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LEIBNIZ: un metafisico ottimista

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Leibniz

(2)

La vita

1646 - nasce a Lipsia da famiglia protestante della borghesia colta.

1666 - si laurea ad Altdorf, vicino a Norimberga, città dove si affilia alla setta esoterica dei Rosacroce.

1668 - diventa consigliere del principe elettore di Magonza e svolge per lui diverse missioni diplomatiche, mentre comincia a redigere le prime opere di politica, logica e fisica.

1672 - è a Parigi dove conosce i migliori intellettuali del suo tempo. Si occupa di matematica e fisica e studia la filosofia di Cartesio.

1676 - scopre il calcolo integrale, autonomamente rispetto a Newton. Nello stesso anno diviene bibliotecario presso il duca di Hannover, per il quale compie una complessa ricerca genealogica che lo rende esperto anche di storia. Nel corso di tale ricerca viaggia molto in Germania e in Italia. Si impegna anche per l’unità delle Chiese protestante e cattolica, un progetto che allora più che oggi aveva uno schietto sapore utopico.

1680 - all’incirca a partire da questo periodo si moltiplicano i riconoscimenti ufficiali della sua opera di studioso e uomo politico.

(3)

Le opere filosofiche

Nel 1686 Leibniz compone il Discorso di metafisica, che brevemente riassume le idee filosofiche che ha maturato fino a quel periodo. A tale opera seguirà nel 1695 il Nuovo sistema della natura, della

comunicazione delle sostanze e dell’unione fra anima e corpo, poi,

nel 1714, I principi della natura e della grazia fondati sulla ragione. Dello stesso anno è la Monadologia, breve ma famosissimo testo di metafisica. Verrà pubblicato postumo un testo del 1703-4, critico nei confronti del filosofo inglese empirista John Locke, intitolato

Nuovi saggi sull’intelletto umano. Infine i Saggi di teodicea, usciti

nel 1710, affronteranno da un punto di vista razionale la vexata

quaestio del rapporto tra giustizia e onnipotenza divine, da un lato,

(4)

L’ordine del mondo

Differenziandosi fortemente da Spinoza, Leibniz sostiene

che l’ordine del mondo, che sicuramente è compito del

filosofo e dello scienziato rintracciare, non è necessario,

ma contingente, cioè è frutto di una scelta, dipende da

un atto di libertà, e in particolare dall’atto liberamente

creativo di Dio. Dio, quindi, crea un mondo ordinato, ma

non coincide con tale mondo, mantenendo tutte le

tradizionali caratteristiche di trascendenza. Tale ordine

comporta non solo l’atto creativo esterno di Dio, ma

anche la possibilità interna di una scelta.

(5)

Scelta, non caos

La possibilità di scegliere nel mondo non è caos,

ma, quando realizzata, disegna nella realtà una

nuova costruzione, che pure è pensabile e

leggibile come un ordine. Qualsiasi sia, infatti, la

linea che tratteggio in base a punti scelti a caso

su una superficie, vi sarà un’equazione che darà

conto del percorso della mia linea, dunque essa

avrà una sua ratio matematica.

(6)

L’ordine che concilia

L’idea di ordine implica quella di un’armonica e razionale disposizione

delle parti all’interno di qualsiasi totalità. Dunque nella realtà il

problema degli eventuali conflitti tra visioni del mondo, filosofie, prospettive di vita e religiose è risolvibile individuando la corretta collocazioni di queste all’interno della loro totalità.

Di qui l’idea leibniziana di poter conciliare diversi aspetti della

riflessione filosofica a lui contemporanea, come il meccanicismo e il

finalismo, il materialismo e lo spiritualismo, le idee filosofiche degli antichi e dei moderni. Allo stesso modo si potevano conciliare i diversi orientamenti religiosi (in particolare la confessione cattolica e la protestante) o i diversi interessi politici, come pure le diverse discipline scientifiche (queste ultime in un’utopica «repubblica delle scienze»).

