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La base di Bernstein in spazi polinomiali generalizzati

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Academic year: 2021

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Alma Mater Studiorum

· Universit`

a di

Bologna

SCUOLA DI SCIENZE Corso di Laurea in Matematica

La base di Bernstein in

spazi polinomiali generalizzati

Relatore:

Chiar.mo Prof.

Giulio Casciola

Presentata da:

Giulia Sacchi

II Sessione

Anno Accademico 2013/2014

(2)
(3)

Introduzione

La densit`a dell’insieme delle funzioni polinomiali in quello delle funzioni continue (teorema di Weierstrass) ci dice che possiamo utilizzare le prime per approssimare le seconde. Alcuni vantaggi di questa scelta sono il fatto che, a differenza di altre funzioni, per i polinomi e le loro derivate e primitive, si ha una rappresentazione semplice ed efficace attraverso i loro coefficienti, nonch´e l’esistenza di algoritmi rapidi e stabili per la valutazione. Inoltre, gli spazi polinomiali Pn dei polinomi

di grado minore o uguale a n ∈ N godono di importanti propriet`a, come ad esem-pio il limite superiore al numero di zeri dei loro elementi, che vedremo meglio in seguito.

Perch´e allora spostarsi su altri spazi funzionali? Per un discorso di precisione. Quella che si ottiene con i polinomi `e molte volte solo un’approssimazione, che pu`o essere sufficiente se il risultato `e fine a s`e stesso, ma inadeguata nel momento in cui il grafico ottenuto deve essere il punto di partenza per un nuovo studio. Curve classiche come archi di circonferenza, cicloidi, eliche, ecc., sono molto uti-lizzate, ad esempio, in ambito ingegneristico, dove sono la base di progetti edili o quant’altro. Ecco dunque la necessit`a di scegliere spazi di lavoro che contengano le parametrizzazioni delle curve menzionate, e in generale di curve non polino-miali, per ottenere rappresentazioni esatte.

Questo `e possibile grazie alla maggiore potenza degli odierni calcolatori, che pos-sono computare con la stessa efficienza anche cose pi`u complesse dei calcoli ne-cessari per utilizzare unicamente polinomi.

Tuttavia la sola potenza di calcolo non basta: un altro requisito fondamentale `e il buon condizionamento dei problemi da trattare. Esso garantisce risultati attendibili, in cui gli inevitabili errori di arrotondamento dovuti alla discretiz-zazione del continuo dei numeri reali in aritmetica finita rimangono contenuti e non hanno un’influenza significativa. Negli spazi Pn`e la base di rappresentazione

di Bernstein a fornire quanto detto. Dallo studio degli spazi non polinomiali `e emerso che anche questi ultimi, sotto opportune ipotesi, ammettono una base di rappresentazione numericamente ottima [3].

In questa tesi verranno inizialmente date le definizioni e alcune prime pro-priet`a della base di Bernstein e delle curve di B´ezier negli spazi polinomiali. Nel secondo capitolo si passer`a all’introduzione di spazi polinomiali generalizzati, gli spazi di Chebyshev estesi (spazi EC), e verr`a dato un metodo per costruirli a partire da opportuni sistemi di funzioni dette funzioni peso.

Il problema dell’esistenza di un analogo della base di Bernstein negli spazi di Chebyshev estesi sar`a trattato nel terzo capitolo: dal legame tra la base di

(4)

stein polinomiale e le funzioni soluzione di particolari problemi di interpolazione alla Hermite, le funzioni di transizione, si dedurr`a per analogia un metodo per costruire la base di Bernstein generalizzata agli spazi EC.

Infine, nel quarto capitolo, verr`a studiato il problema delle lunghezze critiche di uno spazio EC: si tratta di determinare l’ampiezza dell’intervallo oltre la quale lo spazio considerato perde le propriet`a di uno spazio EC, o non possiede pi`u una base di Bernstein generalizzata; l’approccio adottato `e di tipo sperimentale: sa-ranno presentati i risultati ottenuti attraverso algoritmi di ricerca che analizzano le propriet`a delle funzioni di transizione e ne traggono informazioni sullo spazio di studio.

(5)

Indice

Introduzione 3

1 Nozioni preliminari 7

1.1 La base di Bernstein per gli spazi Pn . . . 7

1.2 Le curve di B´ezier . . . 9

2 Spazi polinomiali generalizzati 11 2.1 Spazi di Chebyshev estesi e funzioni peso . . . 12

2.2 Derivate generalizzate . . . 14

3 Base di Bernstein generalizzata 17 3.1 Il concetto di B-base e alcune propriet`a . . . 17

3.2 Funzioni di transizione e base di Bernstein . . . 22

3.3 Ottenere informazioni dalle funzioni di transizione . . . 28

4 Lunghezza critica ed esempi 31 4.1 Un approccio sperimentale . . . 32

4.1.1 Spazi polinomiali . . . 32

4.1.2 Gli spazi misti trigonometrici-polinomiali Γn . . . 33

4.1.3 Gli spazi iperbolici di dimensione 3 e 4 . . . 33

4.1.4 Spazi misti iperbolici-trigonometrici . . . 37

4.2 Esempi di curve di B´ezier su Γ3 . . . 41

4.2.1 La cicloide come curva di B´ezier nel piano . . . 43

4.2.2 L’elica come curva di B´ezier nello spazio . . . 45

Lista delle figure 47

Bibliografia 49

(6)
(7)

Capitolo 1

Nozioni preliminari

1.1

La base di Bernstein per gli spazi P

n

La base di Bernstein per gli spazi Pn, con n ∈ N, `e famosa per le sue propriet`a,

che la rendono una base ottimale per il calcolo numerico [3] e per il disegno al calcolatore [4]. `E definita come segue:

B = (B0,n, . . . , Bn,n), con Bi,n(t) = n i  (1 − t)n−iti, t ∈ [0, 1], i = 0, . . . , n, (1.1) e si pu`o facilmente trasportare in un intervallo generico [a,b] chiuso e limitato attraverso una riparametrizzazione. In questa trattazione, salvo diversamente in-dicato, la base di Bernstein sar`a considerata su [0,1].

Alcune propriet`a:

(i) Totale positivit`a. La base B `e totalmente positiva, cio`e presa una qua-lunque (n + 1)-upla ordinata di punti 0 ≤ t0 < t1 < . . . < tn≤ 1, la matrice

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 B0,2 B1,2 B2,2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 B5,5 B 0,5 B1,5 B2,5 B3,5 B 4,5

Figura 1.1: Grafici della base di Bernstein di P2 e P5.

(8)

di collocazione,    B0,n(t0) . . . Bn,n(t0) .. . . .. ... B0,n(tn) . . . Bn,n(tn)   

ha tutti i minori non negativi.

In particolare, Bi,n(t) ≥ 0 per ogni t ∈ [0, 1], per ogni i = 0, . . . , n.

Inoltre Bi,n(t) > 0 per ogni t ∈]0, 1[, per ogni i = 0, . . . , n.

(ii) Partizione dell’unit`a. Per B vale:

n

X

i=0

Bi,n(t) = 1 ∀t ∈ [0, 1].

Si dice anche che la base di Bernstein `e normalizzata. Questa propriet`a si verifica notando che i polinomi di base sono le componenti dell’espansione binomiale di [(1 − t) + t]n.

