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Pindaro, Peana IV. Testo e Commento.

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DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA E STORIA DELL’ANTICHITÀ

CURRICULUM FILOLOGICO

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

PINDARO, PEANA IV.

TESTO E COMMENTO

CANDIDATO RELATORE

Edoardo Belvederesi Chiar.mo Prof. Enrico Medda

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2

J. M. J.

SACRATISSIMO NOMINI

IMMACULATÆ SEMPERQUE VIRGINIS MATRIS DEI ET DOMINÆ NOSTRÆ

MARIÆ

Deo gratias et Mariæ!

Sub tuum præsidium confugimus, Sancta Dei Genitrix: nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus, sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta.

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INDICE

§I. PROLEGOMENA p. 4

§I.i. Il Peana iv di Pindaro e il POxy 841. p. 4

§I.ii. Le caratteristiche formali del Peana iv e la matria trattata. p. 19

§I.iii. Il luogo di rappresentazione del Peana iv. p. 21

§I.iv. La performance del Peana iv. p. 41

§I.v. La datazione del Peana iv. p. 43

§II. ΠΙΝΔΑΡΟΤ ΠΑΙΑΝ Δ́ p. 46 §II.i. Testo. p. 46

§II.ii. Pindaro, Peana iv. Traduzione. p. 49

§III. SCHOLIA p. 51

§III.i. Testo. p. 51

§III.ii. Scolî. Traduzione. p. 53

§IV. METRORUM CONSPECTUS p. 54

§V. COMMENTO METRICO p. 55

§VI. COMMENTARIO AL TESTO p. 64

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- §I -

PROLEGOMENA

§I.i. IL PEANA IV DI PINDARO E IL POXY 841.

Il Peana iv (=fr. 52d M.=D4 Ruth.)1 di Pindaro, come la gran parte della produzione peanica del poeta tebano, ci è stato tramandato dal POxy 8412, rinvenuto da Grenfell e Hunt durante la campagna di scavo ad Ossirinco il 13 gennaio 1906, in un cumulo di spazzatura3. Prima d‟occuparci del Peana iv può dunque senz‟altro giovare una relativamente sintetica esposizione delle carateristiche di questo manoscritto, soffermandoci con particolar attenzione sui risultati dei più recenti studî su di esso condotti.

Questo rotolo, dunque, ospita sul recto (POxy 984)4 due diversi testi documentarî, mentre i Peani sono vergati sul verso. I primi editori, su base paleografica, ne hanno fissata la datazione alle prime decadi del II sec. d. C. (e non oltre la metà di esso per la scrittura corsiva degli scolî che corredano il teso)5. Il rotolo è stato rinvenuto smembrato in quattro principali sezioni, dai primi editori denominate A, B, C e D.

La prima sezione, di maggiori dimensioni, conserva trentacinque colonne, lacunose, di quindici righe ciascuna (tranne le coll. 17, 19, 22, 24 o 25, 29 e 33, di sedici righe); in quesa sezione sono visibili alcune note sticometriche: I = 900 (col. 3, r. 5),

1

Tutti i frammenti pindarici saranno citati, se non diversamente specificato, secondo l‟edizione Teubneriana di H. Maehler (Pindarus. Pars ii. Fragmenta-Indices, Leipzig 19892). Anche per il testo degli Epinicî l‟edizione di riferimento è H. Maehler (ed.), Pindarus. Pars i. Epinicia. Post B. Snell edidit H. M., Leipzig 1980.

2

L‟editio princeps vide la luce per le cure degli scopritori stessi nel 1908: B. P. Grenfell-A. S. Hunt (edd.), The Oxyrhynchus Papyri, Part v, Edited with Translation and Notes, London 1908 (pp. 11-110). La più recente edizione di tutti i frammenti attribuibili ai Peani è quella oxoniense di I. C. Rutherford, Pindar‟s Paeans. A Reading of the Fragments with a Survey of the Genre, Oxford 2001. 3 Cfr. B. P. Grenfell-A. S. Hunt, «Graeco-Roman Branch», in Egypt Exploration Fund, Archeological

Report 1905-1906, pp. 8-16 (segnatamente, qui, pp. 10 sgg.); S. L. Radt, Pindars zweiter und sechster Paian. Text, Scholien und Kommentar von S. L. R., Amsterdam 1958, p. 2.

4 Cfr. la trascrizione, parziale, del POxy 984, per le cure dei medesimi Grenfell ed Hunt, apparsa in

The Oxyryinchus Papyri, Part vi, London 1908, pp. 321-322; e la recente editio princeps del più

ampio dei due testi in R. S. Bagnall-B. W. Frier-I. C. Rutherford, The Census Register of P.Oxy. 984:

The Reverse of Pindar‟s Paeans, in Papirologica Bruxellensia xxix, Bruxelles 1997.

5 Cfr. P. Grenfell-A. S. Hunt (edd.), The Oxyrhynchus Papyri, Part v cit., p. 13; S. L. Radt, Pindars

(5)

5

M = 1200 (col. 23, r. 4), N = 1300 (col. 29, r. 14 a sinistra). L‟ampiezza

degl‟intercolumnî, qui come nelle restanti sezioni, è di circa 14-15 cm.

La sezione B è costituita da un insieme di frammenti, alcuni dei quali di pochissime lettere soltanto, vergati dalla medesima mano del recto di A (le due sezioni hanno in comune anche l‟altra mano, quella del verso). Un‟eccezione presentano i frr. 26- 27, il cui recto è vergato da una mano diversa da quello di A-B, forse la medesima di D. Il numero di colonne considerabili consecutive ancora (parzialmente) leggibili è di tre (la seconda ampiamente lacunosa); l‟unica ricostruita è di righe 17. Rispetto ad A, i frammenti di B appaiono più sporchi e rovinati.

Le rimanenti due sezioni, C e D, presentano sul verso la medesima mano scrittoria; il recto di C è stato vergato dalla mano che ha vergato quello di A-B, quello di D, invece, da un‟altra. In C resta una colonna di 16 righe; due non consecutive, anch‟esse di 16 righe, in D.

Il contenuto delle sezioni è ripartito come segue:

A = frr. 1-15 = pae. i-vii B = frr. 16-81 = pae. viib, viic6 C = frr. 82-125 = pae. viid, viii, viiia D = frr. 126-139 = pae. ix, x(a)-x(b)

Il nostro Peana iv si trova, dunque, nella sezione A, segnatamente alle coll. 15-19. Va notato, inoltre, che in tutte e quattro le parti sono presenti scolî7, che sono particolarmente abbondanti in pae. ii e nelle sezioni C-D. Circa le mani che li hanno vergati, i primi editori ne hanno distinte tre (H1, H2, H3) per gli scolî in onciale, due

(S1, S2) per quelli in corsiva; ma talvolta la somiglianza è tale, che operare una

sicura distinzione non è possibile8.

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Così nell‟edizione Teubneriana, collegando i frr. 21, 26-28; ma «è tutt‟altro che sicuro che siano da collegare tra loro» (G. B. D‟Alessio, «Sulla struttura del libro dei Peani di Pindaro», in M. Cannatà Fera-G. B. D‟Alessio (cur.), I lirici greci. Forme della comunicazione e storia del testo. Atti dell‟Incontro di Studi. Messina 5-6 novembre 1999, Messina 2001, pp. 69-86; qui a p. 72).

7 In senso lato: molti di essi, infatti, sono più precisamente glosse, o varianti testuali. Per essi, si è tenuta in particolar conto la più recente edizione di K. McNamee, Annotations in Greek and Latin

texts from Egypt (American studies in Papyrologi, xlv), Chippenam 2007, di cui cfr. anche le

considerazioni a p. 97.

8 Cfr. ed. princ., pp. 15-16; S. L. Radt, Pindars zweiter und sechster Paian cit., p. 8. Cfr. anche, oltre la già citata edizione della McNamee, l‟edizione oxoniense del Rutherford.

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6

Accentazione, spiriti (nella forma antica, squadrata), elisioni, segni di prosodia (segno di quantità lunga su α, ι, υ), interpunzione e σημεῖα filologici sono irregolarmente presenti un po‟ lungo tutto il manoscritto9

; gli accenti, comunque, sono più abbondanti in C-D. Circa la loro apposizione, si può notare, in particolare, che nei bisillabi ossitoni porta accento grave la prima sillaba, e un metodo d‟accentazione simile è usato per i polisillabi. Per l‟interpunzione s‟usa generalmente il punto in alto. La paragraphos è usata per dividere la strofe dall‟antistrofe, e questa dall‟epodo, dopo il quale si trova combinata alla coronide. Quando il carme è però monostrofico (cfr. pae. v), le varie sezioni metriche sono tutte divise da paragraphos e coronide.

