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Analisi delle percezioni relative all’inquinamento atmosferico e allo scandalo sulle emissioni noto come “dieselgate”: un’indagine empirica

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale

in Marketing e Ricerche di Mercato

Analisi delle percezioni relative all’inquinamento

atmosferico e allo scandalo sulle emissioni noto come

“dieselgate”: un’indagine empirica

Relatore:

Prof. Lucio Masserini

Candidato:

Riccardo Berogna

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INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO 1 CENNI STORICI E DIFFUSIONE DELL’AUTOMOBILE ... 5

1.1 La storia dell’automobile ... 5

1.2 Diffusione dell’automobile in Italia ... 7

1.3 Evoluzione del mercato in Italia ... 10

CAPITOLO 2 L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO ... 15

2.1 Nozioni generali sull’inquinamento atmosferico ... 15

2.1.1 Inquinanti di origine naturale ... 16

2.1.2 Inquinanti di origine antropica ... 17

2.2 Inquinamento dovuto al traffico veicolare ... 18

2.3 Impatto ambientale dei trasporti stradali e degli altri fattori inquinanti ... 22

CAPITOLO 3 LO SCANDALO SULLE EMISSIONI INQUINANTI NOTO COME “DIESELGATE” ... 25

3.1 Volkswagen sotto accusa negli Stati Uniti ... 25

3.1.1 Lo scandalo arriva anche in Italia ... 27

3.2 Ripercussioni dello scandalo sull’ambiente ... 27

3.3 Atteggiamenti degli automobilisti in merito all’inquinamento ... 30

CAPITOLO 4 INDAGINE EMPIRICA ... 33

4.1 Obiettivi della ricerca ... 33

4.2 Strumento di ricerca ... 33

4.3 Metodo di somministrazione e campionamento ... 35

CAPITOLO 5 ANALISI DEI RISULTATI ... 36

5.1 Associazione tra variabili qualitative e test di ipotesi ... 36

5.2 Analisi dei gruppi ... 40

5.2.1 Metodi gerarchici agglomerativi ... 40

5.2.2 Metodi non gerarchici ... 43

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5.4 Analisi descrittive del questionario ... 47

5.4.1 Sezione A del questionario: percezioni sull’inquinamento atmosferico ... 48

5.4.2 Sezione B: rapporto degli individui con l’automobile ... 50

5.4.3 Sezione C: lo scandalo sulle emissioni “dieselgate” ... 53

5.5 Suddivisione del campione in gruppi ... 60

5.5.1 Partizioni ottenute con i metodi gerarchici ... 61

5.5.2 Partizioni ottenute con i metodi non gerarchici ... 66

5.6 Risultati derivati dal modello di regressione logistica ... 69

CONCLUSIONI ... 73

BIBLIOGRAFIA ... 75

SITOGRAFIA ... 76

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INTRODUZIONE

La qualità dell’aria è un tema fortemente correlato con il settore dell’auto, e nel corso degli anni si è assistito ad una rincorsa verso la massima pulizia ed efficienza dei motori. Questo perché in un mercato con molti competitor le case automobilistiche cercano di conquistare un numero sempre maggiore di clienti offrendo loro il miglior prodotto sulla piazza in termini di impatto ambientale e consumi di carburante, ma soprattutto perché le normative antinquinamento decise dalle istituzioni diventano sempre più severe. Negli ultimi tempi si sono infatti presentate non poche difficoltà per le case automobilistiche, sia tecnologiche che economiche, e tali difficoltà hanno addirittura portato il gruppo Volkswagen a ricorrere a delle manomissioni alle centraline dei propri motori diesel per aggirare le normative, dando vita allo scandalo noto come “dieselgate”.

L’obiettivo di questo elaborato è di analizzare le percezioni degli automobilisti, rilevate attraverso la somministrazione di un questionario, relative all’inquinamento atmosferico e alle conseguenze che il “dieselgate” può comportare per il loro rapporto con l’automobile. Il lavoro è così strutturato: il primo capitolo fornisce un’introduzione al settore automobilistico, partendo da una breve storia dell’automobile e ripercorrendo le fasi di diffusione dell’auto in Italia, con particolare riferimento agli ultimi anni. La seconda parte illustra il tema dell’inquinamento atmosferico, prima con nozioni generali e successivamente analizzando l’incidenza dei trasporti stradali sulla qualità dell’aria. Il terzo capitolo esamina gli eventi che hanno portato alla vicenda in cui è coinvolta Volkswagen, con riferimento anche all’impatto ambientale che lo scandalo ha comportato, e gli atteggiamenti degli automobilisti riguardo l’inquinamento causato dalle automobili. Il quarto capitolo descrive gli obiettivi della ricerca, lo strumento utilizzato per effettuarla e il metodo di somministrazione, unito alla descrizione del campione ottenuto. Infine, il quinto e ultimo capitolo mostra i risultati delle analisi svolte, provvedendo anche a spiegare nel dettaglio le metodologie statistiche utilizzate.

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CAPITOLO 1 CENNI STORICI E DIFFUSIONE

DELL’AUTOMOBILE

Per comprendere al meglio l’importanza del settore automobilistico nell’economia di un paese è utile ripercorrere la storia dell’automobile, che fin dalla sua invenzione ha profondamente trasformato la società nelle quali si è diffusa. Non si può tuttavia parlare d'invenzione dell'automobile, nel senso stretto del termine, perché essa è il frutto degli sforzi congiunti o isolati di molti volenterosi e geniali, ma spesso sfortunati, inventori. La storia dell'automobile, pertanto, sarà seguita grazie a www.sapere.it attraverso le tappe con le quali tale veicolo semovente, sognato per secoli dall'uomo, venne via via perfezionandosi, a partire dai rudimentali tricicli a motore dell'ultimo quarto del XIX secolo, fino ad assumere la fisionomia attuale.

1.1 La storia dell’automobile

L’automobile, intesa come veicolo a quattro ruote mossa da un motore, ha poco più di cento anni, ma l’idea di realizzarla è antichissima. I primi prototipi avveniristici delle moderne autovetture risalgono addirittura all’epoca rinascimentale quando, nel 1478, Leonardo Da Vinci progetta il “carro semovente” recentemente riprodotto che, sebbene per pochi metri, si muove autonomamente attraverso un sistema di molle. Con l’avvento della Rivoluzione Industriale, furono in molti a cercare di realizzare un mezzo per il trasporto di merci e persone che non si muovesse grazie al traino degli animali. Il problema dei vari scienziati fu quello di costruire uno strumento capace di trasformare in energia meccanica il calore prodotto dalla combustione di materiali solidi e liquidi. Nel 1769 il francese Nicolas J. Cugnot riuscì ad applicare il motore a vapore su un carro e a farlo muovere creando quello che può essere definito il primo veicolo semovente della storia. Durante il XIX secolo il motore a vapore si perfezionò, ma il suo peso era così elevato che fu applicato soltanto a dei mezzi grossi o a delle pesanti locomotive o navi.

Nel 1858 fu costruito e brevettato da due italiani, Eugenio Borsanti e Filippo Matteucci, quello che può essere considerato il primo motore a benzina; esso era però privo della fase di compressione, cioè la miscela veniva accesa senza essere compressa, attuando così cicli di funzionamento a tre tempi. Tale idea italiana venne ripresa e perfezionata dal tedesco Nikolaus Otto che inventò il motore con un ciclo a quattro tempi.

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6 La prima applicazione dei motori a combustione interna ad un veicolo arrivò venti anni dopo quando i tedeschi Daimler e Benz presentarono un quattro ruote e un triciclo a motore. Benz si accorse subito che per superare con i suoi tricicli la strada in salita era necessario aumentare il numero di giri del motore e diminuire quelli delle ruote, e così nacquero i primi cambi di velocità. Daimler costruì i primi motori a cilindri disposti a “V”, molto più leggeri dei precedenti e perfezionò poi il sistema di accensione e il carburatore. La potenza di questa macchina era di circa un cavallo e raggiungeva la “folle” velocità massima di 15 km orari.

In Italia nel 1883 il professore Enrico Bernardi realizzò un motore a benzina: perfezionò il carburatore, introdusse la lubrificazione automatica degli organi in movimento e fece circolare l’acqua intorno ai cilindri per evitare che si surriscaldassero. Benz e Daimler vendettero i loro brevetti a tutto il mondo; così nacquero in tutta Europa e in America numerose case, alcune delle quali tuttora continuano la loro produzione (Peugeot, Renault, Fiat ecc.).

Negli Stati Uniti l’automobile ebbe uno sviluppo ancora più rapido: la marca più antica è sicuramente la Oldsmobile di Detroit. Questa azienda venne acquistata da William Crapo Durand per formare la General Motors.