(7)

Distinguere e collocare

Ovviamente per conciliare è necessario anzitutto

distinguere e collocare gli enti nella loro corretta

dimensione, dove essi trovano razionale spiegazione.

In primis per Leibniz è necessario distinguere, come

abbiamo visto, ordine da necessità. Vi è un ordine

reale, ma non necessario. Ed è precisamente l’ordine di

questo mondo.

Necessarie propriamente sono le VERITA’ DI RAGIONE,

(8)

Verità di ragione e verità di fatto: le

verità di ragione

Le verità di ragione – che coincidono con quelle individuate dalla logica formale - si fondano sul principio di identità («ogni cosa è ciò che è) e non contraddizione (ogni cosa è vera o falsa e non può essere al contempo vera e falsa) e sono espresse da proposizioni in cui il predicato nulla aggiunge a ciò che si dice nel soggetto (p. es. «il triangolo ha tre lati»). Esse sono vere

necessariamente, ma non aumentano la nostra conoscenza della realtà esistente. Non sono quindi derivate da quest’ultima

e sono innate. Esse, pur essendo innate, quindi contenute nella nostra mente, non lo sono in modo attuale, ma in modo confuso e oscuro, e che la loro esplicitazione segue le esperienze che noi

(9)

Verità di ragione e possibilità

Le verità di ragione ci dicono tutto ciò

che, essendo non contraddittorio,

sarebbe possibile che avvenisse.

Ma ciò che effettivamente avviene è un numero

di eventi molto minore. Dunque all’interno di

quanto è puramente possibile, si realizza ciò che

è reale ed effettuale.

(10)

Verità di fatto

Le verità di fatto riguardano la realtà effettiva. Esse non sono fondate sul principio di identità non contraddizione, quindi il loro

contrario è possibile.

Il loro fondamento è il principio di ragion sufficiente, che dice che nulla mai avviene senza una ragione per la quale avvenga e in modo che tale ragione sia sufficiente a spiegare perché è avvenuto un evento e non il suo contrario.

Tale principio non dice che deve avvenire per forza una cosa, ma che ciò che avviene è legato a ciò che già è avvenuto in una catena di eventi in cui il precedente realizza il successivo. Tuttavia tale catena non è necessaria.

(11)

Il contrario di ciò che accade

Perché il contrario di ciò che accade è sempre possibile?

Un quadrato triangolare è impossibile che venga

pensato, mentre è possibile pensare che Napoleone

abbia vinto a Waterloo, anche se poi tale possibilità, in

virtù della concatenazione di cause che si determinata,

non si è realizzata.

Se Napoleone avesse vinto non vi sarebbe stata

contraddizione di fatto, mentre un quadrato triangolare

è contraddittorio

(12)

Necessità assoluta e necessità ex

hypothesi

La necessità delle verità di ragione è assoluta:

l’impossibile è semplicemente impossibile. La necessità

delle verità di fatto non è piena e assoluta necessità,

giacché esse necessitano solo ammettendo che

(hypothesis) vi sia la causa precedente, che è ragion

sufficiente perché accada un dato evento. Quindi la

spiegazione

causale

del

mondo

contingente

è

ugualmente sicura, perché dà per vera l’ipotesi, ma non è

necessitante, perché l’ipotesi contraria rimane possibile

in quanto non contraddittoria.

(13)

Esempio

Se pensiamo al nostro mondo come alla realizzazione di

una particolare configurazione della realtà tra le infinite

possibilità

tutte

ugualmente

non-contraddittorie,

dobbiamo trovare la ragion sufficiente perché si sia

realizzato proprio questo che di fatto esiste. Tale ragione

è la scelta di Dio e il suo atto creativo. Una scelta che, in

quanto divina, dà origine al migliore dei mondi possibili.

