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Analisi di metilazione del gene MTHFR in pazienti sottoposti a endoarteriectomia carotidea e correlazione con fattori di rischio cardiovascolari

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea in Biologia Molecolare e Cellulare

Tesi di Laurea Magistrale

“Analisi di metilazione del gene MTHFR in pazienti sottoposti a

endoarteriectomia carotidea e correlazione con fattori di rischio

cardiovascolari”

RELATORI CANDIDATA

Prof. Lucia Migliore Claudia Modena

Prof. Isabella Sbrana

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INDICE

Riassunto pag. 5

1. INTRODUZIONE pag. 6

1.1. Malattie cardiovascolari pag. 6

1.2. Struttura delle arterie e formazione della placca aterosclerotica pag. 8

1.2.1. Struttura delle arterie pag. 8

1.2.2. Formazione della placca aterosclerotica pag. 10

1.3. Aterosclerosi pag. 12

1.3.1. Fattori di rischio pag. 12

1.3.2. Aterosclerosi ed infezione pag. 17

1.3.3. Aterosclerosi ed infiammazione pag. 19

1.3.4. L’omocisteina e rischio di malattie cardiovascolari pag. 21

1.3.5. Dieta e via metabolica dei folati pag. 24

1.3.6. 5-10 Metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) e

polimorfismo MTHFR C677T pag. 28

1.4. Epigenetica e meccanismi epigenetici pag. 30

1.4.1. Epigenetica e processo aterosclerotico pag. 33

1.5. Tecniche impiegate nello studio pag. 35

1.5.1. PCR-RFLP pag. 35

1.5.2. Methylation sensitive- high resolution melting (MS-HRM) pag. 39

2. SCOPO DELLA TESI pag. 42

3. MATERIALI E METODI pag. 43

3.1. Popolazione oggetto dello studio pag. 43

3.2. Estrazione del DNA genomico pag. 44

3.3. Genotipizzazione: MTHFR C677T pag. 45

3.4. Analisi di metilazione pag. 47

3.5. Protocollo MS-HRM pag. 48

(3)

4. RISULTATI pag. 50 4.1. Confronto dei livelli di metilazione di MTHFR tra

tessuti aterosclerotici e leucociti di sangue periferico pag. 50 4.2. Correlazione tra i livelli di metilazione di tessuti aterosclerotici

e di leucociti di sangue periferico pag. 52

4.3. Confronto dei livelli ematici di hcy tra pazienti e controlli pag. 53

4.4. Età e livelli ematici di hcy pag. 54

4.5. Metilazione del gene MTHFR in pazienti e controlli pag. 55 4.6. Polimorfismo MTHFR C677T, livelli ematici di hcy e

metilazione del gene MTHFR pag. 57

4.7. Correlazione tra hcy e livelli di metilazione del gene MTHFR pag. 60 4.8. Correlazione tra la metilazione del gene MTHFR e il genere pag. 62 4.9. Abitudine al fumo e correlazione con i livelli di metilazione

del gene MTHFR pag. 64

4.10. Effetti dell’abitudine al fumo e dei livelli di hcy

sulla metilazione del gene MTHFR pag. 65

5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI pag. 67

(4)

Alla mia famiglia, in particolare a mia nonna Edda e ai miei angeli.

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RIASSUNTO

Le malattie cardiovascolari (CVD) sono la principale causa di morte nei paesi industrializzati e in via di sviluppo. Nella maggior parte dei casi le manifestazioni cliniche sono il risultato dell’aterosclerosi: malattia degenerativa cronica delle arterie. La placca aterosclerotica è la lesione tipica di tale processo caratterizzata dall’accumulo di colesterolo nelle pareti dei vasi, proliferazione delle cellule muscolari lisce vasali e infiltrazione di cellule infiammatorie (monociti-macrofagi e leucociti T) che portano ad un ispessimento focale e ad ostruzione luminale. Contribuiscono all’aterosclerosi fattori di rischio non modificabili (età, genere, fattori genetici e predisposizione familiare), fattori di rischio parzialmente modificabili (ipertensione arteriosa, diabete, ipercolesterolemia, basso colesterolo HDL, obesità) e fattori di rischio modificabili (sedentarietà, abuso di alcool, fumo e dieta). La dieta è un importante fattore esogeno che contribuisce all’eziologia delle CVD. Persone che abitualmente consumano ridotte quantità di folati o con concentrazione ematica più bassa di folati e più alta di omocisteina hanno un aumentato rischio di sviluppare tali malattie. Si ritiene che l’iperomocisteinemia danneggi le cellule endoteliali, riduca la flessibilità dei vasi e abbia un effetto avverso sull’emostasi. Inoltre, molti studi riportano che l’iperomocisteinemia può accelerare la progressione delle lesioni aterosclerotiche mediante la promozione della proliferazione delle cellule muscolari lisce vasali. Il meccanismo con il quale l’iperomocistenemia contribuisca alla formazione della placca nell’arteria carotide è al momento poco conosciuto.

Il nostro obiettivo è stato quello di valutare i profili di metilazione del gene MTHFR in placche aterosclerotiche di pazienti sottoposti a endoarteriectomia carotidea, e di confrontarli con i profili di metilazione in leucociti da sangue circolante, per esplorare la possibilità di usare la metilazione gene-specifica come marcatore epigenetico periferico di patologia cardiovascolare. I profili di metilazione sono stati poi correlati con una serie di fattori di rischio, sia genetici (polimorfismo MTHFR C677T), sia ambientali, quali i livelli di omocisteina, il genere e l’abitudine al fumo.

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1. INTRODUZIONE

1.1. Malattie cardiovascolari

Le malattie cardiovascolari (CVD) rappresentano una delle principali cause di mortalità e morbilità nel mondo.

La loro incidenza è incrementata drasticamente negli ultimi 100 anni e rimarranno un grave problema per la salute pubblica per i prossimi decenni. Le CVD sono un problema medico dagli anni ‘40, anni in cui è iniziata la ricerca per capire quali fattori ne fossero alla base. Progetti come il Framingham Heart Study avevano lo scopo di individuare le cause biochimiche, ambientali e comportamentali che contribuiscono alle CVD. Sono stati identificati come fattori predisponenti l’ipertensione, l’obesità e il diabete, condizioni ancora oggi utilizzate per individuare e trattare soggetti a rischio. Negli ultimi trent’anni nuove conoscenze hanno portato ad un declino sostanziale della mortalità dovuta alle CVD nell’Europa dell’ovest e negli USA, ma il cambiamento degli stili di vita nei paesi a basso e medio reddito ha incrementato la prevalenza di obesità e di diabete e conseguentemente la percentuale di queste malattie.

Le attuali raccomandazioni per il trattamento delle CVD prevedono la riduzione dei fattori di rischio modificabili come ad esempio gli alti livelli di lipoproteine a bassa densità (low density lipoprotein LDL) (Ordovas e Smith 2010).

Le malattie cardiovascolari sono un gruppo di disordini che coinvolgono il cuore e i vasi sanguigni ed includono:

- malattia coronarica: patologia a carico dei vasi sanguigni che irrorano il muscolo cardiaco;

- malattia cerebrovascolare: patologia a carico dei vasi sanguigni che irrorano l’encefalo;

- malattia delle arterie periferiche: patologia a carico dei vasi sanguigni che irrorano gli arti;

- febbre reumatica: danno al miocardio e alle valvole cardiache causato da un’infezione streptococcica;

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- malattia congenita del cuore: malformazione della struttura cardiaca;

- trombosi venosa profonda ed embolia polmonare: formazione di coaguli di sangue nelle vene degli arti inferiori che possono spostarsi e raggiungere il cuore e i polmoni;

La principale causa delle CVD è l’aterosclerosi.

Il processo aterosclerotico interessa tutti gli esseri umani in età avanzata e progredisce durante la vita, ma la sua estensione e progressione dipende da fattori come la dislipidemia, l'ipertensione, l'obesità, il diabete e il fumo (Sivapalaratnam et al. 2011).

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1.2. Struttura delle arterie e formazione della placca aterosclerotica

1.2.1. Struttura delle arterie

Il sistema cardiovascolare è formato dal cuore, che contraendosi ritmicamente ha la funzione di pompare sangue a tutto l’organismo, e dai vasi sanguigni che si distinguono in:

arterie  vasi che trasportano il sangue dal cuore alla periferia;

capillari  vasi costituiti da una parete sottile dove si realizza lo scambio tra tessuti e sangue di gas, sostanze nutritive, ormoni e molecole segnale;

vene  vasi che drenano il sangue dai capillari al cuore.

Le componenti strutturali essenziali delle pareti vasali sono tre:

- endotelio - muscolo liscio - tessuto connettivo

La loro percentuale varia a seconda del tipo di vaso preso in considerazione (Pontieri et al. 2005).

