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COMMENTO METRICO

Nel documento Pindaro, Peana IV. Testo e Commento. (pagine 55-64)

str. 1 (= str.10; ep.6): Pindaro usa, in pae. ix, str.4; 6; 7 una sequenza raffrontabile

con quella che compare nel nostro testo, che Snell, in base alla propria teoria dell‟Erweiterung130

, chiama gld, ma che potrebbe meglio131 denominarsi tetrametro

eolico132. In questi casi la (cosiddetta) “base” (××) è realizzata, rispettivamente, da uno “spondeo” ( – – ), da un “giambo” ( ⁱ⁶⏒ – ) e da un “dattilo” ( – ⏑ ⏑ ):

Esempî:

pae. ix. 4 ἰζχύν ‹τ’› ἀνδράσι καὶ σοφίας ὁδόν (con “base spondaica”); pae. ix. 6 ἐλαύνεις ηι νεώηερον ἢ παρος; (con “base giambica”);

pae. ix. 16 ἢ πόντ⌞ου κενεώσιας ἂμ πέδον (con “base spondaica”, in

responsione col v. 6);

pae. ix. 7 ἀλλά σε πρὸς Διός ἱπποσόα θοάς (con “base dattilica”)133.

La realizzazione pirrichia che si ha nel caso nostro – non trattandosi, qui, di poesia eolica, e non dovendo dunque noi postulare il fenomeno dell‟isosillabismo –, farebbe piuttosto propendere per un‟analisi della sequenza del tipo ˘×˘ – ⏑ ⏑ – ⏑ ⏑ – ⏑

– (con anceps realizzato da due brevia), che potremmo chiamare aeol tetr. Per l‟ipotesi dell‟acefalia rispetto al gld

propende anche Snell, che denomina la sequenza gld

.

Sennonché, la presenza, sia nella strofe/antistrofe che nell‟epodo, di cola dattilici – ovvero come tali interpretabili (o comunque, ai dattili affini), se in contesto dattilico –, quali l‟alcm (str. 5), il 5da (str. 6), l‟hemiepes (str. 8; ep. 5), il pros (ep. 1) e l‟ibyc (ep. 7), su un intelaiatura metrica, comunque, essenzialmente eolo-coriambica,

130 Cfr. B. Snell, Griechische Metrik, Göttingen, 1982, pp. 44 sgg. (nel prosieguo GM). 131 Cfr. infra.

132 Cfr. B. Gentili-L. Lomiento, Metrica e ritmica. Storia delle forme poetiche nella Grecia antica, Milano, 2003. A p. 107 si riporta l‟esempio di pae. ix, str.6. Per i dattili “eolici”, cfr. anche B. Snell,

GM, ibid.; M. C. Martinelli, Gli strumenti del poeta. Elementi di Metrica greca, Bologna, 19972, pp. 174-176.

133 Si noti, in tutto uguale ad un alcm⏑–; cfr. M. G. Fileni, «Il secondo stasimo degli Eraclidi di

Euripide (vv. 608-629)», in B. Gentili-F. Perusino, La colometria antica dei testi poetici greci, Pisa-

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fa a mio avviso propendere maggiormente per un‟interpretazione “dattilica” della sequenza in esame, che ho perciò denominata ⏑⏑3da⏑–134. Vogliamo soltanto notare ancora l‟abbondanza, piuttosto esuberante, nel pae. iv di tali cola dattilici.

str. 2: Notiamo l‟associazione ia δ, che, comparsa qui per la prima volta nel pae. iv,

sovente si potrà in seguito riscontrare (str. 7; ep. 3; 9; forse ep. 8). Crediamo, evidentemente, che la presenza del docmio in Pindaro e, in genere, nella lirica corale

