Leibniz
La vita
1646 - nasce a Lipsia da famiglia protestante della borghesia colta.
1666 - si laurea ad Altdorf, vicino a Norimberga, città dove si affilia alla setta esoterica dei Rosacroce.
1668 - diventa consigliere del principe elettore di Magonza e svolge per lui diverse missioni diplomatiche, mentre comincia a redigere le prime opere di politica, logica e fisica.
1672 - è a Parigi dove conosce i migliori intellettuali del suo tempo. Si occupa di matematica e fisica e studia la filosofia di Cartesio.
1676 - scopre il calcolo integrale, autonomamente rispetto a Newton. Nello stesso anno diviene bibliotecario presso il duca di Hannover, per il quale compie una complessa ricerca genealogica che lo rende esperto anche di storia. Nel corso di tale ricerca viaggia molto in Germania e in Italia. Si impegna anche per l’unità delle Chiese protestante e cattolica, un progetto che allora più che oggi aveva uno schietto sapore utopico.
1680 - all’incirca a partire da questo periodo si moltiplicano i riconoscimenti ufficiali della sua opera di studioso e uomo politico.
Le opere filosofiche
Nel 1686 Leibniz compone il Discorso di metafisica, che brevemente riassume le idee filosofiche che ha maturato fino a quel periodo. A tale opera seguirà nel 1695 il Nuovo sistema della natura, della
comunicazione delle sostanze e dell’unione fra anima e corpo, poi,
nel 1714, I principi della natura e della grazia fondati sulla ragione. Dello stesso anno è la Monadologia, breve ma famosissimo testo di metafisica. Verrà pubblicato postumo un testo del 1703-4, critico nei confronti del filosofo inglese empirista John Locke, intitolato
Nuovi saggi sull’intelletto umano. Infine i Saggi di teodicea, usciti
nel 1710, affronteranno da un punto di vista razionale la vexata
quaestio del rapporto tra giustizia e onnipotenza divine, da un lato,
L’ordine del mondo
Differenziandosi fortemente da Spinoza, Leibniz sostiene
che l’ordine del mondo, che sicuramente è compito del
filosofo e dello scienziato rintracciare, non è necessario,
ma contingente, cioè è frutto di una scelta, dipende da
un atto di libertà, e in particolare dall’atto liberamente
creativo di Dio. Dio, quindi, crea un mondo ordinato, ma
non coincide con tale mondo, mantenendo tutte le
tradizionali caratteristiche di trascendenza. Tale ordine
comporta non solo l’atto creativo esterno di Dio, ma
anche la possibilità interna di una scelta.
Scelta, non caos
La possibilità di scegliere nel mondo non è caos,
ma, quando realizzata, disegna nella realtà una
nuova costruzione, che pure è pensabile e
leggibile come un ordine. Qualsiasi sia, infatti, la
linea che tratteggio in base a punti scelti a caso
su una superficie, vi sarà un’equazione che darà
conto del percorso della mia linea, dunque essa
avrà una sua ratio matematica.
L’ordine che concilia
L’idea di ordine implica quella di un’armonica e razionale disposizione
delle parti all’interno di qualsiasi totalità. Dunque nella realtà il
problema degli eventuali conflitti tra visioni del mondo, filosofie, prospettive di vita e religiose è risolvibile individuando la corretta collocazioni di queste all’interno della loro totalità.
Di qui l’idea leibniziana di poter conciliare diversi aspetti della
riflessione filosofica a lui contemporanea, come il meccanicismo e il
finalismo, il materialismo e lo spiritualismo, le idee filosofiche degli antichi e dei moderni. Allo stesso modo si potevano conciliare i diversi orientamenti religiosi (in particolare la confessione cattolica e la protestante) o i diversi interessi politici, come pure le diverse discipline scientifiche (queste ultime in un’utopica «repubblica delle scienze»).
Distinguere e collocare
Ovviamente per conciliare è necessario anzitutto
distinguere e collocare gli enti nella loro corretta
dimensione, dove essi trovano razionale spiegazione.
In primis per Leibniz è necessario distinguere, come
abbiamo visto, ordine da necessità. Vi è un ordine
reale, ma non necessario. Ed è precisamente l’ordine di
questo mondo.
