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Biomarcatori salivari nella diagnosi differenziale di tumori benigni parotidei

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

BIOMARCATORI SALIVARI NELLA

DIAGNOSI DIFFERENZIALE DI TUMORI

BENIGNI PAROTIDEI.

Relatore: Candidato:

Prof. Gino Giannaccini Alessandra Baldocchi Prof. Antonio Lucacchini

Correlatore:

Dott.ssa Laura Giusti

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INDICE

INTRODUZIONE ... 4

Obiettivo della tesi ... 6

Capitolo 1 ... 7

La saliva... 7

1.1Origine e anatomia………. 7

1.1.2 Composizione e proprietà... 8

1.1.3 Ghiandole salivari maggiori: struttura della Parotide….... 10

1.1.4 Biomarcatori salivari……… 12

1.2 Neoplasie benigne delle ghiandole salivari……… 12

1.3 Il siero………... 15

1.4 La proteomica... 15

1.5 Elettroforesi delle proteine………. 17

1.5.1 Elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio- dodecil-solfato (SDS-PAGE)………. 18

Capitolo 2 ……….. 21

Materiali e metodi ... 21

2.1 Materiali ………...………... 21

2.2 Raccolta della saliva...22

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3

2.4 Metodi... 24

2.4.1 Dosaggio proteico DC della Bio-Rad……… 24

2.4.2 Preparazione campioni……….. 26

2.4.3 Elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio- dodecil-solfato (SDS-PAGE)………... 27

2.4.4 Western Blot ……… 29

2.4.5 Blocking... 30

2.4.6 Legame con anticorpo primario... 31

2.4.7 Legame con anticorpo secondario... 31

Capitolo 3………. 34

Risultati e discussione ... 35

Conclusione………... 42

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Introduzione

Negli ultimi anni si è rivelata determinante la ricerca di nuove

metodologie diagnostiche non invasive, ugualmente

accurate, economicamente convenienti.

La scoperta di patologie prime fasi di insorgenza, infatti, può influenzare in modo significativo lo stato di disagio del paziente, la prognosi, l’approccio terapeutico, le aspettative di sopravvivenza e le percentuali di recidiva.

Diagnosi e successivo monitoraggio clinico, spesso richiedono procedure invasive come l'utilizzo di biopsie dolorose aggiungendo ulteriore stress emotivo ad una condizione psicologica già negativa del paziente.

La ricerca sulla saliva dal punto di vista microbico e immunologico, e lo studio di biomarcatori molecolari presenti in essa, offre un’alternativa a tali misure: si utilizzano infatti i fluidi orali per valutare la condizione di individui sani e malati.

La saliva risulta essere, quindi, una importante fonte di indicatori per disturbi locali, sistemici e infettivi e può essere considerata come mediatore della condizione fisiologica del corpo [1].

Il progetto di ricerca all’interno di cui questo studio si inserisce è cominciato con un’analisi proteomica comparativa di fluidi, prelevati tramite agoaspirazione, delle più frequenti neoplasie benigne delle ghiandole salivari (tumore di Warthin e Adenoma pleomorfo) in

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modo da disegnare i loro relativi profili proteomici e indicarne i loro aspetti peculiari [2].

I campioni derivanti da aspirazioni con aghi fini sono stati analizzati attraverso un approccio basato sull'utilizzo dell’elettroforesi bidimensionale e la spettrometria di massa.

Tramite l’analisi in spettrometria di massa sono state individuate 26 proteine d’interesse differenzialmente espresse nei due tipi di tumore. Attraverso l'utilizzo di un software si è cercato di capire quali fossero i processi biologici a cui queste proteine appartenevano. Sono stati utilizzati anticorpi policlonali specifici per validare i cambiamenti di espressione di alcune di queste proteine identificate da 2DE.

Come risultato è stato rilevato che tutte le proteine legate al tumore di Warthin, come ad esempio Ig gamma-1 chain C region (IGHG1), Ig kappa chain C region (IGKC), Ig alpha-1 chain C region (IGHA1), Triosephosphate isomerase (TPI1), Ig lambda-2 chain C region (IGLC2), Protein S100-A9 (S100A9),Fibrinogen beta chain (FGB), Heat shock protein beta-1(HSPB1), e Haptoglobin (HP) sono connesse a problemi di tipo immunologico ed infiammatorio[2].

In particolare, il gruppo di ricerca ha descritto la sovraespressione di IGHG1, IGKC, IGHA1 e le IgG, probabilmente indotte direttamente o indirettamente da mediatori infiammatori come il fattore di necrosi tumorale (TNF) [2].

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Obiettivo della tesi

Sulla base di queste premesse, il fine di questa tesi risiede nello studio della saliva - attraverso campioni estratti da soggetti malati - come mezzo per individuare la presenza di potenziali biomarcatori molecolari di tumori benigni parotidei, come il tumore di Warthin (o adenolinfoma) e l’adenoma pleomorfo, senza l’utilizzo di mezzi invasivi come l’agoaspirato.

A questo scopo, sono state ricercate nella saliva dei pazienti alcune proteine (precisamente le stesse proteine che erano state rilevate sovraespresse nei fluidi con WT prelevati tramite agoaspirazione: IGHGI, IGHA1, IGKC, S100A9, IGLC2) che risultavano predittive della patologia di Warthin, in quanto maggiormente espresse in questo tipo di tumore, rispetto all’altro tipo di tumore benigno, l’adenoma pleomorfo.

Successivamente, lo studio è stato effettuato anche su campioni di siero prelevati dagli stessi pazienti, utilizzando gli stessi anticorpi, poiché esso appare un’alternativa affidabile alla saliva.