Le arterie possono essere divise in tre categorie in base al calibro e ad alcune caratteristiche:

- arterie di grande calibro o di tipo elastico che comprendono l’aorta ed i suoi rami principali.

In particolare da ramificazioni dell’aorta derivano le arterie carotidi che portano il sangue alla testa e al collo. Dapprima si dividono in arteria carotide comune destra e arteria carotide comune sinistra poi ognuna, a livello della mandibola, in arteria carotide interna ed esterna. Le arterie carotidi esterne si dividono in molte ramificazioni e vanno ad irrorare le strutture del collo e del viso mentre quelle interne, insieme alle arterie vertebrali, irrorano il cervello.

- arterie di medio calibro o muscolari, come le coronarie o le arterie renali; - piccole arterie che decorrono all’interno degli organi (Pontieri et al. 2005).

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La parete delle arterie è costituita da tre strati concentrici distinti definiti tonache (Figura 1).

Figura 1: struttura della parete arteriosa (www.corriere.it).

La tonaca più interna, detta intima, è costituita da un singolo strato di cellule pavimentose appiattite, da una membrana basale, da uno strato sottile di tessuto connettivo definito lamina propria e da uno strato fenestrato di fibre elastiche, la membrana elastica interna.

Il secondo strato, definito tonaca media, è composto da cellule muscolari lisce disposte in maniera circolare attorno al vaso, quantità variabili di fibre elastiche e collagene. Nelle arterie una membrana elastica separa la tonaca media dalla tonaca più esterna, la tonaca avventizia, formata da tessuto connettivo fibroso disposto in maniera longitudinale.

Lo spessore e la composizione di ogni strato variano a seconda del calibro e dal tipo di vaso sanguigno (Gartner e Hiatt).

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1.2.2 Formazione della placca aterosclerotica

L’aterosclerosi è una malattia degenerativa cronica delle arterie caratterizzata dall’accumulo di colesterolo, da componenti della matrice extracellulare e dalla proliferazione delle cellule muscolari lisce arteriose. Tutto ciò porta ad occlusione del lume dei vasi sanguigni, infarto del miocardio, malattie vascolari periferiche, amputazioni, aneurismi e ictus (Turunen et al. 2009) (Figura 2).

Figura 2: formazione placca aterosclerotica (http://www.ladigetto.it/permalink/28092.html).

La lesione principale della malattia – l’ateroma – è costituita da una placca localizzata tra la tonaca intima e la tonaca media ed è dotata di un centro lipidico e di un

cappuccio fibroso che lo riveste (Pontieri et al. 2005).

Appare di colore biancastro o bianco-giallastro e tende a protrudere nel lume dell’arteria. Le dimensioni usuali variano fra gli 0.3 e gli 1.5 cm di diametro. La parte più esterna è formata da un cappuccio fibroso mentre quella più interna ha una consistenza molle (Pontieri et al. 2005).

Le placche aterosclerotiche sono costituite da tre componenti principali:

- elementi cellulari: cellule muscolari lisce, macrofagi e leucociti; - tessuto connettivo: collagene, fibre elastiche e proteoglicani; - depositi lipidici intra ed extracellulari.

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Le cappe fibrose di rivestimento sono formate da cellule muscolari lisce, da scarsi leucociti e da tessuto connettivo denso. L’area cellulata situata vicino alla cappa fibrosa è costituita da macrofagi, cellule muscolari lisce e leucociti T (Pontieri et al. 2005).

Nel nucleo necrotico più profondo si ha una massa disorganizzata di materiale lipidico costituita da colesterolo, detriti cellulari, cellule schiumose cariche di lipidi, fibrina, trombi in vario stadio e altre proteine plasmatiche (Pontieri et al. 2005).

Gli ateromi in stadi avanzati vanno incontro a calcificazione focale o diffusa.

Nei casi più gravi, soprattutto nelle arterie di maggiori dimensioni, la tonaca media sottostante va incontro a un processo di atrofia con perdita della componente elastica, indebolimento della parete e dilatazione aneurismatica del vaso (Pontieri et al. 2005). Uno degli elementi maggiormente implicati nel processo aterosclerotico è il danno endoteliale. L’alterazione funzionale dell’endotelio fa aumentare la permeabilità ai vari componenti del plasma, tra cui i lipidi, e consente l’adesione di monociti e piastrine. Dopo l’adesione, i monociti penetrano all’interno dell’intima trasformandosi in macrofagi che, fagocitando i lipidi, si trasformano in cellule schiumose contribuendo così all’evoluzione della lesione. Alcuni fattori rilasciati dalle piastrine attivate (tra cui il PDGF) e dai monociti stimolano la migrazione e la proliferazione delle cellule muscolari lisce dalla media all’intima.

Si assiste quindi alla produzione da parte di queste cellule di collagene e proteoglicani che accumulandosi portano ad un ispessimento patologico della tonaca intima. L’ulteriore deterioramento dell’endotelio può condurre alla necrosi e al richiamo di altre piastrine, con il rischio di fissurazione della placca e alla formazione di coaguli e trombi.

Il danno d’organo finale dipenderà dalla localizzazione dell’ateroma e dalla sua capacità di occludere i vasi. Le possibili conseguenze potrebbero essere gangrena agli arti inferiori, ictus e infarto (Gartner e Hiatt).

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1.3. Aterosclerosi

1.3.1. Fattori di rischio

Diversi fattori di rischio contribuiscono allo sviluppo delle malattie cardiovascolari. Alcuni di essi vengono definiti “non modificabili” (età, genere, familiarità), altri invece definiti “modificabili” sono riconducibili o allo stile di vita o alla concomitanza di altre patologie.

- Età

Il rischio di patologia aterosclerotica è maggiore per gli uomini con età ≥45 anni e per le donne con età ≥55 anni.

Già intorno al venticinquesimo anno di età inizia un processo d’infiltrazione lipidica a livello della tonaca intima caratteristico dell’aterosclerosi.

Con l’avanzare dell’età si verifica un progressivo ispessimento delle pareti vasali e una graduale diminuzione della loro flessibilità a causa di un aumento della deposizione di collagene e di proteoglicani (Pontieri et al. 2005).

- Genere

C’è un chiaro dimorfismo sessuale nel genere umano e questo può portare a variazioni nello sviluppo di determinate malattie, fra le quali anche le malattie cardiovascolari. È stato dimostrato che gli steroidi giocano un ruolo importante in queste malattie. Il genere maschile sviluppa in media più precocemente le CVD rispetto alle donne in pre-menopausa. Il genere femminile è più colpito da patologie cardiovascolari tra i 44 ed i 59 anni, fascia di età in cui la donna entra in menopausa e, sotto questo punto di vista, il dimorfismo sessuale viene perso. Questo fa pensare che gli ormoni estrogeni possano essere protettivi contro le CVD grazie alle loro proprietà antiossidante (Guarner-Lans et al. 2011).

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- Obesità

La prevalenza dell’obesità e delle CVD ad essa associate è incrementata negli ultimi decenni. L’obesità è caratterizzata da disordini metabolici e cardiovascolari che includono l’ipertensione che è un fattore di rischio primario delle CVD indotte dall’obesità (Vaněčková et al. 2014).

L’obesità è anche associata all’insorgenza della sindrome metabolica, un fattore di rischio che include ipertensione, obesità addominale, dislipidemia e iperglicemia. Studi epidemiologici hanno visualizzato che l’eccesso di peso può effettivamente portare allo sviluppo di ipertensione e la relazione tra indice di massa corporea (BMI) e la pressione arteriosa appare lineare in differenti popolazioni (Vaněčková et al. 2014).

- Ipertensione

La definizione di ipertensione comunemente accettata è una lettura sistolica superiore a 140 mmHg o una lettura diastolica superiore a 90 mmHg (Laposata 2010).

L’ipertensione danneggia alcuni organi dell’organismo e in particolar modo encefalo, cuore e reni (Laposata 2010).

Difatti il cuore in questa situazione è obbligato a sostenere uno sforzo superiore al normale che, se prolungato, può portare ad un suo ingrossamento.

Inoltre, i vasi sottoposti ad una pressione elevata rischiano un’eccessiva usura e gravi danni con conseguente stimolo per l’aterogenesi.

- Ipercolesterolemia

L’ipercolesterolemia e gli altri disordini del metabolismo lipidico sono fra i maggiori fattori di rischio nello sviluppo dell’aterosclerosi. L’ipercolesterolemia ha un ruolo attivo nella formazione e nella progressione della placca aterosclerotica. Il rischio maggiore è dato dalle LDL, che sono le lipoproteine più ricche di colesterolo (Pontieri et al. 2005).

