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1.1. Trichoderma spp.
Il genere Trichoderma fu identificato per la prima volta da Persoon nel 1794 su materiale organico decomposto. Consiste di numerose specie di funghi anamorfi e le corrispondenti forme teleomorfe appartengono al genere Hypocrea (classe Pyrenomycetes, div. Ascomicota). Il genere Hypocrea fu descritto in seguito, nel 1925 per merito di E. Fries. La relazione tra le due forme, asessuata e sessuata fu indicata soltanto nel 1957 per opera di Dingley ed in seguito da Webster e Rifai (1968).
Trichoderma è un genere rappresentato da funghi ubiquitari a rapida crescita, alcuni dei quali rilasciano un tipico odore di cocco o di canfora. Presentano un micelio aereo ialino che può assumere un aspetto fioccoso e disordinato, a seconda del ceppo e del mezzo di coltura. I conidiofori sono prodotti dalla colonia in modo diffuso, a ciuffi, o come pustole compatte ma comunemente sono distribuiti in anelli concentrici dalle sfumature verdi, più tipicamente, biancastre, grigie o marrone.
Molto comuni sono i conidiofori formati da un asse centrale con ramificazioni laterali regolari, che, a loro volta, ramificano dando origine ad una struttura piramidale. Le cellule conidiogene sono fialidi cilindriche, subglobose o ampolliformi: le forme delle fialidi sono un carattere tassonomico. I conidi sono unicellulari, solitamente verdi ma anche grigi, marroni o incolori. La loro parete va dal liscio al rugoso e la forma è altrettanto variabile: ellissoidale, allungata o cilindrica. I conidi appaiono generalmente secchi, anche se in alcune specie si trovano coperti da goccioline di un liquido giallo o
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verde chiaro, come in T. virens. Le dimensioni dei conidi sono circa 3-5 µm di diametro. Le clamidospore (struttura quiescente di resistenza del fungo) sono presenti nelle colonie lungo il micelio, in posizione intercalare o terminale. Possono essere unicellulari o pluricellulari ed assumere diverse forme. Il colore è verde o giallo chiaro e spesso, le clamidospore, sono rivestite di una parete ispessita. Le ife vegetative sono normalmente ialine, con parete liscia e larghezza di 2-10 µm. La fig. 1.1 mostra piastre Petri contenenti colonie di un isolato di T. harzianum
Fig. 1.1 Piastre Petri contenenti colonie di un isolato di T. harzianum.
Trichoderma è normalmente rinvenibile nel suolo, e, grazie alla sua grande adattabilità, è stato isolato in climi temperati, tropicali e desertici con una concentrazione di circa 101- 103 propaguli per grammo di terreno. Questi funghi colonizzano anche il legno e parti erbacee in decomposizione, neiquali è stata trovata la forma teleomorfa (gen. Hypocrea, Cook e Baker, 1983). In natura la forma asessuata
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persiste come individui o popolazioni clonali, spesso eterocariotiche. Molti ceppi, inclusi quelli utilizzati per il biocontrollo, non possiedono una forma sessuata conosciuta (Harman et al., 1998). Essi mostrano un alto livello di diversità genetica e possono essere usati per produrre un’ampia gamma di prodotti d’interesse industriale ed agrario.
Le specie appartenenti al genere Trichoderma possiedono un metabolismo versatile e, ad esempio, possono degradare idrocarburi (Danies e Westlake, 1979) e composti costituiti da un solo atomo di carbonio, come fonte glucidica. Sono, inoltre, produttori prolifici di proteine extracellulari e sono tra i microrganismi più efficienti per la produzione di enzimi che degradano la cellulosa e la chitina, sebbene producano anche altri enzimi utili e più di 100 differenti metaboliti con riconosciuta attività antibiotica (Kubicek e Harman, 1998; Sivasithamparam e Ghisalberti, 1998).
Trichoderma è un micoparassita che produce antibiotici, un forte competitore nella sua nicchia trofica e possiede un sistema enzimatico capace di attaccare una gran varietà di materiale sia organico che xenobiotico. Per questo motivo, di recente, considerevole attenzione è stata rivolta all’impiego di Trichoderma per il biorisanamento di ambienti contaminati.
L’abbondanza di Trichoderma spp. in vari suoli, unita all’ampia versatilità metabolica, alla capacità di colonizzare dinamicamente la rizosfera della pianta ed all’abilità di competere e reprimere un gran numero di patogeni delle piante, sono all’origine del ruolo che queste specie fungine rivestono nel controllo biologico contro patogeni vegetali (Papavizas, 1985; Chet 1987).
La naturale distribuzione di Trichoderma è largamente influenzata dalla temperatura diverse specie mostrano temperature ottimali di crescita differenti e riescono a tollerare
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anche condizioni estreme (Domsch et al., 1980). La crescita “temperatura- dipendente” sembra un fenomeno adattativo in Trichoderma: un caso esemplificativo sono le specie originatesi in climi caldi, le cui temperature ottimali sono piuttosto elevate (Danielson e Davey, 1973b). La temperatura ottimale di crescita per molte specie di Trichoderma è, come dimostrato da molti studi, nell’intervallo 25-30°C. Molti isolati sono stati originariamente selezionati a temperatura ambiente, anche se questa procedura potrebbe aver limitato il reperimento di isolati psicrofili o termotolleranti. Roiger et al. (1991) riportarono l’isolamento di T. virens, T. harzianum, T. koningii e T. hamatum nell’intervallo di temperatura 8-24°C, con poche unità formanti colonie a 8°C.
La superficie della pianta spesso presenta condizioni avverse per lo sviluppo dei funghi, non solo per le elevate temperature diurne che si registrano ma anche per la disponibilità di acqua che può cambiare rapidamente nell’arco delle ventiquattro ore. Lo studio della fitness ambientale di Trichoderma risulta essere il presupposto per individuare le condizioni migliori in cui far operare l’antagonista al fine di ridurre l’attività di organismi patogeni. Jackson et al. (1991), studiando T. virens, T. citrinoviride e due isolati di T. viride, dimostrarono che il tasso d’accrescimento ifale di tutti i funghi decresceva con l’aumentare del potenziale dell’acqua oltre l’intervallo di 0.7- 14.0 MPa. La diminuzione dell’attività dell’acqua promuove la sporulazione di Trichoderma harzianum e questo fenomeno viene impiegato in coltura liquida per produrre conidi con aumentata tolleranza all’ essiccazione al fine di un uso di questo patogeno come agente di biocontrollo.
Anche la concentrazione degli ioni idrogeno e quindi il pH, ha un forte impatto sulla crescita del fungo visto che molti nutrienti vengono assorbiti da esso mediante un simporto con H+. Questi funghi preferiscono terreni mediamente o leggermente acidi,
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infatti, l’accrescimento ottimale del micelio di Trichoderma si ha ad un pH compreso tra 4.0-6.5. Solo poche specie di Trichoderma sembrano tollerare pH< 3.0. Trichoderma svolge al meglio la sua azione antagonista in condizioni di umidità e pH subacido (Bruehl, 1987), ma all’interno del genere questa fitness può variare a seconda della specie e persino dell’isolato considerato (Papavizas, 1985).
Nel 1986, Scaramuzzi et al., selezionarono alcuni isolati fungini per il controllo biologico di Rhizoctonia solani in terreno e di Drechslera sorokiniana in semi infetti. I microrganismi saggiati provenivano dalla collezione del Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “Giovanni Scaramuzzi” dell’Università di Pisa e molti di questi appartenevano ai generi Trichoderma e Gliocladium. Uno degli isolati era Gliocladium spp. I10, successivamente identificato come Gliocladium virens (Centralbureau voor Schimmelcultures, CBS) e attualmente Trichoderma virens. Questo fungo fu isolato in terreno sabbioso raccolto nella pineta del Parco Regionale di Migliarino-S.Rossore-Tombolo (PI-LI) ed utilizzato contro R. solani e D. sorokiniana con esiti positivi per la difesa del ravanello e dell’orzo.
In seguito, Vannacci e Pecchia (1987) descrissero l’isolamento di antagonisti fungini di patogeni formanti sclerozi e ne valutarono la capacità di produrre antibiotici volatili. Due anni più tardi venne condotto un secondo studio dove un maggior numero di microrganismi fu valutato per la capacità di micoparassitizzare sclerozi e per l’abilità saprofitica competitiva (CSA) (Vannacci e Pecchia, 1989).