Nei marginalia del nostro papiro compaiono alcuni sigla ad accompagnare delle annotazioni, probabilmente delle varianti marginali. Essi sono abbreviazioni di filologi alessandrini che hanno lavorato sul testo di Pindaro; su di esso possiamo dunque rintracciare l‟operato dei seguenti eruditi10: Crisippo di Soli, Teone d‟Alessandria, Nicanore d‟Alessandria; Ἀρνι( ) ed Ἀνι( ) dovrebbero stare per Aristonico d‟Alessandria, Ἀρισ( ) ed Ἀρ( ) potrebbero invece essere abbreviazioni per Aristofane di Bisanzio, o Aristarco di Samotracia, o Aristodemo d‟Alessandria, o ancora una volta per Aristonico. Ma l‟abbreviazione più problematica è senza dubbio ζη o, come pure si trova, ζ. I primi editori, e così pure lo Pfeiffer11 e l‟Irigoin12

, pensavano si trattasse del nome di Zenodoto di Efeso, la cui attività sul testo di Pindaro è peraltro sicura. Tuttavia, già il Radt, che pure propendeva ancora nello scioglimento dell‟abbreviazione per il nome di Zenodoto, notava come negli scolî a Pindaro la sua attività fosse menzionata solo tre volte, mentre qui le varianti a lui attribuite, pei soli Peani, sarebbero non meno di sei13. In séguito, K. McNamee notava che spesso, nei papiri, un gruppo indecifrabile di lettere è accompagnato dal

siglum ζη(τεῖται) „è in discussione‟14. Ora, un lampante esempio di questo fatto è

9 Per l‟intera questione, cfr. Cfr. P. Grenfell-A. S. Hunt, ed. princ. cit., pp. 13-15.

10 Cfr. K. McNamee, Annotations cit., pp. 97-98; I. C. Rutherford, Pindar‟s Paeans cit., pp. 149-148. 11 R. Pfeiffer, History of Classical Scholarschip, vol. i, Oxford 1968, pp. 117 sg.

12

J. Irigoin, Histoire du texte de Pindare, Paris 1952, p. 80; per la parte relativa ai Peani pindarici, cfr. pp. 77-84.

13 Cfr. S. L. Radt, Pindars zweiter und sechster Paian cit., p. 8.

14 Cfr. K. McNamee, Marginalia and Commentaries in Geek Literary Papyri, Diss. Duke University 1977, p. 125.

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proprio in una nota a pae. iv, lo schol. 5815 ζη κεαριον ηρω, che pertanto sarà da sciogliere ζη(τεῖται), o anche ζή(τει) „ricerca‟. Questo, per economicità, porta ad attribuire a tutte le ricorrenze di questi sigla il significato ζη(τεῖται)/ζή(τει), con «la funzione non semplicemente (come avviene per γράφεται o per ἔν τισιν) di segnalare la presenza di una variante, ma più precisamente quella di rimandare a una discussione, già avviatasi all‟interno della tradizione ipomnematica, in merito a una lezione particolarmente difficile (o impossibile) attestata in uno o più esemplari di un determinato testo»16.

Disaccordo c‟è tra gli studiosi circa l‟ordine con cui sistemare le quattro sezioni. Grenfell e Hunt ritennero naturale l‟ordine ABCD, senza tuttavia escludere la possibilità d‟una differente sistemazione: ABDC, o anche CDAB. Dopo il lavoro dei primi editori, segna una tappa importante nello studio di questo rotolo (e, più in generale, dei papiri dei Peani pindarici) un articolo di B. Snell17, i cui risultati sarà bene qui prendere brevemente in esame. Riteneva dunque, da un esame autoptico del

POxy 841, di potervi riscontrare «öfter wiederkehrenden Wurmlöcher», che,

facendosi sempre più stretti verso la fine, indicherebbero che «hat die Rolle richtig aufgerollt, d. h. mit dem Schluß innen, in der Erde gelegen». Inoltre, se B è più rovinato e sporco di A, doveva trovarsi prima di questo, forse preceduto a sua volta da C e D (giacché in A è presente, come già visto, la nota sticometrica N = 1300). Da ciò i due possibili ordinamenti DCBA (ma allora delle cattive condizioni di B non si terrebbe debitamente conto) o BACD (con il problema dell‟eccessiva lunghezza del rotolo)18. In seguito, J. Irigoin19 riprendeva queste osservazioni, aggiungendovi altre considerazioni (p. es., sull‟ampiezza della lacuna tra le sezioni B ed A, sulla base della colometria di pae. viib fissata dal Turyn20), comunque non definitive; e su di

15 Do la numerazione degli scolî secondo la mia edizione, in cui essi (con la loro traduzione) fanno immediato seguito all‟edizione e traduzione del Peana iv. Anche per quest‟ultimo, la numerazione scelta è, ovviamente, quella della presente edizione, non già la numerazione per versi in base ai criteri boechkiani. Per tutto ciò, cfr. infra.

16

F. Ferrari, «La sigla ζη/ζ nei papiri pindarici», SCO xlii (1992), pp. 273-276 (segnatamente, qui, a p. 275). A questo contributo si rimanda per un‟ampia e dettagliata analisi della questione.

17 Cfr. B. Snell, «Identifikationen von Pindarbruchstücken», Hermes lxxiii (1938), pp. 424-439. 18 Cfr. G. B. D‟Alessio, «Sulla struttura etc., cit.» cit., p. 73. Si noti la postulata contiguità di C con AB (o BA), a motivo dell‟identità del testo documentario sul recto delle tre sezioni.

19

Cfr. J. Irigoin, Histoire cit., pp. 77-84.

20 Secondo l‟Irigoin, pae. i costituirebbe la fine di pae. viib. Ma a questo s‟oppongono la differenza nel metro e il luogo d‟esecuzione (rispettivamente Delo e, presumibilmente, Tebe). Cfr. I. C. Rutherford, «Et hominum et deorum...laudes (?): a hypothesis about the organisation of Pindar‟s

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esse possiamo in questa sede fare a meno di soffermarci21. Un contributo importante alla questione venne poi dal Radt, che, sulla scorta d‟un‟osservazione dei primi editori22, notò come ogni difficoltà derivante dalle cattive condizioni di B venisse meno quando si fosse ipotizzata la divisione del libro dei Peani di Pindaro in due distinti rotoli23: l‟ordine DCBA, quello cioè che può sembrar più probabile anche a motivo della presunta lunghezza totale ricavabile dalle note sticometriche (circa 14 m), non è così, sul piano teorico, impedito dalle caratteristiche fisiche di B, altrimenti poco spiegabili.

In anni più recenti si sono occupati di questo rotolo, ricavandone assai rilevanti conclusioni, e I. C. Rutherford24 e, soprattutto, G. B. D‟Alessio25, i cui risultati, pensiamo, possono dirsi pressoché definitivi.

Il primo, dopo una sintetica analisi storico-letteraria del nome, e del genere, peana, conclude giustamente che «in the classical period [a differenza dell‟età ellenistica, dove riscontriamo in materia maggior varietà] the cult-paean was most closely associated with Apollo». A tal proposito conviene fin d‟ora leggere un famoso passo di Proclo sul genere letterario del peana, passo cui peraltro dovremo ancora far riferimento nel prosieguo della nostra trattazione:

Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 320a 20-25 (ed. R. Henry, Paris 1967)

ὁ δὲ παιάν ἐστιν εἶδος ᾠδ῅ς εἰς πάντας νῦν γραφόμενος θεούς, τὸ δὲ παλαιὸν ἰδίως ἀπενέμετο τῶ Ἀπόλλωνι καὶ τῆ Ἀρτέμιδι ἐπὶ καταπαύσει λοιμ῵ν καὶ νόσων ὾δόμενος. καταχρηστικ῵ς δὲ καὶ τὰ προσόδιά τινες παιᾶνας λέγουσιν.

A questo s‟innesta l‟osservazione di come, nei frammenti peanici di Pindaro, la focalizzazione su Apollo sia oggettivamente blanda, come esso sia «rarely the focus of attention» – e macroscopica risulta l‟evidenza quando consideriamo i Peani meglio conservati (ii, iv, v, vi: tutti dalla sezione A). Questo carattere «unexpectedly un-Apollonian» si può per l‟Autore considerare il riflesso dell‟organizzazione data

21 Cfr. G. B. D‟Alessio, «Sulla struttura etc., cit», p. 73 n. 22. 22

Cfr. P. Grenfell-A. S. Hunt, ed. princ. cit., p. 13.

23 Cfr. S. L. Radt, Pindars zweiter und sechster Paian etc., cit., p. 5.

24 Cfr. I. C. Rutherford, «Et hominum et deorum... etc., cit.», i cui risultati sono stati ripresi nel volume The Census Register cit., e poi confluiti nella già citata edizione oxoniense dei Peani.