Ciò perché la scelta di Dio ha uno scopo, cioè è una causa

finale, non meccanica del mondo, e il fine è ciò che ha

motivato la scelta stessa.

(14)

Soggetto e predicato

Nelle proposizioni che esprimono le verità di ragione (esempio: il triangolo ha tre lati) il predicato (ha tre lati) è contenuto nel o è identico al soggetto (triangolo). Nelle verità di fatto (esempio: Cesare passò il Rubicone) il predicato relativo all’azione di Cesare, non è logicamente contenuto nel soggetto, tanto che si può dire il contrario senza cadere in contraddizione (es. Cesare non passò il Rubicone). Il soggetto nelle verità di fatto è una

realtà esistente, cioè una sostanza individuale: questo rende

possibile la contraddizione del suo predicato, cioè pensabile,

anche se il suo predicato deve avere nel soggetto la sua ragione sufficiente.

(15)

Ragion sufficiente

Dire che il predicato deve avere nel soggetto la sua ragion

sufficiente significa, nell’esempio precedentemente fatto,

che nella personalità di Cesare, nelle sue capacità militari,

nelle sue prospettive politiche, devo trovare i motivi che gli

hanno permesso di passare il Rubicone. Questo significa

che la realizzazione della semplice possibilità logica di

passare il Rubicone - che è tale accanto alla possibilità

logica di non passarlo (entrambe le cose infatti sono

logicamente incontraddittorie) - deve trovare il suo motivo,

la sua ragione nelle caratteristiche del soggetto.

(16)

La sostanza individuale

Ciò è caratteristico della realtà esistente, cioè della sostanza

individuale. Essa è il corrispondente reale di ciò che nel

piano logico è il soggetto cui si attribuiscono dei predicati.

Di essa quando se ne possieda una nozione compiuta, è

possibile dare un descrizione tale che tutto ciò che ne viene

predicato è giustificabile in base a tale nozione. Cioè di

Cesare io posso avere una nozione così compiuta da essere

in grado di dedurre dalla sua nozione tutto quanto vi

attribuisco, ossia in pratica tutte le azioni che egli compie.

(17)

La nozione compiuta e incompiuta

Una nozione perfetta di una sostanza individuale la possiede solo Dio. Dio sa che cosa ha creato quindi sa il perché profondo di ogni azione o manifestazione di quella cosa. Gli uomini non hanno tale nozione e devono perciò dedurla dalla storia. Essi devono dunque ricostruire a posteriori, indagando gli eventi, le ragioni degli eventi stessi nei soggetti che ne sono protagonisti. Dunque in base alla conoscenza divina tutto ciò che avverrà è

certissimo così come lo è tutto ciò che è avvenuto per gli uomini.

Questi ultimi, dal canto loro, in quanto sostanze agiscono in modo determinato dalla loro natura, e sotto tale profilo la loro libertà appare necessariamente limitata.

Tuttavia detta libertà è mantenuta, poiché sul piano logico, il contrario di ciò che hanno fatto rimaneva possibile, anche se concretamente, date alcune loro caratteristiche (ex hypothesi) non poteva accadere.

(18)

Libertà

Nelle verità di fatto il contrario è pensabile e possibile sul piano logico. Tuttavia, data l’effettiva esistenza di una sostanza individuale e alcune sue determinate caratteristiche, ne discendono con certezza assoluta tutti i suoi ulteriori attributi e tutte le sue azioni nel tempo. Ciò, come abbiamo visto, limita fino ad annullare la libertà, e in particolare la libertà di quella sostanza individuale che è l’uomo.

Di tale difficoltà Leibniz si rende conto, così come si rende conto che, in questo senso, agli occhi di Dio, che ha una nozione compiuta di tutte le sostanze individuali, alla fine verità di ragione e verità i fatto coincidono.