Alti livelli di LDL e bassi livelli di lipoproteine ad alta densità (HDL) aumentano il rischio di malattia coronarica (CAD) (Sirtori e Fumagalli 2006).

Le placche sono infatti ricche di colesterolo e dei suoi esteri. Alcune malattie che causano una grave ipercolesterolemia determinano anche lo sviluppo di

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un’aterosclerosi precoce. Qunidi il rischio aumenta con l’incremento dei livelli sierici di colesterolo (Pontieri et al. 2005).

Le dislipidemie primitive, note anche come iperlipidemie primarie, comportano un aumento di trigliceridi e/o di colesterolo nel plasma aumentando il rischio di CVD. Molte di queste patologie derivano da mutazioni geniche che alterano il metabolismo del colesterolo (Laposata 2010). Tuttavia anche fattori indipendenti dal metabolismo lipidico possono causare un aumento delle concentrazioni dei lipidi plasmatici

(colesterolo e/o trigliceridi) e sono dette iperlipidemie secondarie. Alcune condizioni comprendono: ipotiroidismo, sindrome nefrosica, malattie epatiche, diabete, obesità, abuso di alcool e uso di farmaci (Laposata 2010).

Studi di associazione Genome-wide (GWAS) su pazienti con CAD hanno individuato 30 loci che sembra contribuiscano ad aumentare la probabilità di sviluppare la malattia per gli individui portatori dell’allele di rischio. Tra questi sono compresi geni che codificano per proteine coinvolte nella captazione dei lipidi come i recettori per le LDL (LDLR), nella produzione delle lipoproteine a densità molto bassa (very low density lipoprotein o VLDL) come la sortilina 1 (SORT1), nel metabolismo del colesterolo come la proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 9 (PCSK9). Tutto ciò supporta l’idea

che la concentrazione dei lipidi è un fattore importante per l’aterogenesi.

Lo stesso studio ha valutato gli effetti dei fosfolipidi ossidati sulle cellule endoteliali dimostrando il loro ruolo nel processo infiammatorio durante l’aterogenesi.

Inoltre, anche metaboliti come la trimetilammina-N-ossido (TMAO) possono avere un importante ruolo sul processo aterosclerotico. La TMAO sembra promuovere la formazione di cellule schiumose (macrofagi ricchi di colesterolo) (Lusis 2012).

- Diabete

Sia il diabete di tipo I che di tipo II sembrano accelerare il processo aterosclerotico in quanto promuovono cambiamenti metabolici come lo stress ossidativo (tramite modificazioni a livello mitocondriale), infiammazione e disfunzione endoteliale.

Infatti, pazienti diabetici hanno complicazioni micro vascolari, come nefropatia e retinopatia, e macro vascolari, come infarto del miocardio ed ictus. Nella maggior parte dei casi presentano patologie concomitanti come obesità, ipertensione e

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dislipidemia che contribuiscono allo sviluppo di una patologia cardiovascolare (De Mattos Matheus et al. 2013).

- Storia familiare di malattia coronarica prematura

Se in famiglia sono presenti individui con eventi cardiovascolari si ha una percentuale di rischio più alta rispetto alla popolazione generale. In particolare quando ci sono casi di malattia coronarica in parenti non particolarmente anziani (parenti maschi di primo grado con età <55 anni o parenti femmina di primo grado con età <65 anni) (Pontieri et al. 2005).

- Fumo

La nicotina nell’ambito cardiovascolare, è in grado di far aumentare la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa attraverso l’attivazione del sistema ortosimpatico. Il fumo inoltre favorisce la produzione di lipoproteine a bassa densità (LDL) ossidate facendo aumentare del 100% il rischio di coronopatia ed ictus (Staffiere et al. 2010). Studi recenti hanno messo in evidenza il ruolo del fumo di sigaretta sui meccanismi epigenetici. Infatti è stato dimostrato che le sostanze tossiche inalate con il fumo di sigaretta possono essere causa non solo di cambiamenti irreversibili a livello del DNA (mutazioni geniche) ma anche di cambiamenti reversibili come metilazione del DNA e cambiamento dello stato della cromatina. Le malattie che maggiormente risentono di queste modifiche sono il cancro al polmone, la malattia ostruttiva cronica (BPCO) e le CVD, malattie epidemiologicamente correlate al fumo di sigaretta (Talikka et al. 2012; Starke et al. 2013).

- Iperomocisteinemia

Diversi studi riportano che l’eccesso di omocisteina plasmatica provoca danni alla struttura dell’endotelio agevolando la formazione della placca aterosclerotica (Lentz et al. 2000, Dayal et al. 2001, McDowell e Lang 2000). L’iperomocisteinemia difatti stimola la proliferazione delle cellule muscolari lisce vasali (smooth muscle cells o SMCs), incrementa l’aggregrazione delle piastrine, agisce all’interno della cascata coagulativa e nella fibrinolisi convertendo il normale endotelio in un endotelio fenotipicamente pro-trombotico (Castro et al. 2006).

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Le alte concentrazioni di omocisteina infine interferiscono con la normale metilazione del DNA portando a una metilazione ed espressione aberrante di geni specifici (Castro et al. 2006).

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1.3.2. Aterosclerosi ed infezione

L’infezione cronica può essere un altro fattore che contribuisce allo sviluppo delle CVD. In vari studi molti agenti infettivi sono stati associati con la patologia aterosclerotica e con complicanze d’infarto del miocardio e ictus. Alcuni di questi agenti infettivi includono: Chlamydia pneumoniae, Helicobacter pylori, Mycoplasma pneumoniae,

Cytomegalovirus, Haemophilus influenzae e virus dell'herpes simplex (HSV) 1 e 2

(Muhlestein 2011).

Anche il papillomavirus umano (HPV) potrebbe essere uno dei virus candidati in quanto è stata trovata una forte associazione tra l’infezione di questo virus e una precedente storia d’infarto del miocardio o ictus.

Studi in modelli animali hanno dimostrato un’accelerazione dell’aterosclerosi dopo iniezione intravascolare di agenti infettivi (Muhlestein 2011).

È stato trovato un numero consistente di prove a sostegno dell'ipotesi che più agenti infettivi “infectious burden”, piuttosto che un singolo patogeno, possano contribuire alla patogenesi dell’aterosclerosi attraverso diversi meccanismi.

Alcuni microrganismi come Aggregatibacter actinomycetemcomitans possono agire

direttamente sulla parete arteriosa contribuendo alla disfunzione endoteliale, alla formazione delle cellule schiumose, alla proliferazione delle SMCs, all'aggregazione piastrinica e alla produzione di citochine.

Alcuni agenti infettivi come Chlamydia pneumoniae e Porphyromonas gingivalis

possono contribuire alla patologia aterosclerotica con meccanismi sia diretti che indiretti.

Come meccanismo diretto possono infettare i macrofagi, le SMCs e le cellule endoteliali inducendo la produzione di ROS, citochine (IL-6, IL-1β, TNF-α, ecc), fattori di crescita (bFGF, TGF-β, ecc) e molecole di adesione cellulare (VCAM-1, ICAM-1, ELAM-1, ecc), responsabili dei cambiamenti tipici della placca aterosclerotica.

Questi microrganismi inoltre possono contribuire al processo aterosclerotico in maniera indiretta inducendo infiammazione sistemica. Infatti, in modelli animali citochine circolanti (come l’IL-6) e proteine di fase acuta (come la siero amiloide A), prodotti in risposta ad un’infezione sistemica di Chlamydia pneumoniae o di

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Porphyromonas gingivalis, sono stati associati con la progressione e la

destabilizzazione di lesioni aterosclerotiche.

Inoltre sembra che gli anticorpi prodotti durante la risposta immunitaria di tipo umorale diretti contro le proteine da schock termico (heat schock proteins, HSPs) di

Chlamydia pneumoniae, Helicobacter pylori e Porphyromonas gingivalis

cross-reagiscano con le HSPs umane delle cellule vascolari avviando un processo autoimmune che è responsabile delle lesioni endoteliali (Sessa et al. 2014).

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1.3.3. Aterosclerosi e infiammazione

L’infiammazione è un meccanismo chiave nella degenerazione tissutale progressiva che avviene sia durante l’invecchiamento che nel contesto di determinate patologie come le CVD (Guarner-Lans et al. 2011). Negli ultimi anni è apparso evidente che l’aterosclerosi dà origine ad un processo infiammatorio cronico a livello delle arterie di medio e grosso calibro. La progressione è variabile e può avvenire in diverse sedi (Davis 2005). La risposta infiammatoria cronica è caratterizzata dal richiamo di monociti-macrofagi, leucociti T e contribuisce alla formazione della placca aterosclerotica (Turunen et al. 2009).