Necessarie propriamente sono le VERITA’ DI RAGIONE,
Verità di ragione e verità di fatto: le
verità di ragione
Le verità di ragione – che coincidono con quelle individuate dalla logica formale - si fondano sul principio di identità («ogni cosa è ciò che è) e non contraddizione (ogni cosa è vera o falsa e non può essere al contempo vera e falsa) e sono espresse da proposizioni in cui il predicato nulla aggiunge a ciò che si dice nel soggetto (p. es. «il triangolo ha tre lati»). Esse sono vere
necessariamente, ma non aumentano la nostra conoscenza della realtà esistente. Non sono quindi derivate da quest’ultima
e sono innate. Esse, pur essendo innate, quindi contenute nella nostra mente, non lo sono in modo attuale, ma in modo confuso e oscuro, e che la loro esplicitazione segue le esperienze che noi
Verità di ragione e possibilità
Le verità di ragione ci dicono tutto ciò
che, essendo non contraddittorio,
sarebbe possibile che avvenisse.
Ma ciò che effettivamente avviene è un numero
di eventi molto minore. Dunque all’interno di
quanto è puramente possibile, si realizza ciò che
è reale ed effettuale.
Verità di fatto
Le verità di fatto riguardano la realtà effettiva. Esse non sono fondate sul principio di identità non contraddizione, quindi il loro
contrario è possibile.
Il loro fondamento è il principio di ragion sufficiente, che dice che nulla mai avviene senza una ragione per la quale avvenga e in modo che tale ragione sia sufficiente a spiegare perché è avvenuto un evento e non il suo contrario.
Tale principio non dice che deve avvenire per forza una cosa, ma che ciò che avviene è legato a ciò che già è avvenuto in una catena di eventi in cui il precedente realizza il successivo. Tuttavia tale catena non è necessaria.
Il contrario di ciò che accade
Perché il contrario di ciò che accade è sempre possibile?
Un quadrato triangolare è impossibile che venga
pensato, mentre è possibile pensare che Napoleone
abbia vinto a Waterloo, anche se poi tale possibilità, in
virtù della concatenazione di cause che si determinata,
non si è realizzata.
Se Napoleone avesse vinto non vi sarebbe stata
contraddizione di fatto, mentre un quadrato triangolare
è contraddittorio
Necessità assoluta e necessità ex
hypothesi
La necessità delle verità di ragione è assoluta:
l’impossibile è semplicemente impossibile. La necessità
delle verità di fatto non è piena e assoluta necessità,
giacché esse necessitano solo ammettendo che
(hypothesis) vi sia la causa precedente, che è ragion
sufficiente perché accada un dato evento. Quindi la
spiegazione
causale
del
mondo
contingente
è
ugualmente sicura, perché dà per vera l’ipotesi, ma non è
necessitante, perché l’ipotesi contraria rimane possibile
in quanto non contraddittoria.
Esempio
Se pensiamo al nostro mondo come alla realizzazione di
una particolare configurazione della realtà tra le infinite
possibilità
tutte
ugualmente
non-contraddittorie,
dobbiamo trovare la ragion sufficiente perché si sia
realizzato proprio questo che di fatto esiste. Tale ragione
è la scelta di Dio e il suo atto creativo. Una scelta che, in
quanto divina, dà origine al migliore dei mondi possibili.
Ciò perché la scelta di Dio ha uno scopo, cioè è una causa
finale, non meccanica del mondo, e il fine è ciò che ha
motivato la scelta stessa.
Soggetto e predicato
Nelle proposizioni che esprimono le verità di ragione (esempio: il triangolo ha tre lati) il predicato (ha tre lati) è contenuto nel o è identico al soggetto (triangolo). Nelle verità di fatto (esempio: Cesare passò il Rubicone) il predicato relativo all’azione di Cesare, non è logicamente contenuto nel soggetto, tanto che si può dire il contrario senza cadere in contraddizione (es. Cesare non passò il Rubicone). Il soggetto nelle verità di fatto è una
realtà esistente, cioè una sostanza individuale: questo rende
possibile la contraddizione del suo predicato, cioè pensabile,
anche se il suo predicato deve avere nel soggetto la sua ragione sufficiente.
Ragion sufficiente
Dire che il predicato deve avere nel soggetto la sua ragion
sufficiente significa, nell’esempio precedentemente fatto,
che nella personalità di Cesare, nelle sue capacità militari,
nelle sue prospettive politiche, devo trovare i motivi che gli
hanno permesso di passare il Rubicone. Questo significa
che la realizzazione della semplice possibilità logica di
passare il Rubicone - che è tale accanto alla possibilità
logica di non passarlo (entrambe le cose infatti sono
logicamente incontraddittorie) - deve trovare il suo motivo,
la sua ragione nelle caratteristiche del soggetto.