Nel 1903 un meccanico del Michigan, di nome Henry Ford, fonda la Ford Motor Company. A lui si deve la costruzione dell’automobile più diffusa del mondo (fino alla Seconda Guerra Mondiale), la Ford modello T, prodotta in più di 15.000.000 di esemplari con il nuovo sistema della catena di montaggio. In America, grazie anche al modello T, l’automobile iniziò a diffondersi fra le famiglie meno facoltose, mentre in Europa continuava a rimanere molto costosa e un bene di lusso.

Fra il 1920 e il 1930 le case automobilistiche Europee si dedicarono alla progettazione e costruzione di vetture “utilitarie”, robuste e a basso costo: l’Austin Seven in Inghilterra, la Renault MA in Francia, la Adreel Trumph in Germania e la Fiat Balilla in Italia. Dal 1930 al 1940 inizia l’epoca d’oro per l’automobile che raggiunse il massimo della perfezione, della tecnica e dell’eleganza. In Europa si affermò la trazione anteriore ed in seguito la carrozzeria senza telaio.

Dopo la Seconda Guerra mondale, i motori divennero sempre più piccoli, con potenze elevate anche nelle cilindrate più ridotte. La forma della carrozzeria cambia, diventa bassa e larga, con le ruote sempre più piccole e la trazione torna ad essere posteriore. Nel 1950 siamo nel periodo della motorizzazione di massa in cui l’auto cessa di essere un oggetto esclusivamente di lusso. Abitacoli sempre più luminosi e spaziosi, freni a disco e i primi

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7 tergicristalli. Vengono prodotti il Maggiolino VW in Germania, la Renault 4CV in Francia, la Austin Mini in Inghilterra, la 500 e la 600 in Italia.

Il boom economico degli anni ’50 e ’60 corrisponde anche a quello dell’automobile: è l’epoca delle utilitarie, delle spider e delle coupè. L’auto in questi anni entra nel mito e nei sogni dell’uomo, e le campagne pro-auto coinvolgono anche tanti attori del cinema, con James Dean a rappresentare l’esempio più lampante.

1.2 Diffusione dell’automobile in Italia

L’industria automobilistica italiana ha origine nelle piccole aziende familiari che negli ultimi anni dell’800 producevano auto artigianalmente in base a propri progetti. Nel 1899 nasce la “società anonima Fabbrica italiana di Automobili Torino” (FIAT) che nel 1900 inizia la sua produzione con 24 auto prodotte in un anno. Con l’avvento della Prima Guerra Mondiale, molte piccole aziende vennero assorbite dalla Fiat che diventa un unico grande produttore italiano.

L’industria automobilistica continuò la sua crescita, che raggiunse l’apice con il periodo fascista nel quale si capì l’importanza dei veicoli motorizzati. Tutto ciò a fronte di gravi deficit di bilancio dovuti ai costi della guerra e le proteste da parte dei sindacati per ottenere condizioni migliori a livello lavorativo ed economico. A causa della produzione troppo costosa che comportò prezzi elevati, l’auto rimase un prodotto accessibile a pochi. L’idea di “auto di massa” iniziò dopo la “Grande crisi” quando nacque la FIAT Balilla, capostipite dei modelli a basso costo, seguita dall’utilitaria Topolino nel 1936 il cui prezzo non superava le 9.000 lire.

Così come avvenne durante la Prima Guerra Mondiale, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale costrinse le case automobilistiche italiane a convertire la loro produzione a fini bellici, ma l’evoluzione tecnica raggiunta in questo periodo permise l’utilizzo dei veicoli motorizzati da inviare al fronte, mezzi corazzati e autoblindo, oltre che al loro utilizzo per il trasporto di truppe, armamenti e viveri. Questo diede la possibilità, soprattutto alle imprese affermate nel settore automobilistico ma anche a piccole aziende come la Ansaldo, di effettuare enormi passi in avanti in termini di avanguardia tecnologica grazie alle richieste dell’esercito italiano e alla concorrenza degli altri eserciti impegnati nel conflitto.

La guerra permise quindi al settore industriale automobilistico italiano di studiare le tecnologie sviluppate da altre aziende straniere ai propri mezzi, per poi poterle applicare ai vari

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8 progetti che molte case automobilistiche dell’epoca proposero al Regio Esercito Italiano; come la sopracitata Ansaldo, che propose molti progetti di veicoli specifici per l’uso militare e a differenza di FIAT che fu impegnata nella produzione di carri armati, camion, motori nautici ed aerei, sempre per il Regio Esercito Italiano. Il periodo del secondo conflitto mondiale vide i produttori di autoveicoli molto impegnati nel loro settore e nel settore bellico e ciò rese possibile la loro stabilità durante gli anni di guerra, ma il periodo post-bellico comportò il fallimento di aziende che non riuscirono a riconvertire la loro produzione a causa di impossibilità economiche; tale fatto non impedì però all’industria dell’auto, negli anni del dopoguerra, di imporsi come settore trainante dell’economia del paese.

Gli anni del dopoguerra furono caratterizzati dalla ricostruzione del paese uscito in disfatta dal conflitto e da una occupazione massiccia da parte della Germania al nord e degli Stati Uniti nel centro e al sud; c’era il bisogno di dare un nuovo impulso all’industrializzazione per rilanciare l’economia e le risorse finanziarie necessarie arrivarono grazie al piano Marshall, che consisteva in un grande aiuto monetario da parte degli Stati Uniti verso quei paesi deteriorati dalla guerra e considerati strategicamente importanti dal punto di vista economico degli scambi commerciali e dal punto di vista bellico, in uno scenario di tensione fra le due maggiori potenze mondiali quali USA e URSS.

L’aiuto ricevuto dall’Italia e la grande forza di volontà del paese permise negli anni ’50 di entrare verso un periodo florido per l’economia, un periodo di aumento vertiginoso dei consumi con un conseguente miglioramento della vita; sono gli anni del “miracolo economico”, durante i quali il settore industriale dell’auto diviene la colonna portante dell’industria italiana. I cittadini ora possono permettersi un’auto e vedono nell’automobile non solo uno strumento per spostarsi in modo più veloce, ma anche un “oggetto” del desiderio, uno status symbol del cambiamento sociale. Quel prodotto commerciale destinato all’uso militare, lavorativo e ad un pubblico ristretto, divenne un prodotto che tutti possono utilizzare ogni giorno per ogni disparata attività.

Il governo, negli anni ’50 e ’60, incentivò la costruzione di infrastrutture per collegare un’Italia sempre più “motorizzata” e nacquero le prime autostrade di nuova concezione, dopo quelle costruite durante il Fascismo, come la Milano – Napoli, l’autostrada del sole; le imprese industriali produttrici di auto lanciarono sul mercato sempre più “utilitarie”, come la 600 e soprattutto la 500, prodotte dall’azienda torinese FIAT, che divennero poi il simbolo del miracolo economico Italiano.

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9 L’industria italiana delle auto risultò essere sempre più conosciuta e vide un periodo di espansione entusiasmante guidata dall’eccellenza del design e delle auto sportive made in Italy: infatti, dalla fine degli anni ’40, iniziarono a entrare nel mercato italiano e mondiale auto ancora oggi simbolo di eccellenza sportiva, tecnologica e stilistica come la Ferrari e la Lamborghini, nate dall’iniziativa di facoltosi industriali e grandi appassionati che vollero cimentarsi in un settore in continua espansione. L’industria automobilistica italiana, dunque, durante gli anni floridi del “boom economico” divenne un settore estremamente importante per l’economia del paese, ma non solo; questo settore industriale, portò il nome dell’Italia nel mondo tramite piccole aziende specializzate nella creazione di speciali carrozzerie applicate ai prodotti dei grandi marchi mondiali, come Zagato, Bertone e Pininfarina, che grazie all’enorme sviluppo del mercato mondiale dell’auto aiutarono l’industria italiana ad esportare sia i prodotti delle marche nostrane, sia l’eccellenza del design italiano, tenendo alto l’orgoglio e il nome dell’intera industria italiana.

Gli anni che vanno dal termine del miracolo economico fino ai giorni nostri hanno visto l’industria dell’auto evolversi costantemente ed avere un impatto sociale estremamente importante sul piano dei trasporti, dello sport e della tecnologia; l’auto ha permesso agli italiani di spostarsi in modo sempre più veloce, comodo e sicuro e anche di rendersi orgogliosi della propria industria automobilistica grazie a successi sportivi nelle più svariate discipline automobilistiche, dai rally alla Formula 1.