25

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9

al (singolo) libro dei Peani di Pindaro dall‟editore d‟età ellenistica (probabilmente Aristofane di Bisanzio). Passa poi ad esaminare dappresso la POxy 841, e particolarmente le note sticometriche in A, dalle quali, considerando che esse si riferiscono probabilmente ad un rotolo contenente i Peani (e basta: non un rotolo antologico), ed ipotizzando che l‟estensione totale del libro non fosse superiore a circa 2000 cola, conclude che A doveva trovarsi nell‟ultima parte (forse in prossimità della fine) del rotolo. La tesi del Rutherford è dunque che da questi dati e considerazioni si possa cogliere un riflesso dell‟organizzazione antica del libro dei

Peani, la cui base – scartato, per oggettivi motivi, il criterio alfabetico (in ogni caso,

l‟ordine alfabetico antico, che sembra non s‟estendesse al di là della prima lettera di ciascuna parola) 26 – altrimenti sfugge. A tal proposito, ritiene egli che proprio nello scarso rilievo che la figura d‟Apollo ha nei Peani della sezione A stia la chiave del quesito. E precisamente: Aristofane (o chi per lui), raccolti quei componimenti che a proprio giudizio appartenevano al genere peanico27, potrebbe aver scelto quelli che meglio lo rappresentavano, ed averli collocati ai primi posti nella propria edizione. In ciò, sempre in Pindaro, sarebbe notevole il raffronto con quanto accaduto per le

Nemee, alla fine della cui raccolta sono state aggiunte le cossiddette Nemee

κεχωρισμέναι (schol. in Pind. Nem. ix, inscr., p. 150. 3 Drach. iii); o, forse, per le

Istmiche, al termine delle quali avrebbe potuto essere stato aggiunto un oskhophorikon28. Non solo. Il Rutherford pone intelligentemente a confronto due passi, quello, celebre, di Porfirio, dove si discute circa la ripartizione dei generi poetici in canti εἰς θεούς (cui appartiene il peana), canti εἰς ἀνθρώπους, e canti εἰς τὰς προσπιπτούσας περιστάσεις, e in particolare il punto in cui Proclo parla della categoria mista, per dèi e uomini:

26 E relativo alla lettera incipitaria di ciascun componimento, e ai committenti, e al (presunto) luogo d‟esecuzione: solo nella sezione A sembra che il criterio alfabetico circa il luogo d‟esecuzione sia rispettato, e ciò, per il Rutherford, porta a considerare per A la possibilità che i Peani in essa contenuti costituissero un gruppo separato rispetto a quelli delle sezioni B, C, D. Cfr. I. C. Rutherford, «Et hominum et deorum... etc., cit.», p. 49 n. 24. Cfr. anche, benché con una prospettiva, e con dettagli, differenti, G. B. D‟Alessio, «The Classification of Pindaric Papyrus Fragments», ZPE cxviii (1997), pp. 23-60 (segnatamente, qui, p. 31 n. 45).

27 Una seppur sintetica digressione sulle possibili differenze di classificazione, tra periodo classico ed Ellenistico, di componimenti genericamente definiti peani (in altre parole, se un peana per un Greco del v sec. a. C. lo era anche per un filologo alessandrino del iii/ii sec. a. C., e viceversa) ci costringerebbe ad ampliare eccessivamente la nostra trattazione. Per un‟ampia discussione in materia si rimanda all‟eccellente Introduction all‟edizione oxoniense del medesimo Rutherford, particolarmente al §I.i. Questions of genre (pp. 3-10).

28 Cfr. I. C. Rutherford, «Et hominum et deorum... etc., cit.», p. 48 n. 20, dove si rimanda all‟articolo di I. C. Rutherford-J. A. D. Irvine, «The Race in the Athenian Oschophoria and an Oschophoricon in Pindar», ZPE lxxii (1988), 43-51.

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10

Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 320a 3-6

εἰς θεοὺς δὲ καὶ ἀνθρώπους παρθένια, δαφν‹ηφορικά, τριποδ›ηφορικά, ὠσχοφορικά, ε὎κτικά· ταῦτα γὰρ εἰς θεοὺς γραφόμενα καὶ ἀνθρώπων περιείληφεν ἐπαίνους.

δαφν‹ηφορικά, τριποδ›ηφορικά Westphal : om. codd.

e quello, generalmente trascurato, di Servio:

Serv. in Verg. Aen. x. 738

conclamant socii laetum paeana secuti. paean proprie Apollinis laus est,

sed abusive etiam aliorum dicitur; unde Pindarus opus suum, quod et hominum et deorum continet laudes, paeanas vocavit.

Indubbiamente, hominum...continet laudes e ἀνθρώπων περιείληφεν ἐπαίνους sono nel dettato speculari; forse Servio potrebbe aver tradotto da una fonte greca. Certamente, se guardiamo ai Peani della sezione A, troviamo narrate vicende mitiche che riguardano eroi, e non si può scartare l‟ipotesi che l‟hominum...continet

laudes a queste si riferisca; e che dunque Servio conoscesse con esattezza il libro dei Peani. Tutto ciò considerato, il Rutherford propone come struttura di esso la

suddivisione in una prima parte contenente peani che avevano come materia le „lodi degli dèi‟ (visti verisimilmente come i rappresentanti più genuini del genere), che si estendeva lungo le sezioni C, D e B della POxy 841, ed una seconda quelle „degli uomini‟, che occupava la sezione A. Va notato inoltre che l‟Autore, in ogni caso, nega (quantomeno in linea generale, sul piano teorico e metodico) valore probante alle condizioni materiali dei frammenti di cui parla Snell, ed esplicitamente dubita dei buchi d‟insetto.

A G. B. D‟Alessio29

si deve invece un recente riesame generale del manoscritto, nel dichiarato intento di «mostrare come una più attenta analisi materiale del manufatto consenta di consolidare le intuizioni di Snell, e, allo stesso tempo, di ottenere

29 Ringrazio vivamente il Prof. D‟Alessio per aver avuto la bontà di discutere con me alcuni punti del presente lavoro.

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importanti, e più sicure, nuove deduzioni»30. Gioverà, per chiarezza, anticipare fin d‟ora le principali conclusioni di questo contributo:

(i) l‟intero libro dei Peani avrà contato sui 1450 cola; (ii) l‟ordine delle quattro sezioni è D-C (o C-D), B, A;

(iii) l‟ultimo Peana della raccolta era dunque, probabilmente, pae. vii; (iv) il rotolo era diviso in due tomi, come già ipotizzato da Radt.

A questi risultati il D‟Alessio giunge riprendendo, e parzialmente correggendo, le osservazioni dello Snell. In particolare, nota come, pur essendo probabilmente giustificato lo scetticismo del Rutherford circa i buchi causati da insetti (giacché regolarità, per dir così, meccanica, e tale da poterne ricavare sicure inferenze, si ha quando intervengono danni materiali provocati, per es., da un oggetto appuntito: quando invece a danneggiare un rotolo è un insetto, la circonferenza d‟un foro, probabilmente, non varierà in modo uniforme), di essi sono nondimeno individuabili alcuni pattern ricorrenti. L‟utilità della loro individuazione risiede nel fatto che «la distanza tra queste ricorrenze corrisponde [...] alla circonferenza del rotolo in quel dato punto al momento in cui il danno è stato provocato. Dal momento che pattern del genere sono ben visibili lungo gran parte dell‟estensione della sezione A, e [...] sono ricostruibili anche per B, ne deriva la possibilità non solo di determinare il senso di avvolgimento del rotolo al momento dei danni, ma anche la posizione relativa e, con qualche approssimazione, assoluta, di ogni singola voluta»31. Queste circostanze hanno contribuito all‟enucleazione dei risultati sopra esposti, perché (in sintesi):

(i) alla col. 35 di A, ultimo punto ricostruibile, la circonferenza è di poco superiore ai 6 cm. Se si considera che altri rotoli mostrano raramente un circonferenza inferiore ai 5 cm. in zone utilizzate per la scrittura libraria, e che in POxy 841 la progressione è di 0,2 cm. a voluta, quest‟ampiezza si sarà dovuta trovare a circa 30 cm a destra di col. 35, ovvero (dati i 15 versi per colonna e la distanza di circa 15 cm. tra ogni colonna) dopo altre due colonne. Coll‟aiuto delle note sticometriche ed

30 Cfr. G. B. D‟Alessio, «Sulla struttura etc., cit.», p. 70.

31 Ibid. p. 75. Alle note 27 e 28 di questa pagina si rimanda anche per una bibliografia riguardante i danni materiali di rotoli papiracei e loro rapporto con la ricostruzione dei medesimi.

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un semplice calcolo giungiamo così a 1450 cola come totale per l‟intero libro dei

Peani.

(ii) Ne deriva anche che, se A si trovava alla fine del rotolo, logicamente B doveva precederlo, a sua volta preceduto da D-C o C-D.

(iii) Se le cose stanno così, è del tutto naturale cosiderare pae. vii come ultimo nella raccolta.

(iv) La lunghezza totale dell‟intero rotolo doveva essere di circa 14 m, di per sé, ancorché notevolissima, non ancora tale da richiedere obbligatoriamente la divisione in due tomi (il D‟Alessio propone qui il confronto con alcuni papiri ercolanesi, per es. il primo libro della Poetica di Filodemo, che, nella ricostruzione di R. Janko misura più di 16, 4 m.). Ma rendono altamente probabile la divisione del libro in due tomi:

iv.a - le cattive condizioni di B, che ne suggeriscono una collocazione all‟esterno,

unite al fatto che, sulla base delle note sticometriche e al calcolo dei 1450 cola ca. totali, sembra dovesse contenere circa i cola 700 ss. (quindi dalla seconda metò del libro in avanti);

iv.b - la presenza in A-B e in C-D di annotazioni e varianti in onciale, ad opera dei

rispettivi scribi32, con ogni probabilità posteriori alla copiatura del testo, e per cui il lavoro si può ipotizzare molto più spedito se gli scribi avessero potuto lavorare separatamente, ciascuno sulla propria parte.