Inizialmente l’endotelio va incontro ad un processo di riparazione ma se tale processo dovesse fallire diventa permeabile a leucociti e monociti, che migranolocalizzandosi a livello dell’intima dove si possono avere varie reazioni tra cui l’accumulo di LDL (Davis 2005).

Le cellule schiumose a loro volta rilasciano fattori di crescita e citochine che continuano a stimolare la risposta infiammatoria e a promuovere la migrazione delle cellule muscolari lisce. Le cellule muscolari lisce sono responsabili della deposizione di matrice extracellulare e della formazione di un cappuccio fibroso che racchiude un nucleo di cellule schiumose cariche di lipidi, lipidi extracellulari e cellule morte (incluse cellule apoptotiche) (Migliore e Andreassi 2012).

Studi recenti hanno evidenziato l’importante ruolo del sistema immunitario nella patogenesi dell’aterosclerosi (Sitia et al. 2010).

L’espressione di molti geni dell’infiammazione nel processo aterosclerotico è regolata dal fattore di trascrizione NF-kB che è conosciuto per il suo ruolo cruciale nel gestire, amplificare e perpetuare la risposta infiammatoria. L’attivazione di NF-kB è spesso conseguente alla stimolazione di recettori dei leucociti coinvolti nell’immunità innata (Toll-like receptors) ed è accompagnata dall’espressione di una serie di molecole infiammatorie come IL-6, IL-8, TNFα, molecole di adessione (ICAM-1, VCAM-1, P- ed E-selectine) e metalloproteinasi della matrice (MMPs). Questi mediatori contribuiscono a coordinare l’invasione ed il processo di incamminamento delle cellule infiammatorie all’interno della parete vascolare e la migrazione delle SMCs rimodellando la matrice extracellulare.

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Molti studi hanno dimostrato che i meccanismi epigenetici, quali la metilazione del DNA e le modifiche alle code istoniche, sono critici per la regolazione dei geni coinvolti nel processo infiammatorio. Uno dei geni di maggior interesse sottoposto a regolazione epigenetica è quello che codifica per l’enzima ossido nitrico sintasi inducibile (iNOS), espresso nei macrofagi in condizioni infiammatorie il cui prodotto può portare all’apoptosi delle SMCs promuovendo l’instabilità della placca aterosclerotica. Studi sperimentali hanno mostrato che specifici cambiamenti nella metilazione del DNA di leucociti periferici contribuiscono alla deregolazione dell’infiammazione e alla promozione dell’aterosclerosi (Migliore e Andreassi 2012).

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1.3.4. L’omocisteina e il rischio di malattie cardiovascolari

I livelli fisiologici plasmatici di omocisteina variano tra 5-15 μmol/L.

Si parla di iperomocisteinemia (Hhcy) quando a digiuno i livelli plasmatici di omocisteina superano le 15 μmol/L.

L’Hhcy può essere classificata in:

- moderata (15-30 µmol/L) - intermedia (31-100 µmol/L) - severa (>100 µmol/L)

L’incremento della sua concentrazione plasmatica di 3-5 µmol/L rispetto ai valori fisiologici, aumenta il rischio di infarto del miocardio, ictus e trombo-embolia venosa del 10-27% indicando il suo ruolo essenziale nello sviluppo delle CVD (Krishna et al. 2013).

Elevati livelli di omocisteina promuovono la formazione di lesioni vascolari provocando, attraverso l’aumento della S-adenosilomocisteina (SAH), disfunzione endoteliale ed inibendo la rigenerazione delle cellule endoteliali (ECs) (Krishna et al. 2013). Al tempo stesso, una volta che la lesione vascolare si è formata, l’Hhcy ne accelera la progressione stimolando la proliferazione delle SMCs e inducendo la produzione del fattore di crescita del tessuto connettivo (CTGF) (Chiang et al. 2011; Liu et al. 2009).

L’hcy genera cambiamenti del tessuto connettivo a livello della placca aterosclerotica causando fibrosi, calcificazione, deposizione di proteoglicani e danno alle fibre elastiche. È un potente pro-coagulante in quanto promuove la deposizione di fibrina e la trombosi murale (McCully 2007) ed ha un importante ruolo nello stress ossidativo. Il suo gruppo sulfidrilico può andare incontro ad auto-ossidazione e generare delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) che hanno effetti citotossici sulle cellule vascolari. Questo comporta una disfunzione endoteliale che è uno dei primi step dell’aterogenesi.

Infatti Il tiolo (gruppo –SH) dell’omocisteina è rapidamente ossidato e durante l’ossidazione vengono generati: il radicale idrossile (OH), l’anione superossido (O2-),

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che va a danneggiare le SMCs dei vasi e ad incrementare l’ossidazione delle LDL, e il perossido d’idrogeno (H2O2), che incrementa la fosforilazione della tirosinchinasi e di

conseguenza si ha un aumentato legame dei neutrofili all’endotelio e un’alterazione della permeabilità vasale (Sibrian-Vazquez et al. 2010; Vogiatzi et al. 2009).

Recenti studi suggeriscono che il ruolo patogenetico dell’Hhcy nelle patologie vascolari è mediato dall'accumulo della SAH e provoca un’aberrante metilazione del DNA. Castro et al. hanno dimostrato che pazienti con malattia cardiovascolare hanno uno stato globale di metilazione alterato associato con aumentati livelli plasmatici di hcy e con una più alta concentrazione di SAH intracellulare. Livelli di omocisteina >75 µmol/L correlano con l’aterosclerosi e con l’ipometilazione del DNA, fino ad una riduzione del 35% dello stato di metilazione del DNA in leucociti periferici (Castro et al. 2003).

Un possibile meccanismo è che la SAH competendo con l’S-adenosilmetionina per il sito di legame sulle DNA metiltransferasi (DNMTs) porti alla perdita di tipo passivo della metilazione del DNA durante la replicazione (Figura 3).

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In ultima analisi quindi la concentrazione di omocisteina comporta una serie di effetti biologici che comprendono: formazione e progressione della placca aterosclerotica, alterazione della riparazione e della funzione endoteliale, alterazione del metabolismo dei lipidi e processo trombotico. Alti livelli plasmatici di omocisteina sono stati anche correlati significativamente con la distruzione della lamina elastica interna delle pareti delle arterie nelle lesioni aterosclerotiche (Krishna et al. 2013) e con una diminuzione della biodisponibilità di ossido nitrico (Turunen et al. 2009).

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1.3.5. Dieta e via metabolica dei folati

I folati fanno parte del gruppo delle vitamine B e giocano un ruolo importante non solo nella sintesi del DNA ma anche nel mantenimento delle reazioni di metilazione nelle cellule. Il metabolismo dei folati è influenzato da vari fattori in particolare dalla dieta e dai polimorfismi dei geni che codificano per enzimi coinvolti in tale via metabolica. Un’inadeguata assunzione di folati è associata allo sviluppo di numerose malattie nell’uomo tra cui malattie vascolari, sindrome di Down, difetti del tubo neurale, disordini psichiatrici e cancro (Nazki et al. 2014).

Le principali fonti alimentari di folati sono i vegetali a foglia larga (spinaci, broccoli, asparagi, lattuga), i legumi, le uova e il fegato. Negli alimenti si possono trovare diversi tipi di folati, i quali differiscono per il grado di riduzione dell’anello della pteridina nelle posizioni 5-6-7-8, per il tipo di unità monocarboniosa legata nelle posizioni 5 e 10 e per il numero di residui di glutammato; la maggior parte dei folati assunti con la dieta sono pteroilpoliglutammati che contengono da 1 a 6 molecole di glutammato.

Successivamente all’ingestione, i folati necessitano di alcune modifiche, quali riduzione e metilazione all’interno del fegato in modo da sintetizzare il 5-metiltetraidrofolato (5-MTHF). Tale conversione dell’acido folico risulta indispensabile poiché il 5-MTHF rappresenta l’unica forma biologicamente attiva della vitamina in grado di attraversare la parete intestinale (Coppedè et al. 2009). L’assorbimento intestinale si verifica nella parte prossimale del digiuno e dell’ileo. Le coniugasi e le γ-glutamil-carbossipeptidasi, site sull’orletto a spazzola degli enterociti, separano i poliglutammati in monoglutammati permettendo così l’assorbimento del folato che circola nel sangue libero o legato all’albumina come 5-MTHF (Righetti 2008).

I folati, essendo degli anioni idrofili, non possono attraversare la membrana plasmatica per semplice diffusione ma richiedono sistemi di trasporto specializzati.