Negli gli anni seguenti l’aumento dei consumi, l’industria dell’auto rimase stabilmente al vertice dell’industria italiana e mantenne per anni il ruolo di colonna portante dell’economia, anche se oggigiorno vi sono altri settori industriali capaci di concorrere con la forte espansione del settore automobilistico, e la grande concorrenza dei produttori tedeschi e giapponesi ha portato l’industria dell’auto italiana a stabilizzarsi nel mercato, dovendo poi ricorrere anche ad aiuti statali nei periodi di crisi recenti di mercato; quest’ultimo fatto esprime l’importanza dell’industria automobilistica sia sotto il punto di vista economico ma anche, e soprattutto, da un punto di vista sociale di orgoglio nazionale.

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1.3 Evoluzione del mercato in Italia

Come già accennato, il periodo post-conflitto mondiale è stato caratterizzato da una rapida espansione del settore automobilistico in Italia, passando dalle 7.391 vetture immatricolate nel 1946 alle 1.194.424 nel 1978, pur attraversando anche lo shock petrolifero del 1974. Successivamente il mercato italiano dell’auto è stato caratterizzato da 3 crisi profonde: nel 1983, a causa della stagnazione economica e di un alto tasso di inflazione, il mercato ha avuto un calo improvviso di 400.000 unità (-21,6%) ed ha impiegato 4 anni a tornare ai valori ante crisi; dieci anni dopo, nel 1993, l’auto ha avuto una crisi ancora più acuta in coincidenza con la svalutazione della lira, il prelievo forzoso sui conti correnti e la crisi del terziario, con un calo del mercato di 686.000 unità (-28,8%). Anche questa crisi è durata 4 anni e se ne uscì solo grazie agli incentivi alla rottamazione.

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11 Nel periodo 1997 – 2007 il mercato è rimasto sostanzialmente stabile attorno ad un valore medio di 2,3 milioni di vetture immatricolate per poi cominciare a calare nel 2008, anno di inizio della recente crisi economica. Tale crisi si acuisce al tempo delle due manovre fiscali (Manovra Estiva 2011, Governo Berlusconi e Manovra Salva Italia novembre 2011, Governo Monti), vede il suo momento peggiore nel 2013 con una diminuzione di 1.189.361 immatricolazioni (-47,7%) rispetto al 2007 e un periodo di calo a doppia cifra di 15 lunghissimi mesi, andando poi a ridursi solo per l’effetto del confronto con la fase acuta della crisi. L’inversione di tendenza del mercato comincia a dicembre 2013, continua nel 2014 con alcune fasi di rallentamento della crescita, per poi consolidarsi nel 2015 con buone sequenze a doppia cifra positiva, anche se i volumi realizzati riportano indietro a quelli del 1984.

Analizzando le immatricolazioni di automobili per tipologia di alimentazione, si può notare come la crisi economica e l’aumento dei prezzi del carburante abbiano determinato un aumento della domanda delle motorizzazioni alternative a quelle convenzionali diesel e benzina, soprattutto a scapito delle seconde. Infatti dal 2011 al 2014 le auto a benzina sono calate da 683.942 a 393.977 unità, e la loro quota rispetto al totale è diminuita dal 39,1% al 29,0%.

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12 Il generalizzato calo dei consumi di carburante e la riduzione delle percorrenze medie hanno progressivamente eroso la quota dei modelli a benzina, che si è ripresa nel 2015 prevalentemente per “l’effetto inflottamento del noleggio” e per la riduzione dei prezzi dei carburanti tradizionali.

Per quanto riguarda invece le automobili diesel, la crisi economica ha avuto un effetto meno traumatico, e complici i corposi acquisti nel canale noleggio a lungo e breve termine, le vendite di queste motorizzazioni hanno recuperato la loro rappresentatività che le ha riportate ai livelli del 2011, sopra il 55% di quota, anche se con volumi inferiori.

Figura 3 Immatricolazioni: alimentazione Diesel. Fonte: Elaborazione Centro Studi UNRAE

Analizzando invece le alimentazioni alternative, il GPL si distingue per un aumento dal 3,2% al 9,2% della quota e da 55.827 a 128.834 vetture tra il 2011 e il 2012, per poi vederle pressoché stabilizzate negli anni seguenti. Nel 2015, a fronte di un volume di vendite di questa tipologia di carburante in linea con quelli precedenti, si è verificato un calo della quota al 7,7%, persa in favore principalmente dei motori a benzina. Il calo del costo dei carburanti sembra quindi aver fatto ridurre la ricerca spinta dell’economia.

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Figura 4 Immatricolazioni: alimentazione GPL. Fonte: Elaborazione Centro Studi UNRAE

Anche l’alimentazione a metano ha visto un aumento delle immatricolazioni e della quota, ma a differenza del GPL è stato meno improvviso e più progressivo negli anni, passando da 38.307 nel 2011 a 72.386 vetture nel 2014, e dal 2,2% al 5,3% di quota nello stesso periodo. Anche in questo caso il 2015 ha visto diminuire sia i volumi che la quota, confermando ancora una volta che quando le condizioni del mercato migliorano, la domanda tende a scemare.

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14 Un tipo di alimentazione che invece sembra non essere correlato con la ricerca della massima economia è quella ibrida, per la quale si registra dal 2011 una crescita progressiva sia di quota che di volume, fino a raggiungere rispettivamente l’1,7% e le 26.114 vetture nel 2015.

Figura 6 Immatricolazioni: alimentazione Ibrida. Fonte: Elaborazione Centro Studi UNRAE

Infine, il mercato delle auto elettriche mostra un aumento graduale della domanda, che nel 2015 aumenta con una crescita superiore a quella del 2014, che era stata caratterizzata dagli incentivi BEC (Basse Emissioni Complessive). Tuttavia la quota delle vetture elettriche resta ancora sotto l’1% per l’irrisolta questione delle infrastrutture e del costo di acquisto elevato.

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CAPITOLO 2 L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO

Il tema dell’inquinamento atmosferico è strettamente collegato a quello dell’automobile, per via delle sostanze prodotte dai motori a combustione interna che vengono rilasciate nell’aria attraverso gli scarichi delle auto. A tal fine è opportuno definire il concetto di inquinamento e verificare l’impatto del settore automobilistico sulla qualità dell’aria, sia in termini di tipologia di sostanze emesse che di quantità rilasciate in atmosfera, operando anche un’analisi temporale ed un confronto con gli altri fattori definiti inquinanti.

2.1 Nozioni generali sull’inquinamento atmosferico

La descrizione dell’inquinamento e di tutte le sue caratteristiche è resa possibile grazie al sito web www.nonsoloaria.com, curato dal Dott. Davide Compagnin. L’inquinamento atmosferico può essere definito come la presenza in atmosfera di sostanze che causano un effetto misurabile sull’essere umano, sugli animali, sulla vegetazione o sui diversi materiali; di solito queste sostanze sono presenti nella normale composizione dell’aria ad una concentrazione inferiore, oppure non lo sono affatto.

È consuetudine distinguere due gruppi principali di inquinanti: quelli di origine antropica, cioè prodotti dall’uomo, e quelli naturali. I contaminanti atmosferici, possono anche essere classificati in primari, cioè liberati nell'ambiente come tali (come ad esempio il biossido di zolfo ed il monossido di azoto) e secondari (come l’ozono) che si formano successivamente in atmosfera attraverso reazioni chimico-fisiche. L’inquinamento causato da queste sostanze negli ambienti aperti viene definito esterno (o outdoor), mentre l’inquinamento nei luoghi chiusi, come gli edifici, viene indicato come inquinamento interno o indoor. La qualità dell’aria negli ambienti confinati viene infatti spesso indicata come Indoor Air Quality. La concentrazione degli inquinanti nell’aria è determinata da diversi fattori:

 dalla quantità dei contaminanti presenti nelle emissioni;  dal numero e dal concentramento delle sorgenti inquinanti;  dalla distanza dai punti di emissione;

 dalle trasformazioni chimico-fisiche alle quali sono sottoposte le sostanze emesse;  dalla eventuale velocità di ricaduta al suolo;

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16  dalle condizioni meteorologiche locali e su grande scala.

Ad influenzare maggiormente il trasporto e la diffusione atmosferica degli inquinanti su scala locale è l’intensità del vento; un ruolo notevole è svolto anche dalle precipitazioni atmosferiche che contribuiscono letteralmente a dilavare l’aria dai contaminanti presenti. Le zone più soggette ai fenomeni di inquinamento di solito sono quelle urbane ed industriali, soprattutto se si trovano in aree dove sono presenti dei naturali impedimenti alla circolazione dell’aria: ad esempio le valli chiuse da montagne, che presentano sempre problemi di ristagno per la ridotta ventilazione atmosferica; oppure allo stesso modo le aree localizzate in avvallamenti o depressioni del terreno. Finora sono stati catalogati circa 3.000 contaminanti dell’aria, prodotti per lo più da attività umane con i vari processi industriali, con l’utilizzo dei mezzi di trasporto o in altre circostanze. Le modalità di produzione e di liberazione dei vari inquinanti sono estremamente varie, allo stesso modo sono moltissime le variabili che possono intervenire nella loro diffusione in atmosfera.