Nella conclusione del proprio contributo, il D‟Alessio suggerisce anche la possibilità, ricavata da indizi interni ai componimenti, d‟un‟esecuzione processionale pei pae. ii; iv-vii, per questo forse classificati come Peani prosodiaci. Questa dicitura certamente si ritrova, riferita con ogni probabilità al nostro pae. iv33,

32 L‟Autore non tralascia, in ogni caso, di notare la presenza in A-B di altre annotazioni e varianti, in capitale, dovute a due ulteriori mani; e quella di note in corsivo, forse di due mani, presenti tanto in A-B che in C-D, evidenza che, comunque, in nessun modo s‟oppone alla suddivisione in due tomi, giacché saranno state vergate da lettori che li possedevano entrambi (uno dei quali probabilmente lo scriba stesso di A-B). Cfr. G. B. D‟Alessio, «Sulla struttura etc., cit.», p. 83. Chissà che quest‟ultimo non sia stato l‟erudito che ha deciso la copia del libro dei Peani, per la quale potrebbe aver richiesto l‟aiuto d‟un collega (lo scriba di C-D)...

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in schol. in Pind. Isthm. i, inscr. b, p. 197.1 Drach. iii προσοδιακὸν παιᾶνα34, e sembra, effettivamente, da integrare in PSI ii.147, fr. vv, l. 6 προσοδι[ακός, riferito a

pae. vii.

Se la classificazione seguiva l‟ordine alfabetico, che è una possibilità piuttosto concreta per questa sezione del rotolo35, il primo della serie sarebbe dunque stato

pae. ii (= Abdera; pae. i= Tebe).

Cerchiamo ora di trarre, da tanta messe di dati e questioni, qualche possibile conclusione.

(i) Sembra ormai indubbio che il libro dei Peani, nella sistemazione data (probabilmente) da Aristofane di Bisanzio, terminasse con le sezioni B-A, presentando in sequenza i pae. viia, viib, viic (= i?), i, ii, iii (ovvero iiia, iiib), iv, v, vi, vii36. Assai più problematico risulta invece l‟ordinamento della prima parte: C-D è una possibilità tanto plausibile quanto D-C37. Potremmo, per es., ipotizzare, seguendo i ragionamenti del Rutherford, che un peana così potentemente apollineo come pae. viii (dalla sezione C) stesse bene verso il principio della raccolta, ed uno sempre apollineo, ma in modo più velato38, come pae. ix (dalla sezione D) fosse

34 Democare in Athen. 253 b-c (= FGrH 75 F 2) fa menzione di προσοδιακοὶ χοροί, e Limenio compose per Delfi un‟ode (Paean Delphicus ii et Prosodium in Apollinem, pp. 149-159 CA Powell) che, arrivataci per via epigrafica, nel titolo suona πα]ιὰν τε καὶ π[οθό]διον (π[ροσό]διον Ruth.) εἰς τ[ὸν θεὸν ὃ ἐπό]ησε[ν καὶ προσεκιθάρισε]ν Λιμήνι[ος Θ]οίνο[υ Ἀθηναῖος. In generale si pensa che l‟intero componimento sia da suddividere in due parti, delle quali la prima costituirebbe il peana, la seconda il prosodio; la cesura sarebbe a v. 33, dove inizia una parte in metro differente, pur non potendosi constatare nel testo soluzione di continuità. Ci si può comunque domandare se non sia piuttosto ravvisabile nel carme totalmente considerato un esempio di peana prosodiaco. Se infatti consideriamo la porzione generalmente ritenuta prosodio, ci accorgeremo che, su un totale di 49 cola, ad essa ben poco spazio è assegnato: 49-33 = 16 cola (piuttosto brevi, peraltro). Se consideriamo, ancora, che un prosodio aveva funzione processionale, potremmo rimanere un poco perplessi dall‟esiguità del percorso lungo cui questa processione doveva incedere: un tragitto che per essere ricoperto abbisognava del canto di soli sedici brevi versi! Cfr. contra I. C. Rutherford, Pindar‟s

Paeans cit., p. 106 e n. 40 (in generale, si vedano in materia le pp. 105-107, in cui si commenta anche

il passo di Procl. Chrest. 320a 20-25 che abbiamo sopra trascritto); che alcuni Peani di Pindaro mostrino indizi d‟un‟esecuzione processionale, comunque, è propenso a credere anche il Rutherford. 35 Cfr. supra.

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Questa è la sequenza ricostruita dal D‟Alessio (cfr. «Sulla struttura etc., cit.», p. 84). La lacuna tra B ed A può essere colmata da un unico componimento lungo (ne qual caso dopo pae. viib avrebbe avuto subito inizio pae. i), o da due più brevi (quindi pae. viib. viic, i). Un simile ragionamento è applicabile per lo spazio che intercorre tra i frustuli di pae. iii e pae. iv). Cfr. ibid. p. 76.

37 Cfr. ibid. p. 83 e n. 51 per le raffinate prposte del D‟Alessio circa il contenuto di questa parte. 38

Nell‟ode non si fa esplicito riferimento ad Apollo, ma si parla d‟un eclissi di sole; tuttavia nel v sec. a. C. forte doveva essere stata l‟affinità tra Apollo ed il sole. A tal proposito, cfr., per es., Plut. de

def. orac. 433d 8 οἱ μὲν πολλοὶ ηῶν προγενεζηέρων ἕνα καὶ ηὸν αὐηὸν ἡγοῦνηο θεὸν Ἀπόλλωνα καὶ

ἥλιον, e soprattutto, nel contesto della descrizione delle dafneforie, e delle cerimonie ad esse collegate, presso i Beoti, Procl. Chrest. ap. Phot. Bibl. 321b 18-20 βούλεται δὲ α὎τοῖς [scil.

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collocato più avanti. A questo punto, potremmo dedurne che l‟ordine originario fosse C-D; ma dovremmo tener sempre ben presente che abbiamo costruito edificando ipotesi su ipotesi. In ogni caso, della divisione in due tomi penso che non sia più motivo di dubitare.

(ii) La sezione A, pare, abbia, rispetto alle altre, qualche singolare caratteristica. Innanzitutto, come già osservato, sembra rispettato l‟ordine alfabetico rispetto al luogo. Unica eccezione sarebbe pae. i, probabilmente per Tebe; ma allora, essendo Pindaro tebano, ben si comprenderebbe come l‟editore antico possa aver messo in apertura di libro proprio quest‟ode: è ciò raffrontabile, rimanendo all‟interno dell‟opera pindarica, con quanto accaduto nell‟ordinamento delle Olimpiche, dove

Ol. i, che canta una vittoria col celete, importante ma non la maggiore (che era

quella colla quadriga) avrebbe dovuto trovarsi più avanti nella raccolta (e infatti Ol. ii celebra proprio la vittoria di Terone d‟Agrigento col carro, seguita dalle altre odi nell‟ordine previsto), ma, raccontando l‟eziologia dei giochi Olimpici, venne messa al principio del libro delle omonime odi; o, volendo cambiar autore, coll‟ordinamento del singolo libro degli Epinicî di Bacchilide, che ha in apertura due odi (ep. i, ii) dedicate ad un vincitore di Ceo, Argio.

Tirando dunque un poco le somme, l‟impressione generale che si ricava dall‟esame della sezione A è d‟una certa conchiusa compiutezza, come se essa fosse in qualche modo distinta dal resto del libro. Ma che cosa possiamo dire sul suo contenuto? Le due tesi su esposte, che cioè essa contenesse i Peani dove Apollo non aveva molta rilevanza (Rutherford) ovvero i Peani prosodiaci (D‟Alessio) sembrano entrambe, a chi scrivere, cogliere, per una qualche parte, nel segno. Alcune considerazioni, innanzitutto.

a - Alla tesi del Rutherford andrebbe integrata l‟osservazione che proprio pae. iv,

scritto su commissione cea forse per Delo, o comunque per un contesto cultuale legato ad Apollo39, inizia proprio nominando, sicuramente Artemide (sorella

Βοιωτίοις] ἡ μὲν ἀνωτάτω σφαῖρα τὸν ἥλιον (ᾧ καὶ τὸν Ἀπόλλωνα ἀναφέρουσιν). Nella seconda triade, poi, sembra si raccontasse la nascita del profeta tebano Tenero, partorito da Melia ad Apollo. Cfr. I. C. Rutherford, «Et hominum et deorum... etc., cit.», p. 50.

