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Caratterizzazione molecolare degli effetti endometriali dell'ulipristal acetato

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie In Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di laurea

CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DEGLI EFFETTI

ENDOMETRIALI DELL’ULIPRISTAL ACETATO

RELATORE CANDIDATO

Chiar.mo Prof. Tommaso Simoncini Martina Benvenuti

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SOMMARIO ... 6

INTRODUZIONE ... 10

Ulipristal acetato: indicazioni terapeutiche e profilo farmacologico ... 11

Ulipristal acetato nella contraccezione di emergenza ... 12

Ulipristal acetato nel trattamento dei leiomiomi uterini ... 15

 Anatomia patologica ... 15

 Patogenesi: ruolo degli steroidi sessuali ... 18

 Presentazione clinica ... 19

 Trattamento ... 24

Potenziali applicazioni dell’ulipristal acetato ... 32

 Ulipristal acetato nell’endometriosi ... 32

 Ulipristal acetato nel carcinoma mammario ... 34

Farmacocinetica ... 37  Somministrazione e assorbimento ... 37  Metabolismo ed escrezione... 37  Interazioni farmacologiche ... 38 Controindicazioni ... 38 Effetti collaterali ... 38

Il citoscheletro di actina nella migrazione cellulare ... 40

Proteine di adesione ERM: Moesina ... 42

Chinasi di adesione focale (FAK) ... 44

Steroidi sessuali nel rimodellamento citoscheletrico ... 46

PRESUPPOSTI TEORICI ... 48

OBIETTIVI ... 50

MATERIALI E METODI ... 52

Campionamento delle cellule endometriali ... 53

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Saggi di migrazione cellulare ... 54

Immunoblotting ... 55

Immunofluorescenza ... 56

Analisi statistiche ... 57

RISULTATI ... 58

UPA non attiva la migrazione delle cellule stromali endometriali ma modula gli effetti pro-migratori mediati da E2/P4 ... 59

UPA non attiva direttamente il riarrangiamento del citoscheletro actinico nelle ESC ma modula gli effetti di E2 e P4 ... 61

UPA non agisce su moesina e FAK nel contesto delle ESC ma modula gli effetti mediati da E2 e P4 ... 63

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ... 65

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~ 6 ~

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~ 7 ~  Introduzione

L’ulipristal acetato (UPA) appartiene alla classe dei modulatori selettivi del recettore del progesterone (SPRMs, Selective Progesterone Receptor Modulators) in grado di esercitare un’azione antagonista/agonista tessuto-specifica a carico del recettore del progesterone (PR) senza, tuttavia, esplicare un significativo effetto anti-glucocorticoide o anti-androgenico.

La molecola in questione è stata introdotta per la prima volta in ambito ginecologico nel 2009 come contraccettivo di emergenza: UPA si è dimostrato in grado di inibire l’ovulazione qualora la somministrazione anticipasse l’ascesa dell’LH mentre è in grado di ritardare l’evento per 24-48 ore nel caso in cui i livelli di gonadotropina avessero già iniziato ad aumentare, dimostrandosi così più efficace rispetto ad altri contraccettivi di emergenza come levonorgestrel. Oltre al meccanismo suddetto, UPA è in grado di modulare negativamente gli effetti progestinici a carico dell’endometrio impendendo il raggiungimento dello spessore tipico della fase secretiva e la maturazione ghiandolare, in tal modo potrebbe pertanto interferire con l’eventuale impianto dell’ovulo fecondato.

L’indicazione di maggior rilievo dell’ulipristal acetato corrisponde attualmente al trattamento dei fibromi uterini, le più frequenti neoplasie solide dello scavo pelvico del sesso femminile durante la fase fertile; nonostante spesso i tumori in questione risultino assolutamente asintomatici, non infrequentemente possono associarsi a problematiche anche particolarmente invalidanti come menometrorragie profuse, in grado a loro volta di indurre uno stato di anemia sideropenica, e ripercussioni sulla fertilità. La gestione dei fibromi uterini si basa su varie strategie che comprendono l’approccio puramente attendista, da attuare soprattutto di fronte a quadri irrilevanti dal punto di vista clinico o riproduttivo, la terapia chirurgica e/o medica. La strategia interventistica riconosce nell’isterectomia l’opzione terapeutica in grado di risolvere definitivamente la patologia, tuttavia un approccio così demolitivo non è accettato da tutte le pazienti che, vista la giovane età, possono vivere con disagio la rimozione dell’utero e la perdita della capacità riproduttiva; in alternativa è possibile quindi procedere con interventi conservativi come la miomectomia oppure l’embolizzazione dell’arteria uterina.

La terapia medica, invece, si basa sul ricorso a vari classi farmacologiche tra cui si ricordano i progestinici, gli analoghi del GnRH e i modulatori selettivi del recettore del progesterone (SPRMs) tra cui spicca UPA, il quale si è dimostrato in grado di determinare sia un decremento volumetrico delle neoplasie che la riduzione dei sanguinamenti. In

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particolare UPA è indicato per il trattamento pre-chirurgico dei fibromi sintomatici, rivelando la propria efficacia terapeutica sia negli studi di confronto con placebo che con gli analoghi del GnRH, che per il trattamento intermittente dei sintomi da moderati a gravi dei fibromi uterini.

 Presupposti teorici e obiettivi

Nonostante molteplici studi confermino il profilo di sicurezza di UPA, la somministrazione di questa molecola si correla ad un insieme di modificazioni endometriali benigne, indicate con l’acronimo PAECs (Progesterone Receptor Modulator

Endometrial Changes), il cui significato biologico rimane ancora indeterminato, pertanto il

presente studio è volto ad approfondire gli aspetti molecolari con cui UPA incide sulla morfologia delle cellule stromali endometriali umane (ESC); in particolare l’attenzione è stata posta sul rimodellamento del citoscheletro di actina, sulla regolazione della forma e del movimento delle cellule in questione valutando l’azione di UPA, del progesterone (P4) e del 17β-estradiolo (E2), considerati sia singolarmente che in combinazione tra loro.

 Materiali e metodi

Lo studio è stato condotto in vitro utilizzando biopsie ottenute da donne di età inferiore ai 45 anni (n = 8), le ESC ricavate sono state trattate con UPA, progesterone (P4) e 17β-estradiolo (E2), da soli o in combinazione, per poi ricorre a metodiche di studio quali i saggi di migrazione cellulare, l’immunofluorescenza e il western-blot studiando le proteine P-Moesina (Thr558), P-FAK (Y397) e GAPDH, quest’ultima sfruttata come controllo di carica.

 Risultati

I risultati emersi hanno consentito di valutare come UPA non sia in grado di influenzare direttamente la migrazione delle ESC quanto piuttosto di modulare negativamente l’azione pro-migratoria esercitata da E2 e P4 che, come atteso, si sono dimostrati in grado di aumentare significativamente la migrazione cellulare in modalità dose-dipendente. Approfondendo gli aspetti citoscheletrici, effetti analoghi a quelli sopracitati sono stati riscontrati anche nei processi di riarrangiamento del citoscheletro di actina, di rimodellamento della membrana cellulare e di formazione dei complessi di adesione focale, infatti UPA determina anche a questo livello una riduzione degli effetti stimolatori

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indotti, sia singolarmente che in associazione, da E2 e P4; in particolare quest’ultima modulazione permette ad UPA di ridurre indirettamente la fosforilazione di FAK e moesina, molecole chiave per la realizzazione delle modifiche conformazionali e del movimento delle ESC.

 Conclusioni

Nel presente studio è stato quindi dimostrato come UPA non influenzi direttamente la migrazione delle cellule stromali endometriali e come, pertanto, non influisca sul riarrangiamento del citoscheletro di actina o sulle protrusioni di membrana, né inneschi la formazione di complessi di adesione focale o l’attivazione delle vie di segnalazione mediate da molecole correlate al rimodellamento cellulare o alla migrazione delle ESC come moesina o FAK. Quanto descritto si discosta da ciò che accade fisiologicamente in presenza di E2 e P4 i quali sono in grado di indurre gli eventi suddetti innescando la formazione di filopodi e lamellipodi per mezzo della fosforilazione di Y397-FAK e T558-moesina; tuttavia UPA, in combinazione con E2 o P4, è in grado di opporsi ai loro effetti stimolanti cosicché la molecola in questione è in grado di inibire indirettamente la migrazione delle ESC, il riarrangiamento del citoscheletro di actina e le protrusioni di membrana influenzando negativamente l’espressione di p-moesina e p-FAK.

