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I racconti di Earl Lovelace. Analisi e traduzione.

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CAPITOLO 4

4.1 Analisi della traduzione

4.1.1 Un autore source-oriented

A causa della sua posizione geografica, della tradizione storica, politica e culturale, l’area caraibica produce opere che hanno un rapporto molto particolare con il pubblico. Esistono innumerevoli studi sulla traduzione di testi post-coloniali, proprio perché quei testi hanno bisogno di una decodifica e ricodifica specifiche per essere resi accessibili a un pubblico di lettori non creolo.

Come detto in precedenza, l’uso che Lovelace fa del linguaggio nei suoi racconti è funzionale alla creazione di un ritratto genuino e realistico della regione Caraibica di Trinidad. L’inserimento della varietà meno prestigiosa dell’inglese di Trinidad, il TEC, contribuisce a mostrare al lettore una celebrazione dei valori e della cultura indigene.

Consapevole di rivolgersi anche a un pubblico di lettori privi di qualsiasi conoscenza del creolo, Lovelace non ricorre all’uso del TEC nella sua forma più radicale, il basilect del continuum. Si tratta però dell’unica concessione che l’autore è disposto a fare. Le sue intenzioni variano a seconda del tipo di pubblico che fruisce le sue opere. Un lettore non anglofono gode del ritratto vivido ed esotico di una realtà lontana e sconosciuta, mentre invece un lettore anglofono ma non caraibico percepisce la forza e la potenzialità di una letteratura che possiede similarità ma anche profonde differenze con la propria, soprattutto dal punto di vista linguistico: lingua inglese e riferimenti culturali possono essere al tempo stesso immediatamente comprensibili – non dimentichiamo l’educazione di stampo europeo dell’autore – e molto distanti, date le radici africane, amerindie e asiatiche della tradizione culturale caraibica.

Ma il rapporto più importante che Lovelace stringe attraverso le sue opere è quello con il pubblico creolo. L’uso del TEC ha la precisa funzione di contribuire al suo sviluppo e di aumentarne la dignità, dato che non è riconosciuto come lingua nazionale, e alla sua espansione oltre il registro informale e la tradizione orale. Il modo migliore per farlo è dimostrare al pubblico dei suoi connazionali lo status che il creolo può raggiungere come lingua letteraria.

Alcuni autori, come ad esempio Olive Senior in Summer Lightning, scelgono una forma di creolo talmente estrema da riflettersi anche nell’ortografia:

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[…]“Yes. Him goin so far him goin ennup clear a prison,” Papa say...

"Oh gawd when all is said an done the bwoy do well Jackie. Doan go on so", Mama say.

"De bwoy is a livin criminal. Do well me foot. Look how him treat him famly like they have leprosy. Deny dem. […] 36

Altri, come Samuel Selvon in An Island is a World, si mettono in una posizione decisamente

target-oriented. Selvon in questo caso evidenzia il termine creolo ponendolo tra virgolette e lo spiega quasi

in modo enciclopedico:

[…] Jennifer called him to breakfast. She had made “buljol” – a West Indian dish of salted codfish, one of the poor man’s staple items of diet. The fish is soaked until it loses its hardness, and broken up into small pieces. Or roasted and treated the same way. It is served with olive oil and fresh tomatoes and onions, and avocado pears, if they are in season. There is a kind of bread called “hops” and the “buljol” is most enjoyable with it. […]37

Questa scelta di Selvon non rappresenta tutta la sua produzione; nelle opere più mature questo tipo di “spiegazione enciclopedica” non si trova.

Lovelace da parte sua rinuncia quasi completamente a marcatori di tipo ortografico – due eccezioni che ricorrono spesso nei racconti di A Brief Conversion sono le parole fellar e pardner, corrispondenti rispettivamente a fellow e partner – ma sceglie di solito di non adattare quasi mai la sua lingua per un pubblico non creolo. Questa scelta contribuisce alla creazione di un meccanismo che, se considerato dalla prospettiva di un autore determinato a far raggiungere al TEC dignità di lingua, può essere visto come un circolo virtuoso.