2.1.1 Inquinanti di origine naturale

Anche se di norma è l’inquinamento originato dall’uomo quello che risulta più imputato nel peggioramento della qualità dell’aria, non bisogna dimenticare l’importanza dell’inquinamento di origine naturale. Vi sono infatti molte fonti di inquinanti naturali che talvolta assumono più rilevanza delle loro controparti di origine antropica.

Gli inquinanti naturali dell’aria sono sempre stati presenti nella storia dell’uomo. Le polveri e i vari gas emessi dai vulcani, dagli incendi delle foreste e dalla decomposizione dei composti organici entrano in atmosfera ad intervalli più o meno regolari e in qualche caso a livelli che possono causare degli effetti drammatici a carico del clima. In ogni caso bisogna sottolineare che gli inquinanti naturali non rappresentano necessariamente un serio problema come possono esserlo gli inquinanti generati dalle attività umane perché risultano spesso notevolmente meno pericolosi dei composti prodotti dall’uomo e non si concentrano mai sulle grandi città.

La maggior parte dei composti gassosi dell’aria costituisce parte dei cicli naturali, per questo gli ecosistemi sono in grado di mantenere l’equilibrio tra le varie parti del sistema. Comunque, l’introduzione di grandi quantità di composti addizionali può compromettere anche definitivamente i naturali cicli biochimici preesistenti. Dato che molto poco può essere fatto

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17 dall’uomo nei riguardi dell’inquinamento naturale, la maggior preoccupazione deve essere quella di ridurre le emissioni inquinanti prodotte dalle attività umane.

2.1.2 Inquinanti di origine antropica

Nel corso della storia l’uomo ha sempre utilizzato le risorse a propria disposizione in modo pressoché indiscriminato, senza curarsi minimamente delle particolari ricadute ambientali che poteva avere la sua presenza nell’ambito dei vari cicli naturali. La distruzione e l’inquinamento ambientale sono sempre andati di pari passo con l’evoluzione della cosiddetta civiltà. Un tempo la popolazione umana era comunque molto meno rappresentata e l’impatto ambientale risultava praticamente ininfluente, almeno in ambito globale. Ora, purtroppo, l’enorme incremento demografico e l’addensamento abitativo in alcune specifiche zone comporta un’azione inquinante a livello locale e mondiale notevolmente più elevata, estremamente preoccupante e spesso particolarmente nociva sia per l’uomo che per l’ambiente.

L’inquinamento atmosferico maggiore è quello che l’uomo produce per soddisfare le proprie necessità civili ed industriali. I vari processi di combustione utilizzati per cuocere i cibi, per riscaldarsi, per alimentare i veicoli a motore e i macchinari, producono gli inquinanti più diffusi. L’inquinamento dell’aria di origine antropogenica si sprigiona dalle grandi sorgenti fisse (industrie, impianti per la produzione di energia elettrica ed inceneritori); da piccole sorgenti fisse (impianti per il riscaldamento domestico) e da sorgenti mobili (il traffico veicolare). Molte di queste sorgenti sono strettamente legate alla produzione ed al consumo di energia.

L’uso di combustibili fossili per il riscaldamento domestico, in particolare di oli combustibili pesanti, di biomassa e di carbone è una fonte significativa di inquinamento ambientale di particolati e di biossido di zolfo, specialmente nelle regioni temperate (soprattutto in Cina ed Europa dell’Est). Anche il traffico contribuisce in gran parte alle emissioni di questi inquinanti nelle città caratterizzate da una grande congestione veicolare, e questo a causa della presenza di una sterminata serie di autoveicoli che utilizzano benzine ad alto tenore di zolfo (soprattutto in Asia). Nelle città dove viene ancora utilizzata la benzina con il piombo (l’ex benzina rossa), il traffico può contribuire per l’80-90% alla concentrazione atmosferica di questo pericoloso inquinante. Per quanto riguarda gli altri inquinanti principali è da sottolineare che nell’emissione di ozono e di composti organici volatili le sorgenti antropogeniche hanno

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18 un ruolo fondamentale tanto quanto quelle naturali; le combustioni in genere rappresentano la causa principale delle emissioni di ossido di azoto; i motori dei mezzi di trasporto rappresentano tipicamente la causa principale delle emissioni di monossido di carbonio.

Oltre alle sostanze che vengono prodotte a seguito dei vari processi di combustione, sono da segnalare tutti quegli inquinanti che vengono prodotti nel corso di particolari cicli tecnologici. Questi composti vengono liberati in quantità notevolmente inferiori e per questo risultano poco rilevanti come impatto globale a livello planetario; in ogni caso, sono spesso dotati di elevata tossicità, e la loro presenza è particolarmente importante a livello locale. La strategia di approccio è chiaramente diversa: gli specifici inquinanti di origine industriale sono infatti da ricercare non dopo la loro diffusione nell’ambiente (immissioni atmosferiche), ma al momento del loro rilascio (emissioni atmosferiche).

L’impatto degli inquinanti sull’uomo dipende dalla zona nella quale vengono prodotti e dalla loro dispersione. Le grandi sorgenti fisse, spesso distanti dai più grandi centri abitati, disperdono nell’aria a altezze elevate, mentre il riscaldamento domestico ed il traffico producono inquinanti che si liberano a livello del suolo in aree densamente abitate. Come conseguenza, le sorgenti mobili e quelle fisse di piccole dimensioni contribuiscono in modo maggiore all’inquinamento dell’aria nelle aree urbane e, di conseguenza, attentano alla salute pubblica molto di più di quanto non si potrebbe supporre facendo un semplice confronto quantitativo fra i vari tipi di emissioni.

2.2 Inquinamento dovuto al traffico veicolare

Come già accennato, il traffico veicolare contribuisce al peggioramento della qualità dell’aria attraverso i gas di scarico prodotti dalla combustione che avviene nei motori. Questi gas sono composti per la maggior parte da gas innocui come azoto (N2), vapore acqueo (H2O) e anidride carbonica (CO2), ossigeno (O2) e gas nobili. L’evoluzione tecnica avvenuta nel corso degli anni ha permesso di ridurre le sostanze nocive presenti nei gas di scarico che sono pericolose sia per l’uomo che per l’ambiente, fino all’1,1% nei motori a benzina e fino allo 0,2% nei motori diesel. Nello specifico si hanno:

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19  Monossido di carbonio (CO): è un gas incolore, inodore, infiammabile, e molto tossico. Si forma durante le combustioni delle sostanze organiche, quando sono incomplete per difetto di aria (cioè per mancanza di ossigeno). Gli effetti sull’ambiente sono da considerarsi trascurabili, mentre gli effetti sull’uomo sono particolarmente pericolosi. La sua pericolosità è dovuta alla formazione con l’emoglobina del sangue di un composto

fisiologicamente inattivo, la carbossiemoglobina, che impedisce l’ossigenazione dei tessuti. A basse concentrazioni provoca emicranie, debolezza diffusa, giramenti di testa; a concentrazioni maggiori può provocare esiti letali.

 Ossidi di azoto (NOX): pur essendo presenti in atmosfera diverse specie di ossidi di azoto, per quanto riguarda l’inquinamento dell’aria si fa quasi esclusivamente riferimento al termine NOX che sta ad indicare la somma pesata

del monossido di azoto (NO) e del biossido di azoto (NO2). L’ossido di azoto (NO) è un gas incolore, insapore ed inodore; è anche chiamato ossido nitrico. È prodotto soprattutto nel corso dei processi di combustione ad alta temperatura assieme al biossido di azoto (che costituisce meno del 5% degli NOX totali emessi). Viene poi ossidato in atmosfera dall’ossigeno e più rapidamente dall’ozono producendo biossido di azoto. La tossicità del monossido di azoto è limitata, al contrario di quella del biossido di azoto che risulta invece notevole. Il biossido di azoto è un gas tossico di colore giallo-rosso, dall’odore forte e pungente e con grande potere irritante; è un energico ossidante, molto reattivo e quindi altamente corrosivo. Esiste nelle due forme N2O4 (forma dimera) e NO2 che si forma per dissociazione delle molecole dimere. Il colore rossastro dei fumi è dato dalla presenza della forma NO2 (che è quella prevalente). Il ben noto colore giallognolo delle foschie che ricoprono le città ad elevato traffico è dovuto per l’appunto al biossido di azoto. Il biossido di azoto svolge un ruolo fondamentale nella formazione dello smog fotochimico in quanto costituisce l’intermedio di base per la produzione di tutta una serie di inquinanti secondari molto

Figura 8 Composizione gas di scarico dei motori a benzina

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20 pericolosi come l’ozono, l’acido nitrico, l’acido nitroso, gli alchilnitrati, i perossiacetililnitrati, ecc. Si stima che gli ossidi di azoto contribuiscano per il 30% alla formazione delle piogge acide (il restante è imputabile al biossido di zolfo e ad altri inquinanti). Da notare che gli NOX vengono per lo più emessi da sorgenti al suolo e sono solo parzialmente solubili in acqua, questo influenza notevolmente il trasporto e gli effetti a distanza.