(iii) Valori agli estremi. Per un polinomio scritto in base di Bernstein p(t) = n X i=0 ciBi,n(t), vale p(0) = c0 e p(1) = cn.

(iv) Diminuzione della variazione. Da (i) e (ii) deriva la propriet`a di dimi-nuzione della variazione, cio`e per un polinomio scritto in base di Bernstein il numero di radici in ]0, 1[ non supera il numero delle variazioni di segno dei suoi coefficienti.

(v) Ricorsivit`a. La base di grado n pu`o essere generata dalla base di grado n − 1 secondo la formula ricorsiva:

Bi,n(t) = tBi−1,n−1(t) + (1 − t)Bi,n−1(t) i = 0, . . . , n, (1.2)

dove Bi,n ≡ 0 se i < 0 o i > n, e B0,0 ≡ 1. Questa formula fornisce un

algoritmo efficiente e stabile per la valutazione dei polinomi di base. Un altro importante algoritmo, che riguarda la valutazione di un polinomio scritto in base di Bernstein `e l’algoritmo di de Casteljau.

(vi) Espressione della derivata. Per gli elementi della base di Bernstein vale: Bi,n′ (t) = n(Bi−1,n−1(t) − Bi,n−1(t)), t ∈ [0, 1]; (1.3)

Allora per la derivata di un polinomio scritto in base di Bernstein vale: p′(t) = n

n−1

X

i=0

(ci+1− ci)Bi,n−1(t), (1.4)

e quindi, dalla condizione (iii) si ha: p′(0) = n(c

(9)

1.2 Le curve di B´ezier 9 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 2 4 6 8 10 12

Numero di condizione del polinomio

C

P(p(t))

C

B(p(t))

Figura 1.2: Numeri di condizione per la valutazione del polinomio 1−t+t2−. . .+

t10 in base monomiale (C

P(p(t))) e in base di Bernstein (CB(p(t))) a confronto.

(vii) Condizionamento ottimale. Il numero di condizione per la valutazione di un polinomio scritto in una base Φ:

p(t) = n X i=0 ciΦi(t), `e dato da: CΦ(p(t)) := n X i=0 |ciΦi(t)|.

Il numero di condizione per la valutazione di un polinomio scritto in base di Bernstein `e sempre minore del numero di condizione per la valutazione dello stesso polinomio scritto in una qualsiasi altra base ottenuta come combinazione lineare non negativa degli elementi della base di Bernstein, come la base monomiale. In figura (1.2) sono riportati come esempio i numeri di condizione per la valutazione di un polinomio di grado 10.

1.2

Le curve di B´

ezier

Una curva di B´ezier `e una curva piana (o nello spazio R3) della forma:

r(t) =

n

X

i=0

piBi,n(t) (1.5)

dove pi ∈ R2 (rispettivamente R3) per ogni i, e sono detti punti di controllo. La

poligonale individuata da p0, . . . , pnnell’ordine `e detta poligonale di controllo. La

definizione si pu`o dare anche in Rm con m > 3.

Le curve di B´ezier ereditano dalle propriet`a della base di Bernstein alcune importanti caratteristiche:

(10)

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1

Figura 1.3: Esempi di curve piane di B´ezier (a destra), in cui un punto di con-trollo `e stato spostato, e relative basi di Bernstein (a sinistra) in P3 (sopra) e P6

(sotto).

1. Dalla non negativit`a e dalla partizione dell’unit`a deriva il confinamento di r(t) dentro la chiusura convessa della poligonale di controllo.

2. Dalla propriet`a di diminuzione della variazione si ha che, data una retta quasiasi in R2(rispettivamente un piano in R3), il numero di intersezioni che

questa ha con la curva `e sempre minore o uguale al numero di intersezioni che ha con la poligonale di controllo.

3. Dalle condizioni al bordo si ottiene che r(0) = p0 e r(1) = pn, inoltre r(t) `e

(11)

Capitolo 2

Spazi polinomiali generalizzati

In questo capitolo presentiamo una generalizzazione degli spazi polinomiali: gli spazi di Chebyshev estesi, o spazi EC. Si tratta di spazi vettoriali funzionali costruiti in modo che vengano rispettate tre propriet`a fondamentali degli spazi polinomiali [9]:

ˆ I polinomi di grado n, elementi dello spazio (n+1)-dimensionale Pn, hanno al

piu n radici reali (contate con molteplicit`a). Vorremo allora che gli elementi di uno spazio di Chebyshev esteso di dimensione n + 1, sia E, abbiano al pi`u n zeri nell’intervallo di definizione I (che in generale non sar`a tutto R, ma un suo intervallo chiuso e limitato).

ˆ Per ogni n ∈ N abbiamo una catena di inclusioni strette di spazi polinomiali:

Pn⊃ Pn−1 ⊃ . . . ⊃ P1 ⊃ P0.

Analogamente chiederemo che dato uno spazio di Chebyshev esteso di dim n + 1, sia En, esistano spazi (sempre di Chebyshev estesi) Ei per i =

0, 1, . . . , n − 1, tali che

En⊃ En−1 ⊃ . . . ⊃ E1 ⊃ E0.

Questa propriet`a `e necessaria, ad esempio, per generalizzare il concetto di differenze divise e quindi l’interpolazione di Newton.

ˆ Infine, indicato con D l’operatore di derivazione classico si ha che

DPn = Pn−1, n ≥ 1,

cio`e la classe degli spazi polinomiali `e chiusa rispetto alla derivazione usua-le, ovvero lo spazio ottenuto dalla derivazione di uno spazio polinomiale di dimensione n + 1 `e ancora polinomiale, di dimensione n. Queste due pro-priet`a non sono in generale verificate dagli spazi di Chebyshev estesi. Al fine di riottenerle definiremo in seguito nuovi operatori di derivazione. Ca-si particolarmente interessanti, sui quali ci focalizzeremo, Ca-si hanno quando alcune di queste derivate generalizzate coincidono con la derivazione usuale.

(12)

2.1

Spazi di Chebyshev estesi e funzioni peso

Definizione 2.1 (Spazio di Chebyshev esteso). Dato un intervallo reale chiu-so e limitato I, sia E ⊂ Cn(I) uno spazio vettoriale di dimensione n + 1. Tale E

`e uno spazio di Chebyshev esteso (o spazio EC ) su I se ogni funzione f ∈ E non identicamente nulla ha al pi`u n zeri su I, contati con molteplicit`a; equivalente-mente questa condizione si esprime dicendo che ogni problema di interpolazione alla Hermite su n + 1 punti in I ammette un’unica soluzione in E.

Osservazione 1. La classe di tutti gli spazi EC su un dato intervallo I `e chiusa rispetto a integrazione e moltiplicazione per funzioni regolari positive.

Dimostrazione. Basta notare che se una funzione ha n zeri (contati con molte-plicit`a), la funzione integrale associata ne ha al pi`u n + 1. Se invece si moltiplica per una funzione regolare (almeno Cn perch´e uno spazio EC `e contenuto in Cn

per definizione) positiva non si aumenta il numero degli zeri.

Osservazione 2. La classe di tutti gli spazi EC su un dato intervallo I non `e chiusa rispetto alla derivazione usuale.