Lovelace è uno dei pochi autori caraibici ad aver deciso di non emigrare, restando radicato in patria per creare da lì le proprie opere. Rimanere a contatto con la lingua creola della maggioranza della popolazione fa sì che essa, come abbiamo detto, venga inserita in letteratura con uno scopo ben preciso. L’uso dei termini creoli, che rimangono senza spiegazione, sommati alla visione di un mondo caraibico lontano dagli stereotipi e imbevuto del clima politico e culturale di Trinidad, determina un tipo di testo che appare lampante e immediato al lettore caraibico, ma che risulta più impenetrabile per il resto del pubblico.

Ne consegue che, al di fuori dell’area caraibica, Lovelace sia un autore caratterizzato da una certa ambiguità: da un lato è vincitore di premi internazionali, è conosciuto e celebrato nei circoli letterari di tutto il mondo anglofono e non; tuttavia, al tempo stesso, è percepito come autore “regionale”. Le

36 Olive Senior, Summer Lightning and Other Stories, Longman, 1986, p. 26 37 Samuel Selvon, An Island is a World, A. Wingate, 1955, p. 10

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sue opere vengono pubblicizzate molto meno rispetto a quelle di colleghi emigrati, ritenute invece più “accessibili”. La consapevolezza di avere quindi un pubblico non creolo non troppo vasto permette a Lovelace di esprimersi in una lingua pressoché source-oriented, e di focalizzarsi pienamente sulla realtà dei Caraibi.

4.1.2 Tradurre Earl Lovelace

La negoziazione che si opera in traduzione prevede sempre la perdita di alcuni elementi (e perché no, anche il guadagno di altri). Cosa, però, non si deve assolutamente perdere nel tradurre Earl Lovelace? Innanzitutto bisogna tener conto dello scopo per cui l’autore scrive. Dal punto di vista culturale, Lovelace mira a far conoscere Trinidad al resto del mondo superando il filtro pigro e obsoleto attraverso il quale la società occidentale guarda ai Caraibi. Il filtro nuovo e autentico che Lovelace sceglie è quello multiprospettico dei tanti personaggi che popolano i suoi racconti. Ecco dunque il primo elemento chiave da non trascurare per una buona traduzione: i personaggi e le loro differenti visioni del mondo.

Normalmente i protagonisti delle storie di Lovelace sono persone umili, lavoratori, barbieri, calzolai, madri, ragazzini, ma anche nullafacenti, poveri, malati mentali. Nessuno di essi però è ridotto a una sola definizione, a un solo aspetto. Ci sono occasioni, come nel racconto The Coward, in cui i personaggi si trasfigurano, si ingigantiscono e acquistano una dignità tale da renderli fieri, bellissimi, regali.

Blues […] guardava, ipnotizzato, la cavalcata di principi neri incoronati con alti capelli che avanzavano su trampoli maestosi, i corpi avvolti in bandiere, il pennone dei loro pugni che colpiva il cielo, le loro grida vulcaniche di “Potere!” tuonavano lungo i fianchi delle colline. Guardava regine nere, le loro teste inghirlandate di fiori, le gonne ritmiche distese lungo anche ondeggianti, che ballavano attraverso le nuvole. […] Nel riverbero del luminoso caldo martellante Blues li seguì giù a Shanty Town, per vedere imperatori neri uscire dai loro palazzi di cartone nel trasudare di soffocanti vapori di decomposizione, a competere con starnazzanti corbeaux e randagi rognosi per i diritti sui tesori nelle inesplorate montagne di rifiuti scaricate sulle loro soglie. […]38

38 Earl Lovelace, The Coward, in A Brief Conversion and Other stories, New York, Persea Books, 2003, pp.

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Poche righe sono sufficienti a regalare a ogni personaggio un background che gli conferisce dignità, e che promuove una certa empatia da parte del lettore: Lovelace dipinge ritratti così autentici e verosimili che è impossibile per il pubblico non ritrovare in essi persone conosciute o incontrate nel passato.