134 Per i dattili “ascendenti” e “a chiusa cretica”, e, in generale, per le peculiarità dei dattili lirici, cfr. il fondamentale articolo di E. Fraenkel, «Lyrische Daktylen», RM lxxii (1918), pp. 161-197, 321-352 (rist. in E. F., Kleine Beiträge zur klassischen Philologie, voll. i-ii, Roma, 1964; vol. i, pp. 165-233). Cfr. anche B. Snell, GM, pp. 25 sgg. Ci siano concesse qui un paio d‟osservazioni, che non hanno, in ogni caso, l‟ambizione di essere una dettagliata digressione sulla natura dei metri in esame (che peraltro esulerebbe dagli scopi del nostro lavoro). (1) Abbiamo notato come un ⏑⏑3da⏑– risulti, considerato puramente nella sequenza di brevi e di lunghe, formalmente identico al nostro aeol tetr (il gld di Snell). Orbene, se consideriamo, p. es., la sequenza che a str.5 chiamiamo alcm⏑–, ravviseremo forse un fattore che ci ha condotto a darle tale nomenclatura nell‟inizio “discendente” (uno “spondeo”); ma noteremo altresì che anche nello schema teorico di aeol tetr la sequenza che qui abbiamo chiamata alcm⏑– è possibile, segnatamente nel caso di “base” spondaica. E infatti altri, come Snell e West, di essa dànno un inizio  –, quantunque esso non sia supportato dalle responsioni conservate (e in tal senso un poco stupisce che lo Snell, che pure accetta a v. 36 l’integrazione di Housmann [Κρήτ]ων, scriva nello schema metrico, in riferimento a queste due sillabe, ⁳⁶ – ), chiamando l‟intera sequenza gld (cioè aeol tetr). Questo, ad avviso di chi scrive, sembra un po‟ una

petitio principii, un “circolo vizioso”: voglio interpretare la sequenza di str. 5 come gld, il contesto metrico e la situazione testuale non permette di escluderlo, quindi... così interpreto, benché non ce ne sia qualche motivo cogente; tutt‟altro. La denominazione alcm⏑–, vista la vicinanza immediata di un 5da, ci sembra infatti più corretta. Tuttavia, vogliamo anche noi, a questo punto, ricorrere ad una

petitio principii. Chi scrive, in filosofia-teologia, non è ockhamista, bensì squisitamente tomista; ma

sul tema dei dattili “eolici” e dattili lirici “ascendenti” e “a chiusa cretica” pensa che si possa prudentemente applicare l‟adagio ockhamista frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora. In altre parole: riscontriamo in queste categorie di dattili due caratteristiche comuni: (i) la possibilità d‟un‟apertura fluttuante, eventualmente “ascendente”, e (ii) d‟una “chiusa cretica”. Questo, a nostro avviso, potrebbe portare a pensare ad un‟origine comune ad entrambe le categorie; del resto, di «affinità» tra alcmanio e «tetrametro saffico» parla anche il Gentili (cfr. B. Gentili, Metrica greca

arcaica, Messina-Firenze, 1950, pp. 145-148; id., La Metrica dei Greci, Messina-Firenze, 1964, pp.

183-184). Nulla vieta che poi i primi siano stati avvertiti come più vicini ai metra eolici – e che in tal senso abbia potuto influire anche il principio dell‟isosillabismo –, i secondi invece ai dattili propriamente detti; ma questo non sembra inficiare il nostro ragionamento. Potremmo, insomma, far nostra la conclusione del Gentili, che «anche i metri dattilici hanno affinità profonde con altri metri che [...] erano ritenuti insociabili ad essi. [...] Non è senza significato che l‟alcmanio –  – ⏑ ⏑ –  – ⏑ – e ancor più il cosiddetto tetrametro saffico, che Saffo associa al gliconeo, hanno poco o nulla a che vedere coi dattili» (Metrica greca arcaica cit., p. 148). Sarà anche chiaro, a questo punto, che, personalmente, non credo molto alla dottrina dell‟ampliamento (dattilico, coriambico etc., che sia). Per una parzialmente differente prospettiva sui dattili “eolici”, cfr. M. C. Martinelli, Gli strumenti cit., pp. 175-176. (2) Circa il principio dell‟isosillabismo. Ci possiamo domandare se esso non possa essere prudentemente inteso estensivamente, almeno in certi contesti, anche per i poeti non eolici: non sembra irragionevole parlare, per essi, di gliconeo e ferecrateo «pirrichiocefali», come fa già il primo Gentili (cfr., per es., La Metrica cit., pp. 50; 70; anche B. Gentili-L. Lomiento, Metrica e

ritmica cit., p. 155 n. 12) – e come, almeno implicitamente, lo Snell non sembra escludere, quando in GM descrive il simbolo ◦◦ che egli utilizza per la “base” eolica come «2 ancipitia, wo selten