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Capitolo 1

La saliva

1.1 Origine e Anatomia

Il fluido totale presente nella cavità orale origina principalmente da tre ghiandole salivari: la parotide, la sottomandibolare e la sottolinguale.

Oltre a queste ghiandole salivari maggiori, esistono altre ghiandole chiamate “salivari minori” localizzate nelle labbra e nella mucosa interna dalla bocca fino alla faringe; i prodotti delle ghiandole maggiori e minori, insieme ad altre sostanze endogene che possono essere presenti nella bocca, ai batteri, cellule epiteliali, eritrociti, e leucociti, contribuiscono alla formazione di quello che è chiamato fluido orale o saliva totale [5] [6] [49].

E’ un liquido leggermente torbido, incolore, inodore ed insipido, della densità di 1,004 a 1,009.

Il contributo della secrezione ghiandolare varia a seconda della stimolazione di ognuna di esse.

In condizioni normali la secrezione di saliva avviene per il 70% da parte della ghiandola sottomandibolare, per il 25% dalla parotide, il resto dalla sottolinguale e dalle ghiandole salivari minori[6].

Un soggetto sano secerne da 0.1 a 0.3 mL/min, fino ad un massimo di 1,5 mL/min al giorno[6].

La secrezione salivare è attivata dal sistema nervoso autonomo; la stimolazione simpatica provoca una diminuzione della secrezione di

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liquido, con una saliva più viscosa, mentre la stimolazione parasimpatica provoca un aumento della secrezione [50].

La produzione totale di fluido varia da soggetto a soggetto secondo vari fattori quali l’età, il ritmo circadiano, i neurotrasmettitori, disidratazione, attività fisica, stress psicologico, condizioni patologiche [7] [8] [12] [50].

1.1.2 Composizione e proprietà

La saliva è costituita per il 99% da acqua, proteine ed elettroliti, da qualche traccia di albumina, e principalmente contiene la mucina che proviene sia dalle ghiandole mucipare della bocca sia dalle stesse ghiandole salivari; la ptialina, che è un derivato albuminoideo; il solfocianuro di potassio che dà una colorazione rosso sangue col percloruro di ferro; ed infine al microscopio vi si ritrovano cellule epiteliali pavimentose della bocca e globuli di muco [9] [12].

La saliva che esce dalle ghiandole si presenta debolmente alcalina, poi ristagnando nella bocca per breve tempo diventa neutra ed infine nel prolungato digiuno acquista un valore acido per la fermentazione delle diverse sostanze organiche rimaste in bocca [12].

La saliva presenta proprietà diverse a seconda della ghiandola da cui origina: la saliva della sottolinguale è più densa, contiene circa 9,98% di corpi solidi, ed è la più ricca di mucina e di corpuscoli del muco, la sua composizione è stata finora poco studiata; la saliva della parotide è acquea, con densità nell’uomo di 1,0036, e contiene appena da 0,57 a 0,61 % di materiale solido, è debolmente alcalina,

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non contiene mucina; infine la saliva della ghiandola sottomascellare è filante densa, ricca di mucina e di ptialina e contiene pochi sali. La saliva in condizioni fisiologiche svolge alcune funzioni fondamentali:

- Inumidire il cibo e renderlo più digeribile.

- Solvente, dovuta alla componente sierosa ricca di acqua; - Umettante, esercitata dalla componente mucosa che umetta il

bolo alimentare al fine di evitare lacerazioni al passaggio di questo all'epitelio boccale ed esofageo;

- Antibatterica, infatti la presenza di lisozima, lattoferrina, ione tiocianato e anticorpi permettono di opporsi alla vita e alla crescita dei batteri che vengono introdotti all'interno della cavità orale;

- Digestiva, grazie alla presenza di ptialina, un α-amilasi capace di scindere i legami α-1,4 di glucidi contenenti almeno tre unità di glucosio nella struttura.

- Protettiva della mucosa dall’essiccamento, dato che l’acqua della saliva evapora lentamente [49].

La saliva è importante perché contiene un complesso di proteine, peptidi e altre sostanze che mantengono la salute della cavità orale e danno informazioni riguardo le malattie orali e sistemiche.

L’analisi completa e l'identificazione del contenuto proteomico della saliva umana può contribuire alla comprensione della fisiopatologia orale, e fornire una base per il riconoscimento dei potenziali biomarcatori di malattie umane [21].

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1.1.3 Ghiandole salivari maggiori: struttura della Parotide

Le ghiandole salivari sono costituite da cellule epiteliali specializzate, le cui unità secretorie di base sono grappoli di cellule definite acini [5] [10] [51].

Le tre più voluminose sono la parotide, la sottomandibolare e la sottolinguale (Figura1).

Figura1:

1)Ghiandola parotide

2)Ghiandola sottomandibolare 3)Ghiandola sottolinguale

La ghiandola parotide è la maggiore: pesa circa 30 g, presenta una forma irregolare e lobulata, composta da tante piccole e circoscritte aree parenchimali, i lobuli, e da unità secernenti di forma sferoidale, gli acini, e da un sistema di dotti escretori, i tubuli; è di colore giallo-grigiastro.

E’ situata nella loggia parotidea del collo, uno spazio dietro il ramo della mandibola, davanti al muscolo sternocleidomastoideo e sotto il meato acustico esterno, nonché lateralmente allo spazio faringeo. La loggia che la raccoglie è rivestita da una capsula composta da una lamina fibrosa strettamente aderente alla superficie ghiandolare.

