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Arjun Sabharwal, Digital Curation in the Digital Humanities. Preserving and promoting archival and special collections, Oxford, Elsevier Science & Technology-Chandos Publishing, 2015

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Bibliothecae.it, V (2016) 1, 331-333 DOI <10.6092/Issn.2283-9364/6132> Arjun sabharwal, Digital Curation in the Digital Humanities. Preserv-ing and promotPreserv-ing archival and special collections, Oxford, Elsevier

Science & Technology-Chandos Publishing, 2015 (Chandos Informa-tion Professional Series), XIII, 167 p., Print Book ISBN 978-00-8100-143-1, eBook ISBN 978-00-8100-178-3, € 48,41, e-book € 56,95.

La Chandos Publishing è una casa editrice specializzata nel cam-po della Biblioteconomia e della Scienza dell’Informazione e delle scienze sociali in genere. Si affrontano, coniugando teoria e pratica, questioni della formazione professionale, dell’informazione e del-la comunicazione in una prospettiva globale che riguardi le scienze dell’informazione e la biblioteca contemporanea.

In questo volumetto molto denso e non sempre agevole si affron-ta il tema della Digiaffron-tal curation, ossia della gestione programmaaffron-ta e organizzata delle risorse digitali per trattare, conservare e valorizzare “collezioni archivistiche e collezioni speciali”. Quest’ultima definizio-ne che già appare definizio-nel frontespizio dell’opera ci introduce alcudefinizio-ne de-finizioni mancate. Si nominano gli archivi in senso generico e poi in dettaglio libri rari, manoscritti, fotografie, registrazioni, e manufatti in vari formati, da un lato rarefacendo la tradizionale distinzione tra ma-teriali di competenza delle biblioteche e altri degli archivi, e dall’altro non chiarendo se si consideri gli archivi anche come istituzioni o solo come silos.

Interessante è però l’approccio interdisciplinare con il quale ven-gono combinati le Digital Humanities, la storia, l’architettura delle informazioni, il social networking, affrontati in singoli capitoli ma

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sempre avendo come filo rosso i rapporti che tengono insieme l’archi-tettura della conoscenza e il modello del ciclo di vita dell’organizza-zione digitale.

L’attenzione alla cura di documenti e manufatti culturali per ga-rantirne conservazione e fruizione ha una lunga storia che si è manife-stata attraverso le registrazioni descrittive e catalografiche, gli odierni

record. La constatazione che può apparire banale, ci conferma invece

la centralità di questa pratica anche per le collezioni digitalizzate o per i documenti nativi digitali; solo essa infatti garantisce affidabilità di informazione, conoscenza, memoria e identità culturale. Con l’e-mergere di numerosi formati da analogici a multimediali e digitali, si è avuto un pullulare di standard, tecnologie, metodi, e flussi di lavoro che hanno permesso l’accesso ai contenuti e metadati associati cercan-do di garantirne di conseguenza anche la conservazione. Per far ciò i ricercatori in discipline umanistiche digitali si sono giovati dell’infor-matica, per essi infatti la tecnologia digitale è strumento fondamentale per avere l’accesso continuo ai dati, alle fonti primarie, e al patrimonio culturale, e quindi indispensabile per la ricerca.

Questo volume si intrattiene particolarmente su concettualizza-zione, pianificazione e implementazione dei progetti di Digital

cura-tion, un ecosistema, le cui componenti sono l’architettura della

cono-scenza (a sua volta composta da persone, contenuti e tecnologie), i media, e la gestione della conoscenza.

La preservation theory estende il concetto di conservazione al fu-turo; descrivere in modo esaustivo un oggetto attraverso il record ed i metadati significa che esso può essere poi utilizzato in altro contesto senza perdere autenticità e integrità, e senza venire decontestualizza-to a causa di una perdita del riferimendecontestualizza-to alla propria “provenienza” (teoria dell’ipertesto). In questo modo poi tanto la visualizzazione dei dati base che i musei e le mostre virtuali supportano le funzioni di

reference, istruzione, promozione e arricchimento di archivi e

biblio-teche, portandoli in una dimensione di relazionalità collaborativa e estendendone i servizi e le strategie di conservazione.

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Inoltre la scelta degli strumenti di visualizzazione degli oggetti digitali definisce una chiave interpretativa di attività, eventi, fenomeni e questioni umanistiche e questo determina che la creazione, lo studio ed il vaglio di tali media diventino occasioni importanti di analisi erme-neutica dei prodotti culturali. Che si giunga anche ad una storiografia digitale che recuperi almeno sul suo piano l’assenza di una stratifica-zione culturale, quale quella a cui archivi e biblioteche tradizionali ci hanno abituato? L’umanista digitale infatti può occuparsi non solo degli aspetti tecnologici quali hardware, software, programmi, auto-mazione, ma anche di strumenti del Web 2.0, di strutture ipertestuali, metadati, ontologie. Uno dei fenomeni più invasivi e che potrebbero essere studiati non solo sul piano sociologico ma anche archivistico e bibliotecario, proiettandosi nel futuro, è quello del social tagging che produce una nuova forma non controllata di ontologie e classificazio-ni che ostacola l’information retrieval e incide sull’interpretazione del-le etichette sociali condizionate da una soggettività caotizzante. Causa dell’affermazione di questo fenomeno è il fatto che le ontologie sono popolarmente considerate rigide, oltre che non sempre conosciute. L’umanista digitale, oltre ad analizzare ad esempio tale circostanza critica, può proporre alternative per superare da un lato la poca flessi-bilità delle ontologie esistenti e dall’altro arginare il caos del subjective

tagging.

Ma i problemi non sono solo questi, hanno a che fare anche con gli aspetti tecnologici ad esempio dei formati utilizzati nell’ambito di-gitale, non tutti garanti di conservazione, o ancora con gli aspetti le-gali per la violazione di privacy e copyright e per la non pubblicazione di ‘provenienza’.

Solo questo ci mostra come la chiave di volta per cavalcare la tigre sia nella continua collaborazione interdisciplinare tra gli studiosi e i bibliotecari, archivisti, umanisti digitali, tecnici, ingegneri informatici e il pubblico nei vari contesti.

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