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d‟Apollo, e altro soggetto principale del peana più tradizionale40

), e probabilmente anche lo stesso Apollo. Per il momento, tuttavia, possiamo limitarci a constatare come, in effetti, nello sviluppo dell‟ode la tematica esplicitamente apollinea, come intesa dal Rutherford («themes relating episodes from the cycle of Apollonian myth or aetiologies relatin to major cults of Apollo»41) venga meno. Certamente, un filologo d‟età ellenistica non avrebbe scelto questo componimento come paradigmatico del genere peanico.

b - Qualche analogo dubbio viene anche per pae. i. I versi conservati sono molto

pochi, ma da quel che rimane s‟evince che l‟ode era stata probabilmente composta «per una festa tebana in onore di Apollo, forse le dafneforie»42. Si legga, in particolare, il seguente passo:

Pind. pae. i. 5-8

ἰ]ὴ ἰή, νῦν ὁ παντελὴς ἖νιαυτός Ὧρα[ί] τε Θεμίγονοι

πλάξ]ιππον ἄστυ Θήβας ἐπ῅λθον

Ἀπόλ]λωνι δαῖτα φιλησιστέφανον ἄγοντες

L‟impressione che se ne ricava è d‟un‟esecuzione processionale; questo potrebbe essere il punto in cui la processione giungeva al tempio d‟Apollo a Tebe, cui seguiva il banchetto comune43. Troppo poco, comunque, rimane del componimento per poterne trarre sicure conclusioni, tanto su quest‟aspetto quanto sulla tematiche affrontate. Potrebbero dunque anche per esso valere le considerazioni conclusive fatte al punto (a).

c - Lo stesso D‟Alessio notava44 che in POxy 841, fr. 134, l. 7 (= pae. x (b). 7 M.), a destra, c‟è la nota Θηβαίοις προσ[, che potrebbe anche riferirsi al testo alla propria destra. Siamo nella sezione D del rotolo. Quando tale nota fosse un titolo, e la giusta

40 Cfr. il passo di Procl. Chrest. 320.a 20-25, già citato, e anche schol. Lond. in Dion. Thrac. art.

gramm., p. 451.12 Hilgard, GG I.iii παιάν ἐστι ποίημα πρὸς Ἀπόλλωνα καὶ Ἄρτεμιν, ἔχον

προσφώνησιν ἐπὶ παραιτήσει λοιμ῵ν ἢ στάσεων ἢ τ῵ν παραπλησίων. 41 I. C. Rutherford, «Et hominum et deorum... etc., cit.», p. 45. 42

G. Bona, Pindaro. I Peani. Testo, traduzione, scoli e commento a cura di G. B., Cuneo 1988, p. 5. 43 Cfr. G. Bona, Pindaro. I Peani cit., pp. 7; 13-14. Stupisce un po‟ che il D‟Alessio non menzioni questo peana tra quelli che «presentano tutti indizi di una possibile esecuzione processionale» («Sulla struttura etc., cit.», p. 84).

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integrazione fosse προσο[διακός, l‟ipotesi che i Peani prosodiaci fossero raggruppati al fondo del libro, ovviamente, crollerebbe.

Tenendo conto di tutti questi fattori, sembra, come già accennato, che le tesi di entrambi gli studiosi abbiano qualche concreto appoggio. Forse, quando nel luogo di

POxy 841 indicato al punto (c) dovesse integrarsi προσο[διακός, potremmo

ipotizzare un ordinamento interno del libro dei Peani organizzato secondo una bipartizione a propria volta specularmente divisa al suo interno, del tipo:

(C) peani più spiccatamente apollinei;

(D) idem, e a seguire, come in un‟appendice, quelli tra questi da eseguire durante una processione;

(B) peani dove la figura d‟Apollo è in secondo piano rispetto alla celebrazione di eroi.

(A) appendice a questa seconda tipologia contenente i peani processionali.

A questa mia, del tutto ipotetica (voglio sottolinearlo), ricostruzione vanno integrate alcune considerazioni.

Innanzitutto, è forse il caso di ricordare che la divisione in quattro sezioni è in primis di tipo materiale: così il rotolo è stato ritrovato smembrato. Più importante dal punto di vista concettuale sarebbe invece guardare al libro dei Peani nella sua interezza, con la pressoché sicura divisione in due tomi. A questo punto, non stupirà un eventuale sconfinamento dei peani non processionali di C nella sezione D. Diciamo questo, infatti, perché da quest‟ultima sezione proviene il pae. ix, che, ampiamente ricostruibile anche grazie alla tradizione indiretta, a prima vista, non sembrerebbe avere le caratteristiche di un peana prosodiaco. A tal proposito, tuttavia, vi sono due importanti osservazioni. 1) Le strutture metriche portanti di questo componimento sono dattilico-eoliche, ed assai prossime a quelle di pae. iv45. Se dunque per quest‟ultimo è ipotizzabile un‟esecuzione processionale, possiamo chiederci se questa caratteristica non possa per caso evincersi dalla metrica anche per pae. ix; o, che è lo stesso, se per il genere in questione non si preferisse forse un tipo di

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metrica, “dattilica”46, piuttosto che un altro: che cioè non sia casuale una certa abbondanza di cola “dattilici” anche in pae. vi, o che pae. v sia interamente composto in “dattilo-epitriti” (o meglio, κατ’ ἐνόπλιον-epitriti)... 2) Tra le fonti di tradizione indiretta c‟è Dionigi d‟Alicarnasso, che tramanda i vv. 1-10; 13-23 di quest‟ode. Egli dopo aver citato Plat. Phaedr. 240e-247a, fa sul passo la seguente osservazione:

Dionys. Halic. de Demosth. dict. vii (Opusc. i. 142. 2-18 Us.-Rad.)

ταῦτα καὶ τὰ ὅμοια τούτοις, ἃ πολλά ἐστιν, εἰ λάβοι μέλη καὶ ῥυθμοὺς ὥσπερ οἱ διθύραμβοι καὶ τὰ ὏πορχήματα, τοῖς Πινδάρου ποιήμασι ἐοικέναι δόξειεν ἂν τοῖς εἰς τὸν ἥλιον εἰρημένοις, ὥς γ’ ἐμοὶ φαίνεται· “ Ἀκτὶς – τέρας. πολέμου – πείσομαι ” (= Pind. pae. ix. 1-10; 13-23 M.).

Ora, prima della scoperta del nostro rotolo, nelle edizioni di Pindaro questi versi erano riportati, sulla base, e la suggestione, delle parole di Dionigi, tra i frammenti iporchematici. A ben vedere, comunque, Dionigi non dice che provengano dagli

iporchemi di Pindaro, ma che se quel passo di Platone, e simili, „prendessero musica

e ritmo come i ditirambi e gl‟iporchemi, sarebbro simili ai versi di Pindaro indirizzati al sole‟. Dionigi, in ogni caso, potrebbe aver preso due generi poetici fra tanti, a mo‟ d‟esempio47

. Se a questo aggiungiamo tutte le varie considerazioni fatte sulla successione delle quattro sezioni del rotolo, e sul possibile ordinamento del contenuto, l‟attribuzione del componimento noto come pae. ix ai Peani e non agl‟Iporchemi è – credo – più che ragionevole. L‟unica seria obiezione potrebbe essere la mancanza del ritornello caratteristico del peana (ἰὴ ἰή, oppure ἰὴ ἰή, ὢ ἰὲ Παιάν... o qualcosa di simile), effettivamente, a mio giudizio, problematica: strano che gli Alessandrini, così attenti agli elementi formali, abbiano collocato quest‟ode

46 Scrivo “dattilica” etc., virgolettando, perché sull‟effettiva natura di alcuni tra questi cola non esiste assoluta sicurezza. Cfr., anche qui, infra quanto si cercherà di dire in materia a margine del Commento metrico. Ad ogni modo, dattilico è anche il celebre προσόδιον ἐς Δ῅λον di Eumelo di Corinto (Eum. fr. 1. 696 PMG), i cui unici due versi conservati (tramandati da Paus. iv. 33. 2) nell‟edizione del Page si leggono nella forma τῶ γὰρ Ἰθωμάτᾳ καταθύμιος ἔπλετο Μοῖσα/ἁ καθαρὰ† καὶ ἐλεύθερα σάμβαλ’ ἔχοισα, evidentemente nella convinzione che questo Prosodio dovesse essere interamente in 6da. Ma è forse preferibile, come fanno altri (cfr., per es., Olga Tribulato in A. C. Cassio [a cura di], Storia delle lingue letterarie greche, Milano 2008, p. 185), non segnare la crux al v. 2, e considerare sano il testo tràdito, interpretando le sequenze metriche come 6da ∥ 5da. 47 Cfr. anche I. C. Rutherford, Pindar‟s Paeans cit., pp. 193-194: Dionigi avrà avuto accesso ad una tradizione differente da quella di POxy 841; o, che è più probabile, avrà citato a memoria, senza troppa preoccupazione per il genere letterario.

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in una zona, secondo la ricostruzione che abbiamo ipotizzata, tutto sommato privilegiata. Forse, vista anche la presenza di un mito sull‟eroe Tenero ci saremmo potuti piuttosto aspettare di trovare pae. ix nella sezione A. Ma è altresì vero che Apollo, lo abbiamo visto, è chiaramente presente sotto il simbolo del sole; a lui in due punti direttamente il coro si rivolge (v. 38 ἐκαβόλε; v. 43 Πύθιε); il mito della nascita di Tenero lo coinvolge, comunque, direttamente... E il componimento sembra essere indirizzato, almeno nella sua parte iniziale, a quella παραίηηζις di eventi funesti in genere (qui, i sinistri presagi dovuti ad una recente eclissi di sole) di cui parla il già citato scolio londinese a Dionisio Trace. Possiamo anche aggiungere ricordando quanto abbiamo visto diceva Proclo: alcuni per errore chiamano peani i

prosodî. È possibile che trovasse in qualche edizione antica classificati come peani

quelli che egli riteneva invece prosodî (prediligendo forse i primi una funzione apotropaica48).