(19)

Punto di vista divino e umano

Tuttavia per l’uomo, che delle sostanze

individuali ha per forza una nozione

incompiuta, la libertà rimane, poiché l’uomo

prende coscienza degli sviluppi delle nozioni

contenute nelle sostanze individuali solo nel

tempo e non li conosce anticipatamente.

Dunque se per Dio il futuro è già dato, per

l’uomo è aperto e ciò permette di concepirlo

ancora come libero.

(20)

La fisica leibniziana tra Aristotele e

Cartesio

Leibniz vuole offrire una visione complessiva del mondo che tenga conto dei suoi principi primi e delle sue manifestazioni fenomeniche. Il mondo è una collezione di corpi che funzionano in un dato modo, ma tale funzionamento (il “come” studiato dalla scienza che legge il linguaggio matematico della natura e misura gli eventi con esattezza) è fondato su alcuni principi che ci dicono il “perché” della natura. Se si vuole costruire un’immagine coerente e al tempo stessa completa della realtà bisogna affrontare entrambi questi aspetti.

Ora, per il “come” è necessario riferirsi alle scoperte scientifiche e al loro quadro meccanicistico, per il “perché” è necessario assumere il punto di vista metafisico che fu di Aristotele, la cui riflessione in tale campo rimane quindi valida e imprescindibile.

(21)

Nei corpi: leggi naturali e principi primi

Nei corpi si individuano leggi naturali del loro

comportamento, ma tali leggi non ne spiegano l’origine.

Per esempio le nozioni scientifiche di estensione e

movimento rimandano ad altro. L’estensione descrive

la molteplicità dei corpi e il movimento il loro

comportamento, la loro azione come qualcosa di dato.

Ma la molteplicità presuppone l’unità e l’azione

presuppone un principio di attività.

Quindi il dato della scienza va spiegato attraverso

l’individuazione dei principi primi dell’unità dei corpi e

della loro attività.

(22)

La forma sostanziale

Per spiegare il dato bisogna ricorrere alla

nozione aristotelica di forma sostanziale. La

forma sostanziale è il principio per cui una cosa

è quello che è. Tale principio è individuato

attraverso la ricerca della sua entelechia

(en-télos-écho = ho dentro il fine = ciò che ha in sé il

fine verso cui tende), cioè della finalità

intrinseca della cosa per la quale essa realizza

nel corso della sua esistenza ciò che deve essere.

(23)

Ogni cosa è forma sostanziale

Ogni cosa o SOSTANZA ha in sé un fine verso cui

tende, cioè cammina verso la sua FORMA,

ovvero verso la sua compiutezza perfetta. In ogni

cosa vi è dunque un seme che sboccia per

diventare pianta, cioè quello che sin dall’inizio

doveva essere. Quindi per capire che cosa è una

cosa bisogna individuare la sua forma

sostanziale.

(24)

Entelechia=energia

Il fatto che ogni corpo sia un’entelechia, significa che ha dentro

di sé una forza attiva che è principio del suo movimento, quel

movimento che viene individuato da Cartesio come carattere fondamentale dei corpi, senza essere spiegato. Tale forza, che genera il movimento, che a sua volta si trasmette tra i corpi, è

attiva o «viva». Ma affinché il movimento possa trasmettersi da

corpo a corpo, i corpi devono essere impenetrabili tra loro.

Bene, il fatto che l’estensione non comporti penetrabilità, è dato da una forza passiva, che permette ai corpi di RESISTERE alla penetrazione quando interagiscono con altri corpi. Tale forza passiva è chiamata da Leibniz forza d’inerzia.

(25)

La forza, vera essenza della materia

Allora la materia e il suo movimento è spiegata

dal concetto di forza, che fa a sua volta

riferimento alla nozione di entelechia e di forma

sostanziale. Questi ultimi concetti danno dunque

conto della natura dei corpi, conciliandosi

pienamente con la scienza dei fenomeni che

studia le interazioni dei corpi, propria della fisica

moderna, in cui la nozione di forza attiva è per

(26)

L’estensione-fenomeno

Se il principio della materialità, cioè impenetrabilità,

della materia è la forza passiva e quello del suo

movimento è la forza attiva, che cosa è l’estensione?