Esempio chiaro di quanto per l’autore sia importante non soffermarsi sull’aspetto più superficiale ed evidente delle persone è la descrizione di Priscilla, una donna ritenuta da tutti un’ubriacona, ma che vista attraverso gli occhi del giovane protagonista Travey, ci colpisce con la sua storia tragica:

[…] Con loro c’è Priscilla, l’unica donna lì, che balla da sola, le spalle teneramente incurvate, le braccia strette attorno al corpo e gli occhi chiusi nella dolcezza dei ricordi.

“Buonasera, Miss Priscilla,” dico.

“Buonasera amore,” risponde, aprendo occhi arrossati che brillano di dolore, facendomi l’occhiolino, e chiudendoli di nuovo.

Quando Priscilla era giovane, dice mia madre, non c’era nessuno a Cunaripo che si vestiva come lei, e nessuno di così attraente. Quando c’era un ballo gli uomini facevano la fila solo per ballare con lei, da tanto era popolare. Adesso la gente vede un’ubriacona, dice mia madre. Ma in quei giorni, Priscilla era una stella. Poi se ne andò in città. Andò in Venezuela. Le sue foto erano nei giornali. Era una modella. Regalava i vestiti alle sue parenti. Bei vestiti, regalava; bellissimi, bellissimi vestiti. Un pezzo grosso doveva sposarla. Lei aveva un buon lavoro nel servizio civile. Era in alto nella scala sociale. Ma la povera Priscilla sente quello che non dovrebbe sentire; vede ciò che non dovrebbe vedere. Il suo capo era un gran criminale, che rubava al paese migliaia e migliaia di dollari. Corrompe tutti ma non Priscilla. Lei testimonia contro di lui nell’inchiesta. Quella fu la sua fine. Perde il lavoro. L’uomo che doveva sposarla la lascia. La sua famiglia, a cui lei dava i bei vestiti, la disconosce. Cercano di avvelenarla. Torna a Cunaripo e cerca di risollevarsi. Loro la trascinano giù. La trascinano giù. Comincia a bere rum. Perde la bellezza, la reputazione. La gente la dimentica, dice mia madre; ma non mia madre. Anche zia Irene la ricorda. Parlano di lei. Ricordano quand’era una stella. Lei, mia madre, pretende che a tutti i costi siamo rispettosi con Priscilla. Ogni volta che la vedo, dico “Buonasera, Priscilla”; e lei dice “Buonasera, amore.” Ho un po’ paura di lei. […]39

Ciò che la madre di Travey pretende da lui, di non dimenticare Priscilla e anzi di portarle rispetto, è l’avvertimento dell’autore ai suoi lettori: mai soffermarsi alla prima impressione. L’importanza dei personaggi, che riflettono la realtà che lo circonda, è fondamentale per il messaggio di Lovelace. Il senso di un Paese, di un popolo, è dato dalle persone, con le loro storie e i loro caratteri. Per un

39 Earl Lovelace, A Brief Conversion, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books,

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traduttore è quindi d’obbligo riuscire a trasmettere nella lingua d’arrivo l’essenza dei personaggi, poiché riflette quella di un’intera cultura.

Dall’essenza delle persone deriva una serie di tradizioni culturali proprie di Trinidad che Lovelace non esita ad inserire nei suoi racconti. Come abbiamo già accennato, l’autore, benché quasi sempre li distacchi nel testo servendosi del corsivo, non si preoccupa di spiegare i termini culturalmente marcati, e nella mia traduzione ho optato per fare lo stesso, per due motivi principali.

Da una parte sono dell’opinione che un traduttore debba supportare l’intentio auctoris, specialmente se essa ha uno scopo politico-culturale ben preciso come quella di Lovelace. In che modo contribuire, traducendo, a diffondere una rappresentazione della realtà caraibica autentica e lontana dagli stereotipi? Facendo sì che il pubblico di lettori abbia un atteggiamento attivo nei confronti del testo: per il lettore ideale, infatti, imbattersi in un culturema diventa un’occasione per scavare più a fondo e aumentare le proprie conoscenze, andando al dì là della visione ormai superata di un mondo estraneo al proprio.

I culturemi trovati nei racconti di A Brief Conversion appartengono a svariati campi: le tradizioni folkloristiche legate al Carnevale e alle maschere, la musica, con i calypso e le band parang, le religioni di origine africana, la gastronomia, la flora e la fauna.