In conclusione i risultati ottenuti forniscono indizi molecolari relativi alle modificazioni endometriali UPA-correlate mostrando come i PAECs potrebbero essere ricondotti ai peculiari effetti citoscheletrici indotti dalla molecola in questione sulle cellule stromali e, in particolare, all’interferenza con l’azione di E2 e P4. Inoltre, attraverso l’identificazione di quest’ultima correlazione, è possibile rafforzare l’idea che le modificazioni strutturali riscontrate nell’endometrio durante l’esposizione ad UPA non siano tanto correlate ad un’iperstimolazione cellulare quanto piuttosto alla possibilità di interferire con gli effetti estrogenici. Queste informazioni contribuiscono ad un’ulteriore caratterizzazione dell’azione endometriale mediata da UPA e potrebbero rivelarsi utili per il potenziale impiego di questa molecola nel trattamento di condizioni nelle quali l’obiettivo è antagonizzare gli effetti estrogenici sull’endometrio come nel caso dell’endometriosi o del carcinoma endometriale.

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ULIPRISTAL ACETATO:

indicazioni terapeutiche e profilo farmacologico

L’ulipristal acetato (UPA), anche detto CDB-2914 o VA2914, è un derivato del 19-norprogesterone appartenente alla classe farmacologica dei modulatori selettivi del recettore del progesterone (SPRMs, Selective Progesterone Receptor Modulators), ovvero steroidi sintetici in grado di esplicare in vivo una funzione agonista, antagonista o mista sui recettori del progesterone (PRs) in modalità tessuto-specifica; queste molecole assumono un significato importante in ambito ginecologico sia come contraccettivi di emergenza che come presidi per il trattamento della fibromatosi uterina, inoltre sono prospettate ulteriori potenziali applicazioni in ambito riproduttivo femminile e nella terapia oncologica di alcune neoplasie maligne ormono-sensibili[1, 2].

Figura 1: Progesterone Figura 2: Ulipristal acetato

Studi preclinici indicano la capacità di UPA di legarsi ai recettori umani per il progesterone, i glucocorticoidi e gli androgeni con un’affinità rispettivamente 6, 1.5 e 0.2 volte quella del ligando endogeno e mostrano in vivo un’azione glucocorticoide e anti-androgenica a dosi circa 50 volte superiori rispetto a quelle richieste per svolgere un’azione antiprogestinica: complessivamente UPA appartiene ad una nuova tipologia di

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SPRMs in cui la capacità di interazione e la potenza antagonista nei confronti dei recettori dei glucocorticoidi risultano significativamente ridotte rispetto a quanto apprezzabile per il mifepristone, proprietà che rendono possibile il trattamento con UPA a lungo termine[2-4].

Nella pratica clinica UPA riconosce due principali applicazioni quali la contraccezione di emergenza e il trattamento medico dei leiomiomi uterini, tuttavia è prospettato l’impiego di questo presidio anche nel contesto dell’endometriosi e della terapia ormonale del carcinoma mammario.

Ulipristal acetato nella contraccezione di emergenza

La contraccezione di emergenza corrisponde alla prima indicazione con cui UPA, sotto il nome di ElleOne®, è stato commercializzato, in particolare l’approvazione da parte dell’EMA (European Medicines Agency) risale al 2009, anche se in Italia l’autorizzazione da parte dell’AIFA è avvenuta nel novembre 2011 con effettiva disponibilità del farmaco a partire dall’aprile 2012.

La “finestra fertile” corrisponde al periodo entro il quale un rapporto sessuale non protetto può esitare nel concepimento e coincide con un ristretto arco temporale compreso tra i 5 giorni precedenti l’ovulazione e il giorno successivo a tale evento[5-7]

, tuttavia la variabilità che caratterizza il ciclo mestruale femminile, la possibilità di un ritardo nell’ovulazione, nonché la capacità degli spermatozoi di sopravvivere nell’apparato riproduttivo femminile e mantenere il proprio potenziale fecondante per 3-5 giorni, possono estendere notevolmente dal punto di vista temporale il periodo critico entro il quale è possibile incorrere in una gravidanza; qualora l’evento in questione non fosse desiderato, la contraccezione d’emergenza corrisponde alla possibilità più concreta per ostacolare tale esito ed è raccomandata dopo ogni rapporto non protetto indipendentemente dalla fase del ciclo uterino[2].

La contraccezione di emergenza si basa su vari presidi quali l’inserimento di un dispositivo intrauterino (IUD) o il ricorso a pillole come il levonorgestrel e l’ulipristal acetato, diversamente la combinazione di estrogeni e progestinici (metodo Yuzpe) rappresenta un’opzione di seconda scelta qualora siano disponibili contracettivi basati sul solo progestinico visti gli ingenti effetti collaterali. Il metodo più efficace corrisponde al dispositivo intrauterino il quale, inserito anche dopo 7 giorni da un rapporto non protetto, contrasta l’impianto dell’ovulo fecondato, inoltre è in grado di prevenire le fertilizzazioni

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successive esplicando un’azione tossica per l’ovulo e lo sperma; tuttavia questa metodica si associa frequentemente a dismenorrea e abbondanti perdite ematiche mestruali, inoltre è controindicato nelle pazienti a rischio di infezioni pelviche[8, 9].

L’introduzione delle pillole per la contraccezione d’emergenza ha generato molteplici controversie, in particolare uno dei principali ostacoli alla diffusione di tali pratiche contraccettive corrisponde alla scarsa informazione relativa al meccanismo di azione dei presidi in questione i quali riconoscono come principale target la prevenzione della fecondazione più che un ostacolo all’annidamento o la distruzione dell’embrione impiantato; la frequente e scorretta sovrapposizione concettuale ad una pratica abortiva ha limitato, in alcuni Paesi, il ricorso a tali presidi favorendo così un maggior tasso di aborti con il rischio di innalzare il rischio di morbilità e mortalità materna viste le potenziali complicazioni connesse a tali pratiche[2].

Il meccanismo di azione con cui UPA esplica la propria funzione contraccettiva dipende dal dosaggio e dalla fase del ciclo mestruale in cui il farmaco è somministrato: una singola dose assunta durante la fase follicolare sopprime la follicologenesi e induce una riduzione dei livelli plasmatici di estradiolo, diversamente una sua somministrazione in concomitanza della fase preovulatoria ha la capacità di inibire la rottura follicolare nel 100% dei casi se l’ascesa dell’LH è stata anticipata mentre è in grado di ritardare l’ovulazione per 24-48 ore qualora i livelli di LH avessero già iniziato a salire; UPA esplica, quindi, un’azione inibitoria diretta sulla rottura follicolare che permette al presidio di agire quando i livelli di LH hanno iniziato ad aumentare, momento in cui il ricorso ad altri contraccettivi di emergenza come levonorgestrel risulta inefficace nel prevenire l’ovulazione[2, 10, 11]

.

Oltre all’azione contraccettiva esplicata a carico dell’ovaio, in grado di compromettere la fecondazione, UPA interviene anche con un meccanismo secondario a sede endometriale e in grado di interferire con l’azione maturativa esplicata dal progesterone a tale livello:la maturazione endometriale riconosce una prima fase proliferativa, sostenuta essenzialmente dagli estrogeni, e una seconda fase secretiva, indotta prevalentemente dal progesterone secreto dal corpo luteo, le quali conducono ad un marcato ispessimento dell’endometrio; quest’ultimo si caratterizza al termine di questi processi per un epitelio alto, composto da cellule cilindriche ricche di glicogeno che rivestono sia la superficie mucosa che il lume ghiandolare, inoltre le ghiandole si allungano e assumono un aspetto a “cavaturacciolo”, lo stroma appare compatto e le arterie spiraliformi si superficializzano. L’apporto

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progestinico alla preparazione endometriale, in prospettiva del potenziale annidamento dell’ovulo fecondato, è impedito dall’azione di modulazione negativa che UPA esercita sui recettori del progesterone in modalità dose-dipendente, con conseguente riduzione dello spessore endometriale e della maturazione ghiandolare; tali modificazioni sarebbero in grado di interferire con l’impianto embrionale cosicché UPA svolgerebbe non solo un’azione contraccettiva prevenendo la fecondazione, ma anche un effetto contragestivo ostacolando l’impianto[2, 11, 12].