Un‟altra considerazione è sulla compatibilità della struttura ternaria di strofe-antistrofe-epodo con un contesto processionale. L. Käppel notava che «nicht richtig ist wohl die Meinung Wilamowitzens [...], daß konkret der Weg, den der Chor bei der Prozession während des Liedvortrages zurücklegt, gemeint ist, da die triadische Struktur (bei Pae. 2 wie bei Pae. 4) mit Strophe, Gegenstrophe und Epode, welche als Wendung und Gegenwendung der Bewegung des Chores zu verstehen sind [...], auf einen festen Aufführungsort hindeutet»49. Ma è giusto obiettarvi, col D‟Alessio50

, rimandando a quanto dice Proclo (ap. Phot. Bibl. 321b 23 sqq.) circa le dafneforie, confrontabile con quanto del rito s‟evince anche da Pind. parth. ii. 6-11; 66-70 M. In entrambe le fonti, si descrive chiaramente un corteo, che è accompagnato dal canto d‟un coro di fanciulle. E, quel che è rilevante, nel Partenio di Pindaro questo, ovviamente, è inscindibilmente connesso al componimento stesso, che è proprio nella classica struttura triadica!

48 Cfr. I. C. Rutherford, Pindar‟s Paeans cit., p. 106. 49

L. Käppel, Paian. Studien zur Geschichte einer Gattung (Untersuchungen zur antiken Literatur und

Geschichte, xxxvii), Berlin 1992, p. 99 n. 41. Il §iii. di quest‟importante lavoro è un commentario al

nostro pae. iv, e di esso avremo modo di servirci più avanti, come a suo luogo sarà notato.

50 G. B. D‟Alessio, recensione a: L. Käppel, Paian. Studien zur Geschichte einer Gattung, CR xliv.1 (1994), pp. 62-65 (segnatamente, qui, a p. 64).

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§I.ii. LE CARATTERISTICHE FORMALI DEL PEANA IV E LA MATERIA TRATTATA.

Al principio dell‟Istmica i, Pindaro sente l‟esigenza di scusarsi con Delo per non aver portato a termine un componimento in onore di Apollo commissionato dai Cei, per cui pure si era impegnato: Erodoto di Tebe, suo concittadino, aveva conseguito questa vittoria istmica, e il Poeta tebano doveva profondere la propria arte per cantare il compatriota. La promessa, comunque, è quella di portare a termine entrambe le odi. Ma leggiamo senz‟altro il passo che ci interessa:

Pind. Isth. i. 1-12 Μᾶτερ ἐμά, τὸ τεόν, χρύσασπι Θήβα, πρᾶγμα καὶ ἀσχολίας ὏πέρτερον θήσομαι. μή μοι κραναὰ νεμεσάσαι Δᾶλος, ἐν ᾇ κέχυμαι. τί φίλτερον κεδν῵ν τοκέων ἀγαθοῖς; εἶξον, ὦ Ἀπολλωνιάς· ἀμφοτερᾶν τοι χαρίτων σὺν θεοῖς ζεύξω τέλος, καὶ τὸν ἀκερσεκόμαν Υοῖβον χορεύων ἐν Κέῳ ἀμφιρύτᾳ σὺν ποντίοις ἀνδράσιν, καὶ τὰν ἁλιερκέα Ἰσθμοῦ δειράδ’· ἐπεὶ στεφάνους ἓξ ὤπασεν Κάδμου στρατῶ ἐξ ἀέθλων, καλλίνικον πατρίδι κῦδος.

Utili informazioni accessorie si ricavano dagli scolî, che, pur in parte ribadendo quanto troviamo nell‟ode stessa, ci dànno a conoscere che il canto per Apollo in questione era un peana prosodiaco:

schol.in Pind. Isth. i. inscr. a, pp. 196. 18-197. 5 Drach. iii

οἱ Κεῖοι Δηλιακὸν παιᾶνα ἠξίουν τὸν ποιητὴν γράψαι. ἀρξαμένου οὖν γράφειν ἐκείνοις ἐπ῅λθεν ἡ νίκη Ἡροδότου Θηβαίου πολίτου, εἰς ὃν προέκρινε μᾶλλον σκέψασθαι, ἀναβαλλόμενος τὸ τοῦ θεοῦ καὶ τ῵ν Κείων. διὸ καὶ τὴν εἰσβολὴν πεποίηται τοῦ ἐπινίκου ὁ Πίνδαρος,

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20 συγγν῵ναι παρακαλ῵ν τὴν Δ῅λον α὎τῶ προυργιαίτερον θεμένῳ τὴν πατρίδα τὰς Θήβας, διὰ τὸ Ἡροδότῳ βούλεσθαι τὸν ἐπίνικον συντάξαι Θηβαίῳ ὄντι. μέλλοντος γὰρ Κείοις γράφειν προσοδιακὸν παιᾶνα καὶ ὏πογύου ὄντος τοῦ χρόνου, καθ’ ὃν ἔδει συντετελέσθαι τὸ ποίημα τὸ Δηλιακὸν, ἔτι περὶ τὴν γραφὴν ἀσχολούμενος μεταξὺ Ἡροδότου Θηβαίου ὄντος καὶ νικήσαντος τὰ Ἴσθμια, ἐάσας ἀσυμπέραστον τὸ εἰς Δ῅λον ποίημα συντάττει τῶ Ἡροδότῳ τὸν ἐπίνικον.

Abbiamo visto come questa informazione circa il genere letterario del peana

prosodiaco probabilmente non sia un autoschediasma dello scoliasta, ma

un‟informazione direttamente ricavabile dal libro dei Peani.

Si sarà certamente còlto, inoltre, che il nostro discorso presuppone un‟implicita identificazione dell‟ode di cui si parla in Isth. i (e nel suo scolio) col nostro pae. iv; e, effettivamente, l‟ipotesi sembra economica ed altamente verisimile, ma porta con sé alcune implicazioni circa, soprattutto, il luogo di rappresentazione del pae. iv, con le quali la critica, ovviamente, s‟è dovuta sovente confrontare, approdando a risultati sensibilmente diversi da studioso a studioso. Tali questioni saranno dunque riprese con maggior puntualità a suo luogo, più avanti nel corso di questa introduzione; ora soffermiamoci un momento su caratteristiche e contenuti del testo che ci accingiamo ad esaminare51.

Il quarto Peana di Pindaro presenta la classica articolazione triadica in strofe-antistrofe-epodo. Le triadi sono due, delle quali la prima strofe e la prima antistrofe ampiamente lacunose, l‟ultimo epodo totalmente perduto (tranne poche lettere leggibili sul papiro), ma almeno tendenzialmente ricostruibile nei suoi primi versi (e, plausibilmente, nel suo senso generale) grazie ad uno scolio marginale (schol. 52) integrato con una citazione, un po‟ rimaneggiata e giuntaci certamente, perlomeno in alcuni punti, corrotta, da Plut. de exil. ix. 602f52. Il numero totale originario di versi ammontava a sessantadue.

Dopo un‟ampia lode di Ceo, che, seppur poco opulenta, il Coro mai vorrebbe cambiare, nemmeno con la ricca Babilonia, s‟introducono gli exempla mitici di

51 Per una sintesi, schematica e tendente ad una (giustamente) personale ricostruzione del testo mancante, cfr. la tabella nel volume del Käppel, Paian cit., pp. 91-92.

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Melampo, che rifiutò di regnare su Argo, e del ceo Eussanzio, il quale, benché chiamato a regnare su Creta dopo la morte del padre Minosse, non volle abbandonare la propria patria. In particolare, in bocca a quest‟ultimo è messo da Pindaro un lungo discorso diretto la cui conclusione, allo stato del testo, non è conservata, e non si può escludere che giungesse fino alla fine dell‟ode53.

Inoltre, le affermazioni in prima persona, sono espresse dall‟Io-lirico del Coro (ancorché esso, dal v. 40, presti la propria voce all‟eroe Eussanzio), un Coro che parla in rappresentanza dell‟intera Isola54

.

§I.iii. IL LUOGO DI RAPPRESENTAZIONE DEL PEANA IV.

L‟antica inscriptio, la quale ci avrebbe potuti informare sul luogo in cui i filologi d‟Alessandria ritenevano che il Peana iv fosse stato eseguito55, purtoppo, non s‟è

conservata. Mancando noi dunque di questo, pur relativo, appiglio esterno, dobbiamo in primis far riferimento al testo stesso dell‟ode, alle informazioni che da esso possiamo cercare di carpire. Ma anche qui, apparte la labilità intrinseca dell‟argomento, le evidenze sono contrastanti. Infatti, nel Peana vengono nominati

53 Cfr. infra, Commentario ad loc., per una discussione su questo specifico punto, e, in generale, per il trattamento della materia mitica che in questo Peana Pindaro attua.