Doppelkürze erscheint» (GM, p. 2; non si specifica, si badi bene, in quali poeti/generi poetici la doppia breve possa comparire, e in quali no; cfr. ancora B. Gentili-L. Lomiento, Metrica e ritmica cit., ibid.) –, o anche eventualmente, alla luce di ciò che fin qui s‟è detto, di aeol tetr senz‟altro (evitando di postulare acefalia) per la sequenza iniziale del nostro pae. iv.

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non possa più essere messa in discussione, specialmente dopo il fondamentale studio del Pretagostini135 – nota è la convinzione dello Snell136 per cui nella lirica arcaica i

cola docmiaci non esistessero ancora, avendo essi fatto la prima loro comparsa con

la tragedia. Colpisce comunque in questo peana l‟abbondanza di questi cola. Una possibile alternativa al δ è che la sequenza – ⏑ ⏑ – ⏑ ⏓ sia un dodr I, ma l‟interpretazione docmiaca ci sembra da preferirsi a motivo della cospicua presenza dell‟associazione ia δ, come già rilevato137

.

str. 3: Si può notare il reiz con primo longum soluto, che Pindaro usa, p. es., in

Pyth.vii, str. 6138. In quest‟ultimo caso si tratta d‟un uso clausolare, in fine di strofe, dopo una sequenza (str. 5) ⏑ ⏑⏑ – ⏑ – in cui si può facilmente riconscere un δ. Rileviamo anche nel nostro testo una simile sucessione: ia δ ‖H

ia –⏑⏑reiz. Questo ci

sembra rafforzare la nostra identificazione del secondo colarion di str. 2 con un δ piuttosto che con un dodr I.

str. 4: Di per sé, a prima vista139, la sequenza dà l‟impressione d‟essere un 4cr, in

responsione impura con 2cr mol cr. Tuttavia, crediamo a ragione, gli editori preferiscono generalmente isolare alla fine della sequenza il δ ₄.₁₄⏒ – – ⏑ ⏓₄₅; così, per esempio, lo Snell, che però nello schema tralascia di denominare la sequenza, limitandosi ad indicare la serie di brevi e lunghe: × – – ⏑ –. Così anche il Rutherford, che crede di ravvisare qui l‟unica occorenza d‟un colon docmiaco nell‟intero corpus dei Peani di Pindaro, peraltro non senza qualche margine d‟incertezza140. Se dunque accettiamo qui la presenza del δ, potremmo interpretare quel che lo precede come

lecizio (2tr o, forse meglio nel presente contesto, 2ia141). Avremmo così una sequenza lek δ analoga a quella lek hδ che si potrebbe forse ravvisare in Pind. Nem.

135 Cfr. R. Pretagostini, «Il docmio nella lirica corale», QUCC xxxi (1979), pp. 101-117.

136 Ma non solo sua: cfr. A. M. Dale, The Lyric Metres of the Greek Drama, Cambridge, 19682 (19481), p. 104 (da cui ci permettiamo di riportare la bella definizione di docmio come «a self- sufficient colarion of remarkably diverse form, able to stand singly, and frequently doing so, for instance, as clausula»); «The metrical units of the Greek lyric verse. II», CQ xlv (1951), pp. 20-30; «Greek Metrik 1936-1957», Lustrum ii (1957), p. 24.

137 Ad onor del vero, e quasi a mo‟ d‟autocritica, mi sembra opportuno far qui rilevare l‟affinità tra δ nella forma – ⏑ ⏑ – ⏑ – e dodr I. Cfr. B. Gentili, La Metrica cit., p. 32.

138 ia –, secondo l‟interpretazione di Snell. 139 Cfr. infra.