Diremmo in termini moderni, che cosa costituisce la

massa di un corpo? L’estensione/massa è il modo in cui

l’energia che caratterizza i corpi si manifesta alla nostra

sensibilità, cioè è un fenomeno. Sono le caratteristiche

sensibili che noi individuiamo nella materia come

proprie di alcuni corpi. Se i corpi SONO forza, essi

APPAIONO a noi come estensione/massa.

(27)

Spazio e tempo

Spazio e tempo sono anch’essi proprietà

fenomeniche della materia, cioè rappresentano

l’ordine in cui la materia estesa si dispone.

L’ordine delle coesistenze, cioè l’ordine in cui si

collocano i corpi che esistono assieme

contemporaneamente è lo SPAZIO, l’ordine delle

successioni, cioè l’ordine in cui i corpi si

dispongono uno dopo l’altro, è il TEMPO.

(28)

L’immagine fisica del mondo

Il mondo per Leibniz ci si presenta come una collezione di centri di energia (i corpi), che ci appaiono estesi, impenetrabili, ordinati in serie spazio-temporali, e dotati di una forza di resistenza-azione.

Il concetto di forza ci permette, in quanto elemento fisico e misurabile, di determinare i fenomeni in un quadro meccanicistico, dall’altro ci consente di elevarci ad un livello di spiegazione metafisica del mondo, corrispondente al concetto di forma sostanziale.

Nella forma sostanziale l’attività delle cose ha un carattere finalistico (conatus).

L’individuazione delle forme sostanziali oltrepassa la dimensione della

percezione sensibile.

Dunque c’è una forza viva che è misurabile e utilizzabile per descrivere i fenomeni, ma quella stessa forza viva è principio di spiegazione non meccanica e non quantitativa, della loro natura profonda.

(29)

Le monadi

I centri di energia che costituiscono tutta la realtà vengono da Leibniz chiamati MONADI.

Esse sono di natura spirituale.

Costituiscono la forma dei corpi cioè ci dicono ciò che essi devono essere realizzandosi pienamente.

Sono assolutamente semplici e indivisibili e pertanto indistruttibili, poiché non se ne può concepire la morte per disgregazione.

Per la loro stessa assoluta semplicità non possono essere nate da altro, ne

originare altro, poiché nessuna parte di loro può essere trasferita, e tutto ciò

che possiedono l’hanno da sempre posseduto nella loro forma, direttamente creata da Dio.

Possono essere rappresentati come una sorta di atomo spirituale.

(30)

Le monadi ossia ciò che è semplice e unitario posto a

spiegazione di ciò che è complesso e molteplice

Come si giunge a postulare le monadi? È un’

esigenza razionale che ci spinge a ciò. I corpi sono

aggregati e composti di parti, ma per essere

composti di parti, vi deve essere un principio

assolutamente semplice e incomposto che li

costituisce, giacché il molteplice va ricondotto ad

un principio unitario: questo è la monade.

Bene, i corpi risultano essere un aggregato di

monadi.

(31)

Diversità tra le monadi

Le monadi sono ciascuna diversa dall’altra. Non

esistono infatti due sostanze perfettamente uguali.

Secondo il principio degli indiscernibili, se vi fossero in

natura due sostanze che a noi appaiono uguali, il solo

fatto di essere due ed occupare spazi diversi, le

renderebbe diverse, viceversa se fossero perfettamente

uguali non si potrebbe discernere tra di loro, quindi

(32)

Che cosa accade all’interno delle

monadi?

Ciascuna monade non può essere influenzata dall’esterno: “Non si può neppure spiegare come una monade possa essere alterata, ovvero cambiata da una qualche creatura, perché non vi si potrebbe trasporre nulla, né si potrebbe concepire in essa alcun movimento interno che possa essere eccitato, come si può fare nei composti, nei quali si dà mutamento delle parti” (Monadologia ,7).