 Idrocarburi incombusti (HC): sono composti chimici costituiti da carbonio (C) e idrogeno (H). Sono presenti in grandi quantità nel petrolio, nel gas metano e nel carbone, in cui hanno la funzione di veri e propri "contenitori di energia". Alcuni composti a base di idrocarburi sono cancerogeni.

 Particolato (PM): le particelle sospese sono sostanze allo stato solido o liquido che, a causa delle loro piccole dimensioni, restano sospese in atmosfera per tempi più o meno lunghi; le polveri totali sospese o

PTS vengono anche indicate come PM (particulate matter). Il particolato nell’aria può essere costituito da diverse sostanze: sabbia, ceneri, polveri, fuliggine, sostanze silicee di varia natura, sostanze vegetali, composti metallici, fibre tessili naturali e artificiali, sali, elementi come il carbonio o il piombo, ecc. Le polveri PM10 rappresentano il particolato che ha un diametro inferiore a 10 micron, mentre le PM2,5, che costituiscono circa il 60% delle PM10, rappresentano il particolato che ha un diametro inferiore a 2,5 micron.

 Ossidi di zolfo (SO2): l’anidride solforosa o biossido di zolfo è un gas incolore, irritante, non infiammabile, molto solubile in acqua e dall’odore pungente. Dato che è più pesante dell’aria tende a stratificarsi nelle zone più basse. Rappresenta l’inquinante atmosferico per eccellenza essendo il più diffuso, uno dei più aggressivi e pericolosi e di gran lunga quello più studiato ed emesso in maggior quantità dalle sorgenti antropogeniche. Deriva dalla ossidazione dello zolfo nel corso dei processi di combustione delle sostanze che contengono questo elemento sia come impurezza (come i combustibili fossili) che come costituente fondamentale. Dall’ossidazione

Figura 9 Composizione gas di scarico dei motori diesel

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21 dell’anidride solforosa si origina l’anidride solforica o triossido di zolfo che reagendo con l’acqua, sia liquida che allo stato di vapore, origina rapidamente l’acido solforico, responsabile in gran parte del fenomeno delle piogge acide. Dato che la reazione di ossidazione che conduce alla formazione dell’anidride solforica è molto lenta, e data la reattività di questo composto con l’acqua, in genere la concentrazione del triossido di zolfo varia fra l’1 e il 5% della concentrazione del biossido di zolfo (che viene considerato l’inquinante di riferimento).

È comunque importante che questa quantità di sostanze nocive, relativamente ridotta, sia resa innocua. Per operare una significativa riduzione di queste sostanze è stato introdotto per i motori a benzina il catalizzatore a tre vie, che opera attraverso reazioni chimiche che avvengono al suo interno: in particolare il monossido di carbonio e gli idrocarburi si trasformano in anidride carbonica e acqua, attraverso un processo di ossidazione, mentre gli ossidi di azoto si trasformano in azoto, ossigeno e anidride carbonica attraverso un processo di riduzione. Dato che la conversione riguarda tre gruppi di sostanze nocive, si parla di catalizzatore a tre vie. I moderni catalizzatori con sonda lambda permettono una riduzione delle sostanze nocive superiore al 95%.

Per i motori diesel, che funzionano con eccesso di aria rispetto al gasolio iniettato, le emissioni di NOX sono molto elevate e vanno trattate con specifici catalizzatori. Con le norme antinquinamento attualmente in vigore, nelle applicazioni meno critiche (auto piccole e leggere) è sufficiente il cosiddetto deNOX ad accumulo: è una specie di spugna che trattiene l’inquinante e va ripulito arricchendo l’iniezione di gasolio. La fase di assorbimento dura da 30 a 300 secondi, al termine della quale si attiva la pulizia, che si compie rapidamente: da 2 a 10 secondi, ma l’impatto sul consumo di gasolio non è trascurabile. Per questo motivo, sui modelli più grandi e pesanti si ricorre al catalizzatore SCR (Selective Catalyst Reduction, riduzione selettiva catalitica). Il composto ideale per il suo funzionamento sarebbe l’ammoniaca, che però ha l’inconveniente di essere tossica. Per questo, al suo posto si utilizza l’additivo AdBlue, una soluzione acquosa di urea contenuta in un serbatoio dedicato che viene immessa nei gas di scarico caldi attraverso un apposito dosatore: così si scompone in acqua e urea per poi trasformarsi, a partire da una temperatura di circa 170 gradi, in ammoniaca. Quest’ultima si accumula nel catalizzatore e converte gli ossidi di azoto nel comune e innocuo azoto, non appena i gas di scarico contenenti queste sostanze lo attraversano. L’efficienza di conversione del catalizzatore SCR può raggiungere il 95%.

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22 Anche se a prima vista tali cifre appaiono confortanti, c’è da tenere conto che ogni veicolo produce mediamente tra 100 e 300 m3 di gas di scarico all'ora, che significa circa 500 milioni di m3 emessi in un giorno in una grande città, cioè da 2,5 a 50 milioni di m3 di componenti tossici al giorno. Parlando di emissioni da traffico non si può trascurare anche il fattore di emissione derivante dalla circolazione dei veicoli (usura pneumatici, freni, asfalto, etc.), che rappresenta a livello nazionale il 28% delle emissioni dei trasporti su strada (dati Ministero dell’ambiente) in aumento negli ultimi anni a causa di un numero sempre maggiore di veicoli in circolazione. Basti pensare che il tasso di motorizzazione in Italia arriva a 62 auto ogni 100 abitanti della città di Roma o ai 67 di Catania, contro le 25 auto ogni 100 abitanti di Amsterdam e Parigi o le 31 di Londra.

2.3 Impatto ambientale dei trasporti stradali e degli altri fattori inquinanti

Dopo aver analizzato la composizione dei gas di scarico delle automobili e stabilito quali sono le sostanze emesse che provocano dei danni sia per l’uomo che per l’ambiente, è utile osservare in che quantità tali sostanze vengono rilasciate in un anno nel nostro paese, e operare un confronto con gli altri fattori inquinanti. Come già accennato, infatti, i trasporti stradali non rappresentano l’unico fattore che contribuisce al peggioramento della qualità dell’aria.

L’inventario nazionale delle emissioni in atmosfera, curato dall’Ispra, raccoglie i dati annuali sulle emissioni prodotte su scala nazionale dai diversi tipi di settori e determina l’apporto di ciascuno di essi per ogni tipologia di inquinante. Si tratta di stime basate su coefficienti di emissione a scala nazionale, che possono, andando a scala locale, assumere geometrie molto variabili e pesi diversi dei singoli contributi, a seconda della situazione in cui ci si trova. La suddivisione e la definizione di ciascun settore segue la nomenclatura internazionale SNAP 97 (Selected Nomenclature for sources of Air Pollution). Per avere un quadro puntuale sulle emissioni a livello nazionale nelle tabelle sottostanti sono riportati i dati validati per le emissioni primarie di macroinquinanti, relativi al 2010 e 2013 ed espressi in tonnellate. Tali dati mostrano chiaramente come vi sia stata una decisa riduzione delle quantità emesse in atmosfera degli agenti inquinanti, sia nel complesso che per singolo settore. Le uniche eccezioni riguardano solamente la produzione di calore, che ha visto aumentare marginalmente le emissioni di NOX e di PM10, mentre quelle di CO sono addirittura quasi raddoppiate, e il settore agricolo, che ha fatto registrare un aumento delle emissioni di NOX.