Esempio. T1 = span{1, sin(t), cos(t)} `e spazio EC su [a, b] se e solo se

b − a < 2π; infatti, se per esempio b − a ≥ 2π, sin(t) si annulla almeno tre volte, non solo due. Se si considera lo spazio DT1 = span{sin(t), cos(t)} si ha che

questo `e spazio EC solo per b − a < π, infatti se b − a = π, sin(t) ha due zeri nell’intervallo, anzich´e uno solo.

Si dimostra che, lavorando su un intervallo chiuso e limitato, la propriet`a relativa alle catene di spazi `e verificata [9].

Per ottenere invece la chiusura della classe degli spazi EC rispetto alla deri-vazione procediamo nel seguente modo.

Definizione 2.2. Un sistema di funzioni peso (ω0, . . . , ωn) su I `e una (n+1)-upla

di funzioni strettamente positive su I t.c. ωi ∈ Cn−i(I), per ogni i = 0, . . . , n.

Definizione 2.3. Dato un sistema di funzioni peso (ω0, . . . , ωn) su I , si dicono

monomi generalizzati le funzioni definite come:

U0(t) : = ω0(t), Ui(t) : = ω0(t) Z t a ω1(ξ1) Z ξ1 a ω2(ξ2) . . . Z ξi−1 a ωi(ξi)dξi. . . dξ1, i = 1, . . . , n, (2.1) dove a `e un punto generico di I.

Osservazione 3. Ui ∈ Cn(I) per ogni i = 0, . . . , n.

Proposizione 2.1. Lo spazio En = span(U0, . . . , Un) `e uno spazio vettoriale di

(13)

2.1 Spazi di Chebyshev estesi e funzioni peso 13 Dimostrazione. Per semplicit`a consideriamo I = [0, 1] e a = 0. Sotto queste ipotesi tutte le Ui sono non negative.

ˆOgni Ui ha esattamente uno zero, di molteplicit`a i in 0. Infatti: U0(t) = ω0(t) >

0 per ogni t ∈ I : Fissiamo i ∈ 1, . . . , n; Ui(t) = ω0(t) Z t 0 ω1(ξ1) Z ξ1 0 ω2(ξ2) . . . Z ξi−1 0 ωi(ξi)dξi. . . dξ1;

Ui(t) = 0 se t = 0, ed essendo crescente in I, non ammette altri zeri. Dimostriamo

ora che Ui(j)(0) = 0 per j = 1, . . . , i − 1 e U (i) i (0) 6= 0. Per j = 1: U′ i(t) = ω′ 0(t) ω0(t) Ui(t) + ω0(t)ω1(t) Z t 0 ω2(ξ2) . . . Z ξi−1 0 ωi(ξi)dξi. . . dξ2

si verifica facilmente che U′

i(0) = 0. Per j = 2: U′′ i (t) = d dt  ω′ 0(t) ω0(t)  Ui(t) + ω′ 0(t) ω0(t) U′ i(t) + . . . . . . + d dt(ω0(t)ω1(t)) Z t 0 ω2(ξ2) . . . Z ξi−1 0 ωi(ξi)dξi. . . dξ2+ . . . . . . + ω0(t)ω1(t)ω2(y) Z t 0 ω3(ξ3) . . . Z ξi−1 0 ωi(ξi)dξi. . . dξ3

e anche in questo caso U′′

i (0) = 0. Procedendo con le derivate successive si ottiene

che Ui(j)(0) = 0 per j = 1, . . . , i − 1.

Consideriamo ora j = i: calcolando le derivate si dimostra che Ui(i)(t) = a1(t) Z t 0 ω1(ξ1) . . . Z ξi−1 0 ωi(ξi)dξi. . . dξ1+ + a2(t) Z t 0 ω2(ξ2) . . . Z ξi−1 0 ωi(ξi)dξi. . . dξ2+ . . . . . . + ai−1(t) Z t 0 ωi−1(ξi−1) Z ξi−1 0 ωi(ξi)dξidξi−1+ ω0(t) . . . ωi(t),

dove a1(t), . . . , ai−1(t) sono combinazioni lineari delle derivate delle funzioni peso.

Indipendentemente dal valore assunto dalle aj in 0, si ha

Ui(i)(0) = ω0(0) . . . ωi(0) > 0,

allora ogni Ui ha esattamente i radici, tutte situate nel punto 0, e quindi, se

U0, . . . , Un `e base, `e proprio la base canonica.

ˆLe Ui sono linearmente indipendenti. Infatti mostriamo che, affinch´e una

qual-siasi combinazione lineare a coefficienti c0, . . . , cn∈ R,

f (t) =

n

X

i=0

(14)

sia la funzione identicamente nulla, tutti i ci devono essere nulli. Valutiamo f e

le sue derivate successive in 0: 0 = f (0) = n X i=0 ciUi(0) = c0U0(0) ⇒ c0 = 0 0 = f′(0) = n X i=1 ciUi′(0) = c1U1′(0) ⇒ c1 = 0 · · · 0 = f(n)(0) = n X i=n ciUi(n)(0) = cnUn(n)(0) ⇒ cn= 0

e quindi tutti i coefficienti sono nulli.

Vedremo nella prossima sezione che En= span(U0, . . . , Un) `e spazio EC.

2.2

Derivate generalizzate

Fissato un sistema di funzioni peso (ω0, . . . , ωn) le derivate generalizzate associate

a tale sistema sono definite come segue: L0f := f ω0 , Lif := DLi−1f ωi , i = 1, . . . , n.

Per ogni i = 0, . . . , n, Li `e un operatore differenziale lineare di ordine i. Ora,

poich´e la classe degli spazi EC `e chiusa rispetto a integrazione e prodotto per funzioni positive, l’insieme

EC(ω0, . . . , ωn) := {f ∈ Cn(I, R) t.c. Lnf `e costante su I}

`e uno spazio di Chebyshev generalizzato di dimensione n + 1 su I. Proposizione 2.2. Per ogni sistema di funzioni peso (ω0, . . . , ωn)

EC(ω0, . . . , ωn) = span(U0, . . . , Un),

dove le Ui sono definite come in (2.1).

Dimostrazione. Poich´e entrambi gli spazi considerati hanno dimensione n + 1 sar`a sufficiente mostrare che ogni funzione f ∈ EC(ω0, . . . , ωn) si scrive come

combinazione lineare dei monomi generalizzati Ui con coefficienti univocamente

determinati dalla f stessa.

Per definizione, se f ∈ EC(ω0, . . . , ωn) si ha:

Lnf = αn costante.

Ora,

Lnf :=

DLn−1f

(15)

2.2 Derivate generalizzate 15 quindi

DLn−1f = αnωn.

Applicando il teorema fondamentale del calcolo integrale, scelto a in I, Ln−1f (t) = αn−1+ αn

Z t

a

ωn(ξn)dξn, con αn−1 = Ln−1f (a).

A questo punto cosideriamo l’(n−1)-esimo operatore di derivazione generalizzato: Ln−1f = DLn−2f ωn−1 . Abbiamo: DLn−2f = ωn−1Ln−1f = αn−1ωn−1+ αnωn−1 Z t a ωn(ξn)dξn,

come prima applichiamo il teorema fondamentale del calcolo integrale: Ln−2f (t) = αn−2+ αn−1 Z t a ωn−1(ξn−1)dξn−1+ ... . . . + αn Z t a ωn−1(ξn−1) Z ξn−1 a ωn(ξn)dξndξn−1,

dove abbiamo posto αn−2 = Ln−2f (a).