L’isolamento degli antagonisti fu eseguito da terreni provenienti da regioni italiane e da aree del bacino del Mediterraneo, in cui storicamente erano presenti infezioni di Sclerotinia spp e Sclerotium spp. Sclerozi di Sclerotinia minor prodotti su cariossidi di avena furono mantenuti in tali terreni, recuperati e incubati su carta o su PDA per
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consentire il successivo isolamento di funghi micoparassiti. Tra questi fu isolato Trichoderma harzianum I252, ora Trichoderma asperellum (Sarrocco, 2004). Questo agente di biocontrollo fu testato per la produzione di antibiotici volatili verso Sclerotinia minor e per l’attività micoparassitica su sclerozi di Sclerotium cepivorum, S. rolfsii, Sclerotinia sclerotiorum e Botrytis tulipae. L’esperimento fornì risultati promettenti e questo isolato fu oggetto di successive indagini per valutarne l’attività come agente di lotta biologica nei confronti di altri funghi fitopatogeni di diverse specie di interesse agrario.
1.2. Rhizoctonia solani
La forma perfetta, Thanathephorus cucumeris, si manifesta raramente in genere solo in fasi di vita saprofitaria, mentre il parassitismo è proprio del micelio sterile (Rhizoctonia solani). La sua elevata adattabilità all’esistenza saprofitaria, la versatilità ecologica e l’elevato potenziale patogenetico ne fanno uno dei parassiti più dannosi per le produzioni agrarie.
Rhizoctonia solani produce un micelio robusto, ad accrescimento rapido, generalmente di colore marrone. Un carattere importante è la natura multinucleare delle cellule ifali che ne consente la generale distinzione dalle Rhizoctonia con miceli binucleati in rapporto metagenetico con Ceratobasidium. La forma basidica, T. cucumeris, è costituita da feltri miceliari biancastri sulle superfici di organi vegetali morti; sulle parti più vecchie si differenzia un imenio portante basidi corti, con quattro robusti sterigmi portanti basidiospore ovate. In fig. 1.2 è mostrata un particolare di una colonia di R. solani cresciuta su Potato Dextrose Agar (PDA).
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Fig. 1.2 Particolare di una colonia di R. solani cresciuta su PDA.
Potendo prosperare nel terreno superficialmente ed in profondità e risalire sulle parti aeree di disparati ospiti erbacei mettendo in atto meccanismi di aggressione diversi, può dar luogo ad una grande varietà di sindromi patologiche note ad esempio come: maculatura fogliare, marciumi radicali o basali o del fusto o dei frutti, morie dei semenzali, marciume crateriforme della carota, del sedano, della barbabietola, cancro radicale della medica, fusto a fil di ferro delle crocifere, chiazze brune dei tappeti erbosi, chiazze circolari del grano, marciume del collo del gladiolo, marciume della corona della barbabietola, fosfora nera della patata, marciume del fondo della lattuga. Nelle zone tropicali è causa di una delle più importanti malattie della coltivazione del riso (Mew e Rosales, 1985).
In particolare sulla patata, R. solani provoca alcune sintomatologie, tipiche e specifiche a seconda dell’organo colpito e del momento fenologico in cui si trova la pianta. Tra i sintomi più tipici ricordiamo: il calzone bianco e le croste nere. Il primo si
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manifesta con una necrosi del colletto delle giovani piante che si ricoprono di uno strato miceliare biancastro. Le croste nere sono una sintomatologia più tardiva e si manifestano sui tuberi, nella parte esterna con tacche nerastre di diversa estensione. In fig. 1.3 sono mostrati sclerozi di R. solani su tuberi di patata.
Fig. 1.3 Sclerozi di R. solani su tuberi di patata.
R. solani è una specie caratterizzata da un’ampia variabilità morfologica e fisiologica. Isolati differenti possono causare diversi tipi di malattia, variare enormemente in virulenza e in specializzazione parassitaria. Gli isolati possono anche differire nei meccanismi di attacco: ve ne sono, ad esempio, alcuni che penetrano solo attraverso le ferite o aperture naturali ed altri attraverso le epidermidi. Rhizoctonia solani è stata suddivisa in dieci gruppi di anastomosi, indicati con la sigla AG (Sneh et al., 1991). Ceppi appartenenti ad AG differenti, anche se uguali morfologicamente, non possono andare incontro a fusioni ifali. Gli isolati dello stesso gruppo di anastomosi mostrano una affinità per l’ospite e per il tipo di danno (Anderson, 1982).
Il fungo persiste nel terreno come micelio, in crescita attiva, o come sclerozi e può anche essere diffuso mediante organi di moltiplicazione e semi infetti. Di solito causa
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gravi danni a temperature relativamente elevate (> 21°C) ma è capace, con alcuni dei suoi ceppi, di adattarsi notevolmente e quindi di esplicare la sua attività patogenetica anche a temperature più basse. L’accrescimento del micelio risulta ostacolato dalla scarsa ossigenazione del terreno, così all’aumentare del contenuto idrico, il fungo sposta la propria attività verso strati superficiali, diminuendo i marciumi radicali e aumentando quelli del colletto.
La lotta contro questo patogeno pone problemi non indifferenti legati alla sua grande polifagia. Infatti, è necessario prevenirne l’insorgenza attraverso accorgimenti di tipo agronomico (rotazioni lunghe, semi sani e certificati) e di tipo chimico, che possono consistere nella concia del seme con fungicidi o nella disinfezione del terreno. Tali forme di lotta chimica sono economicamente sopportabili solo nel caso di colture in vaso o in bancale e legalmente accettabili solo se si parla di agricoltura convenzionale. Da prove condotte negli ultimi anni, è stata dimostrata l’azione antagonista, a livello della rizosfera in alcune colture ortive, di diversi isolati appartenenti al genere Trichoderma. Isolati di Trichoderma sono stati sperimentati con successo contro Rhizoctonia solani mediante somministrazione nel terreno, o a semi e piantine, al momento del trapianto. Esistono già applicazioni commerciali ma ancora poco efficaci.
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1.3. Meccanismi di azione nella lotta biologica
Un antagonista è un microrganismo (batterio o fungo) che interagisce con il patogeno bersaglio interferendo con il suo processo vitale e crescendo in associazione con esso (Baker e Cook, 1974).
I meccanismi di biocontrollo attuabili dall’antagonista sono: l’antibiosi, il micoparassitismo, l’induzione di resistenza ed infine la competizione (nutrienti, spazio e ossigeno) che sarà trattata in modo più ampio nel paragrafo seguente. L’antagonista utilizzato per il controllo biologico mette in azione uno o più meccanismi ma, generalmente, la competizione è sempre presente quale punto di partenza del processo. Un classico esempio è il controllo di Botrytis spp. mediante l’impiego di Trichoderma sui grappoli d’uva che coinvolge sia la competizione per i nutrienti sia il micoparassitismo degli sclerozi, con il risultato di sopprimere la virulenza del patogeno (Dubos, 1987).
Esistono interazioni antagoniste che non ricadono tra quelle elencate. Un esempio noto è quello di T. harzianum che è in grado di ridurre la patogenicità di Botrytis cinerea causando una minore produzione di enzimi degradativi della pectina, quale meccanismo d’attacco del patogeno.
ANTIBIOSI. Per antibiosi s’intende l’inibizione o la distruzione di un organismo
mediante l’azione di un metabolita prodotto da un altro. Come molti organismi (Fiddom e Rossall, 1993), i funghi appartenenti al genere Trichoderma producono un’ampia varietà di metaboliti secondari volatili (VOCs) e non volatili, alcuni dei quali hanno la proprietà di inibire altri microrganismi con cui entrano in contatto (Bilai, 1956; Khasanov, 1962). Tali sostanze sono anche definite con il termine antibiotici intendendo con ciò composti a basso peso molecolare, deleteri per l’accrescimento o la vita attiva
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del microrganismo bersaglio (Fravel, 1988); in questa definizione possono, perciò, rientrare anche gli enzimi litici, anche se non tutti gli autori sono concordi con questa inclusione.