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L’assorbimento di queste molecole nelle cellule e nei tessuti può avvenire tramite:

- carrier dei folati ridotti (RFC);

- trasportatore di folati accoppiato a cationi (PCFT); - le proteine leganti folati (FBP);

- recettori dei folati (FR);

- trasportatori di anioni organici (OATs) (Matherly e Goldman 2003).

Una volta all’interno della cellula, i folati vanno incontro ad una serie di modifiche e processi biochimici che nel complesso fanno parte della cosiddetta via metabolica dei folati (Figura 4).

Figura 4: via metabolica dei folati (Nazki et al. 2013).

Uno dei principali enzimi della via metabolica dei folati è la metilenetetraidrofolato reduttasi (MTHFR), che riduce il 5,10-metiltetraidrofolato (5,10-MTHF) a MTHF. Il 5-MTHF è un donatore di gruppi metilici ed è utilizzato o per la sintesi dei precursori del DNA/RNA o per la conversione dell’omocisteina in metionina (Met), necessaria per la

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produzione di S-adenosilmetionina (SAM), che rappresenta il principale agente metilante del DNA (Bailey e Gregory 1999;Coppedè et al. 2009).

Successivamente, la metionina sintasi (MTR) trasferisce un gruppo metilico dal 5-MTHF all’omocisteina, formando metionina e tetraidrofolato (THF), il quale viene riconiugato a 5,10-MTHF per la sintesi di purine e timidilato. La MTR utilizza come cofattore la vitamina B12 (o cobalamina) e il mantenimento nello suo stato attivo è garantito dalla metionina sintasi reduttasi (MTRR).

La reazione catalizzata dall’MTR è estremamente importante poiché riduce i livelli plasmatici di hcy, potenzialmente citotossica, e contemporaneamente produce metionina che, attivata a SAM in una reazione catalizzata dalla metionina adenosiltransferasi (MAT), genera il principale donatore di gruppi metilici del catabolismo cellulare (Lucock 2000). Infatti, la SAM viene usata nelle reazioni di trans-metilazione e una volta donato il suo gruppo metilico, è convertita in S-adenosilomocisteina (SAH).

La SAM è a sua volta un potente inibitore della MTHFR. Quando la SAM è presente ad alte concentrazioni la MTHFR è inibita, questo comporta la riduzione del 5-metil-THF e quindi compromette la rimetilazione dell’omocisteina. Al contrario quando la concentrazione della SAM è bassa viene favorita la formazione del 5-metil-THF e la rimetilazione dell’omocisteina.

L’omocisteina non rimetilata può entrare nella via di transulfurazione per formare cisteina; quest’ultimo amminoacido si forma per azione di due enzimi: la cistationina β sintasi (CBS), che catalizza la condensazione dell’hcy con una serina e richiede la vitamina B6 come coenzima, e la cistationina-γ-liasi, che scinde la cistationina in cisteina e α-chetobutirrato. La cistationina può essere poi utilizzata per formare glutatione (GSH), potente agente antiossidante intracellulare.

Il blocco della rimetilazione dell’omocisteina comporta diminuzione della sintesi di metionina, carenza di SAM nei tessuti, alterata metilazione del DNA (Mastroeni et al. 2011) e mancata attivazione della cistationina β-sintasi, della quale la SAM è un effettore positivo, producendo così anche il blocco della via di transulforazione.

Tutto ciò porta ad un aumento della concentrazione di omocisteina e di SAH che inibisce le reazioni mediate dalla SAM. La SAH lega la regione catalitica dell’enzima

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metiltransferasi con alta affinità rispetto alla SAM, comportandosi così da potente inibitore della metilazione cellulare (Hu et al. 1999; Fujoka et al. 1999).

L’assunzione di vitamina B12 con la dieta, essendo il coenzima della metionina sintasi, influenza il metabolismo dei folati. Anche una carenza della vitamina B6 ha i suoi effetti su questa via metabolica in quanto impedisce il catabolismo dell’omocisteina aumentandone, in ultima analisi, la concentrazione plasmatica insieme a quella intracellulare di SAH (Bailey e Gregory 1999) che influenza i processi relativi alla metilazione del DNA.

Per cui l’assunzione di una quantità bassa di folati, in concomitanza con un’alterazione dei processi di metilazione del DNA, potrebbe aumentare significativamente il rischio di sviluppare cancro e CVD (Duthie 2011).

La dieta quindi influisce molto su questa via metabolica. Negli ultimi decenni la dieta occidentale è cambiata ed è caratterizzata da un eccesso di calorie. Un numero sempre maggiore di disturbi metabolici come iperglicemia, iperinsulinemia, obesità, sindromi metaboliche e diabete fanno aumentare lo stress ossidativo e quindi il rischio di malattie cardiovascolari (Migliore e Andreassi 2012).

Ci sono evidenze crescenti che i lipidi derivati da una dieta iperlipidica sono dei modulatori dinamici del pathway di espressione genica sia pro che anti-infiammatorio. Essi interagiscono con i recettori nucleari che regolano numerose funzioni biologiche che includono il metabolismo dei lipidi, la produzione dei mediatori dell’infiammazione e l’omeostasi vascolare. Gli effetti biologici dati da questi recettori sono il risultato di un fine equilibrio tra attivazione e repressione genica (Lund e Zaina 2011).

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1.3.6. 5,10-Metilenetetraidrofolato reduttasi (MTHFR) e polimorfismo MTHFR C677T

La letteratura riporta che varianti del gene MTHFR possono contribuire ad aumentare la suscettibilità alle CVD (Castro et al. 2004; Kluijtmans e Whitehead 2001; Husemoen et al. 2014; Szabo 2012).

Il gene che codifica per l’enzima 5,10-MTHFR è localizzato in posizione 1p36.3 (Goyette et al. 1994), ha una lunghezza di 2.2 kb ed è costituito da 11 esoni (Pandey et al. 2014); sono stati inoltre identificati trascritti con una lunghezza variabile a seconda del tessuto analizzato (Gaughan et al. 2000).

L’enzima MTHFR catalizza una reazione centrale del metabolismo dei folati, ovvero la conversione del 5,10-metilenetetraidrofolato (5,10-MTHF) in 5-metiltetraidrofolato (5-MTHF).

Il substrato di questa reazione, il 5-10 MTHF, è essenziale sia per la sintesi del DNA che per la sintesi della serina, reazione catalizzata dall’enzima serina idrossimetiltransferasi.

La produzione di 5-MTHF a sua volta fornisce gruppi metilici per la conversione dell’omocisteina in metionina; una riduzione di questo pool può alterare la metilazione del DNA (Nazki et al. 2014).

I due più comuni polimorfismi del gene MTHFR sono il C677C e l’ A1298A, ma il polimorfismo maggiormente studiato soprattutto nell’ambito delle CVD è il C677T. La transizione C>T del nucleotide in posizione 677 nell’esone 4 porta ad una

sostituzione amminoacidica dell’alanina (A) in valina (V) al residuo 223. Tale sostituzione è responsabile di una maggiore termolabilità dell'enzima.

Comparando in vitro le attività enzimatiche del 5-10 MTHFR è stato osservato che la variante eterozigote CT e la variante mutata TT hanno rispettivamente il 65% e il 30% di attività enzimatica rispetto la variante omozigote CC.

È stato anche dimostrato che rispetto agli omozigoti CC, gli eterozigoti CT e gli omozigoti TT hanno il 10% ed il 18% in meno dei livelli di folati nel sangue; gli individui TT hanno oltre che una più bassa concentrazione di vitamina B12 plasmatica anche più alti livelli di omocisteina (Nazki et al. 2014).

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Soggetti con genotipo 677TT, quindi con ridotta attività enzimatica, hanno più alti livelli di omocisteina e si suppone che questo possa aumentare il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari (Husemoen et al. 2014).

Infatti, uno studio che ha messo in relazione il polimorfismo MTHFR C677T e la severità della malattia coronarica (CAD), ha riportato che i pazienti con CAD avevano livelli di omocisteina più alta rispetto ai controlli e il genotipo MTHFR C677T era associato con il grado di CAD nei pazienti ad alto rischio per questa patologia (Nazki et al. 2014).

È stato suggerito invece che il genotipo MTHFR 677CC abbia un ruolo protettivo nei confronti delle malattie aterotrombotiche mediate dall’omocisteina. Sembra che tale genotipo garantisca un’efficace fornitura di gruppi metilici per la conversione dell’omocisteina in metionina. Attraverso tale meccanismo si ha una maggiore clearance di omocisteina cellulare e questo potrebbe essere sufficiente a minimizzare gli effetti di fattori nutrizionali, ambientali e genetici, che predispongono all’accumulo di omocisteina attraverso altri pathways (Kluijtmans e Whitehead 2001).