Procedendo analogamente per moltiplicazioni e integrazioni successive e po-nendo αi = Lif (a), per i = n − 3, . . . , 0, si ottiene:

f (t) = α0ω0(t) + α1ω0(t) Z t 0 ω1(ξ1)dξ1+ . . . . . . + αnω0(t) Z t a ω1(ξ1) Z ξ1 a ω2(ξ2) . . . Z ξn−1 a ωn(ξn)dξn. . . dξ1 = = n X i=0 αiUi(t).

Allora poich´e ogni f ∈ EC(ω0, . . . , ωn) si scrive in modo univoco come

combina-zione lineare degli elementi di una base di span(U0, . . . , Un), gli spazi EC(ω0, . . . , ωn)

e span(U0, . . . , Un) coincidono.

Osservazione 4. En= span(U0, . . . , Un) `e spazio EC (perch´e lo `e EC(ω0, . . . , ωn)).

Osservazione 5. `E chiaro che con questa definizione di derivazione si ha LiEC(ω0, . . . , ωn) = EC(ωi, . . . , ωn).

Osservazione 6. Si riconosce facilmente che, se (ω0, . . . , ωn) = (1, . . . , 1), dove 1

`e la funzione costante 1, gli operatori di derivazione generalizzati non sono altro che la derivazione classica e

EC(1, . . . , 1 | {z }

n+1

) = Pn.

(16)

Infine si dimostra che per ogni spazio EC di dimensione n + 1 E esiste un sistema di funzioni peso (ω0, . . . , ωn) tale che E = EC(ω0, . . . , ωn) [8].

(17)

Capitolo 3

Base di Bernstein generalizzata

3.1

Il concetto di B-base e alcune propriet`

a

Ora che abbiamo un metodo per costruire spazi polinomiali generalizzati `e utile chiedersi se questi ammettono basi “privilegiate” dal punto di vista numerico e del design, e sotto quali condizioni.

In questa sezione consideriamo uno spazio funzionale U (n + 1)-dimensionale qualunque, su un intervallo reale chiuso e limitato I = [a, b].

Definizione 3.1. Una base totalmente positiva di U, sia (u0, . . . , un), `e detta

B-base se per ogni i, j = 0, . . . , n, i 6= j vale: inf t∈I uj(t)6=0 ui(t) uj(t) = 0.

Definizione 3.2. Una base (u0, . . . , un) di U `e normalizzata quando: n

X

i=0

ui(t) = 1, ∀t ∈ I.

Osservazione 7. La base di Bernstein per Pn su [0, 1] `e B-base normalizzata (vale

anche se si considera Pn su un intervallo [a, b] qualsiasi).

Dimostrazione. `E una semplice verifica. Come gi`a detto nel capitolo 1, la base di Bernstein `e totalmente positiva e normalizzata. Inoltre si ha che, presi i, j arbitrari in {0, . . . , n}, con i 6= j: inf t∈[0,1] Bj,n(t)6=0 Bi,n(t) Bj,n(t) = inf t∈]0,1[ n i  (1 − t)n−iti n j  (1 − t)n−jtj = (se i < j) = n i  n j  lim t→1− (1 − t)j−i tj−i = 0; (se i > j) = n i  n j  lim t→0+ ti−j (1 − t)i−j = 0. 17

(18)

Si noti che per le B-basi normalizzate valgono le propriet`a (i), (ii) e analogo di (iv) della base di Bernstein enunciate nel capitolo 1. Quindi possiamo pensare alle B-basi normalizzate come ad una generalizazione della base di Bernstein in spazi non polinomiali.

Sulle B-basi sono stati dimostrati i seguenti risultati [7]: Proposizione 3.1. (Esistenza di una B-base)

Se uno spazio vettoriale funzionale ammette una base totalmente positiva (ri-spettivamente totalmente positiva e normalizzata) allora ammette una B-base (rispettivamente una B-base normalizzata).

Proposizione 3.2. (Unicit`a della B-base normalizzata)

Sia (u0, . . . , un) una B-base di U. Ogni altra B-base di U `e della forma (a0u0, . . . , anun),

con ai > 0 per ogni i = 0, . . . , n.

Se (u0, . . . , un) `e normalizzata allora (a0u0, . . . , anun) `e normalizzata se e solo se

ai = 1 per ogni i = 0, . . . , n; cio`e la B-base normalizzata se esiste `e unica.

Proposizione 3.3. Sia U uno spazio vettoriale (n + 1)-dimensionale di funzioni definite su [a, b] e di classe Cn su [a, b]. Se (u

0, . . . , un) `e un sistema di funzioni

di U tali che, per ogni i = 0, . . . , n:

u(j)i (a) = 0, j = 0, . . . , i − 1, (3.1)

u(i)i (a) 6= 0, (3.2)

oppure

u(j)i (b) = 0, j = 0, . . . , n − i − 1, (3.3)

u(n−i)i (b) 6= 0, (3.4)

allora (u0, . . . , un) `e una base di U.

Dimostrazione. (u0, . . . , un) `e un sistema di n + 1 vettori, quindi per provare che

`e una base baster`a mostrare che sono linearmente indipendenti. Poniamo allora:

n

X

i=0

ciui ≡ 0

e vediamo che, affinch´e l’uguaglianza sia verificata, tutti i coefficienti ci devono

essere nulli.

Supponiamo valgano le prime due condizioni in ipotesi. Valutiamo in a: 0 =

n

X

i=0

ciui(a) = c0u0(a).

Poich´e u0(a) 6= 0 per ipotesi, c0 = 0.

Derivando l’identit`a iniziale,

n

X

i=1

(19)

3.1 Il concetto di B-base e alcune propriet`a 19 e valutando nuovamente in a si ottiene:

0 = n X i=1 ciu′i(a) = c1u ′ 1(a);

come prima si conclude che c1 = 0. Iterando il ragionamento per le derivate

successive si ricava che ci = 0 per ogni i = 2, . . . , n, da cui la tesi.

Nel caso valgano le condizioni su b la dimostrazione `e analoga. Teorema 3.1. (Condizioni sufficienti per avere una B-base)

Sia U uno spazio vettoriale (n + 1)-dimensionale di funzioni definite su [a, b] e di classe Cn su [a, b]. Se (u

0, . . . , un) `e un sistema di funzioni di U tali che, per

ogni i = 0, . . . , n: u(j)i (a) = 0, j = 0, . . . , i − 1, (3.5) u(i)i (a) > 0, (3.6) u(j)i (b) = 0, j = 0, . . . , n − i − 1, (3.7) u(n−i)i (b) 6= 0, (3.8) allora:

(i) Se U ammette una base totalmente positiva allora (u0, . . . , un) `e B-base di

U.

(ii) Se U ammette una base totalmente positiva e normalizzata allora esistono α0, . . . , αn> 0 tali che (α0u0, . . . , αnun) `e la B-base normalizzata di U.

Prima della dimostrazione enunciamo il seguente lemma:

Lemma 3.2. Per una base totalmente positiva (b0, . . . , bn) di uno spazio

funzio-nale U ⊂ Cn([a, b]) vale che, per ogni i, j = 0, . . . , n, i 6= j, la funzione

bi(t)

bj(t)

definita su {t ∈ [a, b]/bj(t) 6= 0} `e crescente se i > j e decrescente se i < j.