54 Cfr. N. R. Hope, A Commentary etc., cit., pp. 22-23; 28; cfr. infra.

55 Mi sembra opportuno mettere bene in chiaro questo. Quand‟anche avessimo questa inscriptio (che sopravvive solo per pae. vi Δελφοῖς εἰς Πυθώ, e parzialmente per pae. viib π[⁓15]  [  ]αις εἰς Γῆλον), sarebbe comunque lecito, almeno in qualche caso, interrogarsi sull‟esattezza delle inferenze degli antichi. Infatti, nei Peani, in alcuni casi, certe deduzioni ricavate da elementi intratestuali (ché di essi, com‟è naturale, probabilmente si saranno per lo più serviti gli Alessandrini) sembrano godere d‟un grado molto alto di verisimiglianza, se non essere, addirittura, certe: ad esempio, chi potrebbe dubitare, basandosi sull‟incipit di pae. ii, che esso sia stato scritto per Abdera? Vi leggiamo (vv. 1-5):

Ναΐδ]ος Θρονίας Ἄβδηρε χαλκοθώραξ Ποσε]ιδᾶνός τε παῖ,

σέθ]εν Ἰάονι τόνδε λαῶ παι]ᾶνα [δι]ώξω.

Ancora, più avanti il coro dice di sé (vv. 24 sq.) [τάνδε] ναίω/Θ[ρ]αϊκίαν γ[αῖ]αν. E infatti, l‟inscriptio di questo Peana è ricostruita come [Ἀβδηρίταις], con unanime accoglimento degli editori. Altre volte, però, le informazioni a disposizione potrebbero non essere state così perspicue nemmeno per gli antichi eruditi, che allora, in assenza di informazioni esterne al testo, avranno, verisimilmente, lavorato d‟ingenium al par nostro. In ogni caso, è pur sempre da considerare che certe oscurità potrebbero essere tali solo per noi, che possiamo leggere testi spesso solamente frammentari; per gli antichi, che invece li possedevano nella loro interezza, varie evidenze potevano essere certamente molto più perspicue. È dunque bene, a mio giudizio, sempre cautamente ponderare le informazioni di tradizione antica, per trarne, dopo attento esame, tutto quanto di buono si possa ritenere in esse presente.

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tre luoghi, due dei quali puntualmente, cioè l‟isola di Delo (Δᾶλον ἀγακλέα v. 12) e la città cea di Cartea (Κάρθαι-/[α] vv. 13 sq.); ad essi si potrebbe aggiungere poi l‟isola di Ceo in generale, le cui peculiari caratteristiche potrebbero essere state dal Coro descritte nel lungo passo ai vv. 14-27 (ma secondo alcuni questi versi si riferisco specificamente a Cartea; sarebbero quindi estendibili a Ceo solo in maniera indiretta56).

Nella discussione circa il luogo in cui il Peana iv fu eseguito si profilano dunque tre possibilità:

(1) Delo, nel santuario d‟Apollo;

(2) Cartea, sull‟isola di Ceo, dove sorgeva un altro santuario dedicato ad Apollo ed uno dedicato ad Artemide57;

(3) in qualche altra località dell‟isola di Ceo.

Iniziamo dunque la nostra disamina concentrandoci sulle due macropossibilità, Ceo o Delo; in ogni caso, però, con una certa sicurezza mi sentirei fin d‟ora di escludere l‟ipotesi (3), giacché, quando fosse confermata Ceo come luogo d‟esecuzione del nostro Peana, nessun‟altra città si profilerebbe rispetto a Cartea come scenario a tal fine più opportuno.

Innanzitutto Delo. L‟Isola, celebre per aver dato i natali ad Apollo e ad Artemide, e sede di due frequentatissimi santuarî dedicati alle due divinità, era luogo certamente ideale per il canto d‟un peana, e dove tradizionalmente le πόλεις inviavano χοροί in occasione delle θεωρίαι58. Leggiamo a tal riguardo in due testimonianze antiche:

(i) Thuc. iii. 104. 3-4

ἦν δέ ποτε καὶ τὸ πάλαι μεγάλη ξύνοδος ἐς τὴν Δ῅λον τ῵ν Ἰώνων τε καὶ περικτιόνων νησιωτ῵ν· ξύν τε γὰρ γυναιξὶ καὶ παισὶν ἐθεώρουν, ὥσπερ νῦν ἐς τὰ ἖φέσια Ἴωνες, καὶ ἀγὼν ἐποιεῖτο α὎τόθι καὶ γυμνικὸς καὶ 56 Cfr. infra. 57 Cfr. infra.

58 Cfr. I. C. Rutherford, «Keos or Delos? State-Pilgrimage and the Performance of Paean 4», Poesia

e religione in Grecia. Studi in onore di G. Aurelio Privitera, Napoli 2000, pp. 605-612

(segnatamente, qui, pp. 605-606); Pindar‟s Paeans cit., p. 284 e nn. 5, 6, 7 (con ulteriore bibliografia). Per il fenomeno delle θεωρίαι a Delo, cfr. P. Bruneau, Recherches sur les cultes de

Délos à l‟époque héllenistique et à l‟époque impérial (Bibliothèque de l‟École française d‟Athènes et

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23 μουσικός, χορούς τε ἀν῅γον αἱ πόλεις. [4] δηλοῖ δὲ μάλιστα Ὅμηρος ὅτι τοιαῦτα ἦν ἐν τοῖς ἔπεσι τοῖσδε, ἅ ἐστιν ἐκ προοιμίου Ἀπόλλωνος· ἀλλ᾽ ὅτε Δήλῳ, Υοῖβε, μάλιστά γε θυμὸν ἐτέρφθης, ἔνθα τοι ἑλκεχίτωνες Ἰάονες ἠγερέθονται σὺν σφοῖσιν τεκέεσσι γυναιξί τε σὴν ἐς ἀγυιάν· ἔνθα σε πυγμαχίῃ τε καὶ ὀρχηστυῖ καὶ ἀοιδῆ μνησάμενοι τέρπουσιν, ὅταν καθέσωσιν ἀγ῵να59.

(ii) Call. Hymn. in Del. 275 sqq.

τῶ καὶ νησάων ἁγιωτάτη ἐξέτι κείνου

κλῄζῃ, Ἀπόλλωνος κουροτρόφος· ο὎δέ σ’ ἖νυώ ο὎δ’ Ἀΐδης ο὎δ’ ἵπποι ἐπιστείβουσιν Ἄρηος· ἀλλά τοι ἀμφιετεῖς δεκατηφόροι αἰὲν ἀπαρχαί πέμπονται, πᾶσαι δὲ χοροὺς ἀνάγουσι πόληες.

Altre testimonianze, inoltre, ci informano d‟uno stretto legame dell‟isola di Ceo con Delo. Leggiamo infatti in Erodoto di un ἱστιητόριον (=att. ἑστιατόριον) dei Cei a Delo:

Hdt. iv. 35. 4

ἡ δὲ θήκη α὎τέων (sc. τ῅ς Ὤπιός τε καὶ Ἄργης) ἐστὶ ὄπισθε τοῦ Ἀρτεμισίου, πρὸς ἠ῵ τετραμμένη, ἀγχοτάτω τοῦ Κηίων ἱστιητορίου.

Un‟altra testimonianza, poi, è un‟iscrizione da Cartea, che ci parla d‟un magistrato di nome Aristopite, χορηγός d‟un coro di fanciulli a Delo:

IG xii. 5. 544 A2. 35-48 ἐπὶ ἄρχοντοc | Ἀλεξιτέλουc | Ἀριcτοπείθηc | ἖ραcικλείουc | χορηγήcαc παι- | cὶν εἰc Δ῅λον | cτεφανωθεὶc | ὏πὸ τοῦ δ῅μου | χρυc῵ι cτεφά- | νωι ἀνέθηκεν | τὸν cτέφανον | τ῵ι Ἀπόλλωνι | δραχμὰc ἑκα- | τόν. 59

(24)

24

L‟iscrizione è datata al iv-iii sec. a. C., ma, come giustamente osserva il Rutherford, tale pratica, che deve riferirsi ad una θεωρία, avrebbe potuto essere comune già nel secolo precedente60.

Ancora, un‟altra iscrizione, questa volta da Delo, databile alla prima metà del ii sec. a. C., registra l‟invio di un‟offerta da parte dei Cei per mezzo di θεωροί:

ID v. 2539

δᾳ- | δούχου, ἐν δὲ Δήλω Ἡρᾶ τὸ γ v. ἔπεφναν Κεῖοι τὴν δω- | δεκηΐδα βούπρωρον ταῦρον v. ἀνενεώcαντό τε τὰ πά- | τρια πάντα διὰ τ῵ν θεωρ῵[ν v. ]

L‟iscrizione delia è dunque testimonio di vitalità del pellegrinaggio a Delo da Ceo nell‟età tardo-ellenistica; se non ci sia stata soluzione di continuità col passato, o se invece tale pellegrinaggio costituisca la reviviscenza d‟un fenomeno più antico, non si può stabilire con certezza61 (e a mio parere, guardando alla sostanza, la conferma dell‟una o dell‟altra ipotesi farebbe ben poca differenza): quel che più conta, comunque, è che esso fornisce un‟ulteriore conferma della prassi dell‟invio da Ceo a Delo di θεωρίαι, che, come abbiamo già visto, potevano a volte comportare anche una performance corale.

Volgiamoci ora a considerare Ceo. Nel Peana iv, come abbiamo visto, viene chiaramente menzionata la città di Cartea. A tal riguardo, dobbiamo qui rammentare che in essa era presente la tetrapoli formata dalle città di Iulide (la patria di Simonide e Bacchilide), Cartea, Coressia e Poiessa. In un frammento di Callimaco abbiamo una succinta testimonianza, basata sulla fonte (esplicitata) dello storico Xenomede62, sui primi abitanti dell‟Isola, i Σελχῖνες, distrutti dagli dèi per empietà63

, e sulla successiva fondazione delle quattro città da parte di quattro personaggi mitici:

Call. Aet. fr. 75. 70 sqq. Pfeiff.