I metaboliti antifungini più conosciuti, escreti dal genere Trichoderma sono: la gliovirina, la gliotossina, la trichodermina e le trichozianine, attive contro una vasta gamma di funghi e batteri (Papavizas, 1985), e il 6-pentil-α-pirone (6PP) responsabile del profumo di cocco (Claydon et al, 1987). La gliotossina, ad esempio, è stata isolata da sclerozi di Rhizoctonia solani in tuberi di patata trattati con l’antagonista G. virens (Aluko e Hering, 1970) ed ancora, in paglia di grano (Wright 1956a) e semi colonizzati (Wright 1956) da Trichoderma viride.
Wheatly et al, (1997) dimostrarono che la produzione di composti volatili è fortemente influenzata dal mezzo di crescita: terreni più ricchi in nutrienti determinano la produzione di un maggior numero e quantità di VOCs.
E’ di facile deduzione la difficoltà di distinguere l’antibiosi dal parassitismo visto che la produzione di enzimi litici da parte dell’antagonista può essere considerata un’azione contemporanea di entrambi i meccanismi(anche se ciò non è accettato da tutti gli autori) (Fravel, 1988). Questo è il caso delle chitinasi e delle 1,3-β glucanasi prodotte da Trichoderma (Papavizas, 1985).
MICOPARASSITISMO. Un micoparassita è un fungo che vive all’interno o
superficialmente ad un altro fungo ospite dal quale trae parte del nutrimento. I micoparassiti sono raggruppati in necrotrofi ed in biotrofi. I necrotrofi entrano in contatto con l’ospite invadendone generalmente le cellule causandone la morte, mentre i micoparassiti biotrofi infliggono minori danni all’ospite permettendone una maggiore
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longevità. Nel 1988, Riduot e Coley Smith dimostrarono che Trichoderma harzianum era in grado di penetrare le ife di Rhizoctonia solani.
Ad oggi possiamo affermare che in generale il genere Trichoderma è in grado di parassitizzare un gran numero di funghi fitopatogeni.
Gli eventi che portano al micoparassitismo sono complessi. Sappiamo che la percezione è in parte dovuta all’espressione sequenziale di enzimi degradativi delle pareti cellulari. E’ stato visto che in seguito al rilascio di una bassa quantità di chitinasi extracellulare è catalizzato il rilascio di oligomeri dalla parete cellulare dai funghi bersaglio, e questo a sua volta induce l’espressione di enzimi litici quali β 1-3 glucanasi o endochitinasi (Brurnner et al., 2003; Elad et al., 1982) che diffondono ed aggrediscono la parete del fungo bersaglio prima che il contatto vero e proprio avvenga (Zelinger et al., 1999; Viterbo et al., 2002). Una volta stabilitosi il contatto, Trichoderma attacca l’ospite e può avvolgersi attorno ad esso con tipiche strutture dette coiling. Il riconoscimento è specifico, mediato dal legame dei carboidrati nelle pareti di Trichoderma alle lectine del fungo bersaglio (Inbar et al., 1996). L’attacco si manifesta con la produzione di molti enzimi che degradano le pareti cellulari (Chet et al., 1998). Sulla parete ifale del fungo bersaglio, in corrispondenza degli appressori, possono formarsi lesioni attraverso le quali le ife di Trichoderma entrano direttamente nel citoplasma del fungo ospite.
Il micoparassitismo è quindi un fenomeno molto complesso, non è la sola escrezione di enzimi litici, ma una successione di fasi ben precise che conducono alla lisi ed in seguito, alla morte dell’ospite.
INDUZIONE DI RESISTENZA. L’induzione di resistenza, meccanismo di
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sollecitato da un agente di biocontrollo. L’agente di biocontrollo, per poter indurre la resistenza deve stabilire un rapporto, anche se di breve durata, con la pianta.
Sono numerosi gli esempi d’induzione di resistenza, ma generalmente prevedono l’impiego di patogeni avirulenti che vista l’appartenenza alla stessa specie, occupano la stessa nicchia del patogeno. Tra questi è nota l’attività di isolati di Fusarium oxysporum avirulenti che possono contenere l’attività di isolati virulenti. Non è, tuttavia, necessario che il patogeno e l’antagonista appartengano alla stessa specie; ad esempio la resistenza indotta in piante di fagiolo verso l’antracnosi (Colletotrichum lindemuthianum) può essere indotta da isolati di C. lagenarium che causano malattia su cetriolo e non su fagiolo. La prima e la seconda foglia sono infettate dall’agente di biocontrollo, quelle che si formeranno nelle 4-5 settimane successive saranno resistenti alla malattia. Non è del tutto chiaro come questo meccanismo di protezione si verifichi, ma si pensa che messaggeri chimici prodotti nelle zone infettate da C. lagenarium, siano traslocati in regioni sane stimolando la produzione di fitoalessine; immediatamente o comunque quando il patogeno infetterà la pianta questa manifesterà sintomi più lievi della malattia. La prima dimostrazione dell’induzione di resistenza da parte di Trichoderma fu pubblicata da Bigirimana et al., (1997). L’esperimento consisteva nel trattare le radici di piante di fagiolo con l’isolato T-39 di T. harzianum. Piante sensibili alle malattie causate da Botrytis cinerea (marciume grigio) e C. lindenuthianum (antracnosi), dopo il trattamento alle radici, esse si dimostravano resistenti nonostante le infezioni fossero fogliari e non radicali (resistenza sistemica).
Degno di nota anche l’isolato T-22 di T. harzianum, l’unico organismo simbionte o associato alle radici capace di indurre resistenza sistemica verso i patogeni in piante di mais (Harman et al., 2004).
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La capacità di indurre resistenza verso una serie di malattie causate da varie classi di patogeni (inclusi funghi, batteri e virus) in un’ampia varietà di piante, sembra essere largamente diffusa in questo genere, ma rimane ancora molto da capire sui meccanismi coinvolti.
COMPETIZIONE. Nei sistemi naturali l’antibiosi, il micoparassitismo e la
competizione rivestono un ruolo importante nel determinare gli effetti relativi all’interazione di due o più microrganismi (Lumdsen, 1981; Singh e Faull, 1986). Si osserva una competizione, quando le popolazioni di due specie sono limitate da un fattore comune.
Nel caso di un antagonista impiegato per il controllo biologico, sebbene uno o più meccanismi possano essere coinvolti, generalmente la competizione è sempre presente, quale punto di partenza del processo. Questo meccanismo riguarda molti fattori: mentre la luce è molto importante per le piante superiori, la competizione per l’ossigeno, lo spazio e per i nutrienti, sono fondamentali per i funghi del terreno (Garrett, 1956). I funghi del terreno richiedono acqua, ossigeno e nutrienti derivanti dalla decomposizione della sostanza organica prodotta dalla flora e della fauna. L’acqua non rappresenta un fattore di competizione tra i funghi, poiché nel loro microambiente sono capaci di alterare il potenziale idrico adeguandolo alle loro esigenze (Frankland, 1981). La competizione per l’ossigeno ha un ruolo importante visto che la diffusione di ossigeno attraverso l’acqua è più lenta rispetto all’aria. Inoltre, i microrganismi seguono un gradiente di diffusione ed ognuno utilizza ossigeno con il risultato che in alcuni casi diventa un fattore limitante. Il suolo contiene più ossigeno negli orizzonti superficiali ma nonostante ciò, in micrositi può essercene scarsità, questo perché c’è più abbondanza di carbonio e la respirazione è più abbondante La deficienza d’ossigeno si
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localizza di solito attorno alla radice se gli organismi della rizosfera sono molto attivi oppure se il suolo è molto umido, asfittico. Geenwood e Goodman (1964), stabilirono che l’anaerobiosi era comune nei micropori del terreno e che questi erano spesso situati nei primi centimetri dalla superficie, spiegando così perché gli anaerobi obbligati sono diffusi nel terreno. In termini di effetti antagonistici, comunque, i competitori che più velocemente possono esaurire le riserve di ossigeno nel terreno sono tra i più interessanti per il controllo biologico (Cook e Baker 1974).