In alcuni casi ho utilizzato termini italiani che corrispondevano perfettamente agli originali, evitando però di generalizzarli o semplificarli. In A Brief Conversion, Travey elenca alcuni frutti che sua zia Irene compra al mercato:

From her trips to the market she returns with sea moss and sour sop and pawpaw […] 40

Uno di questi, pawpaw, non è altro che la papaya. Anche gli altri due sono prodotti tipicamente caraibici, ma rimangono pressoché sconosciuti al lettore occidentale. Il sour sop è un frutto chiamato in italiano guanàbana, un sostantivo che conserva la sua marcatezza. Il sea moss ha diversi nomi, tra cui quello più letterale di ‘muschio di mare’. Ho però evitato questo termine, considerandolo una semplificazione rispetto all’alternativa carragheen.

Dalle sue spedizioni al mercato ritorna con carragheen, guanàbana e papaya […]

In The Coward, Lovelace evidenzia con il corsivo il nome di un uccello diffuso in America centrale e meridionale, il corbeau. Si tratta di un termine tipico di Trinidad, che definisce un avvoltoio

40 Earl Lovelace, A Brief Conversion, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books,

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chiamato in inglese ‘black vulture’, e in italiano ‘urubù dalla testa nera’. La parola urubù, nonostante abbia una bella musicalità e non sia una semplificazione, è tuttavia un termine meno marcato culturalmente rispetto all’originale corbeaux41, che quindi ho preferito.

Nel racconto Those Heavy Cakes, la musica è uno degli argomenti attorno a cui si sviluppa la vicenda, e le parole marcate si riferiscono principalmente a strumenti musicali. Ho lasciato quelle originali, poiché non esistono corrispettivi precisi in italiano. L’unica eccezione sarebbe la parola shac shac, che indica uno strumento molto simile alle più conosciute maracas. Quest’ultimo termine però rimanda all’America Latina piuttosto che ai Caraibi; inoltre shac shac, essendo un’onomatopea, è piuttosto intuitiva, dato che il suono che produce funziona molto bene anche in lingua italiana.

La cosa migliore era […] sentire giù per la via i suoni lontani della banda parang – non la banda, in effetti, ma il dun dun dun del bass box, il ritmo che rimbalzava, il volume che aumentava – mentre risaliva la strada e lui riusciva a sentire tutto meglio, la chitarra e i cuatros e il canto. […] Il Natale successivo la banda venne come al solito, scuotendo i suoi shac shac, e con il lungo lamento graffiante del violino, iniziò col suo brusio fatto di shh shh […] 42

Il secondo motivo per cui ho preferito, nella mia traduzione, lasciare i culturemi originali, è legato all’importanza di mantenere intatte le parole appartenenti al creolo.

Lovelace, come si è già detto, è uno dei primi autori ad utilizzare il creolo non solo per caratterizzare la parlata dei personaggi, ma anche per la narrazione. In effetti, con lo scopo ultimo di aumentare la dignità del TEC e di rappresentare autenticamente la sua realtà, un autore non può fare a meno di considerare se stesso parte dell’umanità che dipinge nelle sue opere.

Il creolo di Lovelace, al contrario ad esempio di quello utilizzato da Olive Senior, non si differenzia dall’inglese dal punto di vista ortografico, perché l’autore non utilizza le rappresentazioni fonetiche tipiche del creolo. Inoltre il TE e il TEC di Lovelace hanno una matrice lessicale comune; fatta eccezione per i culturemi, molto riconoscibili sia che vengano evidenziati dal corsivo o meno, l’uso del creolo va individuato soprattutto nelle strutture sintattiche.

41 Vedi nota 3

42 Earl Lovelace, Those Heavy Cakes, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books,

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4.1.3 Analisi delle principali strutture sintattiche nei racconti di

Lovelace e delle scelte traduttive

Una delle caratteristiche più evidenti del TEC di Lovelace è la mancata flessione della terza persona del presente. La maggioranza dei personaggi si esprime in questo modo, e talvolta anche la voce narrante.