Dimostrazione. Per definizione di base totalmente positiva, ogni matrice di col-locazione:     b0(t0) b1(t0) . . . bn(t0) b0(t1) b1(t1) . . . bn(t1) . . . . b0(tn) b1(tn) . . . bn(tn)     (dove a ≤ t0 < . . . < tn≤ b),

ha tutti i minori non negativi.

Se i > j, considero i minori 2 × 2 relativi a bi e bj:

bj(tk1) bi(tk1) bj(tk2) bi(tk2) ≥ 0 con tk1 < tk2, bj(tk1), bj(tk2) 6= 0.

(20)

Allora bj(tk1)bi(tk2)−bj(tk2)bi(tk1) ≥ 0 bj(tk1)bi(tk2) ≥bj(tk2)bi(tk1) bi(tk1) bj(tk1) ≤bi(tk2) bj(tk2) . Poich´e tk1 e tk2 sono arbitrari,

bi(t)

bj(t) `e crescente.

Se i < j si procede analogamente. Dimostrazione. (del teorema 3.1).

(i). Innanzitutto si noti che per ogni funzione non nulla v ∈ U, i valori v(a), v′(a),

. . ., v(n)(a) non sono conteporaneamente nulli. Infatti, poich´e dalla proposizione

3.3 sappiamo che (u0, . . . , un) `e base di U, esistono coefficienti c0, . . . , cn tali che

v = c0u0+ c1u1+ . . . + cnun.

Se per assurdo v(a) = v′(a) = . . . = v(n)(a) = 0 si avrebbe:

0 =v(a) = c0u0(a) + . . . + cnun(a) = c0u0(a) ⇒ c0 = 0 ( perch´e u0(a) 6= 0),

0 =v′(a) = c1u′1(a) + . . . + cnun′ (a) = c1u′1(a) ⇒ c1 = 0 ( perch´e u′1(a) 6= 0),

. . .

0 =v(n)(a) = cnu(n)n (a) ⇒ cn = 0 ( perch´e u(n)n (a) 6= 0);

cio`e v sarebbe la funzione nulla.

Allora considerando il polinomio di Taylor di una tale funzione v ∈ U non nulla si deduce che v(t) 6= 0 in un intorno destro di a e in un intorno sinistro di b. In particolare, poich´e per ipotesi u(i)i (a) > 0 le ui sono strettamente positive in un

intorno destro di a.

Ora, dalla proposizione 3.1, siccome U ammette una base totalmente positiva, am-mette anche una B-base, sia (b0, . . . , bn). Questa, essendo a sua volta totalmente

positiva `e tale che, per ogni i 6= j (lemma precedente): 0 = inf t∈[a,b] bj(t)6=0 bi(t) bj(t) = ( limt→a+ bi(t) bj(t) se i > j limt→b− bi(t) bj(t) se i < j.

Si noti che questi limiti sono ben posti, infatti, per quanto osservato precedente-mente, i punti a e b sono punti di accumulazione per l’insieme {t ∈ [a, b] t.c. bj(t) 6=

0}.

Inoltre, dalla proposizione 3.3 (u0, . . . , un) `e base di U, quindi esisteranno

coeffi-cienti akj ∈ R, k, j = 0, . . . , n, tali che:

bj = n X k=0 akjuk e la matrice A = (akj)kj `e invertibile . Consideriamo allora bi bj. Se i > j (e quindi i > 0) 0 = lim t→a+ bi(t) bj(t) = lim t→a+ Pn k=0akiuk(t) Pn k=0akjuk(t) =

(21)

3.1 Il concetto di B-base e alcune propriet`a 21 ricordando che a `e zero di molteplicit`a k per uk

= lim

t→a+

a0iu0(t) + a1i(t − a) + . . . + ani(t − a)n

a0ju0(t) + a1j(t − a) + . . . + anj(t − a)n

.

Numeratore e denominatore sono limitati, inoltre u0(a) 6= 0; allora, affinch´e il

limite sia 0, deve necessariamente essere a0i = 0 (dove i `e arbitrario maggiore di

0).

Allora per i > j > 1 il limite precedente `e: = lim

t→a+

a1i(t − a) + . . . + ani(t − a)n

a1j(t − a) + . . . + anj(t − a)n

.

Come prima si deduce che a1i = 0 (dove i `e arbitrario maggiore di 1).

Iterando il ragionamento si ottiene che aki = 0 quando i > k, cio`e la matrice A

di cambio di base `e triangolare:     a00 a01 . . . a0n a10 a11 . . . a1n . . . . an0 an1 . . . ann    =     a00 0 . . . 0 a10 a11 . . . 0 . . . . an0 an1 . . . ann    .

Analogamente osservando che per i < j 0 = lim t→b− bi(t) bj(t) = lim t→b− Pn k=0akiuk(t) Pn k=0akjuk(t) = = lim t→b− a0i(t − b)n+ . . . + an−1i(t − b) + aniun(t) a0j(t − b)n+ . . . + an−1j(t − b) + anjun(t) , si ha che ajk= 0 quando j > k.

Allora A `e matrice diagonale e per ogni i: bi = aiiui.

Ora, ui(t) > 0 in un intorno destro di a e bi(t) > 0 in [a, b], allora aii > 0 per ogni

i, e quindi (u0, . . . , un) `e B-base di U dalla proposizione 3.2.

(ii). Se U ammette una base totalmente positiva e normalizzata, dalla proposizio-ne 3.1 ammette B-base normalizzata. Dal punto (i) sappiamo che (u0, . . . , un) `e

B-base di U, quindi dalla proposizione 3.2 esistono coefficienti positivi α0, . . . , αn

tali che (α0u0, . . . , αnun) `e B-base normalizzata di U.

Osservazione 8. Nel caso valga il punto (ii) del teorema 3.1, i coefficienti αi si

ricavano attraverso la condizione di normalizzazione:

n

X

i=0

αiui(t) = 1, (3.9)

e le condizioni agli estremi delle sue derivate successive:

k X i=0 αiu(k)i (a) = 0, k X i=0 αn−iu(k)n−i(b) = 0, k = 1, . . . , n. (3.10)

(22)

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 f 0,5 f 1,5 f4,5 f 5,5 f 3,5 f 2,5

Figura 3.1: Funzioni di transizione di P5.

3.2

Funzioni di transizione e base di Bernstein

In questa sezione `e presentato il legame tra la base di Bernstein polinomiale e le funzioni che furono inizialmente utilizzate nella definizione di curva di B´ezier, dette funzioni di transizione. In seguito, ricalcando la teoria del caso polinomiale, vengono definite le funzioni di transizione per uno spazio EC e si mostrano alcuni importanti risultati che le legano alla base di Bernstein generalizzata.

Nell’idea originale di Pierre Etienne B´ezier [2][10] veniva presentata una base (f0,n, . . . , fn,n) dello spazio Pn, definita per t ∈ [0, 1] dalle condizioni:

ˆ f0,n(t) = 1.

ˆ per ogni i = 1, . . . , n,

fi,n(j)(0) = 0 ∀j = 0, . . . , i − 1,

fi,n(1) = 1,

fi,n(j)(1) = 0 ∀j = 1, . . . , n − i.

Le fi,n sono dette funzioni di transizione e in base monomiale si scrivono come:

fi,n(t) = n X j=i (−1)j+in j j − 1 i − 1  tj. (3.11)

Osservazione 9. Si noti che, per definizione, ogni fi,n`e univocamente determinata

dalla risoluzione di un problema di interpolazione alla Hermite.