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Presenta un corpo di forma prismatico-triangolare e contiene in prevalenza ghiandole sierose che producono la saliva sierosa [26]. Il suo condotto escretore (dotto di Stenone), lungo circa 4-5 cm, emerge dal margine anteriore della ghiandola, attraversa il muscolo buccinatore e si apre nel vestibolo della bocca all’altezza del secondo dente molare superiore [14] [52].

Gli acini salivari possono essere divisi in tre tipologie: sierosi (prevalentemente nella parotide), mucosi (nelle sottolinguali) e misti (nella sottomandibolare) [11].

Gli acini sierosi, di forma sferica, producono una saliva fluida ricca di elettroliti e di enzimi tra cui amilasi e lisozima; quelli mucosi secernono una saliva di tipo glicoproteico ricca di mucine; gli acini misti presentano sia la componente sierosa che quella mucosa [5] [10] [14].

Attorno agli acini salivari, si trovano cellule mioepiteliali di forma stellata con capacità contrattili provviste di prolungamenti che abbracciano le cellule acinose e favoriscono quindi la secrezione. Il fluido secreto dagli acini si raccoglie in una serie di dotti di dimensioni sempre maggiori (dotti intercalari, dotti striati e dotti escretori), per poi confluire in un unico dotto di grosse dimensioni che riversa nella cavità orale le secrezioni di ciascuna ghiandola [10].

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12 1.1.4 Biomarcatori salivari

Un biomarcatore è un indicatore molecolare di normali processi biologici, processi patogeni o risposte farmacologiche a un intervento terapeutico.

Sono entità senza corpo capaci di fornire informazioni riguardo lo stato fisiologico di un organismo vivente [19].

I biomarcatori esistono in varie forme differenti, includendo gli anticorpi, microbi, DNA, RNA, lipidi, metaboliti e proteine; un’alterazione della loro struttura, concentrazione, funzione o azione può essere associata ad un inizio, una progressione o anche una regressione di un particolare disturbo [19].

La ricca varietà di molecole presenti nelle secrezioni salivari rende la saliva una possibile fonte interessante di biomarcatori di malattie [20].

1.2 Neoplasie benigne delle ghiandole salivari

-

Adenoma pleomorfo

L’adenoma pleomorfo (tumore misto) è il più comune tumore benigno delle ghiandole salivari maggiori, ed in particolare della parotide.

Predilige il sesso femminile con picco tra i 35 ed i 50 anni; può essere unilaterale, e nel 4-5% dei casi può anche degenerare o essere localmente invasivo e recidivante [16].

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Si presenta come una massa a crescita lenta, di 2-4 cm, generalmente lobulata circondata da una sottile capsula.

La superficie di taglio si presenta di colore bianco-giallastro con consistenza variabile dal molle al duro anche contemporaneamente. E’ costituito fondamentalmente da cellule epiteliali e mioepiteliali immerse in un abbondante stroma con caratteristiche mixoidi, mucoidi o condroidi [18].

Il termine “pleomorfo” è dovuto all’aspetto eterogeneo; infatti al microscopio possono prevalere aspetti epiteliali con strutture organizzate in cordoni solidi o in alveoli o tubuli con scarsa componente stromale, o viceversa può riscontrarsi scarsità di cellule immerse in un abbondante matrice connettivale.

Oltre ad alterazioni del profilo cutaneo, si possono avere disturbi della masticazione e/o deglutizione, nevralgie del VII nervo cranico e addirittura paresi, disturbi uditivi per compressione del condotto uditivo [25].

Queste lesioni devono essere escisse fin dall’inizio, attraverso la chirurgia tramite asportazione completa della ghiandola interessata, o possono andare incontro a recidive e possono diventare localmente invasive, quindi subire degenerazioni maligne [15].

- Tumore di Warthin

Il tumore di Warthin (o cistadenolinfoma) è il secondo più comune tumore cistico delle ghiandole salivari maggiori, ma soprattutto si

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verifica nella parotide dell’uomo (95%) di età superiore ai 40 anni, in particolare nei fumatori [23].

La maggior parte dei tumori di Warthin multifocali sono unilaterali, ma possono essere anche bilaterali nel 10-15% dei pazienti [15] [22] [23].

Spesso si presenta come tumefazione indolore. Insorge più frequentemente nella porzione inferiore della ghiandola parotide, in prossimità dell’angolo mandibolare.

Si presenta come una massa solida, sferoidale, rivestita da una capsula e di aspetto lobulato.

Al taglio si evidenziano spazi composti da cisti, ripieni di un secreto sieroso o mucoso, rivestiti internamente da un epitelio cilindrico, a sua volta disposto in due strati: lo strato più interno, dal lato dello spazio cistico, è rivestito da cellule cilindriche piuttosto alte, con citoplasma abbondante e di natura acida e con nucleo piuttosto piccolo; lo strato più esterno è costituito da cellule più piccole, di forma cubica, con un nucleo formato da vescicole; il tutto è inglobato in uno stroma ricco di tessuto linfoide denso [24].

L’adenolinfoma ha una crescita lenta ed inizia come un piccolo nodo intra-ghiandolare, ma arriva a crescere fino a un diametro massimo di 8 cm perché alla proliferazione neoplastica s’aggiunge l’espansione dovuta al formarsi delle cisti e/o all’infezione [18]. Il trattamento è chirurgico, mediante parotidectomia in genere parziale a seconda della sede e delle dimensioni del tumore.

È una neoplasia benigna e quindi non ha tendenza né a recidivare né a trasformarsi in tumore maligno [17] [24].