140 Cfr. I. Rutherford, Pindar‟s Paeans cit., p. 446. 141

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iii, str. 3 ⏑⏑ ⏑ – ⏑⏑ – ⏑ – – ⏑ ⏑⏑ ⏑ –142, da Snell, comunque, interpretata hipp ia. Valido o meno che possa risultare il parallelo con Nem. iii143, pensiamo che l‟interpretazione da noi proposta sia preferibile a quella di Snell. Egli, infatti, data la sinafia verbale in str. 3-4, interpreta l‟intera sequenza come 4ia × – – ⏑ –, la qual

cosa, a nostro avviso, ha lo svantaggio di alterare, certo minimamente, in ogni caso, però, senza stretto bisogno, la colometria tràdita – sembrerebbe effettivamente un po‟ strano che lo scriba, probabilmente un erudito, abbia colizzato il testo introducendo nella seconda antistrofe (v. 44) sinafia verbale, quando, se avesse considerato giambici str. 3-4, andando a capo solo una sillaba prima avrebbe potuta render chiara anche all‟occhio la natura giambica di tali cola144

, non essendo ostativa alla differente disposizione del testo la natura materiale del supporto, giacché nel papiro c‟è spazio sufficiente per ospitare str. 4 nella sua interezza, senza che quest‟ultimo colon sia decurtato d‟una sillaba; e analoghe considerazioni potrebbero farsi anche per la prima antistrofe –, oltre che di lasciare senza nomenclatura l‟ultimo colarion di str. 4 (il δ). Contro l‟interpretazione olocretica, invece, si potrebbe notare che al v. 45 si avrebbe in tal caso (μα-)τέρα λιπόν|τς και ολον| οἶκον ε὎ερκέα, con correptio in iato di καί, cioè in una sequenza con unica breve,

142 La soluzione del terzo elemento dell‟hδ non fa difficoltà. Cfr. M. L. West, Greek Metre, Oxford, 1982, p. 110 (d‟ora in avanti GM).

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Altra possibile interpretazione potrebbe infatti essere gl hδ. 144

Una piccola osservazione di metodo. Già lo Zuntz (Drei Kapitel zur griechischen Metrik, Wien 1984) affermava che «wäre es nicht anmaßend, wenn wir uns erlauten, die Leistungen von Kollegen übergehen, die immerhin Griechen waren, den Originalen um 2000 Jahre näher als wir; die über ein Hundertfaches an diesen Originalen verfügten – und nicht notwendig dümmer waren als wir? Wir müssen auf sie hören» (p. 58). E anche secondo il parere di chi scrive, sarebbe meglio fidarsi maggiormente della sensibilità metrica degli antichi. Non voglio entrare nella vexata quaestio circa il loro possesso della musica originale: è questo un problema che allo stato attuale delle nostre conoscenze è di quanto mai difficoltosa ponderazione, e cui, a mio giudizio, non si è assolutamente in grado di dare certa risposta. Tuttavia, se pure avessimo tale risposta, e questa risultasse positiva, essa sarebbe utile soltanto fino ad un certo punto, giacché, come ebbe a farmi notare la Prof.ssa Martinelli in un nostro colloquio, quand‟anche la musica fosse stata a loro disposizione, l‟utilità di essa si sarebbe risolta tutta ai fini della ricostruzione della sticometria, dell‟individuazione, cioè, delle pause di fine verso, non già della colometria: sarebbe stato, certamente, qualche cosa, non lo nego; ma una conoscenza di portata risolutiva modesta, e non tale da influenzare la colizzazione dei testi lirici in misura tanto ampia quanto s‟è spesso sostenuto. Nondimeno, a mio giudizio, gli antichi, in quanto Greci, in quanto parlanti greco, avranno pur avuto una qualche motivazione, più cogente delle semplici esigenze di mise en page di wilamowitziana memoria, per colizzare un testo lirico in questa maniera piuttosto che in quella. Peraltro, proprio l‟inglese J. Diggle (The Textual Tradition of

Euripides‟ Orestes, Oxford 1991) notava che la colometria alessandrina «can usually be recovered.