Osservazione 10. Il punto 0 `e radice di fi,n di molteplicit`a i per i = 0, . . . , n ed `e

l’unica radice di fi,n.

Proposizione 3.4. Indicate con Bi,n le funzioni della base di Bernstein e posta

fn+1,n la funzione nulla, vale:

(23)

3.2 Funzioni di transizione e base di Bernstein 23 Dimostrazione. Sia i ∈ 1, . . . , n, e sia

fi,n(t) = n

X

j=0

bjBj,n(t)

la i-esima funzione di transizione scritta in base di Bernstein. Dalle propriet`a agli estremi della base di Bernstein si ricava che:

b0 = fi,n(0) = 0 e bn= fi,n(1) = 1;

Considerando la derivata prima (formula (1.4)) f′ i,n(t) = n n−1 X j=0 (bj+1− bj)Bj,n−1(t)

e le condizioni agli estremi di fi,n si ha:

0 = fi,n′ (0) = n−1 X j=0 (bj+1− bj)Bj,n−1(0) = n(b1 − b0) ⇒ b1 = b0 = 0; 0 = f′ i,n(1) = n−1 X j=0 (bj+1− bj)Bj,n−1(1) = n(b1 − b0) ⇒ bn−1 = bn= 1;

inoltre dalla formula per la derivata h-esima per una funzione scritta in base di Bernstein (ottenuta applicando successivamente la (1.4)):

fi,n(h)(t) = n−h X j=0 n h  h X k=0 (−1)kh k  bj+h−k ! Bj,n−h (3.13)

e sfruttando le condizioni agli estremi delle derivate di fi,n si ricava che, :

bj = ( 0 se j = 1, . . . , i − 1 1 se j = i, . . . , n. E quindi fi,n(t) = n X j=i Bj,n(t). (3.14)

La tesi segue direttamente.

Osservazione 11. Dalla propriet`a di diminuzione della variazione, poich´e nessuna fi,n presenta cambi di segno nei propri coefficienti in base di Bernstein, esse non

si annullano in ]0, 1]. Inoltre, dalla derivata di (3.14), per i = 1, . . . , n − 1, si ottiene fi,n′ (t) = n n−1 X j=0 (bj+1− bj)Bj,n−1(t) = nBi,n−1(t) > 0 per t ∈]0, 1[,

e fn,n(t) = Bn,n(t), che `e strettamente crescente su [0,1]. Quindi le f1,n, . . . , fn,n

sono strettamente crescenti in [0,1] (e dunque strettamente positive su ]0,1]). Infine, dalla (3.12) si deduce che fi,n(t) > fi+1,n(t) per t ∈]0, 1[.

(24)

Si consideri ora uno spazio EC (n + 1)-dimensionale, sull’intervallo I = [a, b], sia E. Per definizione E `e uno spazio in cui ogni problema di interpolazione alla Hermite in n + 1 punti ha una e una sola soluzione. Questo significa che `e possibile definire le funzioni di transizione fi,n su E risolvendo gli n problemi di

interpolazione cos`ı posti:

si sceglie come f0,n una funzione di E strettamente positiva su [a, b] (si noti che

una tale funzione esiste, ad esempio pu`o essere una delle funzioni peso di E [8][9]), e per i = 1, . . . , n, fi,n`e determinata da:

(

fi,n(j)(a) = 0 ∀j = 0, . . . , i − 1,

fi,n(j)(b) = f0,n(j)(b) ∀j = 0, . . . , n − i. (3.15) In particolare, se E contiene funzioni costanti, si pone f0,n ≡ 1; pertanto le

funzioni di transizione saranno date da:      fi,n(j)(a) = 0 ∀j = 0, . . . , i − 1, fi,n(b) = 1, fi,n(j)(b) = 0 ∀j = 1, . . . , n − i. (3.16)

Osservazione 12. Per controllare se lo spazio E contiene costanti `e sufficiente, una volta trovata una qualsiasi base (v0, . . . , vn), vedere se l’equazione

n

X

i=0

civi(t) ≡ 1,

nelle incognite c0, . . . , cn ammette soluzione (in tal caso questa `e unica perch´e

(v0, . . . , vn) `e base).

In questa tesi ci concentreremo su spazi EC che contengono funzioni costanti. Analogamente al caso polinomiale, si pone fn+1,n la funzione identicamente

nulla (che appartiene ad E in quanto spazio vettoriale) e si definiscono, per i = 0, . . . , n:

ui,n(t) = fi,n(t) − fi+1,n(t). (3.17)

Osservazione 13. Si noti che, poich´e E `e spazio EC, se una delle ui,n ha pi`u

di n zeri in ]a, b[ `e necessariamente la funzione nulla. Allora due funzioni di transizione consecutive o sono tali che fi,n(t) − fi+1,n(t) 6= 0 per ogni t ∈]a, b[,

oppure coincidono.

Il conteggio degli zeri delle ui,n viene svolto pi`u nel dettaglio nella dimostrazione

della proposizione 3.5.

Per ora consideriamo il caso in cui le funzioni di transizione sono tutte distinte. A questo punto `e naturale chiedersi quali propriet`a ha il sistema (u0,n, . . . , un,n):

`e una base di E? Se s`ı, pu`o essere la B-base normalizzata? Sotto quali ipotesi? Proposizione 3.5. I sistemi (f0,n, . . . , fn,n) e (u0,n, . . . , un,n) sono basi per E.

(25)

3.2 Funzioni di transizione e base di Bernstein 25 Dimostrazione. Vogliamo applicare la proposizione 3.3. Verifichiamo allora che per ogni i vale:

u(j)i,n(a) = 0, j = 0, . . . , i − 1, u(i)i,n(a) 6= 0,

ne verr`a che il sistema (u0,n, . . . , un,n) `e base di E.

Consideriamo

ui,n(t) = fi,n(t) − fi+1,n(t).

ˆSe i = 0:

u0,n(a) = f0,n(a) − f1,n(a) = 1 6= 0,

ˆSe i = 1, . . . , n − 1:

u(j)i,n(a) = fi,n(j)(a) − fi+1,n(j) (a) = 0, se j = 0, . . . , i − 1,

Inoltre u(j)i,n(b) = fi,n(j)(b) − fi+1,n(j) (b) = 0, se j = 0, . . . , n − i − 1,. Quindi ui,n ha

un totale di i + (n − i) = n zeri in [a, b]. Allora, poich´e in quanto elemento non nullo di uno spazio EC di dimensione n + 1 non pu`o averne altri, u(i)i,n(a) 6= 0.

ˆSe i = n:

Come nei casi precedenti si dimostra che u(j)n,n(a) = 0, se j = 0, . . . , n − 1

u(n)n,n(a) 6= 0.

Allora (u0,n, . . . , un,n) `e base di E.

Infine, scrivendo le fi,n in funzione delle ui,n:

fi,n= n

X

j=i

uj,n, (3.18)

si vede subito che per ogni i = 0, . . . , n si ha:

fi,n=        1 0 0 · · · 0 1 1 0 · · · 0 .. . . .. ... ... 1 1 · · · 1 0 1 1 · · · 1 1             u0,n u1,n .. . un,n      .

Poich´e la matrice `e invertibile, anche (f0,n, . . . , fn,n) `e base di E.