Tuttavia, Castro et al. hanno suggerito che anche un altro polimorfismo dello stesso gene, il C1298T, indipendentemente dalla disponibilità di folati in concomitanza con il genotipo 677TT e con livelli inadeguati di folati, potrebbero essere dei potenziali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari associati ad uno stato di ipometilazione del DNA anche se gli autori stessi suggeriscono ulteriori studi per confermare la possibile associazione di queste due varianti geniche con alterazioni epigenetiche e con l’impatto sulla promozione della malattia (Castro et al. 2004).

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1.4 Epigenetica e meccanismi epigenetici

L’epigenetica rappresenta un’importante connessione tra genotipo, fenotipo e ambiente (Ingrosso e Perna 2009).

La regolazione epigenetica è un meccanismo plastico influenzato da stimoli endogeni ed esogeni. Fattori ambientali possono essere: ipossia, dieta iperglicemica, ipercolesterolemia, iperomocisteinemia e stress ossidativo (Lund e Zaina 2011, Ordovas e Smith 2010, Shirodkar e Marsden 2011).

Il termine epigenetica fa riferimento alle modifiche del genoma senza variazione della sequenza del DNA.

Le modificazioni epigenetiche hanno un ruolo fondamentale nella regolazione dell'espressione genica e comprendono: modifiche delle code istoniche, RNA non codificante (ncRNA) e metilazione del DNA (Migliore e Andreassi 2012) (Figura 5).

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 Modificazioni delle code istoniche

Gli istoni sono proteine basiche attorno alle quali si avvolge il DNA per formare i nucleosomi, subunità base della cromatina. Sono composti da 8 proteine istoniche: due dimeri H2A/H2B e due dimeri H3/H4. Ogni istone contiene una coda amminoacidica modificabile. Per codice istonico si intende l’insieme di modifiche post-trascrizionali alle estremità N-terminali delle code amminoacidiche istoniche che possono modificare l’interazione DNA-proteina influenzando la struttura della cromatina e l’accessibilità dei fattori di trascrizione ai siti di legame del DNA.

Le comuni modifiche alle code istoniche includono acetilazione e metilazione della lisina, metilazione dell’ arginina e fosforilazione della serina.

Queste modifiche sono mediate da particolari enzimi ad esempio la metilazione istonica è regolata dall’istone metiltransferasi, responsabile del processo di metilazione, e dall’istone demetilasi, responsabile del processo di demetilazione (Webster et al. 2013).

Recentemente, Reddy et al. hanno dimostrato che una deregolazione della modifica alle code istoniche nelle SMCs potrebbe essere il meccanismo principale alla base di un’infiammazione cronica associata con complicanze vascolari diabetiche in modelli murini di diabete di tipo 2 (Reddy et al. 2008).

 RNA non codificanti (ncRNAs)

I ncRNAs non codificano per una particolare proteina ma giocano un ruolo importante nella regolazione dell’espressione genica (Webster et al. 2013). Sono coinvolti nel rimodellamento della cromatina e agiscono sia a livello trascrizionale che a livello post-trascrizionale. Alterazioni (genetiche o epigenetiche) dei geni che li codificano possono modificarne il profilo di espressione e quindi alterare l’espressione di geni sottoposti alla loro regolazione (Migliore e Andreassi 2012).

I meccanismi con cui i ncRNAs possono agire sono la co-repressione trascrizionale, la modifica dello splicing e la degradazione dell’RNA.

Poco si conosce del loro ruolo riguardo le CVD. Studi GWAS indicano che solo una parte del rischio delle CVD può essere spiegata da variazioni nei geni che codificano per proteine. È stato trovato che circa il 43% degli SNPs sono localizzati in regioni

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intergeniche del genoma e molte di queste regioni intergeniche potrebbero esprimere nc-RNAs (Webster et al. 2013).

 Metilazione del DNA

Il meccanismo epigenetico più ampiamente studiato e caratterizzato è la metilazione del DNA. Esso consiste nell’aggiunta catalitica di un gruppo metilico al carbonio in posizione 5 di residui di citosina in dinucleotidi CpG (Migliore e Andreassi 2012). La 5-metilcitosina costituisce circa lo 0,6%-1,5% di tutto il genoma umano e la sua percentuale dipende dal tipo di tessuto. La metilazione della citosina gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo embrionale, nell’inattivazione del cromosoma X e nell’imprinting genomico. Alterazioni nella metilazione della citosina sono alla base di molte patologie come tumori e CVD (Webster et al. 2013).

Le isole CpG sono associate a regioni regolatorie dei promotori di quasi tutti i geni housekeeping e a circa la metà di geni tessuto specifici (Esteller et al. 2011). L’ipermetilazione al promotore del gene comporta un decremento della trascrizione del gene stesso. Cambiamenti nella metilazione delle isole CpG correlano quindi con un’alterata espressione del gene e contribuiscono a determinare il fenotipo in varie patologie (Migliore e Andreassi 2012).

Nel processo di metilazione le DNA-metiltransferasi (DNMTs) assumono un ruolo fondamentale essendo gli enzimi che mediano la metilazione del DNA.

Le DNMT3a e DNMT3b sono responsabili di tutti i processi di metilazione de novo del DNA e intervengono fisiologicamente durante lo sviluppo embrionale; la DNMT1 invece è responsabile del mantenimento della metilazione durante le divisioni mitotiche delle cellule. Durante la mitosi la metilazione delle isole CpG nel filamento di DNA di nuova sintesi è guidata dal filamento complementare usato come stampo (Webster et al. 2013).

Le DNMTs possono essere soggette a inibizione e questo può portare conseguentemente ad una demetilazione generale del DNA. In particolare, sono sensibili a determinati agenti presenti nella dieta come alcuni polifenoli i quali sia in

vivo che in vitro portano alla loro inibizione alterando il rapporto SAM/SAH (Duthie

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1.4.1. Epigenetica e processo aterosclerotico

C’è una stretta correlazione tra metilazione del DNA e malattie cardiovascolari. Tale meccanismo epigenetico in particolare è coinvolto nei processi di formazione della placca aterosclerotica e nei processi infiammatori correlati alla patogenesi dell’aterosclerosi. I meccanismi però attraverso cui queste condizioni sono tra loro associate non sono stati ancora del tutto chiariti.

Alcuni studi si sono focalizzati sull’alterata metilazione del DNA e sui cambiamenti dell’espressione di geni coinvolti nella fase iniziale della lesione patologica che porterà alla formazione della placca aterosclerotica. Esempi di geni importanti per l’aterogenesi, che sembrano essere almeno parzialmente regolati dalla metilazione del DNA, sono quelli che codificano per l’interferone 38 (IFN 38), per il fattore di crescita di origine piastrinica A39 (PDGF A39), per alcune metalloproteinasi (240, MMP-740, MMP-940), per l’inibitore tissutale delle MMP TIMP-341, per la molecola di adesione ICAM-142, per la superossido dismutasi cellulare EC-SOD21 e per p53 (Hiltunen 2003; Ylä-Herttuala 2003; Migliore e Andreassi 2012).

 Ipermetilazione e CVD

Nei tessuti aterosclerotici umani i promotori dei geni dei recettori degli estrogeni (ER) α e β risultano ipermetilati (Kim et al. 2007; Post et al. 1999). In particolare è stato dimostrato in vitro che i tessuti aterosclerotici coronarici mostrano livelli di metilazione più alti (28,7%) rispetto a tessuti arteriosi sani (6,7%-10,1%) e a tessuti venosi (18,2%) (Migliore e Andreassi 2012).

Per quanto riguarda lo stato di metilazione dei leucociti periferici in pazienti che soffrono di patologie coronariche ci sono dei pareri discordanti poiché non tutti gli studi hanno riscontrato un aumento di metilazione (Turunen et al. 2009).

L’infiammazione promuove l’ipermetilazione di geni dei leucociti T periferici e ciò è correlato con una maggiore mortalità per malattie cardiovascolari anche se in questi pazienti è stato visto che il livello di omocisteina circolante era relativamente basso (~25 µmol/L) (Turunen et al. 2009).

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 Ipometilazone e CVD

L’ipometilazione del DNA genomico è caratteristica dell’invecchiamento ed è comune a molte patologie come tumori e schizofrenia, e in caso di iperomocisteinemia.

A livello delle sequenze ripetute del DNA può essere responsabile dell’attivazione di elementi trasponibili che possono causare mutazioni inserzionali ed instabilità cromosomica.

Una diminuzione di metilazione del 9% rispetto ai controlli è stata riscontrata nelle SMCs in proliferazione di placche aterosclerotiche. Tuttavia, l’ipometilazione nelle lesioni aterosclerotiche è paradossale dal momento che è stato dimostrato che l’mRNA della DNMT1 è sovra regolato (Turunen et al. 2009). L’ipometilazione globale del DNA è tipica delle lesioni aterosclerotiche umane in stadio avanzato e un certo numero di geni coinvolti nel controllo della proliferazione cellulare e nell’ossidazione modificano il loro stato di metilazione durante il processo aterosclerotico (Lund e Zaina 2011).