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23 Settore SOX NOX CO PM10 Benzene Industria 168.946 (80,3%) 187.056 (19,4%) 380.903 (13,8%) 31.276 (15,3%) 1.083 (15,3%) Riscaldamento e produzione di calore 11.234 (5,3%) 86.086 (8,9%) 783.680 (28,3%) 90.783 (44,3%) 0 (0%) Trasporto su strada 441 (0,2%) 490.536 (50,9%) 1.031.994 (37,3%) 34.038 (14,7%) 3.850 (54,4%) Altri trasporti 22.577 (10,7%) 184.765 (19,8%) 242.674 (8,8%) 15.161 (7,4%) 990 (14,0%) Agricoltura 165 (0,1%) 504 (0,1%) 67.438 (2,4%) 20.964 (10,3%) 0 (0%) Altro 6.986 (3,3%) 14.733 (1,5%) 259.634 (9,4%) 12.362 (6,0%) 1.156 (16,3%) Totale 210.349 963.680 2.766.323 204.584 7.079

Tabella 1 Emissioni in atmosfera di macro-inquinanti divisi per macro-settori in Italia (espresse in tonnellate) Fonte: elaborazione Legambiente su dati ISPRA – Inventario nazionale emissioni in atmosfera (dati 2010)

Settore SOX NOX CO PM10 Benzene Industria 110.022 (75,5%) 142.395 (17,3%) 227.491 (8,8%) 20.570 (10,6%) 688 (14,6%) Riscaldamento e produzione di calore 9.674 (6,6%) 88.770 (10,8%) 1.517.839 (58,9%) 115.331 (59,4%) 0 (0%) Trasporto su strada 412 (0,3%) 405.796 (49,4%) 583.856 (22,6%) 23.729 (12,2%) 2.088 (44,2%) Altri trasporti 22.979 (15,8%) 156.145 (19,0%) 184.766 (7,2%) 11.891 (6,1%) 768 (16,3%) Agricoltura 636 (0,4%) 25.459 (3,1%) 20.496 (0,8%) 19.446 (10,0%) 0 (0%) Altro 1.967 (1,3%) 2.481 (0,3%) 44.657 (1,7%) 3.110 (1,6%) 1.179 (25,0%) Totale 145.689 821.046 2.579.103 194.077 4.724

Tabella 2 Emissioni in atmosfera di macro-inquinanti divisi per macro-settori in Italia (espresse in tonnellate) Fonte: elaborazione Legambiente su dati ISPRA – Inventario nazionale emissioni in atmosfera (dati 2013)

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24 Ciò che emerge dalle tabelle e che è reso ancora più evidente dal grafico riportato in seguito, è che i principali contribuenti a livello nazionale dell’inquinamento dell’aria sono nell’ordine, relativamente al 2010, i trasporti stradali, il riscaldamento domestico e il settore industriale. Nel 2013 è il riscaldamento domestico a prendere la testa di questa particolare classifica, essendo l’unico fattore ad aver visto aumentare in modo significativo le emissioni dei propri agenti inquinanti.

Focalizzando l’attenzione sulle emissioni dai trasporti su strada, è interessante notare come le emissioni siano diminuite, sia complessivamente che per ogni agente inquinante, e ciò è dovuto al fatto che la crisi economica cominciata nel 2008 è stata caratterizzata da un aumento del livello dei prezzi del carburante, che ha fatto diminuire l’utilizzo dell’automobile e quindi il chilometraggio medio annuo, e nonostante il mercato dell’auto stesse attraversando la fase acuta della crisi negli anni tra il 2010 e il 2013, un contributo alla riduzione arriva anche dalla maggiore pulizia ed efficienza dei nuovi veicoli immatricolati che sottostanno alla normativa antinquinamento Euro 5.

È chiaro quindi come il trasporto su strada rappresenti una minaccia tutt’altro che trascurabile per l’ambiente, nonostante le normative nel corso degli anni siano diventate sempre più restrittive. 294.871 89.071 466.167 769.264 971.783 1.560.859 53.394 66.037 376.549 501.166 1.731.614 1.015.881 0 300.000 600.000 900.000 1.200.000 1.500.000 1.800.000 Altro Agricoltura Altri trasporti Industria Riscaldamento Trasporti su strada E mi s s i o n i i n q u i n a n t i p e r s e t t o r e 2013 2010

Grafico 1 Emissioni in atmosfera per macro-settori in Italia (espresse in tonnellate) Fonte: elaborazione personale su dati ISPRA – Inventario nazionale emissioni in atmosfera (dati 2010 e 2013)

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CAPITOLO 3 LO SCANDALO SULLE EMISSIONI

INQUINANTI NOTO COME “DIESELGATE”

L’avanzata inarrestabile del progresso tecnologico sulla riduzione delle sostanze inquinanti emesse dai gas di scarico dei veicoli sembrava offrire uno scenario rassicurante per il futuro. Eppure, proprio nel momento in cui anche il mercato dell’auto cominciava a dare segni di una ripresa consistente, una delle case automobilistiche più importanti nello scenario globale, la Volkswagen, viene accusata dall’Environmental Protection Agency (Agenzia per la Protezione Ambientale, EPA), di aver volutamente manomesso i propri veicoli per aggirare i limiti sulle emissioni di ossidi di azoto. Per anni si è parlato dell’efficienza tedesca, del modello tedesco. Al punto da divenire un obiettivo, per tutti. Oggi, improvvisamente, questo modello non sembra più così perfetto. Il Gruppo Volkswagen, inoltre, sapeva di essere nel torto ma lo ha ammesso pubblicamente solo ad oltre un anno di distanza e solo perché non ha potuto fare a meno di rendere pubblica la frode. Le conseguenze dello scandalo saranno sicuramente gravi per Volkswagen, ma potrebbero verificarsi ripercussioni pesanti per l’intera categoria diesel, che rischia di perdere la sua fama di motore pulito, economico ed efficiente. Senza dimenticare le conseguenze sul piano ambientale della vicenda, dato che la quantità di sostanze nocive emesse in atmosfera è ben superiore di quanto non sarebbe dovuto essere. Di seguito verranno ripotati gli eventi che si sono susseguiti e hanno portato alla luce la vicenda, grazie a

www.auto.it, www.alvolante.it, www.economist.com e www.repubblica.it che hanno provveduto a fornire una esauriente documentazione.

3.1 Volkswagen sotto accusa negli Stati Uniti

I primi dubbi sull’irregolarità delle emissioni di NOX dei motori a 4 cilindri diesel della serie TDI siglati EA 189 progettati da Volkswagen (e che possono essere trovati anche su Audi, Seat e Skoda) sono emersi in seguito a dei test effettuati dall’International Council on Clean Transportation (Consiglio Internazionale sul Trasporto Pulito, ICCT) due anni fa. Ironicamente il test serviva per dimostrare l’efficienza e il basso impatto ambientale di questi motori ma finì per rilevare che le emissioni di queste auto eccedevano di molto quanto garantito dal costruttore. L’ICCT ha portato i risultati all’attenzione del California Air Resources Board (Consiglio delle Risorse dell’Aria della California, CARB), che ha sollecitato la Volkswagen in un richiamo volontario per sistemare quelli che la compagnia insisteva fossero “problemi tecnici”. Alla fine,

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26 prima che la Volkswagen potesse inventare ulteriori scuse, il CARB ha condiviso i suoi risultati con l’Environmental Protection Agency (Agenzia per la Protezione Ambientale, EPA).

Quest’ultima ha reso pubblica la vicenda il 18 settembre 2015, emettendo un avviso di violazione del Clean Air Act, dopo aver scoperto che le auto Volkswagen e Audi motorizzate con il motore diesel EA 189 erano dotate di un software (definito “Defeat Device”) che attivava la tecnologia di controllo degli ossidi di azoto NOX solo quando si verificavano le condizioni viste tipicamente durante i test al banco. Il limite di emissioni di NOX per una flotta di autovetture è di 0,07 grammi per miglio (0,04 g/km); in normali condizioni di utilizzo si arrivava a superare il limite consentito anche di 40 volte. L’EPA ha ordinato a Volkswagen di richiamare circa mezzo milione di veicoli per correggere il software, e ha immediatamente ordinato la sospensione delle vendite dei modelli equipaggiati con quell’unità motrice. Sulla base di 482.000 auto vendute e un massimo di 37.500 dollari di multa per veicolo sanciti dal Clean Air Act, il Dipartimento di Giustizia potrebbe in teoria multare la Volkswagen di 18 miliardi di dollari. Ma le multe non sono le uniche perdite che subirà. Il valore della compagnia è crollato di 29,2 miliardi di dollari e il danno finanziario potrebbe andare anche oltre. Il 29 settembre la Volkswagen ha diffuso un comunicato con cui annuncia che in ottobre presenterà alle autorità competenti le soluzioni a cui sta lavorando per poter intervenire sulle auto per renderle pienamente rispondenti alle norme sulle emissioni inquinanti. Le soluzioni finora presentate non hanno però soddisfatto il CARB, che ha dichiarato che il piano di interventi sulle vetture non regolari già in circolazione presentato dai tecnici Volkswagen è “incompleto,

sostanzialmente deficitario e ben lungi dall'ottemperare alle richieste”. L'ente californiano ha

inviato una lettera alla Volkswagen con tutte le motivazioni tecniche di questa affermazione, dettagliando il motivo del rifiuto e imponendo di presentare una proposta di soluzione definitiva entro il 24 marzo 2016. In base agli aggiornamenti della situazione illustrati dai rappresentanti della Volkswagen, il giudice Breyer ha riconosciuto che sono stati “compiuti progressi

sostanziali” nel lavoro di ricerca e individuazione delle misure concrete per trovare una via di

uscita. Ciò detto, lo stesso giudice ha anche affermato che non c’è ancora stata una proposta concreta risolutiva e che la Volkswagen si è trovata di fronte a notevoli difficoltà tecniche nella

Figura 10 Una VW Golf TDI equipaggiata con il software “Defeat Device” mostra il logo “Clean Diesel” ad un salone americano

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27 ricerca della soluzione adeguata. Per questo insieme di cose, il giudice Breyer ha fissato una nuova scadenza entro cui la Volkswagen dovrà presentare l’attesa proposta: il 21 aprile, cioè un mese in più di tempo. Volkswagen ha infine raggiunto un accordo con le autorità americane per porre rimedio alla vicenda, operando a proprie spese gli interventi necessari per riportare a norma le vetture o riacquistandole, riuscendo ad evitare quindi un processo giudiziario.

