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Questa radicale divergenza di prospettive – che, nel caso di Leibniz,

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

L’idea di delineare un confronto tra Leibniz e Spinoza, tutto imperniato sul concetto di ordine della Natura, nasce dalla necessità di indagare e tentare di chiarire i termini di un problema, più particolare e apparentemente più marginale, che ha attirato inizialmente la nostra attenzione: il problema del

“miracolo” nel contesto del razionalismo moderno. Nel XVII secolo la questione dei miracoli sembra acquistare una rilevanza non più soltanto teologica, ma anche e soprattutto teoretica: come continuare ad ammettere la possibilità di eventi “nuovi” o “eccezionali”, all’interno di un universo concepito come intimamente ordinato da leggi necessarie e universali, e dunque, di diritto, totalmente intelligibile? L’idea di approfondire, a questo proposito, proprio i punti di vista di Spinoza e di Leibniz nasce dall’impressione iniziale - di fatto smentita negli esisti - di una certa somiglianza tra le loro posizioni. In entrambe i casi, il miracolo si presenta come un fatto che, pur superando la nostra capacità di comprensione o di spiegazione, rimane comunque conforme all’ordine generale. Ma, mentre per Spinoza ciò, di fatto, si traduce nella pura e semplice dissoluzione del problema stesso dei miracoli (parificati a tutti gli altri eventi che accadono all’interno dell’ordine unico e onnicomprensivo della Natura), in Leibniz si assiste a una sua riabilitazione all’interno di un ordine dualistico: i miracoli corrispondono a fenomeni che superano la nostra capacità di comprensione distinta perché, sebbene siano conformi all’ordine generale dell’universo, si collocano al di sopra dell’ordine particolare della Natura fisica. Per questo, se nel caso di Spinoza abbiamo potuto parlare di una “spiegazione filosofica dei miracoli”, per ciò che concerne Leibniz abbiamo preferito ricorrere all’espressione “dottrina dei miracoli”.

Questa radicale divergenza di prospettive – che, nel caso di Leibniz,

assume i contorni di una consapevole ed esplicita contrapposizione a Spinoza

– è, senza dubbio, strettamente legata a questioni teologico-politiche: Leibniz,

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a differenza di Spinoza, riteneva infatti che fosse indispensabile, per la morale e la religione, salvare l’autorità dei miracoli. Ma questa discordanza è anche il riflesso di una più profonda differenza (a sua volta non del tutto scevra da condizionamenti morali e religiosi) rispetto ai presupposti metafisici.

Così, nel tentativo di approfondire le ragioni di questa opposizione tra Leibniz e Spinoza in rapporto alla particolare questione dei miracoli, ci siamo trovati nella necessità di attraversare quasi per intero, sebbene a grandi passi, le loro due filosofie. Da questa prospettiva, ci è sembrato che il problema dell’“ordine dei miracoli” fosse allora solo il versante applicativo di una questione più generale, riguardante due maniere diverse di intendere la Natura e la causalità divina. Per questo, abbiamo ritenuto opportuno, in primo luogo, fornire una ricostruzione complessiva della concezione dell’ordine nei due sistemi filosofici, riservando alla questione dei miracoli il terzo e ultimo capitolo.

Derogando all’ordine cronologico e procedendo in maniera solo apparentemente “disordinata”, abbiamo preso le mosse da Leibniz, anziché, come ci si aspetterebbe, da Spinoza. Le ragioni di questa scelta sono di due tipi. Da un lato, una simile impostazione ci ha permesso di mettere in luce, anche a partire dalle critiche di Leibniz, tutta l’originalità e la radicalità del pensiero di Spinoza - un pensiero della pura immanenza, capace di mettere definitivamente in discussione la tradizionale visione teologica del mondo che il suo successore, al contrario, cercherà in tutti i modi di conciliare con le pur profonde innovazioni contenute nella sua stessa filosofia. Dall’altro lato, questo modo di procedere ci ha consentito, in parte, di riscattare Spinoza da alcune delle accuse che ingiustamente gli venivano mosse da Leibniz, e di

“rendere” a quest’utimo, attraverso il recupero di alcuni concetti spinoziani, la sua confutazione. Tra queste accuse, ad esempio, quella di fatalismo, che, nel caso di Spinoza, abbiamo cercato di dimostrare non essere altro che una necessità mal compresa.

Sebbene il primo capitolo sia dedicato espressamente a Leibniz e il

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al confronto con il rispettivo “avversario”, adottando ora il punto di vista dell’uno, ora il punto di vista dell’altro. Tuttavia, abbiamo anche cercato di mostrare come il rapporto tra Leibniz e Spinoza non si esaurisca nella semplice contrapposizione frontale: tra i loro sistemi filosofici esiste una sorta di “parentela” che si spiega, innanzitutto, a partire dalle loro comuni radici cartesiane e dall’esigenza di oltrepassarle.