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1.3 Il siero

Il siero è il liquido surnatante ottenuto in seguito alla coagulazione spontanea del sangue [47]. Si può ottenere lasciando coagulare spontaneamente del sangue o del plasma sanguigno in una provetta sottovuoto; esistono tre differenti tipologie di provette per il siero differenziate da tre tipi di sostanze contenute in esse: attivatore della coagulazione, gel separatore o granuli.

Il gel separatore e i granuli facilitano la separazione del siero.

Il siero ha l’aspetto di un liquido di colore giallo paglierino, e la sua composizione chimica è sostanzialmente identica a quella del plasma, con la mancanza di fibrinogeno e di alcuni fattori della coagulazione. Ha inoltre un maggior contenuto di serotonina, a causa della lisi delle piastrine che ha luogo durante la coagulazione.

Sul siero di sangue vengono eseguite la maggior parte delle indagini diagnostiche, ematochimiche e immunologiche.

1.4 La Proteomica

La proteomica è la disciplina che ha come oggetto di studio il proteoma, ovvero l’insieme di tutte le potenziali proteine che possono essere espresse dal genoma di un organismo o di un sistema biologico [53] [54] [55].

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Per ciascuna proteina codificata da un genoma, la proteomica fornisce informazioni riguardanti la funzione, la struttura, le modifiche post-traduzionali, le interazioni proteina-proteina, la localizzazione cellulare, le varianti e le relazioni con altre proteine [27].

La proteomica utilizza tecniche per la separazione e l’identificazione di proteine isolate dalle cellule; la combinazione di tecniche più comunemente utilizzata consiste dell’elettroforesi su gel bidimensionale (2-DE) e la spettrometria di massa (MS).

Nell’elettroforesi su gel bidimensionale la separazione avviene sfruttando principi fisici differenti, che non sono influenzati l'uno dall'altro; i principi più utilizzati sono il punto isoelettrico e il peso molecolare.

La prima dimensione utilizza solitamente un gradiente di pH ottenuto grazie alla migrazione di molecole anfotere all'interno di un supporto, costituito da un gel di poliacrilammide, posto in un campo elettrico. Il campione viene caricato sul gel; il campo elettrico applicato fa sì che le proteine, presenti in forma di ione, si muovano fino a raggiungere il proprio punto isoelettrico, al quale, ogni molecola si trova a carica complessiva pari a zero.

Quando l’isoelettrofocalizzazione è completata, si procede con la seconda dimensione: il campione viene trattato con SDS (sodio dodecilsolfato) per conferire a tutte le proteine una carica elettrica netta negativa. Segue quindi una classica SDS-PAGE in cui le proteine sono separate in base al loro peso molecolare [48].

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Quando il gel viene colorato, le proteine sono messe in evidenza come macchie; le proteine isolate dalla 2-DE devono poi essere identificate.

La MS è una tecnica altamente sensibile per lo studio delle proteine: è utilizzata per quantificare le proteine e per determinarne la sequenza, massa e informazioni strutturali.

Col tempo sono state sviluppate nuove tecniche di spettrometria di massa che permettono di determinare con accuratezza la massa di grandi molecole.

1.5 Elettroforesi delle proteine

L’elettroforesi è una delle tecniche più utilizzate nei laboratori di ricerca per l’identificazione, visualizzazione, quantificazione e separazione di macromolecole contenute in complesse miscele proteiche estratte da cellule, tessuti o altri campioni biologici, sulla base delle dimensioni e/o della carica; è basata sulla mobilità degli ioni in un campo elettrico [29].

L’elettroforesi è un processo elettrocinetico nel quale molecole e particelle cariche, in soluzione acquosa, sotto l’influenza di un campo elettrico, migrano in direzione del polo che ha carica opposta. In campo biologico sono molte le molecole che possiedono gruppi ionizzabili (aminoacidi, proteine e acidi nucleici) e quindi, a ogni valore di pH, sono presenti in soluzione come specie elettricamente cariche [28] [29].

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1.5.1 Elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio-dodecil-solfato (SDS-PAGE)

Nell’elettroforesi su gel, si utilizza un tampone di corsa con il quale deve anche essere saturato il gel di supporto, per consentire la conduzione della corrente che si genera quando tra i due elettrodi viene applicata una differenza di potenziale.

Il campo elettrico fa sì che le componenti del campione migrino in una direzione (verso l’anodo o il catodo) in base alla loro carica, con una velocità che dipende anche dalla loro forma e dimensione, oltre che dall’intensità di corrente. (Figura 2)

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Il gel si comporta come un setaccio molecolare tridimensionale: la capacità delle proteine di muoversi attraverso il gel dipende dalle loro dimensioni e dalla loro struttura, in rapporto ai pori del gel.

La dimensione dei pori dipende dalla percentuale di bis-acrilammide presente: la scelta della corretta percentuale di acrilammide è rilevante per il successo della separazione; infatti un valore troppo alto può portare all’esclusione di proteine dal gel, mentre una percentuale troppo bassa può ridurre la risoluzione [29].

Le proteine a più alto peso molecolare sono state separate tramite elettroforesi su un gel polimerizzato di acrilammide al 12%, in grado di separare proteine da 200-9 kDa, in presenza di un agente denaturante, il sodiododecil-solfato (SDS); quelle a più basso PM e quindi più piccole, sono state separate su un gel al 15%, più concentrato: maggiore sarà la concentrazione dell’acrilammide e più il gel avrà delle maglie strette e quindi più fatica faranno le proteine a passare nel gel.