Nel racconto Shoemaker Arnold, gli abitanti del villaggio si rivolgono a lui parlando del giovane Norbert:

Of course he quarrelled, he complained, but the villagers who heard him were firm in their reply: “Man, you like it. You like Norbert going and coming when he please, doing what he want. You like it.” […] 43

In italiano, essendo impossibile togliere la flessione dai verbi, ho optato per rendere le battute in un registro molto basso e informale, utilizzando il presente indicativo al posto del congiuntivo, la dislocazione a sinistra del pronome (con ripresa del pronome ‘ti’), e alcuni elementi rafforzativi tipici dello stile colloquiale:

Ovviamente ci litigava, si lamentava, ma i paesani che lo sentivano gli rispondevano con fermezza, “Dai Arnold, a te ti piace. Ti piace che Norbert va e viene come gli pare, e fa quello che vuole. Ti piace proprio.”

Nello stesso racconto, Lovelace utilizza la forma have al posto della terza persona has:

“The world have to check up on itself,” he said. “The world have to check up… And you, Norbert, you have to check up on yourself,” he said […] 44

In questo caso, non potendo modificare in alcun modo il verbo have in italiano, ho scelto di utilizzare il pronome ‘te’ al posto del più corretto ‘tu’ nella frase seguente, mantenendo quindi un elemento grammaticalmente inesatto come compensazione.

43 Earl Lovelace, Shoemaker Arnold, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books,

2003, p.126, 128

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“Il mondo deve darsi una regolata,” disse. “Il mondo deve darsi una regolata… e te, Norbert, anche te devi darti una regolata,” disse […]

Nel racconto Fleurs c’è un frase, pronunciata dalla moglie del protagonista, che racchiude in sé tre elementi sintattici del creolo: la mancata flessione del verbo di terza persona singolare, una domanda senza ausiliare e due relazioni di possesso prive del genitivo sassone:

“What you mean Bango is true? You don’t know about all the wickedness Bango do, people land he take, people wife…”[…] 45

Nella traduzione, mirando ad abbassare il registro, ho optato per l’utilizzo del pronome ‘te’ per quanto riguarda l’aspetto sintattico, e per termini molto informali come ‘porcherie’ e il verbo ‘fregare’ per l’aspetto lessicale.

“Ma che dici, Bango è uno vero? Te non sai tutte le porcherie che fa Bango, la terra che si frega, le mogli degli altri…” […]

La formulazione di domande senza ausiliare ricorre in altre occasioni, così come le domande senza inversione del soggetto, come vediamo dall’esempio tratto dal racconto Call me ‘Miss Ross’ for now:

“Miss Ross, you don’t like wrestling?” […]

“It have endless excitement,” he said. “Lots of people go to see it down at the Sports Complex, women, everybody. It real nice. Some of us going tomorrow. You don’t want to come?” […] 46

In questo modo la formulazione della domanda dipende dal tono che si dà alla frase; poiché in italiano la regola è già questa, ho compensato la mancata inversione del soggetto inserendo espressioni gergali e popolari:

“Miss Ross, le piace mica il wrestling?” […]

“C’è divertimento a non finire,” disse lui. “Un fracco di gente va a vederlo giù al Centro Sportivo, donne, tutti quanti. È proprio bello. Qualcuno di noi ci va domani. Mica ci vuole venire? […]

45 Earl Lovelace, Fleurs, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books, 2003, p.101 46 Earl Lovelace, Call me ‘Miss Ross’ for now, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea

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Dall’esempio precedente, si può evincere un’altra caratteristica sintattica diffusissima nei dialoghi e nella narrazione: l’ellissi del verbo essere. Anche in questo caso non è possibile rendere questa struttura in italiano, quindi la si deve compensare con formule colloquiali e basse, facendo attenzione però a non ridicolizzare il source text. Nella traduzione degli esempi seguenti ho utilizzato espressioni tipiche dell’italiano parlato.