Sugli spazi EC sono stati dimostrati due importanti teoremi di caratterizza-zione [9]:

Teorema 3.3. Sia E uno spazio vettoriale (n + 1)-dimensionale di funzioni definite su I = [a, b]. Sono equivalenti:

(i) E `e spazio EC su I;

(ii) per ogni c, d ∈ I, c < d, E ammette una B-base (B0, . . . , Bn) tale che, per

ogni i = 0, . . . , n, Bi si annulla esattamente i volte in c ed esattamente n−i

(26)

Teorema 3.4. Dato uno spazio EC E di dimensione n + 1 su I = [a, b], sono equivalenti:

(i) Per ogni c, d ∈ I, c < d, E ammette una B-base normalizzata su [c, d]; (ii) E contiene funzioni costanti (diverse dalla funzione identicamente nulla) e

lo spazio DE (n-dimensionale) `e uno spazio EC su I.

Ora, lo spazio E `e spazio EC, quindi in particolare ammette una B-base su I. Vediamo quando le funzioni ui,n, definite a partire dalle funzioni di transizione,

soddisfano le condizioni del teorema 3.1.

Osservazione 14. Si noti che, per ogni i = 0, . . . , n − 1, i grafici di fi,ne fi+1,n non

si intersecano in ]a, b[. Infatti, se esistesse t0 ∈]a, b[ tale che fi,n(t0) = fi+1,n(t0),

si avrebbe che la funzione ui,navrebbe il suo (n + 1)-esimo zero in t0, quindi non

sarebbe un elemento di E. Ma questo `e assurdo perch´e (u0,n, . . . , un,n) `e base

di E (proposizione 3.5). Quindi ciascuna delle ui,n o `e strettamente postiva o `e

strettamente negativa in ]a, b[.

Utilizzando le funzioni di transizione, ritroviamo un’implicazione del teorema 3.3 (in forma pi`u debole):

Proposizione 3.6. Uno spazio EC E su [a, b] di dimensione (n + 1) ammette come B-base il sistema (¯u0,n, . . . , ¯un,n), dove:

¯ ui,n=

(

ui,n se ui,n `e positiva,

−ui,n se ui,n `e negativa.

Dimostrazione. Dalla proposizione (3.5) sappiamo che (u0,n, . . . , un,n) `e base di

E, e, dalla relativa dimostrazione, sappiamo anche che per ogni i = 0, . . . , n vale: u(j)i,n(a) = 0, j = 0, . . . , i − 1, (3.19)

u(i)i,n(a) 6= 0, (3.20)

u(j)i,n(b) = 0, j = 0, . . . , n − i − 1, (3.21) quindi anche (¯u0,n, . . . , ¯un,n) `e base e verifica le condizioni appena citate. Vediamo

che per ogni i si ha anche

¯

u(i)i,n(a) > 0

¯

u(i)i,n(b) 6= 0.

ˆPer i = 0:

Poich´e per costruzione f0,n(a) > 0 e f1,n(a) = 0, dall’osservazione precedente deve

essere f0,n > f1,n su ]a, b[. Allora ¯u0,n= u0,n.

¯

(27)

3.2 Funzioni di transizione e base di Bernstein 27 ¯

u(n)0,n(b) = u(n)0,n(b) 6= 0

perch´e u0,n `e elemento di uno spazio EC di dimensione n + 1 e ha gi`a n zeri in

[a, b].

ˆPer i = 1, . . . , n − 1:

sappiamo gi`a che ¯u(i)i,n(a) 6= 0 e ¯u(j)i,n(a) = 0 per j = 0, . . . , i − 1. Osserviamo che, poich´e ¯ui,n(t) > 0 su ]a, b[ e ¯ui,n(a) = 0, a `e punto di minimo locale forte di ¯ui,n.

Allora necessariamente

¯

u(i)i,n(a) > 0,

perch´e se fosse strettamente negativa, dai risultati sugli estremanti relativi segui-rebbe che a `e punto di massimo locale forte per ¯ui,n.

Come prima, per quanto riguarda il punto b, poich´e ¯ui,n ha gi`a n zeri in [a, b],

¯

u(n−1)i,n (b) 6= 0 .

ˆPer i = n:

Si noti che, siccome fn,nsi annulla n volte in a per costruzione, essa `e strettamente

positiva su ]a, b]. Quindi un,n = fn,n > 0 su ]a, b] e ¯un,n = un,n. Ripetendo il

ragionamento precedente si dimostra che u(n)n,n(a) > 0

un,n(b) = fn,n(b) = 1 6= 0.

Allora dal punto (i) del teorema 3.1 segue che (¯u0,n, . . . , ¯un,n) `e B-base di E.

Osservazione 15. Se fi,n `e strettamente crescente su [a, b] per ogni i = 1, . . . , n,

allora fi(t) > fi+1(t) su ]a, b[ per ogni i = 1, . . . , n.

Dimostrazione. Per costruzione si ha che esistono un intorno destro di a, [a, a+ǫ[ e un intorno sinistro di b, ]b−δ, b] opportuni, su cui fi,nsi comporta rispettivamente

come xi e 1 − (−x)n−i. Poich´e le f

i,n sono in numero finito possiamo supporre

che tali intorni siano gli stessi per ogni i. Si ha che, per ogni i, fi(t) > fi+1(t)

per t ∈ [a, a + ǫ[ e per t ∈]b − δ, b], e siccome fi(t) 6= fi+1(t) su ]a, b[, allora

fi(t) > fi+1(t) su ]a, b[.

Proposizione 3.7. Se fi,n`e strettamente crescente su [a, b] per ogni i = 1, . . . , n,

allora (u0,n, . . . , un,n) `e B-base di E.

Dimostrazione. La dimostrazione segue direttamente dalla proposizione 3.6, ba-sta notare che dall’osservazione precedente si deduce che ui,n = ¯ui,n per ogni

i.

Osservazione 16. Siccome f0,n`e funzione costante (f0,n≡ 1) allora (u0,n, . . . , un,n)

`e base normalizzata.

Infatti, dalla (3.18), si ha direttamente che 1 ≡ f0,n=Pnj=1uj,n.

(28)

Proposizione 3.8. Sia E uno spazio EC di dimensione n + 1. Se le funzioni di transizione fi,n sono crescenti per ogni i = 1, . . . , n, il sistema (u0,n, . . . , un,n) `e

B-base di E. Inoltre, poich´e f0,n `e funzione costante (f0,n≡ 1), tale sistema `e la

B-base normalizzata di E.

3.3

Ottenere informazioni dalle funzioni di

tran-sizione

In questa sezione si seguir`a un percorso a ritroso rispetto alla sezione precedente. Partendo senza nessuna particolare ipotesi sugli zeri degli elementi dello spazio funzionale considerato si cercano le funzioni di transizione. Se queste sono ben po-ste, in base alle loro propriet`a, si ottengono informazioni sullo spazio di partenza e sull’esistenza di una B-base, possibilmente normalizzata.

Sia allora V uno spazio vettoriale di dimensione n + 1 contenente funzioni costanti, di cui si conosca una base; chiediamo inoltre che gli elementi di V siano almeno Cn sull’intervallo di definizione [a, b]. Si impostino i problemi di

interpo-lazione alla Hermite come in (3.16); `e chiaro che se alcuni di questi non hanno soluzione o alcune soluzioni non sono uniche non `e possibile trovare una B-base a partire da queste; in particolare, poich´e in V ci sono problemi di interpolazione alla Hermite su n+ 1 punti che non ammettono soluzione (oppure che ammettono soluzione non univoca) V non pu`o essere uno spazio EC.