La sostanza individuale
Ciò è caratteristico della realtà esistente, cioè della sostanza
individuale. Essa è il corrispondente reale di ciò che nel
piano logico è il soggetto cui si attribuiscono dei predicati.
Di essa quando se ne possieda una nozione compiuta, è
possibile dare un descrizione tale che tutto ciò che ne viene
predicato è giustificabile in base a tale nozione. Cioè di
Cesare io posso avere una nozione così compiuta da essere
in grado di dedurre dalla sua nozione tutto quanto vi
attribuisco, ossia in pratica tutte le azioni che egli compie.
La nozione compiuta e incompiuta
Una nozione perfetta di una sostanza individuale la possiede solo Dio. Dio sa che cosa ha creato quindi sa il perché profondo di ogni azione o manifestazione di quella cosa. Gli uomini non hanno tale nozione e devono perciò dedurla dalla storia. Essi devono dunque ricostruire a posteriori, indagando gli eventi, le ragioni degli eventi stessi nei soggetti che ne sono protagonisti. Dunque in base alla conoscenza divina tutto ciò che avverrà è
certissimo così come lo è tutto ciò che è avvenuto per gli uomini.
Questi ultimi, dal canto loro, in quanto sostanze agiscono in modo determinato dalla loro natura, e sotto tale profilo la loro libertà appare necessariamente limitata.
Tuttavia detta libertà è mantenuta, poiché sul piano logico, il contrario di ciò che hanno fatto rimaneva possibile, anche se concretamente, date alcune loro caratteristiche (ex hypothesi) non poteva accadere.
Libertà
Nelle verità di fatto il contrario è pensabile e possibile sul piano logico. Tuttavia, data l’effettiva esistenza di una sostanza individuale e alcune sue determinate caratteristiche, ne discendono con certezza assoluta tutti i suoi ulteriori attributi e tutte le sue azioni nel tempo. Ciò, come abbiamo visto, limita fino ad annullare la libertà, e in particolare la libertà di quella sostanza individuale che è l’uomo.
Di tale difficoltà Leibniz si rende conto, così come si rende conto che, in questo senso, agli occhi di Dio, che ha una nozione compiuta di tutte le sostanze individuali, alla fine verità di ragione e verità i fatto coincidono.
Punto di vista divino e umano
Tuttavia per l’uomo, che delle sostanze
individuali ha per forza una nozione
incompiuta, la libertà rimane, poiché l’uomo
prende coscienza degli sviluppi delle nozioni
contenute nelle sostanze individuali solo nel
tempo e non li conosce anticipatamente.
Dunque se per Dio il futuro è già dato, per
l’uomo è aperto e ciò permette di concepirlo
ancora come libero.
La fisica leibniziana tra Aristotele e
Cartesio
Leibniz vuole offrire una visione complessiva del mondo che tenga conto dei suoi principi primi e delle sue manifestazioni fenomeniche. Il mondo è una collezione di corpi che funzionano in un dato modo, ma tale funzionamento (il “come” studiato dalla scienza che legge il linguaggio matematico della natura e misura gli eventi con esattezza) è fondato su alcuni principi che ci dicono il “perché” della natura. Se si vuole costruire un’immagine coerente e al tempo stessa completa della realtà bisogna affrontare entrambi questi aspetti.
Ora, per il “come” è necessario riferirsi alle scoperte scientifiche e al loro quadro meccanicistico, per il “perché” è necessario assumere il punto di vista metafisico che fu di Aristotele, la cui riflessione in tale campo rimane quindi valida e imprescindibile.
Nei corpi: leggi naturali e principi primi
Nei corpi si individuano leggi naturali del loro
comportamento, ma tali leggi non ne spiegano l’origine.
Per esempio le nozioni scientifiche di estensione e
movimento rimandano ad altro. L’estensione descrive
la molteplicità dei corpi e il movimento il loro
comportamento, la loro azione come qualcosa di dato.
Ma la molteplicità presuppone l’unità e l’azione
presuppone un principio di attività.
Quindi il dato della scienza va spiegato attraverso
l’individuazione dei principi primi dell’unità dei corpi e
della loro attività.