Il primo è tratto da A Brief Conversion:

“Tell me, what reason it have for you to brutalise your boychild head so? I know Indian people does shave their boychild head, but, that is when their father dead. His father dead, Pearl?” […]

47

Qui per compensare ho scelto il pronome ‘gli’ al posto del più corretto ‘loro’, espressione tipica del linguaggio colloquiale italiano:

“Dimmi, che motivo c’è di maltrattare in quel modo la testa del tuo bambino? So che gli Indiani rasano le teste dei loro bambini, ma lo fanno quando gli muore il padre. È morto, suo padre, Pearl?” […]

Nel dialogo tratto da The Coward, tenendo presente che uno dei due personaggi è un uomo descritto come poco istruito, ho usato diversi elementi propri di un registro basso: la ridondanza dei pronomi, la dislocazione a sinistra, l’aferesi del dimostrativo, espressioni gergali.

I was moving closer to get a better look at the speakers. He saw me. We came face to face. “Don’t tell me you in this thing, Santo,” he said with a grimace of pain.

“I come to see what’s happening,” I said, waving my notebook. “I covering the demonstrations for The Standard.”

“And they send you? Anyhow, if you working work. Keep your distance and write your story, but don’t get involved. I going. Just write your story and keep out of this. It going to have plenty of trouble here.” […] 48

47 Earl Lovelace, A Brief Conversion, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books,

2003, p.2

48 Earl Lovelace, The Coward, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books, 2003,

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Io mi stavo avvicinando per guardare meglio quelli che parlavano. Mi vide. Arrivammo faccia a faccia.

“Non dirmi che ci sei anche te in ‘sta cosa, Santo,” disse con una smorfia di dolore. “Sono qui per vedere che succede,” dissi, sventolando il mio taccuino. “Mi occupo delle dimostrazioni per lo Standard.”

“E proprio te, ci mandano? Comunque, se stai lavorando lavora. Stai lontano e scriviti la tua storia, ma non immischiarti. Io me ne vado. Scriviti la tua storia e stanne fuori. Ci sarà un sacco di problemi qua.” […]

Il racconto Joebell and America è interamente scritto in creolo: un testo narrativo così tanto caratterizzato dalle strutture sintattiche del TEC necessita di un abbassamento generale del registro.

It had seven other people in the room but Joebell go and sit down alone by himself because with all the talk he talking big, Joebell just playing for time, just trying to put them off; and now he start figuring serious how he going to get through this one. […] 49

In traduzione ho utilizzato molte espressioni gergali e una dislocazione a sinistra:

C’erano altri sette nella stanza ma Joebell piglia e si siede da solo perché con tutti i discorsi da grand’uomo, Joebell stava solo prendendo tempo, cercava di rintronarli; e adesso comincia a pensarci seriamente a come salvare la pellaccia. […]

Ricorrente è anche la mancata flessione dei verbi al passato. Ci sono paragrafi con alcune forme verbali al simple past, e altre nella forma base:

“Okay, Chief,” the fellar named Ross said.

“Chief?” Victory looked directly at him. “I thought Brown tell you my name.” […] 50

In questo esempio, tratto da Victory and the Blight, un verbo su due non è coniugato. In traduzione ho compensato inserendo un indicativo al posto del congiuntivo, costruzione tipica del linguaggio orale italiano (anche se in questo caso la scelta dei tempi verbali potrebbe apparire grammaticalmente inesatta):

49 Earl Lovelace, Joebell and America, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books,

2003, p.121

50 Earl Lovelace, Victory and the Blight, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books,

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147 “Okay, capo,” disse il tizio di nome Ross.

“Capo?” Victory lo guardò dritto negli occhi. “Pensavo che Brown te l’ha detto il mio nome.”

In The Fire Eater’s Return, per compensare alle mancate flessioni e alle ellissi del verbo essere, ho utilizzato espressioni gergali (ho utilizzato il verbo ‘spendacciare’ perché contiene una sfumatura dispregiativa, utile a veicolare lo stato d’animo del personaggio), dislocazione del pronome, indicativo imperfetto in luogo del congiuntivo, aferesi del dimostrativo e il pronome ‘te’ al posto di ‘tu’:

“And all this time you spending money like you have money,” Ayesha said, addressing him. She turned to me, “You never wonder where he getting money from? You see him spending, carrying girls to the beach, going and sit down in restaurant. You was his friend. You never tell him nothing?” […] 51

“E per tutto ‘sto tempo hai spendacciato come se ce l’avevi, i soldi,” disse Ayesha, rivolgendosi a lui. Si girò verso di me, “Non te lo sei mai chiesto dove li tirava fuori i soldi? Lo guardavi spendere, portarsi le ragazze alla spiaggia, prendere e sedersi al ristorante. Te eri amico suo. Non gli hai mai detto niente?” […]

Molto interessante è anche l’utilizzo di sostantivi o aggettivi come forme verbali. Vista l’impossibilità di ottenere lo stesso in italiano, sono naturalmente dovuta ricorrere a compensazioni.