La monade è infatti sostanza semplice ed autosufficiente, che ha in sé la sua forma cioè tutta l’attività di cui è capace. I mutamenti che pur accadono in essa sono da essa stessa prodotti, e sono dati dalla sua capacità rappresentativa che

percepisce la realtà esterna, la quale è mossa da uno specifico

(33)

Tutte le monadi percepiscono

Ogni monade che compone ogni corpo è dotata di facoltà

rappresentativo-percettiva, cioè in sostanza di energia vitale che

è al tempo stesso mentale e spirituale. Che cosa differenzia le monadi che caratterizzano le sostanze pensanti da quelle che caratterizzano la materia inerte o la vita animale?

Le prime sanno di percepire, cioè sono dotate di quella percezione autocosciente che Leibniz chiama appercezione, le altre hanno solo piccole percezioni, che giungono solo alla sensazione e alla memoria, ma non sono coscienti (anche l’anima umana ha piccole percezioni, cioè sensazioni che non sanno di sé, si immagini il rumore di sottofondo di un fiume durante una conversazione coinvolgente: c’è come sensazione, eppure non è appercepito).

(34)

Una realtà piena di spirito

Se la monade è principio energetico-spirituale

delle cose e se tutto è costituito da monadi, la

realtà è nel suo fondo qualcosa di spirituale.

Nondimeno vi sono diversi gradi di attività delle

monadi.

Le

monadi

che

posseggono

autocoscienza e ragione sono quelle che

costituiscono ciò che noi chiamiamo anima.

(35)

Il “corpo” delle monadi e la materia

prima

La monade può percepire chiaramente e in piena autocoscienza, o possedere solo piccole percezioni. Le piccole percezioni sono percezioni confuse, non autotrasparenti, cioè all’interno della monade sono come un elemento di passività inerte. Ecco propriamente la materia prima della monade.

Ciò che non è chiaro a se stessa è il suo primario elemento materiale, che costituisce al tempo stesso il suo elemento di

impenetrabilità e resistenza: in termini fisici, la sua massa inerte o estensione.

Il corpo delle monadi è dunque il loro spirito

non rischiarato, non sviluppato, non

(36)

Gli aggregati di monadi e la materia

seconda

Per questo le monadi aggregandosi, pur essendo

di per sé inestese, generano corpi estesi.

I quali dunque sembrano essere aggregati di

opacità percettive, che Leibniz chiama materia

seconda.

Alcuni di questi aggregati sono sottoposti ad una

monade dominante, cioè propriamente la loro

anima.

(37)

Corpo e anima

Se alcuni aggregati sono sottoposti ad una monade dominante, sembrerebbe che tale monade influisca sulle monadi sottoposte, ma ciò abbiamo visto essere impossibile: la monade non ha finestre attraverso cui penetrare quindi non è influenzabile.

Che rapporto allora si stabilisce tra la monade dominante, cioè l’anima, e l’aggregato, cioè il corpo?

Come giustificare il fatto che noi vediamo la nostra mente influire sui corpi e viceversa?

È il vecchio problema cartesiano che si ripropone, nonostante Leibniz abbia superato il dualismo tra res cogitans e res extensa. Infatti se per Leibniz non c’è una dualità di sostanze, poiché tutto è fatto di monadi energetico-spirituali, nondimeno la loro incomunicabilità ripropone la questione del rapporto tra quelle che compongono l’aggregato corporeo e quella che coincide con l’anima.

(38)

L’armonia prestabilita

In effetti la monade dominante non influenza le monadi inferiori, non vi è comunicazione tra monadi. Non è possibile nemmeno pensare all’idea che la reciproca influenza tra mente e corpo sia dovuta a cause occasionali (Malebranche), che nascondono la vera causalità di Dio, il quale continuamente interverrebbe nel mondo, senza sottostare a quel principio di economia che limita la necessità di un suo intervento.