Competere per lo spazio è anch’esso una forma di antagonismo. Ad esempio se un fungo antagonista colonizza il rizoplano, può impedire la penetrazione della radice da parte dei patogeni (Thrane et al., 1997) Per i patogeni ad elevata capacità saprofitica, ad esempio Rhizoctonia solani, l’occupazione di un substrato è una forma di antagonismo impiegabile nel controllo biologico. R. solani è molto veloce a colonizzare tessuti morti solo se è presente prima di altri organismi saprofiti. La colonizzazione di un substrato da parte di altri funghi può, quindi, prevenire l’invasione di saprofiti facoltativi (Papavizas et al., 1975). Nel caso in cui arrivi per primo, un antagonista non necessita di grandi abilità saprofitiche, ma solamente di una prima possibilità di colonizzare. Come saprofita del suolo Trichoderma è in grado di utilizzare aggressivamente i nutrienti disponibili ed in caso di stress da carenza, di persistere come clamidospore e conidi. Le caratteristiche saprofitiche di questo genere si riflettono nel suo impiego come agente di biocontrollo. Infatti, quando sono presenti nutrienti, ne è favorita la crescita ed esso colonizza rapidamente il substrato impiegando a volte l’antibiosi o il micoparassitismo contro i suoi competitori. La rapida velocità di crescita, la prolifica produzione di conidi e l’ampia versatilità nell’utilizzo del substrato fanno di Trichoderma un saprofita veramente efficace ed il suo successo è spesso determinato da alcune forme di
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competizione per i nutrienti. Un esempio è dato dall’applicazione di Trichoderma nella fillosfera per il biocontrollo di Botrytis spp. e Sclerotinia spp., patogeni che invadono opportunisticamente tessuti necrotizzati o senescenti utilizzandoli come base di colonizzazione di tessuti sani. Anche quando isolati selezionati di Trichoderma, sono stati spruzzati su fiori di vite in fase di antesi, hanno colonizzato i tessuti in senescenza presenti sulla pianta riducendo la colonizzazione di Botrytis spp. e l’entità della malattia nei frutti (Dubos, 1987; Gullino, 1992). Trichoderma risulta essere molto efficace anche nella competizione per gli essudati radicali.
Un caso di competizione per i nutrienti, carbonio, azoto e ferro, è stato documentato come meccanismo di biocontrollo messo in atto da Trichoderma nei confronti di isolati di Fusarium spp. (Couteoudier, 1992; Sivan e Chet, 1989).
STRATEGIE DI SELEZIONE NATURALE. I meccanismi attraverso i quali un
microrganismo può manifestare la propria attività nei confronti di uno o più patogeni sono molteplici e possono interessare direttamente l’organismo patogeno (antibiosi e parassitismo) o la nicchia ecologica che questo occupa (competizione per i nutrienti). Per attuare il meccanismo di controllo biologico più efficace è utile conoscere la fase più debole del ciclo vitale del patogeno per scegliere, sulla base delle caratteristiche saprofitarie il miglior antagonista (Campbell, 1989). E' generalmente accettato che, durante l’evoluzione, si sono manifestate differenti forme di selezione naturale risultanti in uno spettro di strategie per la sopravvivenza; due tipi di organismi sono considerati agli antipodi di tale spettro.
Ad un polo abbiamo gli r-selected, organismi con una breve vita individuale, che devolvono la maggior parte delle risorse disponibili per la riproduzione (Cook e Rayner,
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1984). Generalmente, quindi, hanno una discendenza numerosa e sono tipici colonizzatori di substrati effimeri che, una volta esauriti, sono pronti a lasciare (Florenzano, 1984).
All’altro polo abbiamo i K-selected, organismi indigeni dalla lunga vita individuale capaci di utilizzare come efficienti colonizzatori, substrati esauriti in habitat stabili (Florenzano, 1984).
La maggior parte degli organismi è collocabile all’interno di questi due estremi. Si sostiene che all’interno dell’intervallo r e k selected esistono tre differenti forme di selezione naturale che poi corrispondono a tre strategie primarie (Cook e Rayner, 1984). Le forme di selezione sono: la R- selected (strategie ruderali), la S-selected (strategie di tolleranza allo stress), e la C-selected (strategie combattive). I funghi R-selected sono attivi colonizzatori primari. Infatti, prediligono sorgenti di carbonio prontamente assimilabili, per questo sono effimeri e mancano di abilità competitiva. Le specie S-selected occupano habitat dai quali altri funghi sono esclusi a causa di stress di vario tipo, diminuendo così la presenza di competitori. I C-selected sono funghi capaci di sfruttare sia risorse fino a quel momento non utilizzate sia, a difendere le risorse guadagnate durante l’occupazione come colonizzatori primari.
E' da sottolineare che queste tre strategie primarie rappresentano posizioni estreme di un intervallo e sembra probabile che molte specie di funghi, se non la maggior parte, combinino le caratteristiche di ciascuna strategia primaria con strategie secondarie e terziarie (Cook e Rayner, 1984). Secondo Pianka (1970) nessun organismo può essere interamente R o K-selected e secondo Gadgil e Solbring (1972) un organismo, od un gruppo, sono R o K-selected in relazione agli altri organismi coinvolti.
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Secondo tale suddivisione R. solani, è considerata un r-strategist e quindi può essere associata come strategia saprofitaria agli R-selected (Campbell, 1989). Ciò è giustificato dal fatto che R. solani è efficace nella cattura delle risorse come colonizzatore primario (Papavizas, 1970). Infatti, la capacità di questo patogeno di colonizzare vari substrati organici è stata ben documenta, (Lewis e Papavizas, 1980; Papavizas et al., 1975). Per quanto riguarda la capacità di catturare le risorse, R. solani è considerata un patogeno con un’elevata capacità saprofitica competitiva o CSA (Park, 1963). La CSA è la somma delle caratteristiche fisiologiche che determinano il successo della competizione per la colonizzazione dei substrati morti (Garret, 1956).
Il successo come colonizzatore, per R. solani, è legato a due caratteristiche principali: essendo un patogeno necrotrofo si può ritrovare all’interno dei tessuti ancora vitali della pianta occupando quindi una posizione di vantaggio nel momento in cui i residui senescenti giungeranno sul terreno. R. solani non si limita a colonizzare il materiale necrotizzato, ma una volta a terra si espande nel terreno alla ricerca di nuove fonti di nutrimento (Cook e Rayner, 1984). Secondo Pugh (1980), infatti, sono gli S-strategist che spesso mostrano la capacità di crescere nel suolo.
Trichoderma è associato per la sua strategia saprofitaria alle caratteristiche ruderali (Campbell, 1989) e quindi è ritenuto r-strategist, ad accrescimento veloce. T. asperellum è riportato come un ruderale: non si accresce attraverso il terreno ma, forma delle colonie sporulanti vicino alla superficie del substrato colonizzato (Eastburn e Butler, 1988). Il genere Trichoderma è anche indicato come uno tra i più forti colonizzatori della paglia (Harper e Lynch, 1985) ed all’interno del genere la specie Trichoderma viride e Trichoderma asperellum sono riportate tra i maggiori difensori del substrato conquistato dall’invasione di colonizzatori secondari (Bruehl e Lay, 1966).
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L’abilità a difendere i substrati conquistati rientra nelle caratteristiche dei C- selected (Cook e Rayner, 1984). Trichoderma quindi è considerato anche C- selected, abile a difendere i terreni conquistati ma anche capace di agire come colonizzatore secondario sostituendosi ai primari nello sfruttamento delle risorse. Quest’ultima caratteristica è stata osservata anche per T. asperellum.
In generale Trichoderma sembra, quindi, combinare le proprietà dei ruderali (accrescimento veloce ed intensa sporulazione) (R-selected) con proprietà dei colonizzatori competitivi (produzione di antibiotici ed enzimi idrolitici) (C-selected), (Widden e Scattolin, 1988).
Per quanto riguarda la competizione per i nutrienti ed in particolare per il carbonio, sarà trattata in modo più approfondito di seguito.
1.4. Competizione per i nutrienti
Gli habitat naturali dei funghi, specialmente quelli che vivono nel terreno, sono caratterizzati da una scarsa disponibilità di nutrienti facilmente accessibili (zuccheri semplici e amminoacidi). Un fungo che è capace di utilizzare più velocemente e con maggiore efficacia i vari nutrienti, ha una migliore possibilità di sopravvivere e di diffondersi nel terreno.