L’aterosclerosi è una patologia di natura complessa. La regolazione epigenetica ha un duplice effetto: da una parte è stato osservato che l’iperomocisteinemia in pazienti con malattie aterosclerotiche riduce la metilazione del DNA, dall’altra alcuni promotori come iNOS e FGF2 risultano essere ipermetilati. Come già detto prima, è stato riscontrato anche un aumento della metilazione nei promotori dei geni per ERα ed ERβ in SMCs di ateromi che variano il loro fenotipo da cellule quiescenti a cellule in attiva proliferazione (Turunen et al. 2009).

I cambiamenti epigenetici sono fondamentali per la formazione delle lesioni aterosclerotiche in quanto contribuiscono fortemente alla patogenesi delle lesioni vascolari e alla modifica dell’espressione genica nelle cellule coinvolte nella lesione aterosclerotica (Turunen et al. 2009).

I meccanismi epigenetici, essendo dei processi dinamici che rispondono a stimoli ambientali, offrono una nuova prospettiva per il controllo della regolazione di geni implicati nelle CVD umane evidenziando i limiti di un approccio allo studio di queste malattie basato solo sull’importanza del codice statico del DNA. Potranno contribuire in futuro alla sperimentazione di terapie e a diagnosi mirate (Webster et al. 2013).

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1.5 Tecniche impiegate nello studio

1.5.1. PCR-RFLP

La reazione a catena della polimerasi con polimorfismi per il sito di restrizione (Polymerase Chain Reaction - Restriction Fragment Length Polymorphism, PCR-RFLP) viene utilizzata per la genotipizzazione di un polimorfismo.

Il primo passo è quello di amplificare una regione del DNA tramite una reazione a catena della polimerizzazione (Polymerase Chain Reaction, PCR) classica seguita dalla digestione con un enzima di restrizione appropriato. A seconda del polimorfismo il sito di restrizione può essere accessibile o no all’enzima portando alla formazione di frammenti di restrizione diversi tra loro. Essi possono essere visualizzati tramite successiva corsa elettroforetica in gel di agarosio al 3% e visualizzazione ai raggi UV. La PCR è una metodica di biologia molecolare sviluppata nel 1983 da Gary Mullis che consente di amplificare frammenti di acidi nucleici conoscendo solamente le sequenze nucleotidiche iniziali e terminali (Saiki et al. 1985).

Ciò che ha permesso lo sviluppo di questa metodica è stato l’utilizzo di una DNA polimerasi termo stabile, la Taq polimerasi. Essa è stata isolata dall’archeobatterio termofilo Thermophilus aquaticus, che vive nelle sorgenti termali con temperature molto alte, vicine quasi al punto di ebollizione dell’acqua.

Di conseguenza, tutti gli enzimi di questo organismo si sono evoluti per resistere ad alte temperature, alle quali tutte le proteine della maggior parte degli altri organismi si denaturerebbero immediatamente e irreversibilmente. A parte questa caratteristica distintiva, la Taq polimerasi è una normale DNA polimerasi in grado di sintetizzare un nuovo filamento di DNA complementare ad uno stampo a singolo filamento. Come tutte le DNA polimerasi, necessita della presenza di inneschi (primers) che fiancheggiano la sequenza da amplificare e da cui far partire la sintesi del nuovo filamento di DNA. Questo rappresenta un limite di tale metodica poiché per il disegno dei primers si deve conoscere almeno in parte la sequenza che si vuole amplificare. Tuttavia tale polimerasi non è particolarmente efficace; infatti sebbene possegga una elevata processività (ha una elevata tendenza a rimanere associata allo stampo permettendo cosi l’incorporazione di parecchi nucleotidi), essa manca di una attività di

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correttore di bozze (proofreading activity) e quindi non è in grado di correggere le basi erroneamente incorporate.

Schema di un ciclo di PCR

La soluzione di reazione è costituita da:

 segmento di DNA che si desidera amplificare;

 desossiribonucleotidi trifosfati (dNTPs), che verranno incorporati durante la formazione dei nuovi filamenti;

 primers;

 DNA polimerasi termo-resistente, non è necessario che provenga dallo stesso organismo di cui si deve replicare il DNA;

 Buffer, per mantenere il pH della reazione stabile e per garantire un ambiente adatto alla reazione;

 ioni magnesio, per il corretto funzionamento della DNA polimerasi, per l’ibridazione dei primers e per aumentare la temperatura di denaturazione;

 acqua.

Per prima cosa, il DNA a doppio filamento deve essere denaturato. La temperatura usata in genere è di 94°C. Viene poi abbassata fino a raggiungere la temperatura ottimale alla quale i due primers si appaiono ai filamenti di DNA ad essi complementari (temperatura di annealing). Questa è l’unica temperatura della reazione di PCR che può essere ampiamente modificata per ottenere la massima efficienza di appaiamento dei primers e il minimo legame ad altre sequenze non specifiche. Se la temperatura di annealing è troppo bassa i primers si legheranno anche ad altre posizioni del DNA determinando l’amplificazione di sequenze aspecifiche; se la temperatura è troppo alta i primers possono non essere in grado di legarsi al sito corretto provocando assenza di prodotto. La temperatura richiesta dipenderà dalla sequenza e dalla lunghezza dei primers. La fase di annealing è rapida e dura circa un minuto. La temperatura viene quindi innalzata fino a 72°C, temperatura considerata normalmente ottimale per la fase di estensione. La Taq polimerasi in questa fase determinerà, a partire dai primers,

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la sintesi dei filamenti di DNA complementari al filamento che funge da stampo. La polimerizzazione procederà finché non viene interrotta con l’innalzamento della temperatura, che determina l’inizio del ciclo successivo di amplificazione. Il ciclo descritto viene ripetuto generalmente per circa 20-30 volte. In genere non si superano i 50 cicli in quanto ad un certo punto la quota di DNA ottenuto raggiunge un plateau. Ciò avviene, ad esempio, per carenza degli oligonucleotidi usati come inneschi o per diminuzione dei dNTPs. Bisogna inoltre considerare che si deve evitare di amplificare eventuale materiale genomico contaminante.

Si è visto che una quantità di DNA genomico di 100 ng è sufficiente per la reazione di PCR. È necessario, comunque, poter valutare la quantità di DNA ottenuta durante il processo di estrazione, tramite una lettura spettrofotometrica a 260 nm. Effettuando, inoltre, una lettura ad una lunghezza d'onda di 280 nm (picco d'assorbanza delle proteine, principale contaminante degli estratti) si può ottenere il rapporto tra le rispettive assorbanze a 260 e 280 nm e quindi una stima della purezza del DNA ottenuto.

Per valutare la sensibilità e la specificità della metodica, ovvero per evidenziare la presenza di falsi positivi o falsi negativi, si utilizzano dei controlli positivi e controlli negativi. Il primo consiste in un campione in cui è presente la sequenza bersaglio, mentre il controllo negativo, nel quale manca tale sequenza, serve per evidenziare eventuali contaminazioni. La scelta dei primers costituisce un aspetto essenziale per la buona riuscita della PCR. Essi devono ibridare in maniera specifica ed efficiente con la sequenza d’interesse; la loro lunghezza deve essere compresa tra le 20 e le 30 paia di basi e devono essere specifici per la sequenza d’interesse in modo da non portare alla produzione di falsi positivi. È fondamentale definire il corretto orientamento dei primers. I due primers utilizzati per la PCR sono definiti reverse e forward, a seconda che siano complementari al filamento 5'→3' o a quello inverso 3'→5. Grazie alle banche dati e alle pubblicazioni scientifiche stanno diventando sempre più disponibili le sequenze di DNA o di RNA necessarie per poter disegnare i primers da utilizzare nelle PCR. Una volta ottenuta la sequenza d'interesse bisogna controllare che nel resto del genoma non vi siano sequenze omologhe che possano portare alla produzione di falsi positivi. Inoltre, devono avere un contenuto in CG non superiore al 50%, e non contenere strutture complementari che possano portare alla formazione di hairpin o

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dimeri di primer; è desiderabile che i due primer posseggano una simile temperatura di annealing e per questo motivo dovranno essere simili in lunghezza e sequenza nucleotidica.