3.1.1 Lo scandalo arriva anche in Italia

I problemi derivanti dallo scandalo non si limitano al suolo americano, infatti il 22 settembre Volkswagen ha ammesso con un comunicato che il software contestato dall’EPA è presente su 11 milioni di veicoli in tutto il mondo dotati del motore EA 189, e ha contestualmente accantonato 6,5 miliardi di euro per fare fronte ai presunti costi della vicenda. Il 1 ottobre la casa madre Volkswagen AG comunica ufficialmente alla sede italiana Volkswagen Group Italia che le vetture che dovranno essere sottoposte a richiamo sono 648.458, e i clienti verranno informati su tempistiche e modalità per l’esecuzione dell’intervento di richiamo. Le concessionarie e i centri di assistenza, garantisce Volkswagen Group Italia, saranno in grado di individuare i veicoli coinvolti nel piano d’azione: grazie al numero di telaio, sarà anche possibile escludere i veicoli che non necessitano dell’intervento. La filiale italiana dichiara inoltre che i nuovi veicoli del gruppo Volkswagen dotati di motori diesel Euro 6 attualmente disponibili nell’Unione europea (e quindi anche in Italia) sono estranei alla vicenda: soddisfano i requisiti legali e gli standard ambientali. Comunque, l’azienda tiene a precisare che tutti i veicoli coinvolti sono tecnicamente sicuri e adatti alla circolazione su strada. Così come già avvenuto negli Stati Uniti, anche in Italia viene sospesa la vendita dei veicoli equipaggiati con il motore incriminato.

3.2 Ripercussioni dello scandalo sull’ambiente

Di tutte le case automobilistiche, solamente Volkswagen era apparentemente riuscita nell’impresa di produrre un piccolo motore diesel a quattro cilindri (la già citata unità di due litri di cilindrata conosciuta internamente come EA 189) che era accessibile, garantiva un grande risparmio di carburante e non aveva bisogno di un trattamento costoso per rendere innocue le sostanze nocive prodotte allo scarico. Per i diesel in generale, le prestazioni e le

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28 basse emissioni sono da considerare mutuamente esclusive, a meno che non venga effettuato un investimento in un sistema di pulizia dei gas di scarico. Altri produttori hanno accettato l’idea che non esista una soluzione semplice al problema: Nissan ha provato a realizzare un motore diesel piccolo e adatto alle strade americane, solo per poi rinunciare ad ogni sforzo in favore di un veicolo elettrico a zero emissioni (la Leaf); anche Honda ha abbandonato la strada del diesel piccolo, pulito e adatto ad alti chilometraggi per perfezionare i più economici motori a benzina; Toyota ha deciso che la strada da perseguire fosse quella dell’ibrido (Prius su tutte); Mazda ha perseverato con i suoi quattro cilindri diesel della serie SkyActive-D per il mercato americano, solo per ritardare più volte la sua introduzione. Il mondo adesso sa che nemmeno Volkswagen ha una soluzione. Infatti, tramite il software nascosto nella centralina di gestione del motore ha semplicemente aggirato le rigorose procedure di test fissati dalla Environmental Protection Agency (EPA) negli USA, facendo apparire il motore diesel EA 189 molto più pulito di quanto non fosse realmente. Il livello di emissioni di ossidi di azoto (NOX) eccedeva di oltre 40 volte il limite consentito dalla legge, una volta terminato il test.

Grazie ai loro bassi consumi, le auto diesel sono rimaste le preferite in Europa, dove il costo del carburante è fino a 3 volte più elevato che in America, e le raffinerie di petrolio sono ottimizzate per produrre gasolio in abbondanza. L’efficienza del diesel deriva dall’assenza di “perdite di pompaggio” che invece affliggono i motori a benzina. A questo va aggiunto il fatto che il gasolio racchiude il 10% di energia in più rispetto alla benzina, ed è facile capire perché i motori diesel possono essere il 30% più efficienti rispetto ai loro equivalenti a benzina. Come i motori elettrici, i diesel generano una gran quantità di coppia ai bassi regimi, che li rende rapidi e più rilassanti da guidare. Inoltre, la loro robustezza, resa necessaria dal dover fronteggiare pressioni interne molto elevate, dà loro una reputazione invidiabile per la longevità: i veicoli per il trasporto pesante possono percorrere anche oltre 160.000 chilometri all’anno, e oltre un milione e mezzo di chilometri tra una revisione e l’altra.

Le grandi auto diesel e i SUV di lusso condividono molte delle stesse virtù. Ma con i loro prezzi elevati possono assorbire il costo del trattamento supplementare necessario per ripulire i loro scarichi inquinanti. Veicoli più grandi hanno anche lo spazio per installare tale attrezzatura. A titolo di confronto, realizzare motori diesel piccoli e leggeri per le auto di famiglia rappresenta una sfida impegnativa, che è più facile da vincere in Europa (dove le auto diesel rappresentano la metà di tutti i nuovi veicoli acquistati), solo perché la quantità di emissioni consentite è ben più elevata che negli Stati Uniti.

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29 La normativa americana attualmente in vigore prevede infatti il limite di 0,04 grammi per chilometro di NOX emessi, mentre in Europa lo standard Euro 5 prevedeva 0,18 grammi al chilometro e il più recente Euro 6 entrato in vigore nel 2014 arriva a 0,08 grammi, che sono comunque il doppio di quanto consentito negli Stati Uniti che per di più hanno pronto per 2017 uno standard ancora più severo. La differenze tuttavia non si esauriscono con il limite alle emissioni: sebbene sia il test di rilevazione degli NOX americano, denominato FTP-75 (Federal Test Procedure, messo a punto dall’EPA) che quello europeo, denominato ciclo NEDC (New European Driving Cycle) vengono effettuati in laboratorio sul banco a rulli, essi differiscono enormemente per le modalità di svolgimento: in sostanza, quello americano è più gravoso di quello europeo in termini di carichi (coppia richiesta) e giri motore, e costringe il propulsore a lavorare a temperature più elevate. I cicli di prova delle emissioni europei sono stati messi a punto ai tempi delle prime norme antinquinamento (intorno agli anni settanta), e rispecchiavano l’utilizzo medio cittadino ed extraurbano di allora: velocità più basse, modeste prestazioni, basse cilindrate e ancor più basse potenze. Le accelerazioni richieste erano (e sono tuttora) molto blande. Nel corso degli anni mentre la tecnologia e le prestazioni dei veicoli miglioravano esponenzialmente, le modalità dei test sono rimaste sostanzialmente invariate. Ciò ha portato oggi a una evidente discrepanza tra i consumi rilevati nel ciclo di omologazione (dichiarati dalle case automobilistiche) e i valori reali che vengono misurati nel corso delle prove su strada dei veicoli attualmente in commercio. In pratica questi test servono solo come misura di raffronto tra i diversi modelli, ma al consumatore forniscono un quadro dei consumi non rispondente alla realtà in cui poi la vettura viene usata. Chiunque al momento di guidare la propria auto che dichiara un certo consumo, deve constatare che il consumo pratico è superiore, e la cosa vale anche per le emissioni.

Da questa situazione è nata l’istanza di cambiare il ciclo di rilevamento, cosa che dovrebbe succedere presto. Con la presentazione il 6 ottobre 2015 della nuova proposta inizierà l’iter di approvazione da parte delle autorità europee per poi arrivare all’adozione in tutti i paesi membri. La data prevista per l’entrata in vigore della nuova norma è il 2017. Per sostituire il ciclo NEDC si parla molto del ciclo WLTP (Worldwide harmonized Light vehicles Test Procedures) scaturito da un lavoro internazionale che ha coinvolto le autorità competenti europee, quelle del Giappone e dell’India; il tutto sotto l’egida e il patrocinio dell’Union Nations Economic Commission of Europe (Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite, UNECE). Anche in questo caso si tratta di uno schema basato solo sui rilevamenti sul banco a rulli, però i tempi del test e il dettaglio delle sue varie fasi danno luogo a un quadro che è presentato come più rispondente all’uso reale delle vetture.