L’SDS è un detergente anionico che in soluzione acquosa stabilizza le molecole proteiche denaturandole e formando attorno ad esse un guscio di solvatazione, che genera micelle dotate della stessa carica elettrica. Di conseguenza, le proteine si comportano come filamenti carichi negativamente e la carica intrinseca della singola proteina diventa trascurabile rispetto alla carica conferita dall’SDS, quindi la migrazione avviene unicamente in funzione del loro PM poiché tutte migrano dal polo negativo (parte alta del gel) al polo positivo (parte bassa del gel). (Figura 3)

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Figura 3: Azione denaturante dell’SDS

I gel vanno preparati tra due lastre di vetro, in una configurazione verticale, allo scopo di evitare il contatto con l’aria (che ne impedisce la polimerizzazione) e di riuscire a ottenere dei pozzetti per i campioni da caricare in un gel molto sottile.

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Capitolo 2

Materiali e metodi

2.1 Materiali

L’acqua, di grado analitico, è stata filtrata mediante l’apparecchio MilliQ (PS Whatman®, Millipore Corporation, Maid Stone, England).

Tutti i reagenti e i solventi sono stati acquistati dalle più comuni fonti commerciali.

La determinazione della concentrazione proteica dei campioni di saliva è stata valutata utilizzando uno spettrofotometro LAMBDA 25 UV/Vis Systems (PerkinElmer, USA) controllato dal software LAMBDA 25 (PerkinElmer, USA).

L’apparecchio impiegato per l’elettroforesi delle proteine è il Mini Protean® Tetra System (Biorad) con alimentatore Power Prac Universal (Biorad); i vetri utilizzati per colare i gel erano i vetri Mini Protean 3 con spaziatori da 0,75 mm (Mini-PROTEAN® Spacer Plates With 0.75 mm Integrated Spacers) e i vetri mini Mini-PROTEAN® Short Plates ), entrambi forniti dalla Bio-Rad.

Sodio Dodecil solfato (SDS), Acrilammide per SDS-PAGE 30% , Ammonio persolfato, glicina sono state fornite dalla AppliChem. Per il Western Blot sono state utilizzate membrane di nitrocellulosa Midi format 0.2µm specifici per l’apparecchio Trans-Blot® Turbo™, Transfer System (Biorad).

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Le immagini a chemioluminescenza sono state acquisite tramite lo strumento ImageQuant LAS 4010 dell’azienda GE Healthcare Bio- Sciences AB (Uppsala, Svezia).

Gli anticorpi primari sono stati acquistati da MaxPab Abnova (Taiwan) per quanto riguarda IGHG1, dalla Santa Cruz Biotechnology (CA, USA) per S100A9; da MaxPab Abnova (USA) per IGLC2; Thermo Scentific per IGHA1; IGKC dalla Abcam. Lo standard Biotinilated Protein Ladder e il suo anticorpo Antibiotin HRP-linked sono stati comprati da Cell Signaling Technology (Danvers, MA, U.S.).

L’anticorpo secondario “anti-rabbit” viene dall’azienda Stressgen Biotechnologies Corporation (San Diego, CA, U.S.); “anti-goat” e “anti-mouse” dalla Santa Cruz Biotechnology;

2.2 Raccolta della saliva

Nello studio sono stati presi in esame 5 pazienti affetti da tumore di Warthin e 12 pazienti affetti da adenoma pleomorfo, opportunamente selezionati dall’Azienda Ospedaliera Pisana, U.O. ORL Universitaria 1a (AOUP), diretta dal Prof. Stefano Sellari Franceschini.

Il progetto di ricerca è stata approvato dal Comitato Etico dell’AOUP e per tutti i pazienti è stato ottenuto il consenso informato.

I campioni di saliva dei soggetti sono stati raccolti utilizzando delle Salivette (Surescreen Diagnostics LTD; Derby, UK); il dispositivo

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conteneva al suo interno una provetta in polipropilene forata in cui era inserito un tampone cilindrico in grado di assorbire la saliva. I soggetti sani non hanno assunto cibo e bevande fino ad un’ora prima del campionamento della saliva.

Le concentrazioni proteiche sono state misurate con un dosaggio proteico RC/DC utilizzando albumina da siero bovino come standard: esso è un dosaggio colorimetrico quantitativo che sfrutta dei reagenti che sviluppano una colorazione di intensità crescente, proporzionalmente alla concentrazione proteica.

Il campione di saliva è stato conservato a -80°C fino all'analisi.

2.3 Campioni di siero

Sono stati raccolti 20 campioni di sangue al mattino in condizioni standard (senza aver mangiato e bevuto dalla sera precedente). I campioni sono stati centrifugati a 3500 g per 10 minuti a temperatura ambiente ed il siero è stato conservato a -80 C°.

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2.4 Metodi

2.4.1 Dosaggio proteico DC della Bio-Rad

Il dosaggio proteico DC della Bio-Rad è un saggio colorimetrico effettuato per determinare la concentrazione delle proteine; E’ basato come principio sul saggio di Lowry ; l’esperimento prevede l’utilizzo di tre reagenti: REAGENT A, REAGENT B e REAGENT S. Il metodo si basa su una reazione tra le proteine, la soluzione contenente ioni rameici (REAGENT A) e il reagente di Folin (REAGENT B).

Come nel metodo di Lowry, il saggio è costituito da due passaggi fondamentali che portano allo sviluppo di un colore blu: la reazione tra le proteine e gli ioni rameici in soluzione alcalina e la successiva riduzione del reagente di Folin da parte delle proteine complessate con gli ioni rameici.