Il dosaggio raccomandato di ElleOne® corrisponde a 30 mg assunti attraverso un’unica compressa in monosomministrazione orale a seguito di un rapporto non protetto o del fallimento della contraccezione impiegata: il presidio in questione deve essere assunto il più tempestivamente possibile e massimo entro 5 giorni (120 ore) dall’evento, indipendentemente dalla fase del ciclo mestruale in atto; qualora la paziente accusasse vomito nelle 3 ore successive l’assunzione, potrebbe essere indicata la somministrazione di una seconda compressa per assicurare l’effetto contraccettivo[11].

Figura 3: Finestra di fertilità ed effetto terapeutico dei principali contraccettivi di emergenza. La somministrazione dei presidi contraccettivi ulipristal acetato (UPA, 30 mg),

levonorgestrel (LNG 1,5 mg) e mifepristone prima dell’ovulazione consente di ottenere il ritardo o l’inibizione dell’ovulazione con ciascuno dei presidi elencati; diversamente, se la somministrazione avviene concomitatamente all’ascesa dell’LH, solo UPA o, probabilmente, mifepristone possono ritardare l’ovulazione[2]

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~ 15 ~

Tra le forme di contraccezione d’emergenza assunte per via orale, UPA (30 mg) si è dimostrato più efficace rispetto alle altre opzioni disponibili, in particolare è stato confrontato con levonorgestrel (1,5 mg) evidenziando innanzitutto la non-inferiorità statistica di UPA[13, 14], nonché la sua maggior durata di azione, infatti l’efficacia contraccettiva di levonorgestrel decade oltre il terzo giorno (48-72 h) dal rapporto a rischio mentre quella di UPA è in grado di protrarsi per le 120 ore successive; inoltre, confrontando i due presidi nelle prime 72 ore, UPA ha dimostrato la possibilità di dimezzare le gravidanze indesiderate rispetto a levonorgestrel, indipendentemente dal momento in cui è assunto il presidio nell’arco temporale citato, addirittura riducendole dei due terzi qualora l’assunzione avvenisse nell’arco delle prime 24 h[2, 15].

Ulipristal acetato nel trattamento dei leiomiomi uterini

I leiomiomi dell’utero, indicati anche come miomi, fibromi o fibromiomi, corrispondono alla neoplasia solida dello scavo pelvico riscontrata più frequentemente nel sesso femminile, infatti colpiscono circa il 20-40% delle donne durante l’età fertile[16]; corrispondono alla prima causa di isterectomia, con oltre 200.000 interventi/anno negli USA, e si rendono responsabili di severa morbilità a causa dei profusi sanguinamenti mestruali e delle difficoltà riproduttive[17].

I principali fattori di rischio corrispondono all’età e all’etnia: la frequenza dei miomi uterini incrementa progressivamente con l’età durante tutto il periodo fertile, in particolare la più alta prevalenza di neoplasie sintomatiche si descrive in fase perimenopausale mentre decade significatamene dopo la menopausa[18]; per quanto riguarda l’etnia, le donne afroamericane presentano un rischio 2-3 volte superiore rispetto a quelle di razza caucasica, inoltre le neoplasie tendono a presentarsi più numerose e sintomatiche già alla prima diagnosi che, in genere, avviene in un’epoca più precoce[19]

.  Anatomia patologica

I leiomiomi uterini corrispondono a neoplasie benigne della muscolatura liscia dell’utero le quali appaiono macroscopicamente come tumori ben circoscritti, rotondeggianti, di consistenza dura e dimensioni variabili, infatti possono presentarsi sia come piccoli noduli appena visibili che come grosse masse in grado di occupare l’intera pelvi; nella quasi totalità dei casi insorgono nel contesto del miometrio del corpo

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dell’utero, solo raramente interessano i legamenti uterini (infralegamentari) o il collo dell’utero (cervicali)[20].

Attualmente il sistema classificativo più completo dei leiomiomi è quello proposto dall’International Federation of Gynecology and Obstetrics (FIGO) nell’ambito del sistema di classificazione dei sanguinamenti uterini anomali[21].

Sottomucosi (SM)

0 Peduncolato intracavitario

1 <50% della massa in sede intramurale 2 ≥50% della massa in sede intramurale

Altri (O)

3 100% della massa in sede intramurale e a contatto con endometrio 4 100% della massa in sede intramurale

5 Sottosieroso con ≥50% della massa in sede intramurale 6 Sottosieroso con <50% della massa in sede intramurale 7 Sottosieroso peduncolato

8 Altri (specificare e.g. cervicali, parassiti) Leiomiomi ibridi (interessano sia l’endometrio, sia la sierosa uterina)

Sono indicati con due numeri separati da un trattino: per convenzione il primo numero si riferisce al rapporto del leiomioma con l’endometrio (0-2) mentre il secondo al rapporto con la sierosa (3-8); un esempio è riportato nel riquadro sottostante.

2-5 Sottomucoso e sottosieroso, con meno della metà del diametro all’interno della cavità endometriale e pelvica rispettivamente.

Tabella 1: Classificazione FIGO dei fibromi (adattamento da Munro et Al. 2011)[21]. In base allo strato uterino e alla sede in cui insorgono, i principali fibromi uterini possono essere distinti in[22]:

 Sottomucosi, possono essere sessili o peduncolati e si caratterizzano per sporgere nella cavità uterina sollevando la mucosa endometriale, talora ulcerandola: rappresentano la forma neoplastica maggiormente sintomatica in quanto soggetta a sanguinamento, corrispondono infatti alla principale causa di menorragia da leiomioma, nonché a dolore di tipo espulsivo qualora l’utero, in presenza di una neoplasia peduncolata aggettante nella cavità, percepisse la massa come un corpo estraneo e cercasse di espellerlo mediante le contrazioni. In quest’ultima circostanza è possibile assistere all’allungamento del peduncolo del fibroma

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intracavitario sino al prolasso esterno attraverso il canale cervicale, nonché alla compressione del peduncolo con necrosi asettica che può esitare sia in un profuso sanguinamento che in una sovrainfezione secondaria;

 Intramurali o interstiziali, il nodulo neoplastico si sviluppa nello spessore del miometrio;

 Sottosierosi, la neoplasia insorge subito al di sotto della sierosa peritoneale che riveste l’utero e può assumere un aspetto sessile o peduncolato: dal momento che non disturbano la parete muscolare uterina non si associano a particolari manifestazioni, né al momento della contrazione né durante il ciclo mestruale, cosicché la loro frequente asintomaticità ne consente un notevole accrescimento (7-8 cm) che culmina con sintomi da compressione sugli organi addominali circostanti; tale comportamento è del tutto speculare a quello dei fibromi sottomucosi che, per la loro localizzazione, possono associarsi ad una sintomatologia imponente anche in caso di dimensioni esigue (1 cm).

Figura 4: Fibroma a) sottomucoso, b) intramurale, c) sottosieroso.

All’esame istologico il leiomioma si presenta composto da fasci intrecciati di cellule muscolari lisce che ricordano il fisiologico miometrio circostante, le singole cellule si presentano uniformi nella grandezza e nella forma, inoltre le figure mitotiche sono rare[20].

Per quanto possano esistere varianti a comportamento inusuale come il leiomioma metastatizzante benigno, in grado di raggiungere i vasi e migrare in altre sedi (es. polmone), o la leiomiomatosi peritoneale diffusa, caratterizzata da multipli e piccoli noduli peritoneali, la neoplasia in questione mantiene un assetto benigno, infatti la trasformazione

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maligna in leiomiosarcoma è estremamente rara. In particolare è stato dibattuto se la forma sarcomatosa rappresentasse o meno un’evoluzione della malattia fibromatosa: studi citogenetici hanno rivelato come il leiomiosarcoma insorga tipicamente de novo cosicché la malattia non sembrerebbe correlata al leiomioma; tuttavia recenti approfondimenti in merito avrebbero identificato un raro subset di fibromi con delezione del cromosoma 1 e un profilo trascrizionale sovrapponibile a quello del leiomiosarcoma, suggerendo come eccezionalmente tale neoplasia maligna possa derivare da un leiomioma precedentemente insorto[17, 23].