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30 Tuttavia secondo i produttori di auto, condurre i test sulle emissioni inquinanti così come richiesti dai vari governi nazionali europei costerebbe troppo, e quindi l’Unione Europea (o meglio, la Commissione) ha deciso di ammorbidire le procedure: sarà possibile per i costruttori superare, nei test su strada, fino al 110% i limiti di NOX fatti registrare in laboratorio fino al 2020, anziché quanto inizialmente proposto, che era del 60% entro l’autunno 2019. Attualmente lo scarto delle emissioni di NOX in condizioni di reale utilizzo di un'auto può arrivare, secondo la Commissione, anche al 400% in più rispetto ai test in laboratorio. Inoltre a partire dal gennaio 2020 sarà concessa una deroga permanente per sforare del 50% il limite degli 80 milligrammi al km di emissioni nell'uso normale.

Il “dieselgate”, in pratica, invece di rappresentare un possibile tracollo per il settore, potrebbe diventare la chiave di una sanatoria per tutti gli inquinatori, assolti per una legge che innalza le soglie piuttosto che combattere l’inquinamento. Per Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente, “c’è il pericolo che le lobby automobilistiche colpiscano ancora,

rischiando di far approvare limiti più permissivi, addirittura del doppio rispetto a quelli vigenti. Se ciò accadesse sarebbe veramente grave e del tutto assurdo, anche rispetto a quanto accaduto nei mesi scorsi con la vicenda Volkswagen”. La qualità dell’aria viene quindi fortemente

ridimensionata dallo scandalo: secondo le stime del Guardian, solamente negli Stati Uniti i veicoli Volkswagen coinvolti nello scandalo avrebbero emesso tra le 10.392 e le 41.571 tonnellate di NOX in un anno, in luogo delle 1.039 tonnellate se avessero rispettato gli standard stabiliti dall’EPA. A livello mondiale i dati sono ancora più allarmanti, in quanto gli 11 milioni di veicoli avrebbero rilasciato in atmosfera quasi un milione di tonnellate di ossidi di azoto. A questi sconfortanti numeri vanno però aggiunti anche quelli relativi alle vetture di altri marchi vendute in Europa, le quali inquinano più del dovuto a causa dell’inadeguatezza del test di omologazione NEDC visto in precedenza, pur risultando regolari agli occhi della legge e non ricorrendo a manipolazioni alle centraline come invece ha fatto Volkswagen.

3.3 Atteggiamenti degli automobilisti in merito all’inquinamento

Dopo aver osservato gli eventi che hanno generato lo scandalo e le relative conseguenze sotto il punto di vista ambientale, è utile analizzare gli atteggiamenti degli automobilisti in merito al loro utilizzo dell’auto e dei problemi ambientali causati da esso.

Per quanto riguarda il processo decisionale per l'acquisto di auto private, si può rilevare come questo sia guidato prevalentemente da considerazioni di carattere finanziario e di

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31 performance, tra cui: il prezzo di acquisto, il consumo di carburante, il comfort, le dimensioni, la praticità e l'affidabilità (DfT 2004). Le questioni ambientali giocano un ruolo marginale nel processo decisionale e sono tra le meno importanti considerazioni per i nuovi acquirenti di auto.

Malgrado il consumo venga segnalato come un fattore decisione chiave per gli acquirenti privati, uno studio rileva che “per la maggior parte degli acquirenti di auto nuove, solo un

piccolo ammontare di tempo è speso in confronti tra i consumi di carburante di auto diverse durante il processo decisionale” (TRI/ECI 2000). Tra le possibili spiegazioni a questo

fenomeno vi è quella che molti acquirenti di auto danno per scontato che vi sia poca differenza nel risparmio di carburante tra le vetture di una stessa categoria (ad esempio all'interno di diesel, citycar, ecc.). Inoltre è comune per i consumatori vedere il basso consumo come un aspetto dell’auto che può essere raggiunto solo compromettendo le prestazioni e la sicurezza, e alcuni acquirenti di auto considerano validi i dati di consumo pubblicati.

Complessivamente, il livello di consapevolezza e preoccupazione dei consumatori per quanto riguarda l'impatto ambientale delle vetture è elevato. In effetti, i problemi ambientali di maggior interesse al pubblico per i prossimi 20 anni sono il traffico, l'inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico (DEFRA 2002). Tuttavia, vi è la prova che i consumatori di tutti i tipi hanno una conoscenza di base molto bassa per quanto riguarda l'impatto delle emissioni delle automobili: “il rapporto tra combustibile consumato e emissioni allo scarico è compreso

solo molto in generale dalla maggior parte degli automobilisti” (DfT 2003). Ci sono anche

forti indicazioni che le idee sbagliate sono presenti a tutti i livelli. Per esempio, anche se il pubblico è a conoscenza del fatto che la CO2 porta a cambiamenti climatici, ad essere considerati pericolosi vi sono anche i telefoni cellulari e il buco nello strato di ozono (DEFRA 2002).

Gli incentivi economici sono necessari ma non sufficienti di per sé a stimolare il comportamento pro-ambiente dei consumatori. In accordo con un recente studio condotto per conto del Department for Environment, Food and Rural Affairs (Dipartimento dell’Ambiente, Cibo e Affari Rurali), devono essere presenti anche altri fattori, tra cui una posizione attitudinale positiva adottata dagli utenti/consumatori (Darnton 2004). Comprendere le attitudini esistenti è pertanto un prerequisito fondamentale per la progettazione di strategie promozionali efficaci.

Tuttavia, comprendere il legame tra attitudini e comportamenti degli acquirenti di auto è tutt’altro che semplice. Le attitudini sono influenzate da consapevolezza, conoscenza, comprensione, opinioni, credenze comuni e valori culturali – fattori che sono a loro volta difficili da quantificare, prevedere e gestire. Anche quando le attitudini sono note, il

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32 cambiamento del comportamento è difficile da prevedere a causa del lento collegamento tra attitudini e azioni. Questo è il famigerato “gap attitudini - comportamento” (Kollmuss and Agyeman 2002). Come notato dal Dipartimento dei Trasporti britannico: “la preoccupazione

per l’ambiente in generale e l’impatto ambientale delle auto, che è evidente, spesso non si traduce in un cambiamento di comportamento ad un livello individuale. Quindi, molte persone esprimono preoccupazione per l’impatto ambientale delle automobili ma non pensano che sia loro responsabilità di annullarlo” (DfT 2004).

È ragionevole pensare che aumentare la consapevolezza, conoscenza e comprensione degli acquirenti di auto sulle tecnologie dei veicoli e sui problemi ambientali possa aumentare le vendite di auto più pulite (sebbene questo dipenda dalla comparativa sui costi tra auto pulite e convenzionali). Tuttavia, se il livello di conoscenza dei problemi ambientali e tecnologici è basso, è poco probabile che il comportamento di consumo possa cambiare in una maniera che minimizzi l’impatto ambientale. Questo suggerisce che diffondere informazioni accurate riguardo tecnologie più pulite è una buona strategia iniziale in quanto supporta la formazione di attitudini che conducono ad un comportamento sostenibile (in questo caso la vendita di auto a basse emissioni).

Tuttavia, anche se vengono fornite informazioni di buona qualità, non c’è garanzia che le azioni desiderate seguiranno, e questo per due ragioni. In prima istanza, bisogna considerare il gap tra attitudini e comportamento menzionato precedentemente: attitudini positive possono condurre all’acquisto di prodotti più sostenibili, oppure non possono. Secondo, e più cruciale, fornire informazioni può non necessariamente portare a maggiori livelli di comprensione. Questo perché attitudini e comportamenti sono “intimamente dipendenti da … l’interpretazione

dei problemi”, più che dalla presentazione dei fatti (Eden 1996). Infatti, anche se la maggior

parte delle persone possiede credenze (scientifiche o altro) che sono false o solo in parte vere, questo non impedisce loro di agire. Al contrario, è necessario agire e farlo sulla migliore interpretazione possibile delle informazioni disponibili. Questo secondo problema di fraintendimento è di solito trascurato nella progettazione di una campagna informativa. Una campagna ben progettata dovrebbe per prima cosa ricercare i fraintendimenti prevalenti prima di decidere come trasmettere al meglio il messaggio appropriato (in effetti, è questo l’obiettivo della ricerca dei fraintendimenti). Ciò che spesso emerge (e che rende prezioso questo approccio) è che dove esistono dei fraintendimenti questo sono stabili, prevedibili e sono spesso comuni a molte popolazioni.

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