Lo sviluppo di colore è dovuto agli amminoacidi tirosina e triptofano ed alla cisteina, cistina e istidina; si ottengono così una o più specie ridotte di colore blu con assorbanza massima a 750 nm e minima assorbanza a 405 nm.

L’intensità del colore è proporzionale alla concentrazione di proteine nel campione.

Per valutare la concentrazione proteica del campione incognito è necessario realizzare una retta di taratura utilizzando come standard una proteina di riferimento a concentrazione nota, l'albumina sierica bovina (BSA).

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25 Protocollo

E’ stata preparata la retta di taratura, realizzata in doppio, con il bianco e gli standards di albumina a concentrazione crescente. (Tabella1)

Tabella 1: Preparazione campioni retta di taratura per dosaggio DC Bio-Rad.

Il campione di saliva a concentrazione incognita è stato diluito 1:5 (16 μl di H2O e 4 μl di campione) e anch’esso analizzato in doppio. Per alcuni campioni è stato necessario effettuare una diluizione 1:4 e 1:3.

Al bianco, agli standards e ai campioni sono stati aggiunti 100 μl della soluzione A* (20 μl di REAGENTE S con 1000 μl di REAGENTE A) e 800 μl di REAGENTE B, vortexando dopo l’aggiunta di ciascuna soluzione.

I campioni per la retta di taratura e quelli incognito sono stati lasciati in incubazione per 30 minuti a temperatura ambiente e successivamente è stata letta l’assorbanza dei campioni mediante spettrofotometro UV/Vis, alla lunghezza d’onda di 750 nm.

H₂O mQ (μl) BSA (μl) [BSA](mg/μl) μg BSA

Bianco 20 / 0 0 1 17 3 0,3 6 2 14 6 0,6 12 3 8 12 1,2 24 4 2 18 1,8 36 5 / 20 2 40

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La retta di taratura, ottenuta con concentrazioni note di BSA (standard), ha consentito di ricavare dai dati di assorbanza dei campioni, le relative concentrazioni di proteine, basandosi sulla legge di Lambert-Beer, che stabilisce una proporzionalità diretta tra assorbanza e concentrazione proteica di una soluzione, e che graficamente assume un andamento rettilineo.

x fattore di diluizione =

2.4.2 Preparazione campioni

Si preparano le soluzioni da caricare nei pozzetti, tutte diluite in Laemmli Buffer per favorire la denaturazione delle proteine (upper Buffer, SDS 20%, glicerolo, H2O milliQ, β-mercaptoetanolo). Nel nostro caso, per la saliva abbiamo solubilizzato un volume equivalente a:

- 20μg per quanto riguarda il riconoscimento di S100A9 e IGHG1; - 4μg per il riconoscimento di IGKC;

- 2μg per IGHA1; - 10μg per IGLC2;

Per il siero invece sono state preparate queste diluizioni finali in Laemmli:

- 1:5000 per IGKC - 1:2000 per IGHA1

mg ml

(lettura campione – lettura bianco) coefficiente angolare

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27

- 1:1000 per IGLC2 e IGHG1

Anche gli standard (Biotinilated Protein Ladder) sono stati solubilizzati nel Laemmli buffer fino ad un volume di 6 μl.

I campioni quindi sono stati bolliti per 5minuti.

2.4.3 Elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio-dodecil-solfato (SDS-PAGE)

I gel di acrilammide sono stati preparati facendo copolimerizzare

l’acrilammide in presenza di piccole quantità di

N,N’metilenbisacrilammide (due molecole di acrilammide unite da un gruppo metilenico) in modo da ottenere un gel a struttura ben definita grazie alla formazione di legami crociati tra la bisacrilammide e l’acrilammide; alla soluzione di acrilammide e bisacrilammide è stato aggiunto il catalizzatore della reazione, la N,N,N’,N’-tetrametiletilendiammina (TEMED), e un iniziatore della reazione, il persolfato di ammonio (APS). La reazione è una polimerizzazione radicalica: il TEMED decompone l'APS dando origine ad un radicale libero che si lega ad una molecola di acrilammide innescando la polimerizzazione.

I gel da 0,75 mm sono composti da due porzioni: dal running gel, in cui avviene la separazione vera e propria delle proteine, e dallo stacking gel, dove vengono creati i pozzetti per caricare i campioni.

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Si prepara prima il running gel (Tabella2):

Tabella 2: Preparazione del running gel al 12% per SDS-PAGE.

Il running gel viene colato tra i due vetri con un'altezza di circa 10 cm, e viene poi ricoperto con uno strato di butanolo (150μl) per evitare il contatto con l’aria durante la polimerizzazione.

Nel frattempo viene preparato lo stacking gel (Tabella 3):

Stacking gel 5% (5ml) Sostanza Volume H₂O 3,4 30% Acrylamide mix 0,83 0.5 M Tris (pH 6.8) 0,63 10% SDS 0,05 10% APS 0,05 TEMED 0,005

Tabella 3: Preparazione dello stacking gel al 5% per SDS-PAGE Running gel 12% (15ml) Sostanza Volume (ml) H₂O mQ 4,9 30% acrylamide mix 3,8 1,5 M Tris (pH 8.8) 6 10% SDS 0,15 10% APS 0,15 TEMED 0,006

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Una volta polimerizzato il running gel, viene lavato via il butanolo, colato lo stacking gel, alto circa 1 cm, e inserito un pettinino da 0,75 mm tra i due vetri, per la creazione dei pozzetti.