Nel primo capitolo, per definire la concezione leibniziana dell’ordine dell’universo abbiamo preso in considerazione soprattutto i concetti di serie, armonia e bellezza. L’ordine del mondo attuale si presenta per Leibniz come un’armonia prestabilita all’origine da un Dio sommamente buono, la cui scelta creatrice è orientata al meglio. La bellezza del creato, che di questa organizzazione teleologica vuole essere la prova o il segno più evidente, risulta, assieme al problema delle cause finali, uno dei principali terreni di scontro con le filosofie di Spinoza e di Cartesio, accusate, togliendo valore all’una e alle altre, di condurre all’ateismo. Nel ricostruire la critica di Leibniz a Spinoza e a Cartesio abbiamo cercato di mostrare come essa comporti la semplificazione e l’appiattimento delle due filosofie l’una sull’altra.

Per quanto connoti in modo non antropocentrico l’ordine finalistico

dell’universo, Leibniz non sembra tuttavia potersi sottrarre alla critica di

Spinoza, secondo la quale, come abbiamo cercato di mostrare nel secondo

capitolo commentando l’Appendice alla prima parte dell’Etica, ogni

teleologia, in quanto tale, risponde a istanze di tipo antropomorfico e

antropocentrico. A differenza di Cartesio, Spinoza disgiunge definitivamente

l’agire finalistico dall’idea di Dio. Tuttavia, non per questo, la Natura in

Spinoza risulta privata di ogni carattere teleonomico: non più un telos

trascendente, ma una finalità interna e immanente. Nel secondo capitolo,

inoltre, abbiamo approfondito la critica spinoziana dei valori estetici e morali,

cercando di illustrare come essa non si riduca a una mera denuncia delle

illusione e degli errori dell’immaginazione. Il nostro immaginare le cose

come buone o cattive, belle o brutte, etc., oltre a rivestire una funzione pratica

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fondamentale, è infatti espressione della potenza dell’immaginazione e, in quanto tale, fa parte anch’esso dell’ordine della realtà.

L’ordine della Natura presenta, in Spinoza, due aspetti in particolare:

da una parte, con un significato più biologico e strutturale, esso è un puro ordine di composizione, risultante da tutti i rapporti che all’infinito si compongono in Natura; dall’altra, esso consiste nella connessione causale non predeterminata, in cui Dio è causa immanente (prima e prossima al tempo stesso). Infine, abbiamo cercato di riscattare l’etica spinoziana dagli esiti nichilistici temuti da Leibniz, mostrando come “al di là del Bene e del Male”, al di là della morale e della religione tradizionali, resti sempre la possibilità di un orientamento etico immanente. D’altra parte rivelandoci la necessità di tutte le cose, l’etica di Spinoza non intende affatto condurci a una “forzata pazienza”, ma, al contrario, al pieno possesso della nostra potenza di agire:

solo l’uomo consapevole della propria posizione nella concatenazione necessaria di tutte le cose può inserirsi produttivamente nel corso degli eventi.

Una notazione terminologica, infine, si rivela forse necessaria anche

per definire sinteticamente la differenza tra le due concezioni dell’ordine: se

nel caso di Spinoza, riferendoci all’ordine della realtà, abbiamo potuto parlare

di “ordine della Natura”, nel contesto della filosofia di Leibniz, in cui

quest’ultima espressione ha - per così dire - un’estensione minore, abbiamo

preferito parlare di “ordine del mondo” o di “ordine dell’universo”. Leibniz,

infatti, distingue tra l’“ordine della Natura” e l’”ordine della Grazia”, ponendo

tra questi due “regni” una perfetta armonia, che si realizza nell’ordine

dell’universo o del mondo esistente. Leibniz ricorre al concetto di armonia per

rendere ragione non solo dell’unità tra la Natura e la Grazia, ma anche

dell’unione tra l’anima e il corpo; l’intento è quello di evitare di cadere nella

soluzione spinoziana che, negando ogni tipo di trascendenza, spiega questa

duplice unità, identificando “pericolosamente” l’ordine della Grazia con

l’ordine della Natura, l’ordine e la connessione delle idee con l’ordine e la

connessione delle cose. L’“ordine della Natura” in Spinoza e l’”ordine

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In questa precisazione terminologica è possibile intravedere tutta la differenza tra i due modi di intendere l’ordine della realtà: nel caso di Leibniz, un ordine teleologico che si manifesta nella Natura, ma che rimanda sempre a una dimensione regolatrice supplementare, trascendente e in se stessa inattingibile; nel caso di Spinoza, un ordine privo di ogni finalità trascendente, indiscernibile dal piano unico della Natura e dal suo divenire.

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