali predittori.
In conclusione, lo studio recentissimo di Donati, Chiesi, Iozzi, Manfredi, Fagni, e Primi (2018) si è posto l’obiettivo di studiare insieme questi fattori cognitivi