When our manuscripts agree in rational colometry, this colometry is presumably the ancient one» (p. 131). «It is not necessarily the right one. But, if we reject it, we must have good reason for doing so. I shall draw attention to several places where the ancient colometry is preferable to that of modern editors» (ibid. n. 2). Entrambi questi passi del Diggle sono citati in un importante ed equilibrato articolo di L. Battezzato, «Colometria antica e pratica editoriale moderna», QUCC cxix N. S. xc. 3 (2008), pp. 137-158, cui si rimanda per un‟ampia e puntuale trattazione della materia.

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fenomeno che, seppur con alcune possibili eccezioni, anche nello stesso Pindaro145, si tende generalmente ad evitare. Se invece si interpreta come lek δ, non c‟è bisogno di postulare correptio in iato di καί, bastando ipotizzare il fenomeno della sinecfonesi καὶ ὅλον, come indicato anche a testo, tale da potersi in ogni caso adattare anche all‟interpretazione giambica di Snell (che, nello schema, preferisce comunque indicare il longum soluto tout court, senza segnalare l‟eccezione per il v. 45).

str. 7: Il primo colarion dell‟intera sequenza, ⏑⏑ – ⏑ –, potrebbe essere uno ia con

Doppelsenkung146; e, in effetti, in Pindaro siffatti tipi di giambi sono accolti come tali nell‟edizione Teubneriana, dove vengono indicati con la sigla ⏑⏑ia147. Ora, la realizzazione con doppia breve dell‟anceps dei metra giambici è indubbiamente attestata, come è noto, per i giambi recitati; per i giambi lirici, invece, non è pacificamente ammessa da tutti. Per questa ragione, quindi, è forse preferibile interpretare il colarion in esame come ⏑⏑reiz148 (con attacco “anapestico”, cioè), e, di conseguenza, l‟intera sequenza come ⏑⏑reiz δ. Un‟analoga associazione può

essere quella di Ol. v. str. 3, ⏑⏑ – ⏑⏑ – ⏑ – – ⏑ – – ⏑ – ⏑ – – , gl cr ith nell‟interpretazione di Snell, che potremmo denominare ⏑⏑reiz δ ith. Peraltro, la

denominazione qui proposta può trovare sostegno, fermandoci ad Ol. v, nel fatto che il verso immediatamente precedente (str. 2) presenta una sequenza – – – ⏑⏑ – ⏑⏑ – ⏑⏑ – – ⏑ – ⏑ – – ‖. Al di là della singolare interpretazione snelliana (gld

) ith, non mi

sembra assurdo vedere nel primo colarion un reiz⏑⏑– (cioè col secondo longum soluto), associato al ⏑⏑reiz e all‟ith149.

145 Cfr. M. L. West, GM, p. 11 (e n. 17), con gli esempî di «apparent exceptions», per Pindaro, Ol. xiv. 2; Isth. i.16; fr. 140b, 2 M.; cfr. anche M. C. Martinelli, Gli strumenti cit., pp. 44 (e n. 29), dove, come possibili eccezioni alla regola generale, si riportano anche gli esempî di Pind. Ol. ii. 83, 92 e

Nem. iii. 39.

146 Cfr. U. von Wilamowitz-Moellendorf, Griechische Verskunst, Berlin 1921, pp. 291-293. Coerentemente, egli, nella propria analisi metrica di pae. iv, denomina giambo sia la sequenza ⏑⏑ – ⏑⏑ – che quella ⏑⏑ – ⏑ –: cfr. U. von Wilamowitz-Moellendorf, Pindaros, Berlin 1922, pp. 476-477. West (GM, p. 69) inserisce, senza denominarla altrimenti, la sequenza ⏑⏑ – ⏑ ⏕ nel numero di quelle, per dir così, “aberranti” riscontrabili, in Pindaro, in contesto giambico.

147 Cfr., per es., Ol. xiii, str. 5. 148

Sul reiz cfr. B. Gentili, La Metrica cit., pp. 79-80. Per alcune sue associazioni, cfr. M. C. Martinelli, «Osservazioni metrico-testuali sul fr. 453 N.2 (= 71 Austin) del Cresfonte di Euripide»,

SCO xxxvii (1987), pp. 165-175.