La corsa elettroforetica è stata eseguita utilizzando come tampone di corsa il running buffer 1X, ottenuto dalla diluizione del running buffer 10X (Tris 25 mM, glicina 192 mM e SDS 0,1%, H2O a volume).

L’elettroforesi è stata effettuata mantenendo un voltaggio costante durante tutta la durata della corsa e variando l'amperaggio: i primi quindici minuti è stato impostato un amperaggio di 8 mA per ogni gel e poi è stato aumentato a 20 mA per gel.

La corsa viene interrotta quando la linea colorata blu dei campioni raggiunge la parte opposta del gel.

Il tempo della corsa elettroforetica e di circa 50minuti/1 ora.

2.4.4 Western Blot

Una volta terminata la corsa, è stato effettuato il trasferimento delle proteine su di una membrana di nitrocellulosa (0.2 μm) mediante Trans-Blot Turbo, transfer system (BIO-RAD).

Il meccanismo è simile a quello della corsa elettroforetica: applicando un campo elettrico in cui il gel è più vicino al catodo e la nitrocellulosa all’anodo, le proteine (caricate negativamente per la presenza di SDS) dal gel si trasferiscono al foglietto di nitrocellulosa. (Figura 4)

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Figura 4: Schematizzazione procedura di trasferimento su membrana di nitrocellulosa

Viene impostata una differenza di potenziale di 25V per 7 minuti.

2.4.5 Blocking

La fase di blocking di legami non specifici è raggiunta ponendo la membrana in una soluzione chiamata PBS/latte/Tween (latte in polvere povero in grassi al 3%, PBS (10 mM NaH₂PO4, pH 7.4, 0.9% NaCl, H₂O a volume) e Tween 20 allo 0.2% (v/v)). La proteina del latte nella soluzione diluita attecchisce alla membrana in tutti i punti dove le proteine bersaglio non hanno attecchito. Questo permette, quando è aggiunto l’anticorpo, di non avere spazio sulla membrana per esso, perché già occupati dalla proteina specifica. Ciò

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riduce il "rumore" nel prodotto finale, portando risultati più puliti, e eliminando falsi positivi.

2.4.6 Legame con anticorpo primario

Dopo un’ora di incubazione le membrane di nitrocellulosa vengono fatte incubare con un anticorpo primario, specifico per la proteina da ricercare e adeguatamente diluito in una certa quantità di latte, per la durata di una notte in camera fredda.

Gli anticorpi primari utilizzati sono:

- IGKC (rabbit) 1:1000

- S100A9 (goat) 1:200

- IGHA1(rabbit) 1:500

- IGHG1(rabbit) 1:5000

- IGLC2 (mouse) 1:1000

2.4.7 Legame con anticorpo secondario

L’anticorpo non legato viene rimosso mediante quattro lavaggi con PBS/milk/Tween; l’anticorpo legato, o meglio il complesso antigene-anticorpo, presente sulla membrana, viene evidenziato utilizzando un anticorpo secondario, diretto contro l’anticorpo primario e marcato con una perossidasi (HRP, perossidasi del rafano), lasciandolo incubare per 1 ora.

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Gli anticorpi secondari utilizzati sono:

- Antirabbit 1:10000

- Antimouse 1:10000

- Antigoat 1:5000

- Antibiotina 1:5000 (per legare e far visualizzare la biotina presente nello standard).

Tolto l’anticorpo secondario si effettuano altri 4 lavaggi con PBS/Milk/Tween per 10 minuti;

2 lavaggi con PBS per 5 minuti; 1 lavaggio con H2O per 1 minuto.

L’ultima fase è quindi la rilevazione delle bande con un sistema ottico ed eventualmente la loro misura densitometrica per ottenere una stima semiquantitativa dell’abbondanza relativa delle bande. Il sistema oggi più comunemente impiegato è quello della chemiluminescenza (enhanced chemiluminescence, ECL) che sfrutta sistemi in cui il prodotto luminescente è visualizzato direttamente con un sistema combinato di cattura e analisi dell’immagine mediante una macchina fotografica digitale.

La membrana viene incubata per 1 minuto con il Luminolo in presenza di un agente ossidante in modo che riveli le proteine. (Figura 5)

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Figura 5: Metodo di rilevazione dei legami proteina-anticorpo

L’ossidante inorganico che viene aggiunto al luminolo va ad attivare la perossidasi coniugata all’anticorpo secondario, convertendo il luminolo in una sostanza che emette luce.

La quantità di luminescenza sarà proporzionale alla quantità del secondario, quindi alla quantità della proteina che stiamo cercando. L’immagine viene acquisita utilizzando lo strumento “ImageQuant LAS 4000” (GE-Healthcare). L’analisi è stata effettutata con il software “ImageQuant TL”.

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Capitolo 3

Risultati e Discussione

Questo progetto di tesi intende fornire uno studio preliminare su proteine salivari che possano risultare interessanti per la diagnosi del tumore di Warthin. Questo tipo di tumore benigno parotideo presenta una bassa frequenza, circa il 6-10% tra i tumori delle ghiandole salivari, mentre nella maggior parte dei pazienti si riscontra l’altro tipo di tumore benigno, l’adenoma pleomorfo. Questa situazione si riflette in pratica nella scarsa disponibilità di campioni per l’analisi. Poiché i tumori di Warthin sono molto meno rappresentati degli adenomi, ottenere un numero di campioni tale da portare a risultati statisticamente significativi costituisce un’ardua sfida.