Patogenesi: ruolo degli steroidi sessuali

Studi condotti in vitro su cellule animali hanno evidenziato il ruolo centrale svolto da E2 nel promuovere la crescita neoplastica[24], sfruttando prevalentemente la via di segnalazione mediata dal recettore α (ERα)[25]

: nello specifico è risultato significativo l’apporto fornito sia dall’estradiolo circolante che da quello prodotto localmente, come dimostrato dalla documentata efficacia terapeutica dei GnRH, in grado di ridurre i livelli sistemici di E2, e degli inibitori dell’aromatasi; in particolare quest’ultima categoria farmacologica non è ancora stata approvata per il trattamento dei fibromi uterini, tuttavia si è dimostrata in grado di ridurre volumetricamente la neoplasia inficiando a livello locale la concentrazione di estradiolo senza intaccare quella sistemica[26].

Per quanto riguarda il ruolo del progesterone, i dati in merito hanno offerto risultati contrastanti in quanto diversi studi in vitro hanno mostrato l’ormone esercitare sia un’azione di stimolo che di inibizione sulle cellule di fibroma. Da un lato è stato dimostrato su modelli murini come il progesterone fosse in grado di inibire la crescita neoplastica estrogeno-indotta[27] e in altri come l’ormone non possedesse una diretta azione stimolante sull’accrescimento[28]

. Dall’altro, è stata registra nei fibromi un’iperespressione dei marcatori di crescita sia durante la fase luteale[29] che nelle donne in menopausa sottoposte ad un trattamento ormonale sostitutivo a base di estro-progestinici, diversamente da quanto osservato in quelle sottoposte alla somministrazione di soli estrogenici[30]; inoltre, è stato osservato come l’efficacia terapeutica degli analoghi del GnRH nel ridurre le dimensioni neoplastiche sia limitata dalla concomitante somministrazione di progestinici[31]. Recenti studi clinici hanno mostrato il ruolo terapeutico svolto dai SPRMs, la cui efficacia nel favorire l’involuzione neoplastica fibromatosa non si è dimostrata inferiore rispetto a quella dei GnRH; inoltre l’azione di questa classe terapeutica, esplicando un’azione di modulazione sui recettori progestinici senza ridurre i livelli

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estrogenici, conferma indirettamente il ruolo del PR e dei suoi ligandi nel mediare la crescita neoplastica[32, 33].

Nei fibromi il progesterone esplica la propria azione attraverso un sistema di segnalazione che sfrutta sia i recettori intracellulari (PR) che vie non-nucleari: prendendo in considerazione i PR, esistono due principali isoforme che derivano dallo stesso gene, quali PRA e PRB, il cui rapporto di espressione nel contesto dei fibromi appare del tutto analogo a quello del miometrio fisiologico adiacente[34], quanto descritto è invece in contrasto con ciò che si osserva in altre patologie a carattere proliferativo, sia benigne che maligne, come l’endometriosi e il carcinoma mammario[35, 36]; per quanto riguarda, invece, la segnalazione non-nuclerare, il progesterone sembra sfruttare anche proteine di membrana il cui significato non è stato ancora ben compreso[37]. Infine, recentemente è stata individuata e clonata una forma tronca del PR, priva del sito di legame per il DNA e localizzata nel mitocondrio (PR-M): l’espressione di questa variante recettoriale appare incrementata nelle cellule del fibroma e potrebbe essere implicata nell’accrescimento dello stesso attraverso un’alterazione dell’attività mitocondriale e della respirazione cellulare[38]

. Nonostante la crescita dei fibromi possa apparire completamente dipendente dagli steroidi sessuali, i recettori estrogenici e progestinici non sono espressi in tutte le cellule tumorali suggerendo, quindi, la compartecipazione di meccanismi paracrini, in particolare tale carenza recettoriale è particolarmente apprezzata in corrispondenza delle cellule staminali il cui controllo replicativo sottostà a vie di regolazione non ancora completamente definite[39].

Presentazione clinica

La presentazione clinica dei leiomiomi uterini varia in relazione alla localizzazione, al numero e alle dimensioni delle lesioni: la maggior parte delle pazienti affette non lamenta alcun disturbo e in tali circostanze la diagnosi è condotta in modalità del tutto occasionale durante una visita ginecologica eseguita per altri scopi, diversamente nel 20-50% dei casi si assiste alla presenza di una sintomatologia più o meno significativa.

Il sintomo più frequentemente riscontrato (30-40%), spesso anche il solo, corrisponde ad un anormale e abbondante sanguinamento mestruale che si associa prevalentemente ai fibromi sottomucosi: si presenta in genere sotto forma di menorragia e ipermenorrea, ovvero una mestruazione più prolungata e abbondante, mentre la metrorragia, ovvero la comparsa di un sanguinamento intermestruale, si associa meno frequentemente a questa forma neoplastica; l’abbondanza dei sanguinamenti e la loro tendenza alla recidiva può

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esitare, nei casi più severi, in un’anemia sideropenica in grado di compromettere sensibilmente la qualità di vita delle pazienti vista la debolezza e la marcata astenia correlate a tale complicanza. Le cause responsabili del sanguinamento non sono completamente chiare ma sembrano correlate a molteplici aspetti:

 L’effetto ostruttivo, esercitato da un mioma intramurale sulle strutture vascolari della parete uterina, si traduce in un’ectasia venosa responsabile della congestione del miometrio e dell’endometrio con conseguente abbondante sanguinamento mestruale[40] il quale, inoltre, è difficilmente controllato dalla contrazione uterina visto l’ingombro esercitato dalla massa neoplastica;

 L’aumento delle dimensioni della cavità uterina e, conseguentemente, della superficie endometriale indotta dal mioma favoriscono la menorragia[16];

 L’eccessivo sanguinamento mestruale è anche correlato ad un’alterazione locale dei fattori di crescita e ad un’angiogenesi aberrante[41]

.

Con la menopausa e l’atrofia endometriale si assiste comunemente ad una regressione del leiomioma e alla cessazione dei sanguinamenti indotti dalla neoplasia, eventi verosimilmente riconducibili al declino della concentrazione di steroidi sessuali secondario alla menopausa.

Il dolore rappresenta una manifestazione raramente correlata ai fibromi uterini e può essere ricondotto all’attività di contrazione del miometrio che tenta di espellere le masse neoplastiche oppure, qualora il fibroma si presentasse dolente alla palpazione, alla necrosi o ad un fenomeno di suppurazione con la necessità di procedere ad un’esplorazione chirurgica. Più raramente, nei fibromi sottosierosi peduncolati, il dolore può correlarsi alla compressione esercitata sui visceri adiacenti, alle aderenze contratte con l’omento e l’intestino, nonché alla torsione del peduncolo del fibroma, mentre la dismenorrea è più caratteristica dei fibromi sottomucosi o intramurali; infine è stata descritta eccezionalmente una compressione del plesso lombosacrale con la comparsa di un dolore di tipo sciatico a seguito dello sviluppo di fibromi cervicali posteriori o sotto-peritoneali. Più che ad una franca algia, i fibromi si associano più spesso ad una sensazione di peso riferita al quadrante addominale inferiore, all’ipogastrio o alle regioni lombosacrali con irradiazione a fascia verso l’inguine, tale sensazione incrementa con la posizione eretta ed il movimento mentre tende ad attenuarsi in posizione seduta; tuttavia anche questa sintomatologia è percepita raramente visto che nella maggior parte dei casi l’accrescimento della massa tumorale si verifica in maniera lenta e progressiva nel tempo.