La forma sostanziale
Per spiegare il dato bisogna ricorrere alla
nozione aristotelica di forma sostanziale. La
forma sostanziale è il principio per cui una cosa
è quello che è. Tale principio è individuato
attraverso la ricerca della sua entelechia
(en-télos-écho = ho dentro il fine = ciò che ha in sé il
fine verso cui tende), cioè della finalità
intrinseca della cosa per la quale essa realizza
nel corso della sua esistenza ciò che deve essere.
Ogni cosa è forma sostanziale
Ogni cosa o SOSTANZA ha in sé un fine verso cui
tende, cioè cammina verso la sua FORMA,
ovvero verso la sua compiutezza perfetta. In ogni
cosa vi è dunque un seme che sboccia per
diventare pianta, cioè quello che sin dall’inizio
doveva essere. Quindi per capire che cosa è una
cosa bisogna individuare la sua forma
sostanziale.
Entelechia=energia
Il fatto che ogni corpo sia un’entelechia, significa che ha dentro
di sé una forza attiva che è principio del suo movimento, quel
movimento che viene individuato da Cartesio come carattere fondamentale dei corpi, senza essere spiegato. Tale forza, che genera il movimento, che a sua volta si trasmette tra i corpi, è
attiva o «viva». Ma affinché il movimento possa trasmettersi da
corpo a corpo, i corpi devono essere impenetrabili tra loro.
Bene, il fatto che l’estensione non comporti penetrabilità, è dato da una forza passiva, che permette ai corpi di RESISTERE alla penetrazione quando interagiscono con altri corpi. Tale forza passiva è chiamata da Leibniz forza d’inerzia.
La forza, vera essenza della materia
Allora la materia e il suo movimento è spiegata
dal concetto di forza, che fa a sua volta
riferimento alla nozione di entelechia e di forma
sostanziale. Questi ultimi concetti danno dunque
conto della natura dei corpi, conciliandosi
pienamente con la scienza dei fenomeni che
studia le interazioni dei corpi, propria della fisica
moderna, in cui la nozione di forza attiva è per
L’estensione-fenomeno
Se il principio della materialità, cioè impenetrabilità,
della materia è la forza passiva e quello del suo
movimento è la forza attiva, che cosa è l’estensione?
Diremmo in termini moderni, che cosa costituisce la
massa di un corpo? L’estensione/massa è il modo in cui
l’energia che caratterizza i corpi si manifesta alla nostra
sensibilità, cioè è un fenomeno. Sono le caratteristiche
sensibili che noi individuiamo nella materia come
proprie di alcuni corpi. Se i corpi SONO forza, essi
APPAIONO a noi come estensione/massa.
Spazio e tempo
Spazio e tempo sono anch’essi proprietà
fenomeniche della materia, cioè rappresentano
l’ordine in cui la materia estesa si dispone.
L’ordine delle coesistenze, cioè l’ordine in cui si
collocano i corpi che esistono assieme
contemporaneamente è lo SPAZIO, l’ordine delle
successioni, cioè l’ordine in cui i corpi si
dispongono uno dopo l’altro, è il TEMPO.
L’immagine fisica del mondo
Il mondo per Leibniz ci si presenta come una collezione di centri di energia (i corpi), che ci appaiono estesi, impenetrabili, ordinati in serie spazio-temporali, e dotati di una forza di resistenza-azione.
Il concetto di forza ci permette, in quanto elemento fisico e misurabile, di determinare i fenomeni in un quadro meccanicistico, dall’altro ci consente di elevarci ad un livello di spiegazione metafisica del mondo, corrispondente al concetto di forma sostanziale.
Nella forma sostanziale l’attività delle cose ha un carattere finalistico (conatus).
L’individuazione delle forme sostanziali oltrepassa la dimensione della
percezione sensibile.
Dunque c’è una forza viva che è misurabile e utilizzabile per descrivere i fenomeni, ma quella stessa forza viva è principio di spiegazione non meccanica e non quantitativa, della loro natura profonda.
Le monadi
I centri di energia che costituiscono tutta la realtà vengono da Leibniz chiamati MONADI.
Esse sono di natura spirituale.
Costituiscono la forma dei corpi cioè ci dicono ciò che essi devono essere realizzandosi pienamente.
Sono assolutamente semplici e indivisibili e pertanto indistruttibili, poiché non se ne può concepire la morte per disgregazione.