Il tumore di Warthin è stato descritto per la prima volta da Hildebrand nel 1895, ma la figura che più di ogni altra ha contribuito alla descrizione della lesione è Aldred Scott Warthin, il patologo che ha dato il nome a questo tipo di neoplasia. In letteratura viene riferito che il WT è caratterizzato da una forte reazione immunologica. Infatti Daguci e collaboratori hanno riportato la presenza di cellule B (CD-20), NK (CD56) e cellule T (CD3), compresi i sottotipi helper (CD4) e soppressori (CD8) nello stroma del tumore [56].

Questi aspetti istologici e citoarchitettonici sono in linea col profilo proteomico emerso dallo studio svolto in precedenza in questo gruppo di ricerca, in cui sono state trovate molte proteine relative alla risposta immunitaria. In particolare, è stata descritta la

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sovraespressione di IGHG1, IGKC e IGHA1, probabilmente indotte da qualche mediatore infiammatorio come il TNF, tumor necrosis factor.

Il nostro lavoro di tesi si prefigge l’obiettivo di individuare, in un numero ristretto di campioni di saliva, eventuali differenze di espressione di proteine chiave, già riscontrate differenzialmente espresse negli aghi aspirati provenienti dalle parotidi dei pazienti. Abbiamo svolto quindi un’analisi comparativa delle salive di pazienti con adenoma pleomorfo (PA) e tumore di Warthin (WT), al fine di confermare la presenza di questi biomarcatori, individuati a livello dell’ago aspirato parotideo, in altri fluidi biologici e validarne il possibile uso nella diagnosi differenziale preoperatoria. La sostituzione di campioni di ago aspirato con campioni di saliva costituirebbe una maggiore facilità di prelievo e accettazione del paziente, nonché maggior semplicità di manipolazione da parte degli operatori sanitari.

Sono state analizzate tutte le salive dei pazienti che presentavano gli istotipi benigni (PA e WT) e per ogni proteina testata è stata determinata la densità ottica della banda immunoreattiva specifica, comparando i valori medi ± errore standard di misura (SEM). L’analisi statistica utilizzata per validare la significatività della differenza di densità tra le bande immunoreattive dei tumori di Warthin rispetto a quelle di adenoma è stata attuata mediante il test di Student. Grazie alla disponibilità dei campioni, le proteine sono state testate anche sui sieri prelevati dai pazienti nella sede pre-operatoria.

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Per quanto riguarda gli anticorpi testati sulla saliva, si riscontra una significativa differenza di espressione per IGKC (*p value 0.05) (Figura 6) e in particolare per IGLC2 (***p value 0.0009) (Figura 7). IGHA1 pare non distinguere tra adenoma e Warthin (Figura 8), mentre per IGHG1 (Figura 9) e S100A9 (Figura 10) esiste una tendenza all’aumento nei campioni di saliva con WT rispetto ai PA.

Figure 6: Validazione di IGKC sulla saliva tramite WB. Il grafico a barre mostra la

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Figura 7: Validazione di IGLC2 sulla saliva tramite WB. Il grafico a barre mostra la

media ± SEM dei valori OD.

Figura 8: Validazione di IGHA1 sulla saliva tramite WB. Il grafico a barre mostra la

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Figura 9: Validazione di IGHG1 sulla saliva tramite WB. Il grafico a barre mostra la

media ± SEM dei valori OD.

Figura 10: Validazione di S100A9 sulla saliva tramite WB. Il grafico a barre mostra la

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Spostando l’attenzione sul siero, la differenza di espressione tra WT e PA per IGLC2 (Figura 11) e IGHG1 (Figura 12) viene mantenuta, ma perde in significatività. La situazione si ribalta invece per IGKC (Figure 13) e IGHA1 (Figura 14), che presentano un aumento di espressione nei campioni di adenoma rispetto al Warthin.

Figura 11: Validazione di IGLC2 sul siero tramite WB. Il grafico a barre mostra la

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Figura 12: Validazione di IGHG1 sul siero tramite WB. Il grafico a barre mostra la

media ± SEM dei valori OD.

Figura 13: Validazione di IGKC sul siero tramite WB. Il grafico a barre mostra la media

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Figura 14: Validazione di IGHA1 sul siero tramite WB. Il grafico a barre mostra la

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Conclusione

Riflettendo su questi dati, possiamo però ricordare che nel siero convergono vari tipi di modificazione dei livelli di immunoglobuline, derivanti da diverse situazioni presenti nell’organismo, quindi le differenze riscontrate nei campioni di ago aspirato e nelle salive vengono mediate e perdono il loro ruolo di indicatori di una condizione patologica specifica. Questi risultati ci portano a concludere che l’utilizzo del siero come campione diagnostico non risulta adatto per la ricerca di questi specifici biomarcatori.

I nostri risultati sottolineano l’utilità dell’approccio proteomico per studiare i tumori parotidei e più in particolare come le proteine upregolate nel WT siano specificamente coinvolte negli eventi infiammatori e immunitari. Questa differente caratteristica potrebbe essere molto utile nella diagnosi differenziale di tumori benigni parotidei. Infatti l’identificazione di nuovi marcatori può migliorare il lavoro clinico consentendo una più specifica diagnosi e conseguentemente un trattamento clinico appropriato di pazienti con lesioni parotidee.

Ovviamente nel futuro di questo lavoro lo scopo sarà quello di aumentare il numero di campioni di saliva per confermare le evidenze già indagate e per verificare se anche le altre proteine, di cui abbiamo osservato una tendenza all’aumento nei tumori di Warthin rispetto all’adenoma pleomorfo, possano essere incluse nel pannello dei marcatori della patologia.

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