In realtà anima e corpo sono come due orologi perfettamente sincronizzati in modo tale che ad ogni moto dell’anima ne corrisponda uno del corpo e viceversa (armonia prestabilita). Anche la finalità propria dell’anima e la necessità delle cause

efficienti propria del corpo è stata da Dio perfettamente armonizzata.

(39)

Armonia mundi

Tutto è stato da Dio perfettamente sincronizzato

e armonizzato fin dalla creazione, in modo che

una monade, agendo a partire dal proprio

irripetibile

serbatoio

energetico

e

rappresentativo, si incastri perfettamente con

tutte le altre sia nello spazio sia nel tempo.

(40)

Dio

L’autore del mirabile ordine dell’universo è Dio, monade

delle monadi, ente perfettissimo e del tutto spirituale

(infatti non vi è in lui alcuna opacità e alcun difetto

rappresentativo).

A lui e al suo atto creativo e libero dobbiamo rivolgerci

se intendiamo rispondere alla domanda più radicale

della filosofia: “Perché l’essere piuttosto che il nulla?”

(Principi della natura e della grazia).

La sua esistenza è dimostrata sulla base della prova

tommasiana

ex

contingentia,

opportunamente

sostenuta dalla prova ontologica anselmiana, già

(41)

La conoscenza

Le monadi hanno dentro di sé l’universo intero, cioè virtualmente uno sguardo totale che esse traggono dalla loro interiorità energetica. Nella monade c’è una dinamica di progressiva realizzazione di sé (entelechia) che rende effettiva la conoscenza che sin dall’inizio era contenuta in essa sul piano delle piccole percezioni. Questo realizzarsi della conoscenza coincide con il processo conoscitivo stesso, che, a differenza di quanto pensano gli empiristi, non ha alcun bisogno dell’influsso reale degli oggetti esterni sulla monade stessa. Tutto ciò costituisce il particolare innatismo conoscitivo di Leibniz.

(42)

Nihil est i intellectu quod prius non

fuerit in sensu, nisi intellectus ipse

Nulla è nell’intelletto che prima non sia stato nel senso, questo è l’adagio scolastico fatto proprio dagli empiristi (proprio su questi problemi Leibniz entra in polemica con Locke). Leibniz aggiunge “nisi intellectus ipse” cioè “tranne l’intelletto stesso”.

Ciò significa che l’intelletto contiene già sia la forma sia la materia della conoscenza, la forma come disposizioni conoscitive, la materia come contenuti conoscitivi non ancora giunti a coscienza (piccole percezioni). Il cammino conoscitivo consiste nel rendere chiare tali

percezioni.

Nella conoscenza sensibile tale chiarificazione avverrà in armonia con un evento esterno, nella conoscenza razionale in armonia con uno sforzo dell’intelletto stesso nel porre ad oggetto di conoscenza il suo proprio contenuto rappresentativo. Dunque si passerà nei

(43)

Dalle piccole percezioni

all’appercezione

Le piccole percezioni sono proprie anche agli esseri inanimati.

Gli animali posseggono percezioni chiare ma confuse, cioè in

grado di permettere di distinguere oggetto da oggetto e riconoscere gli oggetti senza però poterne enumerare i singoli caratteri distintivi.

Gli uomini possiedono percezioni chiare e distinte, cioè le

appercezioni che permettono di cogliere l’essenza delle cose percepite.

Il percorso della conoscenza si delinea allora come passaggio dalle piccole percezioni solo animali all’appercezione pienamente umana.

(44)

La teodicea (Principi della natura e

della grazia; Saggi di teodicea)

Teodicea significa “giustificazione di Dio”. Perché

Dio va giustificato? Perché la sua giustizia e

onnipotenza va coordinata con la presenza del

male nel mondo.