Tra gli elementi che normalmente presenti sono nel terreno, solo il ferro, l’azoto ed il carbonio hanno un’importanza tale da giustificare uno stato di competizione in caso di carenza. Sebbene il ferro sia il quarto elemento più abbondante della crosta terrestre, in condizioni di anaerobiosi e pH neutro, può formare idrossidi non solubili che lo rendono disponibile per gli organismi viventi solo a concentrazioni inferiori a 10-18M. Anche se richiesto in quantità ridotte, il ferro riveste una importanza primaria nel metabolismo
Introduzione
cellulare come donatore ed accettare di elettroni, in particolare nel processo fisiologico della respirazione a nitrato. Il nitrato, infatti, può essere utilizzato dai funghi come accettore finale di elettroni al posto dell’ossigeno, in condizioni di parziale o totale anaerobiosi, ed il ferro è parte di un complesso citocromico che partecipa alla catena di trasporto elettronico correlata.
Nei funghi, le ife assorbono il ferro con meccanismi diversi rispetto a quelli attuati per gli altri elementi minerali. L’assimilazione, infatti, in alcuni casi avviene mediante emissione di composti organici chelanti, a basso peso molecolare (500-1000 Da), chiamati siderofori che sono capaci di legare il ferro intrappolandolo e, quindi, sottraendolo all’ambiente. I siderofori vengono esportati all’esterno dell’ifa, dove si legano al ferro, e, successivamente, vengono riassorbiti mediante una proteina di membrana specifica. In accordo con la natura chimica dei gruppi che chelano il ferro, i siderofori possono essere classificati come idrossammati e catecolati. I composti chelanti prodotti dai funghi appartengono alla prima categoria. Generalmente, i funghi producono più di un tipo di siderofori, molti ne generano più di una dozzina di strutturalmente differenti. La ragione di questa ampia variabilità può essere spiegata nell’ottica di una maggiore capacità di adattamento alle frequenti variazioni delle condizioni ambientali. La varietà di siderofori prodotti da un organismo può essere ristretta ad una particolare famiglia strutturale, ma in molti casi i funghi sintetizzano siderofori di differenti famiglie strutturali. All’interno del genere Trichoderma, T. longibrachium e T. pseudokoningii, ad esempio, producono siderofori riconducibili a tutte e tre le famiglie strutturali ovvero fusigeno, ferricromico e cuprogenico (Anke et al, 1991).
Introduzione
E’ stato dimostrato che l’attività dei siderofori occupa un ruolo importante nel biocontrollo di microrganismi fitopatogeni. Attraverso il sequestro del ferro da parte di antagonisti produttori di siderofori, i microrganismi patogeni vengono esposti a stress ambientali e nutrizionali che portano ad una conseguente inibizione della loro crescita o della loro attività metabolica (Loper, 1990; Misaghi et al., 1982), interrompendo così il ciclo produttivo con una conseguente esclusione del patogeno dalla nicchia ecologica (Duijiff et al.., 1994).
La competizione per il ferro è stata studiata sia singolarmente, che in abbinamento alla competizione per i nutrienti, tra cui l’azoto, al fine di indagare gli aspetti ecologici di diversi microrganismi, con particolare attenzione alla capacità saprofitica (Garrett, 1970). La competizione per l’azoto può verificarsi in substrati dove questo elemento è presente a basse concentrazioni. Alcuni funghi sembrano fisiologicamente specializzati per la crescita in tali habitat, per i quali hanno mostrato un adattamento ecologico (Lockwood, 1981). Con lo scopo di caratterizzare specie appartenenti al genere Trichoderma, Danielson e Davey (1973) testarono la crescita di 10 isolati su diverse fonti di azoto tra cui: azoto minerale (KNO3), urea, cloruro di ammonio e diversi
amminoacidi. In generale gli isolati mostrarono una crescita migliore in presenza di amminoacidi ed azoto ammoniacale seguito da urea e da nitrato. In particolare, L-alanina, L-acido aspartico ed L-acido glutammico si sono in generale dimostrati fonti eccellenti di azoto per Trichoderma spp.
Nel 1981, Lockwood e Filonow evidenziarono come la competizione per l’azoto fosse evidente in substrati con elevato rapporto C/N, come residui vegetali, legno, acqua o in substrati artificiali aggiustati fino a raggiungere alti rapporti C/N.
Introduzione
1.4.1. Competizione per il carbonio
L’elemento più importante nella nutrizione degli organismi eterotrofi è rappresentato, insieme all’azoto, dal carbonio. Le varietà di substrati presenti in natura fornisce l’opportunità di sviluppo di una diversità biochimica tra i vari organismi. Questa diversità appare evidente nella diversa capacità degradativa dei microrganismi saprofiti, sia tra individui filogeneticamente vicini, che tra organismi tassonomicamente distanti. La principale fonte di carbonio per i microrganismi del terreno è rappresentata dalle radici in accrescimento, dagli essudati radicali e da residui colturali. L’ambiente fisico della rizosfera è estremamente complesso, consiste di una regione ad intensa attività biologica e comprende molti microambienti e diverse nicchie ecologiche; risulta, inoltre, essere direttamente influenzato dalle strutture radicali attraverso movimenti meccanici, modifiche del pH e rilascio di varie molecole che costituiscono fino al 20% del peso secco di una pianta.
Burber e Martin (1987) stimarono che circa il 3-9% dei composti assimilabili, fonte di carbonio prodotti da grano e orzo, vengono emessi come essudati radicali. Whipps e Lynch (1983), in un esperimento simile, mostrarono che il carbonio totale rilasciato dalle radici di cereali è circa il 25-30% di quello assimilato. Studi condotti su Fusarium solani hanno messo in evidenza come le spore del patogeno disperse nella rizosfera di piante di barbabietola, sono chemiotropicamente attratte dagli essudati radicali. Aggiungendo al terreno, paglia di orzo matura, cellulosa e glucosio è stata registrata una riduzione della severità della malattia causata da F. solani. La competizione per il carbonio da parte della microflora antagonista presente nel terreno poteva essere proposta come meccanismo alla base del biocontrollo della malattia (Maurer e Baker, 1965; Snyder et al., 1959).
Introduzione
All’interno di ogni porzione del terreno i substrati sono presenti in differenti quantità, con il risultato che la comunità dei microrganismi è sempre in continuo cambiamento e successione. I substrati costituiti da zuccheri solubili e amminoacidi sono colonizzati da funghi che prediligono composti più semplici, mentre substrati più complessi, come cellulose e lignine, sono metabolizzati da funghi che sono in grado di decomporre queste sostanze tramite appositi enzimi extracellulari. I substrati come cellulose e lignine sono degradate da gruppi fungini appartenenti agli Ascomiceti, Deuteromiceti e Basidiomiceti.
I funghi, oggetto di questo lavoro, appartenenti ai generi Trichoderma e Rhizoctonia, appartengono rispettivamente, agli: Ascomiceti e Basidiomiceti. Risulta difficile stimare l’importanza dei Basidiomiceti in termini di utilizzazione dei substrati presenti nel terreno sia in termini numerici sia come massa, ma certamente gli Ascomiceti ed i Basidiomiceti hanno un ruolo fondamentale nell’ecologia di tale ambiente. L’affermarsi di questi funghi su substrato contenente cellulosa e lignina dipende da numerosi fattori e tra questi, due sono degni di nota. Il potenziale di inoculo è molto significativo poiché funghi con elevato numero di propaguli avranno sicuramente un vantaggio competitivo nell’accrescimento del micelio. Occupare un substrato per primi permette l’accumulo di un gran numero di spore e miceli, conferendo un vantaggio per la successiva colonizzazione di nuovi substrati. Il secondo fattore riguarda la colonizzazione di substrati complessi, influenzata dalla continua attività microbica tellurica (Connell e Slayter ,1977; Lockwood, 1981).
Come atteso per i comuni saprofiti del terreno, i funghi appartenenti al genere Trichoderma sono capaci di utilizzare un’ampia varietà di composti come unica fonte di
Introduzione
carbonio. La variabilità biochimica delle specie di Trichoderma è dimostrata dall’abilità nel trasformare un’ampia e complessa quantità di materiale vegetale.