ἐν δ’ ὕβριν θάνατόν τε κεραύνιον, ἐν δὲ γόητας Σελχῖνας μακάρων ο὎κ ἀλέγοντα θε῵ν

60 Cfr. I. C. Rutherford, «Keos or Delos? etc.», cit., p. 606; Pindar‟s Paeans cit., p. 284. 61 Cfr. ibid. Il Rutherford, comunque, data l‟iscrizione ad un‟età più bassa, al i sec. a. C. 62 Cfr. Xenomedes Ceus, 442 FGrHist F1 Jacoby

63

(25)

25 ἠλεὰ Δημώνακτα γέρων (sc. Ξενομήδες) ἐνεθήκατο δέλ[τοις καὶ γρηῢν Μακελώ, μητέρα Δεξιθέης, ἃς μούνας, ὅτε ν῅σον ἀνέτρεπον εἵνεκ’ ἀλ[ι]τ[ρ῅ς ὕβριος, ἀσκηθεῖς ἔλλιπον ἀθανάτοι· τέσσεραι ὥς τε πόληας ὁ μὲν τείχισσε Μεγακ[λ]῅ς Καρθαίαν, Φρυσοῦς δ’ Εὔπ[υ]λος ἡμιθέης εὔκρηνον πτολίεθρον Ἰουλίδος, α὎τὰρ Ἀκαῖ[οι Ποι῅σσαν Φαρίτων ἵδρυμ’ ἐυπλοκάμων, ἄστυρον Ἄφραστος δὲ Κορή[σ]ιον [...].

Un‟altra testimonianza è fornita, per es., dal lessico di Suda (β 59, p. 449. 30 Adler, s. v. Βακχυλίδης) ἔχει γὰρ (sc. Κέως) πόλεις δ´, Ἰουλίδα, Καρθαίαν, Κορεσσίαν, Ποιήεσσαν.

In séguito, Strabone registra un sinecismo che portò le quattro città a fondersi in due coppie:

Strabo 486. x. 5. 6 (ed. F. Lasserre, Paris 1971).

Κέως δὲ τετράπολις μὲν ὏π῅ρξε, λείπονται δὲ δύο, ἥ τε Ἰουλὶς καὶ ἡ Καρθαία, εἰς ἃς συνεπολίσθησαν αἱ λοιπαί, ἡ μὲν Ποιήεσσα εἰς τὴν Καρθαίαν, ἡ δὲ Κορησσία εἰς τὴν Ἰουλίδα.

A giudizio di chi scrive, sembra fare un passo nella giusta direzione N. R. Hope, quando commenta: «In the surviving portion of our text there is a description of the Cean landscape, apparently around Carthaea (line 14), and the interest shown in this city and its sorrounding could have been engendered by the performance of Paean there»64 (p. 14). Un‟obiezione che si potrebbe fare a quest‟interpretazione è che se il coro, come sembra, parla a nome dell‟intera Isola, di essa in generale, e non d‟una particolare sua porzione, avrà presumibilmente descritto qualità e difetti; e non stona,

a tal proposito, riportare fin d‟ora un parere del Wilamowitz circa la (auto-)caratterizzazione del Coro come rappresentante dell‟intera isola di Ceo : «Es

zeigt sich, daß der Chor nicht von allen Städten von Keos gestellt ward, sondern von Karthaia; aber er spricht für die ganze Insel, und so bezeichnen sich ja sowohl die

64

(26)

26

Siger wie die Dichter derselben nur als Keer»65. Purtuttavia, è incontestabile che il nome della città di Cartea compaia proprio al principio della sezione descrittiva del paesaggio, e si potrebbe a questo punto pensare che, come questo coro, forse composto essenzialmente da cittadini di Cartea66, e che, comunque, a Cartea si starebbe esibendo, parla a nome di tutta l‟Isola, così anche la descrizione del paesaggio, che nel caso concreto sarebbe appunto quello della zona di Cartea, assurga a rappresentare, più ampiamente, quello di Ceo in generale, che, del resto, avrà verisimilmente conosciuta una variazione non troppo sensibile.

Ancora, prima di procedere più oltre, sarà bene considerare due importanti testimonianze antiche che ci parlano di Cartea. La prima proviene dai

Dipnosophistae di Ateneo, che in questo passo come fonte attinge dal περὶ

΢ιμωνίδου del peripatetico Cameleonte di Eraclea, ed ha come oggetto l‟attività del poeta Simonide di Ceo proprio a Cartea, che, quindi, sembrerebbe luogo tradizionalmente privilegiato per l‟esibizione di cori cultuali in connessione col santuario d‟Apollo. È peraltro notevole la menzione d‟un χορηγεῖον nelle prossimità di esso, circostanza interessante in quanto dà a noi modo di rafforzare le nostre ipotesi sulla presenza d‟una tradizione solida ed una forte connessione, a Cartea, del canto corale con il culto di Apollo.

Athen. Dipn. x. 456f. 84. 29-32 Kaibel = Chamael. περὶ

΢ιμωνίδου, fr. 34, p. 59. 19-20 Wehrli λέγεται δὲ ἐν τῆ Καρθαίᾳ διατρίβοντα α὎τὸν (sc. ΢ιμωνίδην) διδάσκειν τοὺς χορούς. εἶναι δὲ τὸ χορηγεῖον ἄνω πρὸς Ἀπόλλωνος ἱερῶ μακρὰν τ῅ς θαλάττης. ‹ο὎› μακράν Brönstedt

La seconda testimonianza si legge invece nella Metamorphoseon synagoge del mitografo Antonino Liberale (che si basa sulla fonte degli Heteroioumena di Nicandro), ed è importante perché, oltre a confermare il culto di Apollo a Cartea con la menzione d‟un βωμός a lui dedicato, attorno al quale si svolgevano riti coreutici, attesta anche due cose piuttosto rilevanti ai fini del nostro discorso, e precisamente:

65 U. von Wilamowitz-Moellendorf, Pindaros, Berlin 1922, p. 325. 66

(27)

27

1) la celebrazione a Cartea di giochi pitici (τὰ Πύθια); 2) la presenza, sempre a

Cartea, d‟un santuario dedicato ad Artemide:

Anton. Lib. Metam. synag. i. 1 [ΚΣΗ΢ΤΛΛΑ]

Κτήσυλλα ἐγένετο Κεία τὸ γένος ἐξ Ἰουλίδος Ἀλκιδάμαντος θυγάτηρ. ταύτην ἰδὼν ἖ρμοχάρης Ἀθηναῖος χορεύουσαν Πυθίοις περὶ τὸν βωμὸν τοῦ Ἀπόλλωνος ἐν Καρθαίᾳ ἐπεθύμησεν α὎τ῅ς καὶ ἐπιγράψας μ῅λον ἔρριψεν ἐν τῶ ἱερῶ τ῅ς Ἀρτέμιδος, ἡ δὲ ἀνείλετο καὶ ἀνέγνω.

È pur vero che anche per Iulide è attestata la presenza d‟un santuario dedicato ad Apollo Pitico67; nondimeno, sembra chiaro che, quando fosse confermata Ceo quale località per l‟esecuzione del Peana iv, nessun luogo dell‟Isola, a quanto pare, si profilerebbe rispetto a Cartea come scenario migliore per essa.

Ritorniamo ora un momento sulla questione della possibile provenienza dei coreuti. Che fossero tutti di Cartea, come abbiamo appena avuto modo di leggere, è opinione del Wilamowitz, il quale però – è bene precisarlo – si limita ad asserirla, senza darne una qualche prova. Ciononostante, giacché Cartea è sicuramente nominata, e tenuto conto anche solo degli elementi che sono finora emersi dalle fonti letterarie, credo che la sua ipotesi sia degna di considerazione, ancorché, personalmente, avrei ritenuto più prudente esprimere il concetto in maniera un poco più sfumata; ma la

verve del grande Berlinese non è un mistero per nessuno... Quest‟osservazione sulla

provenienza dei coreuti – voglio solamente aggiungere questa considerazione – varrebbe indipendentemente dallo scenario d‟esecuzione ipotizzato.

Un‟altra possibilità, legata all‟episodio di Ctesilla (originaria di Iulide) sopra riportato, consisterebbe nell‟ipotesi che χοροί composti da elementi provenienti dalle varie località dell‟isola di Ceo cantassero a Cartea, o che là gareggiassero χοροί provenienti dalle altre città dell‟Isola68.

Personalmente, pur non essendoci, allo stato attuale della ricerca, argomenti decisivi a favore o contro alcuna di queste possibilità, vista la sicura e salda tradizione musicale presente a Cartea, preferisco pensare ad un coro formato prevalentemente

67 Cfr. Per es. la seguente iscrizione proveniente da Iulide: IG xii. 5(1). 595 B 20 ἐμ Πυθίωι ἐν στήληι λιθίνηι. Cfr. R. C. Jebb, Bacchylides. The poems and fragments. Edited with introduction, notes and prose translation, Cambridge 1905, p. 5 e n. 4.

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