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Di fronte ad una massa neoplastica di dimensioni particolarmente cospicue è possibile riscontrare fenomeni di compressione sui visceri adiacenti, soprattutto quando l’accrescimento della massa avviene in prossimità della vescica, dell’uretere o del retto: in tali circostanze è possibile assistere alla comparsa di disturbi urinari come pollachiuria, minzione urgente o, più raramente, ritenzione urinaria, inoltre, qualora il fibroma fosse infralegamentario e si sviluppasse abbondantemente nel contesto del legamento largo dell’utero, potrebbe condurre alla compressione dell’uretere con idronefrosi; diversamente i fibromi che si sviluppano posteriormente e si accrescono nel cavo del Douglas inducono abbastanza frequentemente una compressione del retto con stipsi e fenomeni sub-occlusivi. I fibromi uterini hanno severe ripercussioni sulla sfera riproduttiva considerando anche l’età sempre più avanzata alla quale viene intrapresa la prima gravidanza, spesso oltre i trenta o i quarant’anni: la neoplasia in questione corrisponde all’unico fattore identificato nell’1-2% delle donne con sterilità[42]

e viene riscontrata in circa il 5-10% delle donne infertili, tuttavia il 50% delle pazienti con un’infertilità non altrimenti spiegata è in grado di intraprendere una gravidanza a seguito di una miomectomia[43]. Il ruolo dei leiomiomi uterini come possibili cause di infertilità è ancora dibattuto, tuttavia i principali meccanismi presi in considerazione sono riconducibili alla presenza di neoplasie sottomucose o intramurali e corrispondono a[44]:

 Alterazioni del profilo endometriale in grado di interferire con l’impianto dell’ovulo fecondato,

 Alterazioni del flusso sanguigno uterino subendometriale mioma-correlate tali da influenzare negativamente la ricettività endometriale,

 Alterazioni vascolari, infiammazione, ulcerazioni e atrofia da compressione indotte da una modifica della superficie endometriale correlata frequentemente ai fibromi sottomucosi,

 Alterazione dell’ambiente biochimico, con disregolazione delle citochine e dei fattori di crescita, necessario all’impianto embrionale,

 Ingrandimento e deformazione della cavità uterina tali da interferire con la diffusione dello sperma,

 Dislocazione della cervice uterina mioma-indotta tale da ridurre l’esposizione all’eiaculazione,

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 Genesi di un’alterata e disfunzionale contrattilità uterina in grado di impedire il trasporto dei gameti, infatti la motilità degli spermatozoi è facilitata dalla ritmica contrazione miometriale, e l’impianto embrionale,

 Persistenza di coaguli ematici in grado di interferire negativamente con il trasporto dei gameti e l’impianto embrionale,

 Ostruzione o alterazione dell’ostio tubarico a causa dell’effetto massa esercitato dal fibroma uterino, in genere a localizzazione intramurale,

 Interferenza nell’interazione tubo-ovarica indotta da ampi miomi a localizzazione posteriore.

Anche se dal punto di vista riproduttivo l’approccio più razionale consisterebbe nel ricercare il concepimento riservando il trattamento solo ai casi in cui tale evento non si realizzasse, in presenza di fibromi per i quali è prevedibile un concreto ostacolo all’impianto embrionale, è verosimile ritenere che la rimozione si associ ad un miglioramento nella fertilità. Per quanto riguarda la riproduzione assistita, la presenza di fibromi si è dimostrata in correlazione con un minor numero di gravidanze, tuttavia non vi sono dati che supportino la miomectomia profilattica di ruotine prima della fertilizzazione in vitro in donne con fibromi ma cavità uterina normoconformata; in definitiva l’intervento di asportazione rimane giustificato prima di ogni trattamento per l’infertilità nel caso in cui sussistano fibromi responsabili di una severa distorsione della cavità uterina o in donne che si sono sottoposte senza successo a numerosi cicli di fertilizzazione in vitro nonostante la presenza di una buona risposta ovarica e di un’adeguata qualità dell’embrione.

Vista la frequenza con cui i leiomiomi uterini sono riscontrati nella popolazione femminile, non di rado è possibile assistere alla concomitanza della neoplasia con una gravidanza in atto, in particolare la frequenza del fenomeno si descrive tra lo 0,1% e il 12,5% e interessa soprattutto donne di età superiore ai 35 anni, primigravide e afroamericane[45]. Per quanto riguarda gli effetti che la gravidanza esercita sul fibroma uterino, si osserva che la neoplasia può andare incontro ad un accrescimento, ad una riduzione volumetrica oppure mantenersi stabile: in linea generale l’accrescimento, favorito dal fatto che il fibroma partecipa ai processi gravidici di ipertrofia ed iperplasia, si realizza in genere nelle fasi precoci della gravidanza dopo le quali tende a stabilizzarsi o addirittura andare incontro ad un’involuzione[46]

. Inoltre, a seguito dell’incremento di volume dell’utero e dell’edema, può avvenire uno slaminamento della parete muscolare cosicché un fibroma intramurale può andare incontro ad un cambiamento di sede e farsi, ad

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esempio, sottomucoso, fenomeno spesso accompagnato da una sintomatologia acuta dolorosa che varia in durata ed intensità, associandosi alcune volte a segni di irritazione peritoneale o allo scatenamento del parto pretermine; in altri casi il cambiamenti di sede può determinare un’alterazione nell’irrorazione della massa tale da indurre una degenerazione necrotica, evento che tuttavia può realizzarsi anche indipendentemente dalla dislocazione.

Per quanto riguarda, invece, gli effetti che i leiomiomi uterini esercitano sulla gravidanza e il parto, si osservano differenze a seconda della localizzazione della neoplasia:

 I fibromi intramurali incrementano solo lievemente il rischio di aborto mentre favoriscono prevalentemente un’alterazione dell’impianto che può esitare in una placenta previa o accreta, un distacco placentare in presenza di una placenta normalmente inserita, anomalie della contrazione uterina e dell’emostasi nel post-partum;

 I fibromi sottomucosi si rendono spesso responsabili di aborto spontaneo, oltre a poter causare le medesime anomalie citate per le forme intramurali;

 I fibromi sottosierosi hanno un impatto minimale sulla gravidanza e sul parto, a meno che non siano estremamente voluminosi;

 I fibromi del segmento inferiore uterino o del collo, detti anche fibromi “previ”, si rendono responsabili di presentazioni anomale, ridotta formazione del segmento uterino inferiore e difficoltà nella dilatazione della bocca uterina, tuttavia la principale complicanza consiste nell’ostacolo all’impegno e alla progressione della parte presentata fetale durante il travaglio.

In conclusione nelle donne con fibromatosi uterina è stato stimato che un parto pretermine avviene nel 15% dei casi, una restrizione della crescita fetale nel 10% dei casi ed una presentazione anomale durante il travaglio nel 20% dei casi[47].

Il riscontro di leiomiomi durante la gravidanza richiede una gestione il più possibile conservativa, infatti l’intervento dovrebbe essere possibilmente evitato a causa del rischio di un’interruzione tempestiva della gravidanza o di gravi emorragie associate, nonché per la possibilità di un’involuzione spontanea durante la gestazione tale da rendere l’intervento superfluo; diversamente la necessità di intervenire tempestivamente si realizza di fronte a quadri acuti come la degenerazione necrotica della massa neoplastica o la torsione di un fibroma peduncolato. La paziente, soprattutto in presenza di neoplasie che causano disturbi

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alla gravidanza, deve essere sottoposta ad un monitoraggio più stringente e invitata ad un riposo a letto prolungato mentre la terapia profilattica con farmaci miolitici uterini è di dubbia utilità; infine è preferibile ricoverare la gestante in una fase più precoce rispetto all’epoca presunta del parto. La fibromatosi uterina non rappresenta un’indicazione assoluta al taglio cesareo che tuttavia può essere programmato in presenza di masse particolarmente voluminose o in presenza di gravi fattori di distocia (presentazioni anomale, megalosomia fetale, ecc.); inoltre, qualora si ricorresse a tale procedura chirurgica, è possibile eseguire concomitatamente con la miomectomia se la manovra non si associa ad un elevato rischio emorragico. Infine nel post-partum è indispensabile ricorrere alla somministrazione di ossitocina e uterotonici, preferibilmente per fleboclisi in modo tale da garantire un accesso venoso in caso di emorragia[22].

Trattamento

La gestione della fibromatosi uterina ha subito un progressivo cambiamento nel corso dell’ultimo secolo e si basa su strategie diverse, non mutuamente esclusive, che comprendono l’approccio attendista, da attuare soprattutto nelle pazienti asintomatiche, la terapia medica farmacologica e l’intervento chirurgico. In relazione a quest’ultima opzione, nonostante l’isterectomia rimanga il trattamento per eccellenza per la gestione della fibromatosi uterina, è incrementata la quota di pazienti che rifiuta un intervento così demolitivo, soprattutto per conservare la possibilità di intraprendere una gravidanza, pertanto sono stati messi a punto interventi limitati alla sola miomectomia o strategie interventistiche differenti come l’embolizzazione dell’arteria uterina o delle arterie tributarie del fibroma, l’ultrasonografia ad alta frequenza, il trattamento laser, la crioterapia e la termoablazione[16]. Nel complesso la strategia terapeutica è personalizzata in base alla singola paziente prendendo in considerazione aspetti come le dimensioni e la localizzazione del fibroma, la sintomatologia associata, l’età della paziente e il suo desiderio di preservare la fertilità o l’utero, la disponibilità della tecnica terapeutica e l’esperienza del medico.