In condizioni di laboratorio, il genere Trichoderma mostra preferire, in generale, come fonte di carbonio galattosio e xilosio tra i monosaccaridi, il cellobiosio nei disaccaridi ed, in misura media, alcuni alcoli, tra cui il mannitolo ed il glicerolo. Il saccarosio sembra essere preferito dall’isolato T–67 e T-82 di T. viride e T. harzianum, rispettivamente (Danielson e Davey, 1973). In un analogo confronto, gli stessi autori hanno testato la capacità di degradare la cellulosa, in coltura liquida, fino ad un periodo di incubazione di 60 giorni. L’utilizzo di questo polisaccaride è stato valutato come diminuzione di peso della cellulosa in coltura liquida. Al termine dei due mesi sono dimostrati essere T. pseudokoningii, T. harzianum e T. viride i più efficaci nel decomporre la cellulosa. Studi precedenti (Domsch e Gams, 1969) hanno evidenziato la notevole capacità del genere Trichoderma di decomporre la cellulosa che risulta essere facilitata in condizioni dove non sussiste competizione piuttosto che in un sistema naturale.
1.4.2. La paglia come fonte di cellulosa
La coltivazione del frumento, oltre alla granella, che rappresenta il prodotto principale, produce paglia e pula. I culmi delle piante di grano mietitrebbiate formano la paglia mentre la pula è costituita da glume, glumelle e frammenti del rachide.
La paglia, sebbene rappresenti un sottoprodotto, è una potenziale fonte di energia per i ruminanti e materia grezza per l’industria cartaria e del legno (Morrison, 1980). Se anziché destinarla a tali settori, si interra, diventa fonte di carbonio per i microrganismi di origine tellurica. In tab.1 è riportata la composizione chimica della paglia di grano.
Introduzione
Tab. 1 Composizione chimica della paglia (Antongiovanni e Gualtieri, 1998).
COMPONENTI Unità di Misura (g kg -1) Sostanza Secca (SS) Proteina Grezza (PG) Fibra Grezza (FG) Fibra neutro-detersa (NDF) Fibra acido-detersa (ADF)
869 28* 462* 838* 583* * g kg-1 sostanza secca.
La proteina grezza, ottenuta con il metodo Kjeldhal (N* 6.25) rivela la quantità di azoto che si trova nella paglia, non necessariamente sotto forma di vere proteine. La fibra grezza identifica la frazione di cellulosa, emicellulosa e lignina, anche se poco precisamente, come invece se ne deduce dal valore della fibra “neutro detersa” che corrisponde all’esatto contenuto della parete cellulare a pH neutro. Quando l’acidità scende a pH 0-1, sono le emicellulose ad essere solubilizzate. La fibra “neutro detersa” depurata della frazione emicellulosica corrisponde alla fibra “acido detersa”.
I polisaccaridi della paglia di grano sono frazionabili a mezzo gravimetrico in: pectina, etanolo, cloruro di sodio solubile, emicellulosa e cellulosa. La maggior quantità di polisaccaridi presenti nella paglia di grano è costituita da: cellulosa (37.19-38.55%) ed emicellulosa (30.28-35.01%), (Lawther et al., 1995).
Sebbene la composizione delle popolazioni microbiche che colonizzano il terreno (Warcup, 1957; Widden, 1979) e il materiale vegetale in decomposizione (Hudson, 1968; Frankland, 1981) sia oggetto di studio da molti anni, si hanno poche informazioni, e non molto recenti, riguardanti la composizione della microflora presente sulla paglia di frumento in decomposizione (Sadasivan, 1939; Walzer, 1941; Fokkema, 1971; Bowen e Harper, 1989). Harper e Lynch (1985), ad esempio, indicano Fusarium
Introduzione
spp, Trichoderma spp. e Chaetomium globosum come i maggiori responsabili della decomposizione della cellulosa ed emicellulosa presente nel terreno sotto forma di paglia.
1.4.3. La cellulosa come fonte di carbonio
La cellulosa è il composto fondamentale del regno vegetale essendo il costituente fondamentale delle fibre vegetali. Chimicamente, la cellulosa è un polisaccaride, formato da carbonio, idrogeno e ossigeno con formula bruta C6H10O5. E' annoverata tra
gli additivi alimentari codificati dall’Unione Europea ed identificata con la sigla E 460. In natura, è presente allo stato quasi puro (90%) nelle fibre epidermiche che avvolgono il seme di cotone; in tutti gli altri vegetali la cellulosa non si trova allo stato puro ma, cementata e legata ad altri costituenti del legno ed in particolare alla lignina.
Nei vegetali, la parete cellulare primaria è costituita di due fasi, una microfibrillare cristallina, inclusa in una matrice amorfa, e una non cristallina. Questa combinazione è responsabile della resistenza e dell’accrescimento delle pareti cellulari primarie. La cellulosa consiste di lunghe catene lineari di residui di glucosio legati covalentemente (β-1,4) a formare una struttura a forma di nastro appiattito, che può essere lunga da 0.25 a 5 µm.. Circa 40-70 di queste catene sono parallelamente tenute insieme da ponti a idrogeno, che si formano fra i gruppi ossidrili degli zuccheri. Questo determina strutture chiamate fibrille, di circa 3 nm di diametro, visibili all’analisi della diffrazione a raggi X. Il numero delle unità di glucosio varia tra 15 e 10000 per molecola di cellulosa (fig. 1.5). Questo perché, come accade per i grandi polisaccaridi, la cellulosa non ha una grandezza definita, in quanto, al contrario delle proteine e degli acidi nucleici, non vi sono stampi determinati geneticamente che dirigono la sua sintesi. Nonostante la cellulosa possieda una notevole affinità per l’acqua, risulta completamente insolubile in
Introduzione
tale solvente. La matrice amorfa in cui queste fibrille sono cementate, è composta da materiali polimerici: emicellulosa, pectina ed estensivina. Nella parete secondaria la cellulosa è più abbondante ed è associata alla lignina, un polimero fenolico molto resistente.
La componente di matrice è secreta dalle viscicole del Golgi, mentre la cellulosa è sintetizzata dalla membrana plasmatica, precisamente nelle rosette, complessi di sei molecole dell’enzima cellulosa sintetasi. La degradazione della cellulosa è un processo lento in quanto le catene di glucano (glucosio) ammassate e tenute unite da legami idrogeno, non sono facilmente accessibili alle cellulasi e non si separano nemmeno dopo aver idrolizzato molti dei loro legami glicosidici. Per vincere la sfida, alcuni microrganismi cellulosolitici, incluso Trichoderma, producono una complessa miscela enzimatica, le cellulasi, necessaria per solubilizzare il substrato.
Fig. 1.5 Struttura di fibrille e microfibrille e cellulosa.
Gli enzimi idrolitici extracellulari prodotti dal genere Trichoderma sono considerati determinanti per l’abilità antagonista di questi funghi. Il loro ruolo nel biocontrollo fu correlato con il loro stile di vita saprofitica (Lynch, 1989; Sivan e Chet, 1989; Sivan Harman, 1991) oppure con la loro azione nei confronti dei patogeni delle piante (Elad et al., 1981; Sivan e Chet,1989; Cherif e Benhamou, 1990; Lorito et al.,1993).
Parete cellulare
Cellula vegetale
Fibrilla
Microfibrilla
Cellulosa
Parete cellulare
Cellula vegetale
Fibrilla
Microfibrilla
Introduzione
La degradazione della cellulosa è stata ampiamente chiarita anche grazie ai numerosi studi condotti su Trichoderma reseii, oggi considerato l’organismo cellulosolitico più studiato e uno dei microrganismi più importanti per la produzione di tali enzimi. Gli enzimi cellulosolitici trovano impiego in molti settori tra cui l’industria tessile, l’industria cartaria e quella alimentare. Il settore tessile, in particolare negli ultimi anni, ha dato grande impulso alla produzione di enzimi mediante Trichoderma. Nel settore agroalimentare l’impiego delle cellulasi riguarda la produzione di alcool mediante fermentazione, la saccarificazione enzimatica della cellulosa, la macerazione dei tessuti vegetali per l’estrazione di aromi e la produzione di succhi di frutta. Le cellulasi rivestono notevole importanza anche nei processi produttivi di olio e vino. Un’altra possibilità di impiego delle cellulasi è la produzione di energia mediante la bioconversione della cellulosa, attuabile grazie alla lenta cinetica enzimatica seguita da tali enzimi a causa della natura cristallina della cellulosa. E’ possibile stimare che circa il 20% del mercato mondiale degli enzimi sia costituito da cellulasi e da emicellulasi, e che una parte sostanziale di questi ultimi sia prodotta dal genere Trichoderma (Harman e Kubiceck, 1998). Il gruppo delle cellulasi comprende tre principali enzimi: β-endoglucanasi (EC 3.2.1.4), β-esoglucanasi (EC 3.2.1.91) e β-glucosidasi (EC 3.2.1.21). La dinamica dell'idrolisi della cellulosa prevede l’azione dei tre enzimi nel seguente modo (fig. 1.6):
1. La β-endoglucanasi scinde in modo casuale i legami interni β-1,4 della cellulosa liberando glucosio e cello-oligosaccaridi.