Per la loro stessa assoluta semplicità non possono essere nate da altro, ne
originare altro, poiché nessuna parte di loro può essere trasferita, e tutto ciò
che possiedono l’hanno da sempre posseduto nella loro forma, direttamente creata da Dio.
Possono essere rappresentati come una sorta di atomo spirituale.
Le monadi ossia ciò che è semplice e unitario posto a
spiegazione di ciò che è complesso e molteplice
Come si giunge a postulare le monadi? È un’
esigenza razionale che ci spinge a ciò. I corpi sono
aggregati e composti di parti, ma per essere
composti di parti, vi deve essere un principio
assolutamente semplice e incomposto che li
costituisce, giacché il molteplice va ricondotto ad
un principio unitario: questo è la monade.
Bene, i corpi risultano essere un aggregato di
monadi.
Diversità tra le monadi
Le monadi sono ciascuna diversa dall’altra. Non
esistono infatti due sostanze perfettamente uguali.
Secondo il principio degli indiscernibili, se vi fossero in
natura due sostanze che a noi appaiono uguali, il solo
fatto di essere due ed occupare spazi diversi, le
renderebbe diverse, viceversa se fossero perfettamente
uguali non si potrebbe discernere tra di loro, quindi
Che cosa accade all’interno delle
monadi?
Ciascuna monade non può essere influenzata dall’esterno: “Non si può neppure spiegare come una monade possa essere alterata, ovvero cambiata da una qualche creatura, perché non vi si potrebbe trasporre nulla, né si potrebbe concepire in essa alcun movimento interno che possa essere eccitato, come si può fare nei composti, nei quali si dà mutamento delle parti” (Monadologia ,7).
La monade è infatti sostanza semplice ed autosufficiente, che ha in sé la sua forma cioè tutta l’attività di cui è capace. I mutamenti che pur accadono in essa sono da essa stessa prodotti, e sono dati dalla sua capacità rappresentativa che
percepisce la realtà esterna, la quale è mossa da uno specifico
Tutte le monadi percepiscono
Ogni monade che compone ogni corpo è dotata di facoltà
rappresentativo-percettiva, cioè in sostanza di energia vitale che
è al tempo stesso mentale e spirituale. Che cosa differenzia le monadi che caratterizzano le sostanze pensanti da quelle che caratterizzano la materia inerte o la vita animale?
Le prime sanno di percepire, cioè sono dotate di quella percezione autocosciente che Leibniz chiama appercezione, le altre hanno solo piccole percezioni, che giungono solo alla sensazione e alla memoria, ma non sono coscienti (anche l’anima umana ha piccole percezioni, cioè sensazioni che non sanno di sé, si immagini il rumore di sottofondo di un fiume durante una conversazione coinvolgente: c’è come sensazione, eppure non è appercepito).
Una realtà piena di spirito
Se la monade è principio energetico-spirituale
delle cose e se tutto è costituito da monadi, la
realtà è nel suo fondo qualcosa di spirituale.
Nondimeno vi sono diversi gradi di attività delle
monadi.
Le
monadi
che
posseggono
autocoscienza e ragione sono quelle che
costituiscono ciò che noi chiamiamo anima.
Il “corpo” delle monadi e la materia
prima
La monade può percepire chiaramente e in piena autocoscienza, o possedere solo piccole percezioni. Le piccole percezioni sono percezioni confuse, non autotrasparenti, cioè all’interno della monade sono come un elemento di passività inerte. Ecco propriamente la materia prima della monade.
Ciò che non è chiaro a se stessa è il suo primario elemento materiale, che costituisce al tempo stesso il suo elemento di
impenetrabilità e resistenza: in termini fisici, la sua massa inerte o estensione.
Il corpo delle monadi è dunque il loro spirito
non rischiarato, non sviluppato, non
Gli aggregati di monadi e la materia
seconda
Per questo le monadi aggregandosi, pur essendo
di per sé inestese, generano corpi estesi.
I quali dunque sembrano essere aggregati di
opacità percettive, che Leibniz chiama materia
seconda.
Alcuni di questi aggregati sono sottoposti ad una
monade dominante, cioè propriamente la loro
anima.
Corpo e anima
Se alcuni aggregati sono sottoposti ad una monade dominante, sembrerebbe che tale monade influisca sulle monadi sottoposte, ma ciò abbiamo visto essere impossibile: la monade non ha finestre attraverso cui penetrare quindi non è influenzabile.
Che rapporto allora si stabilisce tra la monade dominante, cioè l’anima, e l’aggregato, cioè il corpo?