149 Astrattamente, anche un‟interpretazione 5da ith sarebbe possibile; ma visto il contesto sembra senz‟altro preferibile interpretare reiz⏑⏑ – ⏑⏑reiz ith.

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Non sarà a questo punto fuori luogo una breve digressione sul reiz. Il suo uso è già antico: lo troviamo già in Anacreonte, dove è associato «asinarteticamente all‟itifallico in un sorridente frammento simposiaco»150 (PMG 433, fr. 88 Page):

ἐγὼ δ’ ἔχων σκύπφον ἖ρξίονι τῶ λευκολόφῳ μεστὸν ἐξέπινον

⏑ – ⏑ – – ⏑ – ⏑ – ⏒ reiz ith – – ⏑⏑ – – ⏑ – ⏑ – ⏒ reiz ith

Ancora, in Ar. Av. 451-459 (= 539-547) lo troviamo frammisto alla sua forma acatalettica, ai prosodiaci, ad alcuni cola trocaici (v. 454, 2tr; v. 463, ith in clausola), e ad un hemiepes (v. 456).

Nella mia proposta d‟analisi riguardante Ol. v, notiamo delle associazioni non molto dissimili da quelle anacreontee ed aristofanesche appena considerate: il reiz, il reiz e l‟ith tra loro associati, con quest‟ultimo in funzione clausolare di periodo (str. 2) e di strofe (str. 3). Se consideriamo, a questo punto, che in pae. iv troviamo il reiz in ep. 1/2 ed in ep. 5151, sarà naturale interpretare anche il colarion ⏑⏑ – ⏑ – di str. 7 come reiz, benché di forma differente (quella, appunto, con attacco “anapestico”).

ep. 1-2: Il papiro tramanda la sequenza su due righi (e questa divisione, seguendo gli

editori, si è deciso di lasciare nell‟edizione del testo, per dare più precisa idea della forma e delle lacune del papiro), ma così essa non è di agevole interpretazione. Sembra dunque ragionevole mutare qui la colometria tràdita, individuando così tre sequenze, che si sono numerate 1, 1/2, 2.

La (1) non presenta particolari problemi, è un normale prosodiaco; né problematica è la (2), un dodrans II con realizzazione pirrichia del primo anceps152. Più

150 B. Gentili, La Metrica cit., p. 79. 151 Cfr. infra.

152

Si ritrova, p. es., in Pyth. ii, ep. 2 ⏑ – – ⏑ ⏑ – ⏑ – ⏑⏑ ⏑ – ⏑ ⏑ –, che lo Snell interpreta gl chodim. Ma allora, alla luce delle proprie convinzioni, non avrebbe dovuto chiamare il secondo colarion chodim? Ragioniamo un istante. Consideriamo, per es., il suo per schema astratto del pher ◦◦ – ⏑ ⏑ – ⏒. Quando il filologo tedesco incontra la sequenza ⏑ ⏑ – ⏑ ⏑ – ⏒ (cfr., per es., Ol. xiii.1), la chiama pher (ancorché, come abbiamo già avuto modo di notare, in maniera forse poco consequenziale al

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interessante è invece ep. 1/2, dove compare una sequenza – – ⏑⏑ – – ⏑ –, interpretabile come reiz cr. Possiamo ritrovare la stessa associazione in Pyth. vii, str. 2 ⏑ – ⏑⏑ – – ⏑ – × – ⏑ – (che Snell interpreta (ia) cr ia).

Possiamo anche aggiungere, se ritorniamo un momento al passo degli Uccelli di Aristofane, come la situazione metrico-ritmica che vi ritroviamo abbia, se non m‟inganno, una qualche raffrontabilità con quella dell‟epodo di pae. iv, e questo, a mio parere, contribuisce a rafforzare l‟identificazione col reiz di ⏑⏑ – ⏑ – a str. 7 e del simile colarion che, come abbiamo visto, si trova qui ed in seguito anche in ep. 5153.