2. La β-esoglucanasi o cellobioidrolasi è attiva sulla porzione terminale non riducente della cellulosa liberando il dimero di glucosio (cellobiosio).
3. La β-glucosidasi idrolizza il dimero, liberando per ciascuno due molecole di glucosio.
Introduzione
Fig.1.6 La dinamica d’idrolisi della cellulosa attraverso l’azione di
β
-endoglucanasi,β
-esoglucanasi eβ
-glucosidasi.Nell’ipotesi descritta da Reese et al. (1950) le eso-β-glucanasi causano la rottura del legame idrogeno all’interno della molecola di cellulosa, seguita dall’idrolisi delle componenti del polisaccaride rese accessibili ad opera della endo-β-glucanasi. Sebbene le varie tecniche di isolamento delle cellulasi non siano state ancora sviluppate del tutto, l’ipotesi descritta in precedenza è ad oggi la più accettata. In accordo a questa, in una sequenza sinergica di eventi, la endo-β-glucanasi attacca casualmente la catena della cellulosa, mentre la eso-β-glucanasi agisce sulle porzioni terminali della catena
Cellulosa
Cellobiosio
Glucosio
Cellulosa
Cellobiosio
Glucosio
Introduzione
liberando cellobiosio e/o glucosio. In seguito, il cellobiosio è idrolizzato a glucosio dalla β-glucosidasi.
Scopo del lavoro
2. Scopo del lavoro
Il presente lavoro è stato condotto allo scopo di indagare la capacità di produrre enzimi coinvolti nella degradazione della cellulosa da parte di due isolati fungini antagonisti appartenenti al genere Trichoderma (Trichoderma virens I10 e T. asperellum I252) e da parte di un isolato fitopatogeno di Rhizoctonia solani.
I saggi enzimatici sono stati condotti al fine di individuare l’attività delle cellulasi (EC 3.2.1), delle esoglucanasi (EC 3.2.1.91), endoglucanasi (EC 3.2.1.4) e delle β-glucosidasi (EC 3.2.1.21), in presenza di un substrato naturale contenente cellulosa (paglia di frumento). I valori ottenuti su tale substrato sono stati confrontati con quelli ottenuti inoculando i funghi su mezzo minerale contenente saccarosio come fonte di carbonio. Al fine di valutare l’accrescimento fungino, è stato determinato il contenuto di proteine miceliari e di proteine totali solubili. I risultati ottenuti sono riconducibili a due esperimenti indipendenti, condotti durante l’estate 2004.
Al fine di valutare un’eventuale competizione per la paglia, è stata misurata la Capacità Saprofitica Competitiva (CSA) di T. virens I10, T. asperellum I252 e R. solani, utilizzando pezzetti di paglia come esca. La CSA dei due antagonisti è stata valutata in base alla loro capacità di ridurre la colonizzazione dell’esca da parte di R. solani.
I risultati ottenuti sono stati discussi da un punto di vista ecologico al fine di individuare, in termini evolutivi, le strategie adottate dai diversi isolati fungini.
Materiali e Metodi
3. Materiali e Metodi
3.1. Isolati fungini
Gli isolati fungini impiegati in questa tesi sono Trichoderma virens I10, Trichoderma asperellum I252 e un isolato fitopatogenico di Rhizoctonia solani. Gli isolati di Trichoderma sono mantenuti in collezione su PDA (Potato Destrose Agar, Difco®) mentre l’isolato di R .solani, gentilmente fornito dal Dr. Rosario Nicoletti (Istituto Sperimentale per il Tabacco, Scafati) è conservato in terreno sterile a –80°C. I funghi sono stati allevati su PDA a 25°C, in piatre Petri (90 mm di diametro) per ottenere micelio in attivo accrescimento da utilizzare nelle prove.
3.2. Test per la produzione di cellulasi
3.2.1. Substrati utilizzati
Per la valutazione quantitativa delle cellulasi sono stati utilizzati il Fries ed il Fries “modificato” impiegato nelle tesi contenenti paglia come fonte di carbonio
Il Fries originale, al momento della preparazione, presentava un pH=6.52 ed in seguito alla sterilizzazione in autoclave a 120°C per 20 minuti, il pH era salito a 6.80. Il Fries modificato presentava un pH = 6.50 prima di essere sterilizzato in autoclave nelle medesime condizioni del Fries originale. Dopo sterilizzazione il pH risaliva nuovamente ad un valore di 6.80.
In tab. 3.1 è riportata la composizione del Fries originale, mentre in tab. 3.2 è riportata la composizione del Fries modificato.
Materiali e Metodi
Tab.3.1 Composizione chimica del Fries originale.
Tab.3.2 Composizione chimica del Fries modificato (paglia come fonte di carbonio).
COMPONENTI U.M (g L-1)
Saccarosio Ammonio tartrato Ammonio nitrato Fosfato di potassio
Solfato di magnesio idrato Cloruro di calcio
Cloruro di sodio Solfato ferroso idrato Solfato di zinco idrato Cloruro di manganese 9.0 5.0 1.0 1.0 0.5 0.13 0.10 0.0183 0.0035 0.002 COMPONENTI U.M (g L-1) Ammonio tartrato Ammonio nitrato Fosfato di potassio
Solfato di magnesio idrato Cloruro di calcio
Cloruro di sodio Solfato ferroso idrato Solfato di zinco idrato Cloruro di manganese 5.0 1.0 1.0 0.5 0.13 0.10 0.0183 0.0035 0.002
Materiali e Metodi
In alternativa al saccarosio, come substrato naturale è stata scelta la paglia di grano, quale migliore fonte di nutrimento per i funghi saprofiti utilizzati nell’esperimento. La paglia è stata gentilmente fornita dal Centro Interdipartimentale di Ricerche Agroalimentari “E. Avanzi” (Pisa). La paglia è stata tagliata in porzioni di 2 cm in corrispondenza dei nodi, disposta in apposite bottiglie Roux in misura di 5.5 g ciascuna. In ragione del fatto che come substrato naturale, al momento della raccolta, si presentava colonizzato da una microflora molto vasta, si è provveduto alla sterilizzazione per eliminare qualsiasi contaminazione da parte di microrganismi diversi da quelli testati. La sterilizzazione è stata condotta a mezzo di raggi γ poiché è stato necessario non alterare le caratteristiche chimiche e biologiche della paglia.
La sterilizzazione a raggi γ delle bottiglie contenenti la paglia è stata condotta presso l’Azienda Bioster S.p.A. di Bergamo. E' stata inoltre preparata soluzione fisiologica (NaCl, 9 g L-1).
3.2.2. Allestimento della prova
La prova è stata condotta in bottiglie Roux contenenti 50 mL di Fries con saccarosio (come controllo) o 50 mL di Fries modificato, addizionato alla paglia. Ciascuna bottiglia, è stata inoculata con una sospensione acquosa di spore di Trichoderma alla concentrazione finale 106cfu mL-1 e con frammenti di micelio potterizzati di Rhizoctonia solani, alla concentrazione finale di 104 frammenti mL-1.
La prova è stata allestita inoculando ciascun isolato in entrambi i substrati e a tre tempi diversi (9, 12, 18 giorno dall’inoculo) si è proceduto alla valutazione della produzione degli enzimi. Sono stati, in totale, allestiti, 18 campioni (6 per ciascun isolato) su cui sono stati eseguiti i saggi biochimici. La prova è stata ripetuta due volte,
Materiali e Metodi
con un intervallo di trenta giorni. Come controlli non inoculati sono state allestite bottiglie contenenti Fries e Fries modificato + paglia. Le bottiglie preparate sono state incubate a 24°C, al buio. In fig. 2.1 sono mostrate le bottiglie Roux contenenti i due substrati (Fries e Fries addizionato di paglia) colonizzati da R. solani, T. asperellum I252 e T. virens I10.