I due elementi, infatti, starebbero in una

contraddizione radicale, se la ragione non

facesse lo sforzo di andare oltre l’apparenza e

spiegarne la compossibilità.

(45)

Il migliore dei mondi possibili

Secondo Leibniz, di fronte agli infiniti mondi

possibili, che Dio ha di fronte a sé dispiegati nella

loro eternità senza tempo, Dio stesso ha scelto il

migliore, cioè quello che contenesse la maggiore

quantità di bene e la minima quantità di male.

Tale scelta è dovuta alla sua essenza buona che lo

vincola moralmente – e non ontologicamente – al

meglio (se Dio è buono, non può non scegliere il

meglio).

(46)

Ma perché nel “meglio” deve essere

presente il male

Perché nel migliore dei mondi possibili, che Dio realizza

tramite la sua volontà, deve per forza esservi la

presenza del male? Il concetto di male per L. può essere

determinato secondo tre modalità:

Il male metafisico, che allude alla necessaria finitezza

del mondo. Il mondo creato è finito, giacché se fosse

finito coinciderebbe con Dio e non sarebbe più una

creatura ma il Creatore stesso.

(47)

Il male fisico e morale

Il male fisico è parimenti conseguenza della limitatezza

e imperfezione delle cose.

Il male morale coincide con il peccato ed è segno della

fragilità dell’uomo che non riesce mai a giungere alla

piena chiarezza e distinzione dei suoi pensieri. Tale

oscurità che rimane presente nella coscienza umana è

la radice di tutti i suoi errori e della possibilità di

scambiare un bene solo apparente con un bene reale.

(48)

Fragilità e impulso verso il bene

Malgrado la sua imperfezione, l’uomo è stato da Dio

dotato di un naturale impulso al bene, dimostrato dal

fatto che il piacere rimane il fiore della virtù, ciò che

sempre sopravviene al compimento di una buona

azione.

Per raggiungere il bene, l’uomo deve emanciparsi dalla

confusione

delle

percezioni

sensibili,

che

immediatamente lo attraggono con l’apparenza del

bene, alla ricerca di “piaceri luminosi e ragionevoli”

(Nuovi saggi sull’intelletto umano), che rappresentano

la verità del bene nella sua razionale trasparenza.

(49)

Il bene e la società

Il bene, ritrovato in sé tramite l’opera di chiarificazione

dell’oscurità sensibile, fonda le norme basilari della

convivenza civile, cioè quelle regole di giustizia (diritto

naturale) che sono alla base di ogni diritto positivo

(cioè dei vigenti codici legislativi).

Queste norme si riassumono nei precetti dell’antica

tradizione giuridica romana (Ulpiano,Regulae): “Non

fare del male a nessuno” (alterum non laedere); “Dai a

ciascuno il suo” (suum cuique tribuere); “Vivi

onestamente” (honeste vivere) cioè fai del bene agli

altri senza interesse alcuno.

(50)

La società perfetta e il regno degli

spiriti

La società perfetta è quel luogo di cui ogni uomo

è chiamato ad essere cittadino, quando si passa

dal regno dell’osservanza legale, al regno

dell’amore e della grazia cui l’osservanza legale

introduce imperfettamente. Tale regno è quello

in cui noi siamo soggetti all’universale

monarchia divina e realizziamo sotto tale guida

l’amore reciproco, così come insegnato da Gesù

Cristo all’umanità.

(51)

Filosofia e religione

In questo modo la filosofia morale e giuridica di

Leibniz, così come la metafisica e la gnoseologia,

conducono a Dio, che è sempre il culmine del

sistema.

Si tratta ovviamente di un Dio dei filosofi, che

però Leibniz afferma essere rivelato all’umanità

nella sua maggiore compiutezza possibile dal

cristianesimo, il quale per questo rappresenta il

vertice dello spirito religioso umano.

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