I primi due esempi sono tratti dal racconto George and the Bicycle Pump, in cui i sostantivi ‘thief’ e ‘shame’ sostituiscono i verbi ‘steal’ e ‘be ashamed’:

“They thief your bicycle pump George,” Beulah looked up from her sewing, her eyes gleaming with the personal triumph she exuded whenever she suspected that he was in the wrong. “They thief it!” with a sense of victory, as if it was something she had predicted. “Thief? Thief my pump? You see you. Your mind. Thief is the first thing that come to your mind.” […] 52

51 Earl Lovelace, The Fire Eater’s Return, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea

Books, 2003, p.53

52 Earl Lovelace, George and the Bicycle Pump, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea

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“You still leaving the pump on your bicycle,” Beulah said. “You shame to walk with it in your hand? You shame to put it in your pocket?” […] 53

In traduzione ho alternato la forma standard con un sinonimo gergale, e ho inserito espressioni colloquiali in altre parti del testo:

“Ti hanno rubato la pompa della bici, George,” Beulah alzò lo sguardo dal cucito, gli occhi scintillanti di quel trionfo personale che emanava sempre quando aveva il sospetto che lui avesse fatto qualcosa di sbagliato. “L’hanno fregata!” con un senso di vittoria, come se fosse qualcosa che lei aveva previsto.

“Fregata? Mi hanno fregato la pompa? Ma guardati! Che testa. Il furto è la prima cosa che ti salta in mente.”

“Lasci ancora la pompa sulla bicicletta,” disse Beulah. “Ma cos’è, ti vergogni a portartela dietro? Ti vergogni a cacciartela in tasca?” […]

Il terzo esempio è tratto da Shoemaker Arnold, in cui l’aggettivo ‘dead’ sostituisce il verbo ‘die’; siccome in italiano non ho trovato necessario utilizzare un verbo per tradurre l’espressione considerata, ho mantenuto anch’io un aggettivo, sebbene in forma substandard:

[…] And Norbert, more drunk than sober, sitting in a corner chatting down Clemencia sister picked up another bottle of rum, broke the seal and about to put it to his lips caught Arnold’s eye and hesitated, then he put it to his lips again. He said, “Let me dead.” And Arnold sat and thought about this girl, the one that filled the world with breathlessness and the scent of aloes and leaves and moss and he felt as if she was sitting there beside him he would be glad to dead too. 54

[…] E Norbert, più ubriaco che sobrio, seduto in un angolo a lavorarsi la sorella di Clemencia afferrò un’altra bottiglia di rum, ruppe il sigillo, e sul punto di avvicinarla alle labbra catturò lo sguardo di Arnold ed esitò, e poi se la riportò di nuovo alle labbra. Disse, “Lasciami, son già bell’è morto.” E Arnold sedette e pensò a quella ragazza, quella che riempiva il mondo di affanno e del profumo d’aloe e foglie e muschio e sentì che se gli si fosse seduta accanto, anche lui sarebbe stato felice di essere bell’è morto.

53 Vedi nota 17

54 Earl Lovelace, Shoemaker Arnold, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books,

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È facile notare che la maggior parte delle strutture sintattiche del TEC sono irriproducibili nel testo tradotto, e vanno quindi recuperate attraverso espedienti applicabili ad altre parti del testo.

Uno di questi espedienti, il più automatico e che si ritrova spessissimo nell’italiano parlato, è la sostituzione del congiuntivo e del condizionale con l’indicativo. Di seguito due esempi, tratti da Those

heavy cakes e da The Midnight Robber, per mostrare la compensazione ottenuta in questo modo.