Fig. 2.1 Bottiglie Roux contenenti i due substrati (Fries e Fries addizionato di paglia)
Materiali e Metodi
3.2.3. Estrazione del surnatante
Ad ogni rilievo il contenuto di ciascuna bottiglia e stato trasferito in una falcon e centrifugato a 5000 g per 25 minuti. Al termine, il surnatante di ogni campione è stato raccolto e microfiltrato. Un’ aliquota (pari a 1mL), destinata al saggio delle proteine totali, è stata immediatamente posta in azoto liquido e conservata a –80°C.
Il pH del surnatante è stato corretto a 4.8, trasferito in azoto liquido e conservato a –80°C. Al pellet recuperato sono stati addizionati 20 mL di soluzione fisiologica. E' stata eseguita una centrifuga a 5000 g per 5 minuti in modo da lavare il più possibile il micelio stesso. Eliminato tutto il surnatante, il micelio è stato posto in un potter, potterizzato dopo aggiunta di azoto liquido, raccolto, immerso in azoto liquido e conservato a –80°C.
Per quanto riguarda gli isolati cresciuti su paglia, anch’essi sono stati trasferiti centrifugati a 5000 g per 25 minuti. Al termine della centrifuga è stato aspirato il surnatante, ma a causa della totale imbibizione della paglia, è stata effettuata una seconda centrifuga a 5000 g per 15 minuti. Il surnatante così recuperato è stato aggiunto al precedente. Il pellet costituito da micelio e paglia, è stato centrifugato in 20 mL di soluzione fisiologica a 5000 g per 10 minuti. Aspirato il surnatante si è proceduto a potterizzare il micelio e paglia in azoto liquido. Il potterizzato è stato trasferito in azoto liquido e quindi conservato a –80°C.
3.2.4. Determinazione delle proteine totali e delle proteine miceliari
Le proteine totali sono state stimate mediante la determinazione per via colorimetrica, utilizzando il Protein Assay Kit II (Bio-Rad). Il metodo consiste nella lettura spettrofotometrica dei campioni ad una lunghezza d’onda (λ) di 595 nm, corrispondente
Materiali e Metodi
al picco massimo di assorbimento del complesso che si forma tra le proteine totali solubili ed il Blue di Comassie, contenuto all’interno del reagente. Per la lettura è stato preparato il bianco, lo standard e i campioni. Per ciascuno di questi ultimi sono state allestite due repliche in modo da ridurre al minimo l’errore compiuto durante l’analisi. I campioni necessari per l’analisi sono stati costituiti nel seguente modo (Bradford, 1976):
• BIANCO: 200 µ L di reagente 800 µ L di H2O
• STANDARD: 200 µ L di reagente
10 µ L BSA (Siero Bovino Albumina) 790 µ L di H2O
• CAMPIONE: 200 µ L di reagente 790 µL di H2O
10 µ L di estratto
L’estratto del micelio è stato ottenuto come descritto nel paragrafo 3.2.3.
Tutti i campioni sono stati allestiti in apposite cuvette da 1000 µ L adatte alla lettura con luce visibile.
E' stato quindi letto il valore d’assorbanza di uno dei bianchi in modo da azzerare lo strumento ed in seguito è stata eseguita la lettura dei campioni. Il valore del campione standard rappresenta il punto di riferimento delle assorbanze nel momento in cui i dati sono stati inseriti nell’apposito programma (Q Basic) il quale ha fornito direttamente il contenuto di proteine (mg mL-1) di ogni campione. Il programma confronta i valori dei
Materiali e Metodi
campioni inseriti con una curva di taratura, appositamente costruita ed inserita nel programma, ed interpolata tra i valori di assorbanza e il contenuto di albumina
La determinazione delle proteine miceliari rappresenta un criterio indiretto di stima della biomassa fungina. Il metodo che è stato applicato per l’estrazione delle proteine miceliari è quello riportato da Zaldivar et al. (2001).
Ad un’aliquota di micelio (preparato come descritto in 3.2.3.) sono stati aggiunti 500 µ L di NaOH 1N. La miscela così ottenuta è stata incubata per 45 minuti alla temperatura di 50°C. Al termine dell’incubazione, il contenuto in proteine miceliari è stato determinato nello stesso modo, come descritto per le proteine totali. In fig. 2.2 sono mostrate le cuvette contenenti i campioni, pronti per la lettura allo spettrofotometro, dopo la reazione colorimetrica con il Blue Comassie.
Fig. 2.2 Cuvette contenenti i campioni pronti per la lettura allo spettrofotometro, in cui
Materiali e Metodi
3.2.5. Valutazione delle attività enzimatiche
Le attività enzimatiche analizzate per saggiare l’attività cellulosolitica dei tre isolati sono:
• cellulasi ( E.C.3.2.1)
• esoglucanasi ( E.C. 3.2.1.91) • endoglucanasi (E.C. 3.2.1.4) • β-1,4-glucosidasi (E.C. 3.2.2.21)
L’estratto impiegato in ogni indagine enzimatica è stato ottenuto come descritto nel paragrafo 3.3.2.
- Cellulasi (E.C.3.2.1)
L’analisi dell’attività enzimatica per le cellulasi è stata eseguita secondo il metodo di Romero et al. (1999). Un’aliquota di estratto (50 µ L) era incubata a 50°C per 60 minuti con 1.95 mL di citrato buffer 1M (pH 4.8) e due dischetti di carta da filtro di 2.10 cm di diametro (0.005g). Al termine dell’incubazione, sono stati prelevati 200 µ L della miscela ottenuta e aggiunti a 150 µ L di acido dinitrosalicilico (miscela DNS), portando ad un volume finale di 1000 µ L, con H2O distillata. Il campione ottenuto è
stato posto ad incubare alla temperatura di 90 °C per 5 minuti e quindi letto ad una lunghezza d’onda di 530 nm che corrisponde al picco massimo di assorbimento del complesso formato dall’estratto con il reagente.
La miscela DNS (Miller, 1959) era costituita da 10 ml di acido dinitrosalicilico (solubile in alcol o etere) 40mM, da 40 mL di NaOH 1M e 50 da mL di K-Na tartrato 1M. Questa miscela permette di determinare gli zuccheri riducenti, quale stima indiretta
Materiali e Metodi
dell’attività delle cellulasi. La miscela è stata conservata al buio, a temperatura ambiente.
La curva di taratura è stata costruita a partire da una soluzione madre costituita da 10 mg mL-1 di glucosio. Ne è stato prelevato 1 mL e diluito in 9 mL di acqua. Il numero di moli di glucosio presenti nella soluzione era 5,5 10-5. Da tale soluzione sono stati costituiti diversi campioni secondo una scala crescente da 0 µ L a 95 µ L di soluzione. Ciascun campione è stato fatto reagire con 150 µL di DNS e portato al volume finale di 1000 µ L. Ciascun campione è stato letto alla lunghezza d’onda 530 nm. Dall’interpolazione tra le assorbanze e le concentrazioni molari è stata ottenuta la seguente equazione: y = 692.7 x – 0.00422. L’attività delle cellulasi espressa come valore finale in U ml-1 min.
L’unità di misura impiegata per indicare qualsiasi attività enzimatica è l’Unità Internazionale ml-1 min-1 ovvero la quantità di enzima rilasciato, in questo caso, da una micromole di zuccheri riducenti espressa come µg min-1 di glucosio (Zaldivar et al., 2001).
- Esoglucanasi ( E.C. 3.2.1.91)
L’attività enzimatica dell’esoglucanasi è stata valutata seguendo il protocollo descritto da Thrane et al. (1997). Il substrato di reazione è il pNPCel (p-nitrofenil cellobioside). In una provetta di vetro Pirex sono stati disposti, per ogni campione da saggiare, 230 µ L di estratto e 384 µ L di substrato, La miscela, così fatta, è stata posta in incubare per 30 minuti alla temperatura di 37°C. Al termine dell’incubazione la reazione è stata terminata aggiungendo 384 µ L di Na2CO3.e quindi veniva effettuata la