Per quanto riguarda la terapia farmacologica, lo scopo è prevalentemente quello di controllare le menometrorragie e la dismenorrea da fibroma migliorando così la qualità di vita delle pazienti, inoltre possono facilitare l’eventuale approccio chirurgico successivo riducendo le dimensioni della massa e dell’utero; tuttavia questo approccio terapeutico ha il limite di indurre spesso uno stato di anovulazione ed è controindicato in gravidanza così da interferire con la possibilità di concepire. Le principali classi farmacologiche impiegate

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corrispondono ai progestinici, agli analoghi GnRH e ai modulatori selettivi del recettore del progesterone (SPRMs), tuttavia alcuni studi hanno preso in considerazione anche gli inibitori dell’aromatasi:

 I progestinici favoriscono il controllo del sanguinamento uterino disfunzionale associato ai fibromi riducendo l’iperplasia endometriale, tuttavia non sembrano in grado di determinare una riduzione volumetrica della neoplasia[48], anzi sembra che tali molecole, analogamente al progesterone, possano comportarsi da fattori di crescita sui fibromi[49]; il presidio farmacologico può essere somministrato per via orale o intramuscolo, in particolare l’assunzione è intrapresa a partire dal 5° o dal 10° giorno del ciclo uterino e protratta fino al 24°-25°[22]. In alternativa è possibile ricorrere ai sistemi intrauterini (IUS, IntraUterine System) rilascianti levonorgestrel (LNG-IUS), si tratta di un presidio terapeutico che si è dimostrato in grado di gestire la menometrorragia, seppur non esplichi alcun effetto sul volume neoplastico, e ridurre il tasso di isterectomie[50]; tuttavia il posizionamento di questo dispositivo può risultare particolarmente complesso nelle pazienti con fibromi sottomucosi e non è raro che vengano spontaneamente espulsi[51].

 Gli analoghi GnRH sono in grado di favorire una riduzione volumetrica dei fibromi e un decremento soddisfacente dei sanguinamenti attraverso l’induzione di uno stato di ipoestrogenismo; tuttavia, in assenza di una terapia ormonale estro-progestinica di fondo, il trattamento con gli analoghi del GnRH non può essere prescritto per un arco temporale maggiore di 6 mesi per non incorrere in uno stato di osteopenia o nella comparsa dei sintomi tipici del climaterio[52]. Inoltre gli effetti di questa classe farmacologica si sono rivelati transitori, infatti alla sospensione della terapia si assiste ad un nuovo accrescimento della neoplasia fino a raggiungere nuovamente le dimensioni possedute in precedenza nell’arco di alcuni mesi, pertanto gli analoghi del GnRH trovano essenzialmente applicazione per 3-6 mesi in previsione dell’intervento chirurgico[22]

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 I SPRMs (mifepristone, UPA, asoprisnil, telapristone acetato) si sono effettivamente dimostrati in grado di ridurre le dimensioni dei fibromi uterini del 17-57% e il volume uterino del 9-53% rispetto ad un placebo[33]; inoltre, a confronto con gli agonisti del GnRH, controllano le dimensioni neoplastiche per un arco temporale più esteso e sono in grado di sopprimere il sanguinamento uterino più rapidamente senza, tuttavia, indurre segni di deprivazione estrogenica[53].

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 Gli inibitori dell’aromatasi rappresentano una classe di farmaci steroidei (exemestane) o non-steroidei (letrozolo) in grado di agire sull’enzima citocromo P450 aromatasi (CYP-19) il quale agisce trasformando gli androgeni in estrogeni. Ad oggi i dati a disposizione sono troppo limitati per ricorrere a questa classe farmacologica nel trattamento clinico dei fibromi uterini, tuttavia alcune osservazioni sembrano suggerire un loro potenziale ruolo: in particolare l’azione terapeutica a carico dei fibromi potrebbe essere mediata dal decremento locale dei livelli estrogenici, in particolare uno studio ha confrontato l’efficacia del letrozolo con la triptorelina, un analogo del GnRH, dimostrando come il primo induca una maggiore riduzione del volume neoplastico (46% vs. 32%), seppur non sia stato descritto alcun effetto rilevante sul controllo dei sanguinamenti[49, 54, 55].

Figura 5: Trattamento farmacologico della fibromatosi uterina

Il ricorso all’ulipristal acetato, il solo SPRM a possedere la licenza farmacologica in Europa, ha modificato sensibilmente l’approccio terapeutico ai fibromi uterini sintomatici nelle donne in fase premenopausale rivelandosi in grado di ridurre le dimensioni delle neoplasie e arrestare tempestivamente il sanguinamento correlato a quest’ultime. UPA, in commercio con il nome di Esmya®, ha trovato inizialmente indicazione nel trattamento pre-chirurgico a breve termine dei fibromi uterini sintomatici, vista la possibilità di ridurre i tassi di intervento e agevolare la pratica chirurgica: uno studio multicentrico ha evidenziato come, in 1473 pazienti affette da una fibromatosi uterina con una sintomatologia severa-moderata, il trattamento con UPA abbia reso necessario il trattamento chirurgico solo nel 38,8% dei casi, molti dei quali hanno potuto beneficiare di un intervento conservativo così da preservare la fertilità, mentre nella quota restante è stato possibile raggiungere il controllo della malattia solo tramite la strategia farmacologica[56]; inoltre uno studio retrospettivo[57] ha confrontato i dati di 34 donne trattate con UPA prima

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e dopo l’intervento chirurgico con quelli di 43 pazienti gestite solo chirurgicamente, nel primo gruppo il tasso di sanguinamenti intraoperatori, la riduzione dell’emoglobina e le trasfusioni nel post-operatorio sono risultati significativamente ridotti.

Oltre all’indicazione sopracitata, il ricorso ad UPA è stato esteso dalla fine del 2016 anche per il trattamento intermittente dei sintomi da moderati a gravi dei fibromi uterini in donne in età riproduttiva, con inserimento nella nota AIFA 51; in entrambi i casi la posologia prevede il ricorso a 5 mg (1 compressa) in monosomministrazione quotidiana per un periodo massimo di 3 mesi, tuttavia studi registrativi hanno permesso di valutare l’efficacia e la sicurezza della ripetizione del trattamento fino ad un massimo di due cicli nell’indicazione pre-chirurgica e di quattro cicli nel trattamento intermittente.

L’efficacia del trattamento con UPA è stata dimostrata tramite gli studi registrativi PEARL I-II, tramite cui è emersa l’efficacia nel setting pre-chirugico, e PEARL III-IV, che hanno evidenziato l’utilità di UPA nella terapia intermittente a lungo termine dei miomi:

 Lo studio clinico di fase III PEARL I ha messo a confronto la somministrazione quotidiana di 5 o 10 mg di UPA per 13 settimane rispetto ad un placebo in donne con fibromi uterini associati a forti sanguinamenti mestruali e anemia: l’esito dello studio ha permesso di evidenziare la capacità della molecola in questione di arrestare il sanguinamento uterino nel 90% dei casi, inoltre nei tre quarti delle pazienti tale controllo è stato registrato nell’arco di soli 7-10 giorni; nei 3 mesi di trattamento è stato possibile evidenziare anche una riduzione volumetrica delle neoplasie, involuzione in grado di mantenersi anche nei 6 mesi successivi alla cessazione della terapia mentre la ricomparsa di un normale ciclo mestruale è apprezzabile in genere dopo un mese[33].

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 Lo studio clinico di fase III PEARL II ha confrontato a 13 settimane l’effetto terapeutico della somministrazione quotidiana di 5 o 10 mg di UPA con 3,75 mg di leuprolide, un agonista del GnRH: UPA, ad entrambi i dosaggi, è risultato non inferiore a leuprolide nell’arrestare il sanguinamento, dimostrandosi inoltre in grado di raggiungere l’obiettivo in un arco temporale nettamente più circoscritto (6 giorni vs. 1 mese); non particolarmente dissimile è risultata anche la riduzione del volume neoplastico (42% vs. 53%) seppur UPA abbia mostrato, nelle pazienti non sottoposte a chirurgia, un effetto più prolungato sulle dimensioni del fibroma con mantenimento dell’involuzione volumetrica fino a 6 mesi dalla sospensione della terapia. Un ulteriore vantaggio correlato ad UPA è emerso a seguito del dosaggio dei livelli di estradiolo al termine delle 13 settimane: i valori riscontrati a seguito della somministrazione di UPA a dosi di 5 e 10 mg corrispondevano rispettivamente 64 pg/ml e 60,5 pg/ml di estradiolo mentre, a seguito della terapia con leuprolide, è stato registrato un valore mediano di 25 pg/ml, compatibile con quello di una donna in menopausa; tale differenza spiega la maggiore frequenza degli effetti indesiderati simil-menopausali nelle pazienti trattate con l’analogo del GnRH, in particolare la frequenza delle vampate di calore di grado moderato-severo è risultata del 40% nelle donne trattate con leuprolide e di solo il 10-11% in quelle trattate con UPA[53].