Come giustificare il fatto che noi vediamo la nostra mente influire sui corpi e viceversa?
È il vecchio problema cartesiano che si ripropone, nonostante Leibniz abbia superato il dualismo tra res cogitans e res extensa. Infatti se per Leibniz non c’è una dualità di sostanze, poiché tutto è fatto di monadi energetico-spirituali, nondimeno la loro incomunicabilità ripropone la questione del rapporto tra quelle che compongono l’aggregato corporeo e quella che coincide con l’anima.
L’armonia prestabilita
In effetti la monade dominante non influenza le monadi inferiori, non vi è comunicazione tra monadi. Non è possibile nemmeno pensare all’idea che la reciproca influenza tra mente e corpo sia dovuta a cause occasionali (Malebranche), che nascondono la vera causalità di Dio, il quale continuamente interverrebbe nel mondo, senza sottostare a quel principio di economia che limita la necessità di un suo intervento.
In realtà anima e corpo sono come due orologi perfettamente sincronizzati in modo tale che ad ogni moto dell’anima ne corrisponda uno del corpo e viceversa (armonia prestabilita). Anche la finalità propria dell’anima e la necessità delle cause
efficienti propria del corpo è stata da Dio perfettamente armonizzata.
Armonia mundi
Tutto è stato da Dio perfettamente sincronizzato
e armonizzato fin dalla creazione, in modo che
una monade, agendo a partire dal proprio
irripetibile
serbatoio
energetico
e
rappresentativo, si incastri perfettamente con
tutte le altre sia nello spazio sia nel tempo.
Dio
L’autore del mirabile ordine dell’universo è Dio, monade
delle monadi, ente perfettissimo e del tutto spirituale
(infatti non vi è in lui alcuna opacità e alcun difetto
rappresentativo).
A lui e al suo atto creativo e libero dobbiamo rivolgerci
se intendiamo rispondere alla domanda più radicale
della filosofia: “Perché l’essere piuttosto che il nulla?”
(Principi della natura e della grazia).
La sua esistenza è dimostrata sulla base della prova
tommasiana
ex
contingentia,
opportunamente
sostenuta dalla prova ontologica anselmiana, già
La conoscenza
Le monadi hanno dentro di sé l’universo intero, cioè virtualmente uno sguardo totale che esse traggono dalla loro interiorità energetica. Nella monade c’è una dinamica di progressiva realizzazione di sé (entelechia) che rende effettiva la conoscenza che sin dall’inizio era contenuta in essa sul piano delle piccole percezioni. Questo realizzarsi della conoscenza coincide con il processo conoscitivo stesso, che, a differenza di quanto pensano gli empiristi, non ha alcun bisogno dell’influsso reale degli oggetti esterni sulla monade stessa. Tutto ciò costituisce il particolare innatismo conoscitivo di Leibniz.
Nihil est i intellectu quod prius non
fuerit in sensu, nisi intellectus ipse
Nulla è nell’intelletto che prima non sia stato nel senso, questo è l’adagio scolastico fatto proprio dagli empiristi (proprio su questi problemi Leibniz entra in polemica con Locke). Leibniz aggiunge “nisi intellectus ipse” cioè “tranne l’intelletto stesso”.
Ciò significa che l’intelletto contiene già sia la forma sia la materia della conoscenza, la forma come disposizioni conoscitive, la materia come contenuti conoscitivi non ancora giunti a coscienza (piccole percezioni). Il cammino conoscitivo consiste nel rendere chiare tali
percezioni.
Nella conoscenza sensibile tale chiarificazione avverrà in armonia con un evento esterno, nella conoscenza razionale in armonia con uno sforzo dell’intelletto stesso nel porre ad oggetto di conoscenza il suo proprio contenuto rappresentativo. Dunque si passerà nei
Dalle piccole percezioni
all’appercezione
Le piccole percezioni sono proprie anche agli esseri inanimati.
Gli animali posseggono percezioni chiare ma confuse, cioè in
grado di permettere di distinguere oggetto da oggetto e riconoscere gli oggetti senza però poterne enumerare i singoli caratteri distintivi.
Gli uomini possiedono percezioni chiare e distinte, cioè le
appercezioni che permettono di cogliere l’essenza delle cose percepite.
Il percorso della conoscenza si delinea allora come passaggio dalle piccole percezioni solo animali all’appercezione pienamente umana.