Dal momento che i polimorfismi di sequenza sono tratti del DNA i cui alleli differiscono per variazioni della sequenza a livello di un singolo nucleotide, la sostituzione nucleotidica può introdurre o eliminare un sito di riconoscimento per una specifica nucleasi di restrizione. Quindi, digerendo con uno specifico enzima la sequenza di DNA amplificata mediante PCR che include il sito polimorfico, si determineranno frammenti di lunghezze diverse, i cosiddetti polimorfismi per il sito di restrizione (RFLP). Le endonucleasi di restrizione sono enzimi di origine batterica utilizzati per tagliare (digerire) le molecola di DNA a doppia elica in corrispondenza di specifiche sequenze di basi, dette sequenze di riconoscimento o siti di restrizione. In genere si tratta di sequenze palindrome, ovvero sequenze nucleotidiche a simmetria binaria che se lette in direzione 5→3’ presentano la stessa sequenza di basi sia su un’elica che sull’altra. In biologia molecolare gli enzimi di restrizione sono d’importanza fondamentale. Una volta ottenuto il prodotto di nostro interesse mediante PCR, si procede con la digestione enzimatica. Il polimorfismo può inserire o eliminare un sito di restrizione all’interno dell’amplificato, comportando la formazione di frammenti di lunghezza e peso molecolare specifici con possibilità di discriminazione dei vari genotipi mediante corsa elettroforetica su gel di agarosio.

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1.5.2 Methylation Sensitive High Resolution Melting (MS-HRM)

La tecnica ad alta risoluzione metilazione sensibile (High-Resolution Melting Analysis o HRM) è una metodica sensibile e specifica per il rilevamento della metilazione all’interno di promotori ed isole CpG dopo trattamento con sodio bisolfito. Il sodio bisolfito converte le citosine non metilate in uracile, mentre le citosine metilate sono protette da questa modificazione (Clark et al. 1994). Questo trattamento permette di conservare l’informazione epigenetica presente nel DNA dopo amplificazione; durante i cicli di PCR le 5-metilcitosine (5-mC) vengono sostituite dalle citosine mentre le citosine non metilate (ora trasformate in uracile) vengono sostituite in timine.

La metodica quindi prevede che dopo trattamento con bisolfito il frammento di DNA di interesse venga amplificato tramite PCR utilizzando primers che non contengono dinucleotidi CpG (Frommer et al. 1992; Clark et al. 1994), successivamente la temperatura di denaturazione del frammento di DNA amplificato risulterà essere strettamente dipendente dalla sua sequenza nucleotidica.

La metodica presenta numerose applicazioni come la ricerca di mutazioni, la genotipizzazione di Single Nucleotide Polymorphisms (SNPs), la ricerca della perdita di eterozigosità, l’analisi di metilazione del DNA e la caratterizzazione degli aplotipi. L’aggiunta di fluorofori (EvaGreen) che si legano specificamente alla doppia elica del DNA senza compromettere la PCR, fa sì che si possano seguire ed analizzare le proprietà di melting di un prodotto di PCR subito dopo l’amplificazione (Wittwer et al. 1997). All’aumentare della temperatura si osserva un decremento della fluorescenza che riflette la denaturazione del DNA.

Per poter misurare il decremento della fluorescenza si deve arrivare alla temperatura di Melting (Tm) ovvero la temperatura per la quale il 50% del DNA si trova in forma denaturata. Ogni differente amplificato avrà quindi una diversa temperatura ed un diverso profilo a seconda del numero di coppie CG nel doppio filamento (Wojdacz et al. 2008). Difatti la sequenza metilata conterrà una quantità più alta di coppie CG ed avrà quindi una Tm più alta rispetto alla sequenza corrispondente non metilata che avrà invece una più alta presenza di coppie AT.

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Le proprietà di melting dei prodotti di PCR sono analizzate innalzando lentamente e continuamente la temperatura ed acquisendo in contemporanea la fluorescenza (Figura 6).

Figura 6: curva di melting. La curva mostra una diminuzione della fluorescenza con l’aumentare della temperatura via via che il fluoroforo è rilasciato dal DNA a doppia elica.. Tm (temperatura di melting)

indica la temperatura alla quale il 50% del DNA si trova in forma denaturata.

Per l’applicazione di questa metodica un passaggio fondamentale è rappresentato dal disegno dei primers. In certi casi si può verificare un’amplificazione asimmetrica dei segmenti dovuta alla tendenza del frammento non metilato di amplificarsi più velocemente creando così una sovrastima dei livelli di metilazione (Wojdacz et al. 2008). Questo può essere risolto introducendo almeno un’unità CpG nei primers. Importanti sono però le caratteristiche di base dei primers: le temperature di annealing sia del forward che del reverse non devono discostarsi di oltre 1°C e la lunghezza del segmento da amplificare non deve essere più grande di 200 bp (Wojdacz et al. 2008).

Il primo passaggio prevede un aumento della temperatura fino a 95°C, favorendo la denaturazione della doppia elica del DNA. Seguono circa 60 cicli di tre step: 5-30s a 95°C, 5-30s alla specifica temperatura di annealing dei primers e 5-45s a 72°C.

In seguito alla PCR si esegue l’acquisizione in high resolution melting. Si porta la temperatura a 95°C per circa 1 minuto in modo da denaturare tutto il DNA amplificato, successivamente la temperatura viene abbassata a 50-70°C per permettere ai prodotti di PCR di ibridare. A questo punto viene incrementata la temperatura per

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l’acquisizione del melting; inizialmente è preferibile impostare un incremento da 70°C a 95°C; il range di temperatura potrà poi essere aggiustato per migliorare l’acquisizione dei dati (Wojdacz et al. 2008).

I dati HRM acquisiti verranno analizzati successivamente da uno specifico software. Sono stati sviluppati infatti algoritmi in grado di analizzare i dati ottenuti con la high resolution melting che permettono di normalizzare le differenze in fluorescenza dei diversi campioni. Le curve di melting che si vengono ad ottenere stimano la proporzione delle sequenze metilate e non metilate e il grado di metilazione sconosciuto di un campione può essere dedotto dal confronto con un profilo di metilazione noto (Figura 7).

I risultati verranno poi interpolati e questa operazione ci permette di valutare precisamente la percentuale di metilazione dei campioni presi in esame.

Figura 7: curve di melting di DNA standard con percentuale di metilazione nota (0%, 12.5%, 25%, 50%, 75% e 100%) e di campioni con profilo di metilazione sconosciuto. La percentuale di metilazione dei

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2. SCOPO DELLA TESI

Lo scopo di questa tesi è stato di valutare i profili di metilazione del gene MTHFR in placche aterosclerotiche di pazienti sottoposti a endoarteriectomia carotidea, e di confrontarli con i profili di metilazione in leucociti da sangue circolante, per esplorare la possibilità di usare la metilazione gene-specifica come marcatore epigenetico periferico di patologia cardiovascolare.

Il gene MTHFR è coinvolto nella via metabolica dei folati e dell’omocisteina, via metabolica importante per la metilazione del DNA, e molti studi epidemiologici hanno evidenziato l’associazione tra alti livelli sierici di omocisteina e rischio di CVD. Pertanto i profili di metilazione sono stati correlati con una serie di fattori di rischio, sia genetici (polimorfismo MTHFR C677T), sia ambientali, quali i livelli di omocisteina, il genere, l’abitudine al fumo.

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3. MATERIALI E METODI

3.1. Popolazione oggetto dello studio

Per il nostro lavoro di ricerca l’analisi di metilazione del gene MTHFR è stata effettuata su campioni di placche aterosclerotiche carotidee e su leucociti di sangue periferico di 47 pazienti sottoposti ad endoarteriectomia carotidea. I livelli di metilazione dei leucociti di sangue periferico dei pazienti sono stati confrontati con quelli di 58 soggetti sani (Tabella 1).

In entrambi i gruppi è stata eseguita l’analisi del polimorfismo MTHFR C677T.

Sia per i pazienti che per i controlli sono noti i livelli ematici di omocisteina, mentre per il gruppo dei pazienti sono state fornite informazioni riguardanti l’abitudine al fumo. I pazienti sono stati reclutati presso il DAI Cardio Toracico Vascolare dell’ Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana (AOUP) mentre i controlli sono stati reclutati presso il DAI di Neurologia dell’AOUP.

Lo studio è stato effettuato in accordo con la Dichiarazione di Helsinki e per ogni soggetto è stato raccolto un consenso informato.

Analisi di metilazione P-value Pazienti (N= 47) Controlli (N= 58) Età media (media ± dv) 72.47.7 74.78.5 0.16 Genere Femmine Maschi 11 (23%) 36 (77%) 19 (33%) 39 (67%) 0.29 Hcy media (media ± ds) 16,9±7,9 14,3±7,8 0.04 Abitudine al fumo Fumatori Ex fumatori Non fumatori 12 (25,5%) 20 (42,5%) 15 (32%) N.D. ---

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