Figura 7: Risultati dello studio PEARL II.

 PEARL III è uno studio di fase 3 che ha arruolato 209 pazienti le quali hanno ricevuto un ciclo di trattamento in aperto con ulipristal acetato 10 mg una volta al

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giorno per 3 mesi, seguito immediatamente dalla somministrazione (randomizzazione 1:1) del progestinico noretisterone acetato (NETA) 10 mg/die per via orale o di un placebo per un periodo di 10 giorni; inoltre lo studio PEARL III ha previsto una fase di estensione in cui 132 pazienti hanno ricevuto ulteriori 3 cicli di trattamento con ulipristal acetato 10 mg, seguiti sempre da 10 giorni di NETA/placebo. Per quanto riguarda il controllo del sanguinamento, attraverso questo studio è emerso che il 79,5% delle pazienti sviluppa una condizione amenorroica dopo il primo ciclo di trattamento, percentuale che sale fino all’89,7% alla fine del quarto ciclo; inoltre si osserva una significativa riduzione del volume del fibroma (-63%) nell’80% delle pazienti dopo un secondo ciclo di terapia e tale involuzione prosegue nei successivi cicli, infatti la riduzione delle dimensioni raggiungere il 72% dopo 4 cicli di trattamento[58].

 Lo studio PEARL IV corrisponde ad un RCT multicentrico in doppio cieco che ha confrontato UPA a 5 e 10 mg in monosomministrazione quotidiana randomizzando 451 pazienti, con fibromi uterini sintomatici e sanguinamento rilevante, tra 2 (PEARL IV parte 1) o 4 (PEARL IV parte 2) cicli di trattamento dalla durata di 3 mesi ciascuno. I risultati hanno mostrato un’efficacia paragonabile tra i due dosaggi nel controllo del sanguinamento e nella riduzione del volume neoplastico, nonché in termini di sicurezza: in particolare nel PEARL IV parte 1 la somministrazione di UPA 5 mg permette di raggiungere una percentuale di amenorrea del 71,8% e del 74,1% dopo il I° e II° ciclo rispettivamente, inoltre nelle donne che ricevono più di un ciclo di terapia si assiste ad una progressiva riduzione volumetrica del fibroma[59, 60].

Gli effetti terapeutici esercitati da UPA nel contesto dei fibromi non sono ancora chiari seppur sia stata evidenziato un effetto di regolazione negativa sull’espressione dei fattori di crescita angiogenetici e dei loro recettori, come osservato nelle colture di cellule di fibroma, con conseguente soppressione della neoangiogenesi, della proliferazione e della sopravvivenza cellulare per mezzo della modulazione delle isoforme recettoriali del progesterone[33, 53]. Gli studi in vitro hanno anche evidenziato come gli effetti esercitati dal presidio in questione sulle cellule di leiomioma non coinvolgano l’endometrio fisiologico[33, 53] il quale, invece, è interessato nl 70-74% dei casi da modificazioni benigne e reversibili indicate con l’acronimo PEACs (Progesterone Receptor Modulator

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Endometrial Changes) che contribuiscono all’induzione di uno stato amenorroico[61] e sono rintracciabili anche in corrispondenza dell’endometrio ectopico[62]

.

I PAECs corrispondono a modificazioni endometriali non fisiologiche rappresentate da un epitelio inattivo e con proliferazione debole, associato ad asimmetria della crescita stromale ed epiteliale con ghiandole prominenti, caratterizzate da una dilatazione cistica e rivestite da un epitelio appiattito senza pseudostratificazione nucleare: tali alterazioni sono frequenti nelle pazienti trattate con UPA per 3 mesi, sono reversibili dopo la fine del trattamento e non devono essere confuse con l’iperplasia endometriale, per questo motivo, in caso siano necessari approfondimenti citologici, è importante informare l’anatomopatologo del trattamento con UPA[61]

. In particolare nello studio PEARL IV, la presenza di PAECs è stata osservata nel 7,8% delle pazienti del gruppo UPA 5 mg e nell’8,4% del gruppo 10 mg allo screening, percentuali che durante il trattamento sono aumentate in modo dose-indipendente: in particolare dopo 2 cicli erano presenti nel 16,3% e nel 19,2% delle donne, rispettivamente nel braccio 5 mg e 10 mg, mentre dopo 4 cicli nel 16,2% e nel 10,3%; tuttavia al follow-up a 6 mesi le percentuali sono tornate a valori prossimi a quelli osservati allo screening pre-arruolamento. Per quanto riguarda lo spessore mediano dell’endometrio, durante lo studio era compreso tra 7 e 8 mm, anche se nel 7,4% delle pazienti ha raggiunto e superato i 16 mm dopo il 1° ciclo, per poi tornare ai valori dello screening prearruolamento durante i cicli successivi; in linea generale nelle pazienti trattate con UPA non è necessario ricorrere ad approfondimenti a meno che l’ispessimento endometriale (>16 mm) non persista anche a seguito della fine del trattamento e alla ricomparsa delle mestruazioni, in tal caso sono indicate le indagini standard sull’ispessimento dell’endometrio nelle donne in pre-menopausa per escludere altre condizioni sottostanti[60].

Nonostante sia stato dimostrato il profilo di sicurezza di UPA e la reversibilità dei PAECs indotti dal trattamento a seguito della sospensione del presidio, i dati a disposizione relativi all’impatto esercitato da UPA sull’endometrio e sulla proliferazione cellulare sono ancora insufficienti. Recentemente Whitaker et al.[63] hanno condotto un’analisi molecolare confrontando l’endometrio di pazienti con fibromi sottoposte al trattamento con UPA per 9-12 settimane con quello di donne con fibromatosi non sottoposte a tale terapia farmacologica; lo studio in questione si è concentrato a) sull’espressione dei recettori degli steroidi sessuali, b) sui prodotti genici noti per essere sottoposti ad una regolazione

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progestinica e c) sull’attività proliferativa endometriale, evidenziando alcuni aspetti molecolari che potrebbero giustificare gli effetti endometriali UPA-correlati.

a) Una delle evidenze più significative emerse dallo studio corrisponde al fatto che la

somministrazione di UPA è in grado di alterare il pattern di espressione dei recettori progestinici (PR) e androgenici (AR), mimando l’impatto anti-proliferativo svolto dal progesterone durante la fase secretiva endometriale; nello specifico, per quanto riguarda le isoforme del PR, è stata evidenziata una diversa espressione nel contesto dell’endometrio, infatti si assiste ad una down-regulation nel contesto dello stroma e ad un’iperespressione a livello dell’epitelio ghiandolare, mentre, per quanto riguarda il recettore androgenico, è stato evidenziato un incremento della concentrazione del mRNA-AR diversamente da quanto normalmente apprezzato durante il fisiologico ciclo mestruale.

b) Per esplorare se UPA agisse da agonista o antagonista nei confronti dell’espressione

dei geni dipendenti dal progesterone (IGFBP-1, FOXOI, IL-15, HAND-2)[64] è stata misurata la concentrazione dei loro mRNA codificanti: nei controlli l’espressione di queste molecole risultava, in accordo con quanto atteso, incrementata nella fase secretiva rispetto a quella proliferativa mentre, a seguito della somministrazione di UPA, il pattern di espressione della fase secretiva si è uniformato a quella secretiva, quindi si è assistito ad una significativa down-regulation giustificando la ridotta differenziazione morfologica endometriale e suggerendo la limitata azione agonista esercitata da UPA a carico del PR nel contesto dell’endometrio.

c) Infine è stato valutato il tasso di proliferazione cellulare ricorrendo al biomarcatore

Ki67, un antigene espresso dalle cellule durante le varie fasi del ciclo cellulare (G1, S, G2, M)[65], e alla valutazione dell’espressione di FOXM1, un fattore di trascrizione coinvolto della progressione del ciclo cellulare[66]: confrontando la positività a Ki67 nelle cellule stromali ed epiteliali dopo trattamento con UPA e durante la fase secretiva, non è stato osservato alcun incremento nel tasso di proliferazione mentre lo stesso risulta nettamente più basso rispetto alla fase proliferativa; inoltre anche l’espressione di FOXM1 è risultata ridotta nei tessuti sottoposti al trattamento con UPA, tuttavia il contributo di questo fenomeno nella riduzione della proliferazione cellulare deve essere ancora approfondito.