Un‟altra possibilità d‟analisi, suggeritami dal Prof. D‟Alessio154

, sarebbe quella di lasciare la colometria tràdita, ipotizzando fine di periodo tra preverbio e verbo:

ἤτοι καὶ ἐγὼ σ[κόπ]ελον ναίων διά γινώσκομαι μὲν ἀρεταῖς ἀέθλων

– – ⏑⏑ – ⏑⏑ – – – ⏑ ∥ pros ia ∥ – – ⏑ – ⏑⏑ ⏑ – ⏑⏑ – | ia ⏑⏑ ⏑dodr II |

valore da lui teoricamente attribuito a ◦◦). Se dunque, come egli (giustamente) ritiene, lo schema del chodim è ◦◦◦ – ⏑ ⏑ –, perché ◦◦◦ qui possono essere tre brevia, mentre ◦◦ nel pher no? Forse, forse – torniamo a ripetere –, considerare la possibilità, nell‟uso dei metra eolici da parte di poeti non eolici, d‟una conservazione delle variegate forme con isosillabismo proprie della poesia eolica, sentite come affini a quelle, d‟introduzione seriore, che dalla norma dell‟isosillabismo si svincolano, non sarebbe poi così scorretto, e potrebbe un poco giovare alla semplificazione delle moderne teorizzazioni sulla metrica greca.

153 Prevengo una possibile obiezione al metodo da me adottato: mi si potrebbe infatti accusare di circolo vizioso. Certamente, una qualche tendenza in tal senso potrebbe anche annidarsi nei ragionamenti che ho sopra esposto; ma una tendenza che, intanto, è bene o male presente in tutti gli autori che trattano di dottrina metrica: siamo convinti di nostre, a volte personalissime, teorie (e questo proporre nuove soluzioni, in una materia come questa, penso che sia tutto per il comune vantaggio di una crescita delle nostre conoscenze, sia che le nuove teorie, accolte, vadano ad arricchire queste, sia che, respinte, servano a ridar vigore alle antiche, prima minate – che abbiano, insomma, un valore analogo alle congetture “diagnostiche” della filologia). Che poi ci si serva di due passi uguali (o anche solo analoghi) per dar forza ad una propria speculazione, è, a mio giudizio, tutt‟altro che immetodico: due fenomeni simili (ancora, come in filologia) si sostengono a vicenda, e non debbono, invece, essere entrambi cancellati per una certa “mania”, che purtroppo è (o, forse, era) di gran voga, di voler forzosamente ridurre ad una presunta regola quello che, nella realtà, poteva presentare sfaccettature molto più ampie. Poi, certamente, che le teorie da noi proposte siano effettivamente buone e valide, è un altro discorso; ma se nessuno dovesse per questo far più nuove proposte, quand‟anche ce ne fossero di realmente valide, chi mai potrebbe saperlo?

154

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Questo medesimo fenomeno si ritrova in Ol. i. 57a/57b; vi. 53/54; Isth. iii. 18/18b155. Ora, come ho scritto poc‟anzi, fenomeni simili, di per sé, si sostengono a vicenda. In questo caso, tuttavia, la correzione è molto facile, e porta ad isolare sequenze assai omogenee al contesto-metrico ritmico dell‟epodo. Per questo motivo, unito alla rarità del fenomeno che altrimenti si avrebbe (tre soli altri casi nell‟intero

corpus pindarico pervenutoci), preferisco optare per la correzione colometrica.

ep. 3: Sequenza di per sé interpretabile sia come ia kδ, sia come reiz hδ. S‟è

preferita la prima ipotesi, giacché nell‟unico epodo conservato156, dopo la serie ⏑ – ⏑ – iniziale, c‟è fine di parola.

ep. 5: Compare nuovamente il reiz associato qui con l‟hem; cfr. supra step.1/2 e

relativo commento.

ep. 7: Anche qui, si preferisce l‟interpretazione kδ ibyc157 all‟altra, pur possibile, ia

aeol tetr a motivo della fine di parola dopo ⏑ – ⏑ – ⏑ – (cfr. ep. 3 e relativo

Nel documento Pindaro, Peana IV. Testo e Commento. (pagine 55-64)

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