He saw the boy looking at him. He said, “You get the bike, eh,” trying to sound cheerful, “I tell you you woulda get it.”[…] 55

Vide il ragazzino che lo guardava. Disse, “Hai ricevuto la bici, eh,” cercando di apparire allegro. “Te l’avevo detto che la ricevevi.” […]

“But,” said Dan, drawing in the smoke, “If was me, I would pay the money rather than be dodging and peeping from the police.” […] 56

“Ma,” disse Dan, aspirando il fumo, “Se ero io, io pagavo invece di star sempre a schivare e spiare la polizia.” […]

Infine, sebbene non strettamente legata all’aspetto sintattico, ho trovato interessante la traduzione di alcuni versi in rima che compaiono nel racconto Joebell and America.

Il protagonista, innamoratosi di Alicia, compone personalmente un calypso e lo canticchia per lei, riprendendolo poi alla fine del racconto.

Gonna take ma baby Away on a trip Gonna take ma baby Yip yip yip

We gonna travel far To New Orleans Me and ma baby Be digging the scene 57

55 Earl Lovelace, Those Heavy Cakes, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books,

2003, p.85

56 Earl Lovelace, The Midnight Robber, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books,

2003, p.105

57 Earl Lovelace, Joebell and America, in A Brief Conversion and Other Stories, New York, Persea Books,

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La canzone ha lo schema rimico AB AB CD AE; da notare che ‘Orleans’ e ‘scene’ fanno assonanza. Per tradurre al meglio questo breve testo ho mantenuto le poche rime e l’assonanza; ho trovato però che fosse anche molto importante cercare di carpirne lo spirito, specialmente considerando il significato che la canzone assume alla fine del racconto. A questo proposito, il narratore dice che

Voleva diventare un cantante di calypso, diceva; ma non era granché intonato e le sue composizioni non erano un granché anche quelle e tutta la roba che cantava aveva un qualcosa di triste, non importa come la cantava. Prima di cominciare a parlarsi direttamente lui cantava, con gli occhi chiusi e le spalle curve, e la gente nella snackette pensava che voleva scherzare. Ma lei sapeva che la canzone era per lei e si sentiva carina e triste e pensava a posti lontani. […] 58

Alla fine del racconto Joebell, che ha tentato di andare negli Stati Uniti con dei documenti falsi passando per Puerto Rico, viene fermato in aeroporto e portato via in manette. Cantando, Joebell assume un atteggiamento di noncuranza e sfida verso i poliziotti, però i suoi versi, legati ad Alicia, hanno anche una funzione di conforto.

Ho quindi optato per utilizzare un linguaggio semplice, quasi ingenuo (specialmente nell’ultimo verso), che rifletta lo spontaneo ma goffo slancio creativo di Joebell:

Mi prendo la mia ragazza E me ne vado con lei Mi prendo la mia ragazza Hey hey hey

Viaggeremo lontano Fino a New Orleans Io e la mia ragazza Vediamo che c’è in gir

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CONCLUSIONE

Tradurre un autore post-coloniale, e in particolare caraibico, è un’operazione a cui non è possibile accostarsi senza prima aver compiuto una ricerca ben precisa. Bisogna osservare da vicino il proprio autore, studiarne il rapporto con la patria e con le sue lingue (parlo di lingue, al plurale, com’è la norma se si considerano autori post-coloniali).

Earl Lovelace vive a Trinidad e usa nelle sue opere la lingua creola di Trinidad; è quindi impossibile tradurlo senza tener conto delle implicazioni storiche, politiche e culturali di cui le sue opere e il suo linguaggio sono impregnate.

Preservare la genuinità, l’immediatezza e il ritmo della lingua creola è stato l’obiettivo primario della mia traduzione, così come mantenere i culturemi originali per ottenere un testo che richiedesse un’attività intellettuale da parte del lettore.

Trasportare le specifiche strutture sintattiche del TEC verso l’italiano è stato un compito arduo, e ha richiesto una continua negoziazione, ma spero di essere stata in grado di continuare l’opera di Lovelace nel voler presentare al lettore l’autenticità della vita a Trinidad rispettando la sua intentio, e soprattutto senza aver standardizzato o ridicolizzato il TEC.

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