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Potenziali applicazioni dell’ulipristal acetato

L’approfondimento delle conoscenze relative al meccanismo di azione di UPA ha permesso di postulare il suo impiego in ulteriori contesti clinici tra i quali si ricordano l’endometriosi e il carcinoma mammario.

Ulipristal acetato nell’endometriosi

L’endometriosi corrisponde ad una malattia infiammatoria estrogeno-dipendente definita dalla presenza di ghiandole e stroma endometriali in sedi extrauterine: colpisce tra il 6% e 10% delle donne in età riproduttiva rendendosi responsabile di un ampio spettro di manifestazioni cliniche che comprende forme assolutamente asintomatiche ed altre caratterizzate da severa dismenorrea, dispaurenia, dischezia, dolore pelvico cronico e infertilità[67].

Il principale obiettivo della gestione dell’endometriosi è alleviare il dolore associato alla malattia, intento che riconosce sia opzioni mediche che chirurgiche le quali devono essere concomitatamente messe in atto nella maggior parte delle donne per gestire la sintomatologia, oltre al fatto che frequentemente è richiesta l’impostazione di una terapia a lungo termine di difficile sospensione vista la tendenza della sintomatologia a ripresentarsi a distanza di 6-12 mesi dall’interruzione del trattamento[68].

Gli attuali trattamenti medici sono basati su due principali meccanismi di azione, ovvero anti-infiammatorio e ormonale: gli anti-infiammatori non steroidei (FANS) sono comunemente sfruttati dalle donne che lamentato dismenorrea, tuttavia non sussistono sufficienti evidenze per confermare la loro effettiva efficacia nel trattamento del dolore connesso all’endometriosi, né esistono evidenze tali da giustificare la somministrazione di un FANS rispetto ad un altro[69]; i farmaci ad attività ormonale, invece, agiscono bloccando la funzione ovarica e creando una condizione stabile dal punto di vista ormonale[70], in particolare i presidi prevalentemente sfruttati corrispondono ai contraccettivi ormonali, ai progestinici e agli anti-progestinici, agli agonisti/antagonisti del GnRH e agli inibitori dell’aromatasi[71]

.

I SPRMs hanno mostrato un potenziale terapeutico interessante in quanto, rispetto ad altri presidi a disposizione, consentono[72]

 Un’inibizione selettiva della proliferazione endometriale senza determinare una deprivazione estroprogestinica secondaria che invece si manifesta a seguito della somministrazione degli altri presidi, infatti i progestinici inducono sanguinamento,

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dolore mammario ed edemi, il danazolo (17α-etinil testosterone) causa acne, abbassamento del tono della voce e alterazione dell’equilibrio lipidico, infine agli agonisti del GnRH si correlano a osteoporosi, vampate di calore e sudorazione.

 Una soppressione reversibile del sanguinamento attraverso un’azione diretta sui vasi uterini, infatti le arterie spiraliformi sono estremamente sensibili all’azione del progesterone grazie alla mediazione svolta dai periciti che esprimono un elevato numero di PR;

 Una ridotta produzione di prostaglandine che sono alla base del dolore pelvico cronico, infatti i SRPMs hanno la capacità di inibire la ciclossigenasi-2 (COX-2) la cui attività si è rivelata particolarmente aumentata nel tessuto endometriale, sia ectopico che non, evento secondario ad un’aumentata sensibilità alle citochine pro-infiammatorie riscontrate costantemente nel liquido peritoneale in caso di endometriosi[72-74].

Prendendo in specifica considerazione l’azione di ulipristal acetato, Huniadi et al. (2013) hanno condotto uno studio relativo agli effetti della molecola in questione sull’espressione di Bax/Bcl-2, citocromo C, Ki-67 e COX-2 su modelli murini affetti da endometriosi. La famiglia delle proteine Bcl, la cui funzione è modulata in parte dalla produzione degli estrogeni e l’espressione del loro recettore, assume un ruolo centrale nella regolazione dell’apoptosi mitocondriale: nello specifico Bcl-2 corrisponde ad un proto-oncogene in grado di inibire l’apoptosi e garantire la sopravvivenza cellulare bloccando gli agenti pro-apoptotici quali le caspasi; al contrario Bax favorisce la liberazione del citocromo C mitocondriale che, a sua volta, attiva la procaspasi-9 innescano la cascata di eventi che culmina nella morte cellulare programmata[75]. Ki-67 corrisponde ad una proteina correlata alla proliferazione cellulare mentre COX-2 è un enzima che svolge un ruolo centrale nell’endometriosi in quanto inibisce l’apoptosi, favorisce la sintesi delle prostaglandine e promuove l’angiogenesi.

Confrontando i ratti trattati con UPA rispetto al gruppo di controllo gestito con il solo placebo, è stata osservata una sensibile riduzione delle lesioni con un’involuzione anche di oltre il 50% degli impianti endometriosici. Per quanto concerne i recettori studiati, invece, non è emersa una differenza statisticamente significativa per Bcl-2 mentre il rapporto Bax/Bcl-2 è risultato >1 suggerendo così il ruolo pro-apoptotico di UPA; per quanto riguarda il citocromo C è stato osservato un incremento di 10 volte in presenza della

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molecola in questione, evento che potrebbe correlarsi sia all’effetto esercitato su Bax/Bcl-2, sia ad un’azione diretta sulla membrana mitocondriale mediata da UPA[76, 77].

Il dosaggio farmacologico di UPA somministrato alla popolazione di ratti trattata corrisponde a 0,1 mg/die, un quantitativo compatibile con quello utilizzato nella contraccezione di emergenza con ElleOne® (30 mg), ma 10 volte superiore a quello impiegato per il trattamento dei leiomiomi uterini (5 mg/die x 3 mesi)[76].

Ulipristal acetato nel carcinoma mammario

Il carcinoma mammario, la più frequente neoplasia del sesso femminile, corrisponde ad una malattia ormone-dipendente ed oltre il 70% dei tumori sporadici della mammella esprime recettori per gli estrogeni e/o il progesterone (PR)[78]. I trattamenti ormonali sistemici impiegati nella pratica clinica hanno essenzialmente riconosciuto come target il pathway di segnalazione estrogenica[79], tuttavia nelle ultime decadi si è assistito ad un significativo progresso nella comprensione del ruolo del PR e dei suoi ligandi nel contesto della neoplasia in questione potendo prospettare nuove opzioni terapeutiche[80, 81].

Il recettore del progesterone si compone di due diverse isoforme indicate come PRA e PRB in grado di esplicare le proprie azioni in modalità lingando-dipendente e tessuto-specifica, tuttavia possiedono un’attività trascrizionale diversa e regolano differentemente l’espressione di un sottoinsieme di geni target. Le due isoforme del recettore progestinico si caratterizzano, in condizioni fisiologiche, per un’espressione coordinata ed equimolare nelle cellule dell’epitelio mammario[36]

mentre nel contesto delle neoplasie si assiste ad una disregolazione del rapporto PRA/PRB associata ad una maggiore espressione di PRA che, a sua volta, sembrerebbe responsabile di una disregolazione nella segnalazione estro-progestinica[36, 82]: tale squilibrio è stato riscontrato sia nelle lesioni preneoplastiche dei pazienti con tumore mammario che nelle neoplasie più aggressive e caratterizzate da una sopravvivenza libera da malattia ridotta, in particolare quest’ultimo aspetto è stato dimostrato recentemente in una coorte di pazienti trattati con tamoxifene[83]; inoltre l’overespressione di PRA è stata osservata nel 40% dei carcinomi duttali in situ e nelle lesioni mammarie invasive[36] mentre nelle pazienti con mutazione dei geni BRCA1/2 si apprezza tale iperespressione sia nel contesto dei tessuti sani che neoplastici[84, 85]. I dati a disposizione suggeriscono, quindi, un ruolo diretto da parte dei recettori progestinici nella carcinogenesi del carcinoma mammario con un contributo diverso a seconda dell’isoforma recettoriale presa in considerazione.

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