Nel caso in cui le soluzioni siano ben poste, siano (f0,n, . . . , fn,n), se ce ne sono

due o pi`u coincidenti, sicuramente il sistema non `e una base di V, quindi non `e possibile trovare una B-base per differenza delle fi,n come in (3.17). Inoltre,

per come sono definite, le funzioni di transizione variano con continuit`a rispetto agl estremi dell’intervallo su cui sono calcolate (si veda come esempio la figura (4.1)). Questo significa che, se le funzioni di transizione sono distinte se calcolate su [a, b − ǫ], con ǫ > 0 arbitrario, ma non se calcolate su [a, b], siccome su [a, b − ǫ] ogni B-base si scrive come (α0u0,n, . . . , αnun,n) con αi > 0 per ogni i (proposizione

3.2), mandando ǫ a 0+ almeno un elemento di base si annulla, e quindi su [a, b]

non c’`e B-base, tantomeno normalizzata. Allora dalla caratterizzazione data dal teorema 3.4 si conclude che, se V `e spazio EC, sicuramente non lo `e DV(queste ultime osservazioni sono legate al concetto di lunghezza critica per uno spazio EC, che verr`a trattato nel prossimo capitolo).

Mettiamoci infine nelle ipotesi che le fi,n siano tutte distinte. Ricordiamo che,

nel caso polinomiale, le funzioni di transizione sono crescenti strettamente sul-l’intervallo di definizione (eccetto la 0-esima, che `e costante) e sono strettamente decrescenti in i, per t ∈]0, 1[ (osservazione 11), quindi in particolare due funzioni di transizione consecutive non assumono mai lo stesso valore sui punti interni all’intervallo di definizione. Vediamo cosa succede se le fi,n trovate in V non

verificano queste propriet`a:

ˆ Se esiste un i0 ∈ {1, . . . , n} tale che fi

0,n non `e strettamente crescente in t:

consideriamo f′

i0,n. Per costruzione essa ha uno zero di molteplicit`a almeno

(29)

3.3 Ottenere informazioni dalle funzioni di transizione 29 non `e strettamente crescente la sua derivata ha almeno un altro zero. Come conseguenza DV non pu`o essere spazio EC.

ˆ Se esiste un i0 ∈ {0, . . . , n−1} tale che esiste un t0 ∈]a, b[ per cui fi

0,n(t0) =

fi0+1,n(t0):

ui0,n `e non nulla e ha pi`u di n zeri in [a, b] e quindi lo spazio non pu`o essere

EC.

Tornando agli spazi EC, alla luce di quanto detto in questa sezione e nelle precedenti, enunciamo il seguente teorema, che sar`a fondamentale nel prossimo capitolo, dove daremo esempi di B-basi normalizzate trovate numericamente e ci occuperemo del problema di determinare l’intervallo massimale su cui queste sono ammesse.

Teorema 3.5. Per uno spazio EC E di dimensione n + 1 sono equivalenti: (i) E ammette una B-base normalizzata (u0,n, . . . , un,n) tale che, per ogni i =

0, . . . , n, ui,n si annulla esattamente i volte in a e n − i volte in b.

(ii) Le funzioni di transizione (f0,n, . . . , fn,n) sono tali che:

1. f0,n≡ 1,

2. fi,n `e strettamente crescente su [a, b], per ogni i = 1, . . . , n,

Dimostrazione. ((ii) → (i)): vero dalla proposizione 3.8; la B-base normalizzata `e data da ui,n= fi,n− fi+1,n, i = 0, . . . , n.

((i) → (ii)): dimostriamo la contronominale. Abbiamo gi`a visto che, se f0,n non

`e la funzione costante 1 lo spazio E non pu`o contenere costanti e quindi non pu`o ammettere una base normalizzata. Inoltre abbiamo anche gi`a detto che, se anche una sola delle funzioni di transizione non `e strettamente crescente, lo spazio DE non pu`o essere spazio EC. Allora dal teorema 3.4 si ha che esiste un intervallo [c, d] ⊆ [a, b] su cui E non ammette B-base normalizzata. Ma questo implica che non `e possibile normalizzare una B-base su tutto [a, b].

(30)
(31)

Capitolo 4

Ricerca della lunghezza critica

per uno spazio EC

Nel capitolo precedente abbiamo visto come le funzioni di transizione, attraverso le loro propriet`a, forniscano informazioni sulla natura dello spazio in cui sono state cercate. In particolare, dal teorema 3.5 abbiamo che, nel caso di uno spazio EC contenente funzioni costanti e definito su un dato intervallo chiuso, limitato e non banale [a, b], l’esistenza della B-base normalizzata `e caratterizzata dalla monotonia stretta delle funzioni di transizione. Inoltre, per un qualunque spazio funzionale di dimensione finita contenuto in Cn([a, b]), si ha che, qualora le

fun-zioni di transizione siano ben poste, cio`e se i relativi problemi di interpolazione alla hermite ammettono una e una sola soluzione, lo spazio `e EC se e solo se ogni funzione di transizione, valutata in un arbitrario punto interno ad [a, b] non assu-me lo stesso valore della sua successiva (cio`e se i loro grafici non si intersecano). Come visto nel capitolo 2, ci sono spazi che sono EC sull’intervallo [a, b] solo quando questo ha lunghezza minore di un certo valore. La stessa cosa si ha in generale per l’esistenza della B-base normalizzata [1].

Definizione 4.1. Per uno spazio vettoriale funzionale E si pone ℓ1(E) := sup {h ∈ R+ t.c. E `e spazio EC su [0, h]},

ℓ2(E) := sup {h ∈ R+ t.c. sia E che DE sono spazi EC su [0, h]}.

ℓ1(E) e ℓ2(E) sono detti rispettivamente prima e seconda lunghezza critica di E.

Risulta chiaro che la conoscenza di tali lunghezze critiche `e fondamentale per poter utilizzare questi spazi, sia dal punto di vista teorico che da quello applica-tivo.

Questo problema `e stato affrontato e risolto a livello teorico per alcune particolari classi di spazi in lettaratura, attraverso lo studio di opportuni operatori differen-ziali, caratteristici degli spazi considerati [1][8][9]. Questo approccio presenta per`o una limitazione: ogni spazio va trattato singolarmente, o al pi`u come oggetto di una famiglia “ristretta”. Inoltre tale studio si rivela spesso molto difficoltoso al crescere della dimensione dello spazio.

(32)

4.1

Un approccio sperimentale

In questa sezione verranno riportati alcuni esempi di spazi EC di interesse, per i quali i valori di lunghezza critica sono stati ricercati numericamente, mediante l’utilizzo del software Matlab. Un approccio sperimentale di questo tipo permette di svincolarsi dagli svantaggi sopracitati in quanto non `e legato a particolari propriet`a degli spazi testati, ma guarda solo le funzioni di transizione.

In particolare sono stati utilizzati due algoritmi: un algoritmo che procede “in avanti”, testando intervalli [0, h] con valori di h sempre maggiori (calcolati in base ad un passo fissato) per avere una stima indicativa della lunghezza critica, e un algoritmo di bisezione sull’ampiezza dell’intervallo testato, per ottenere un risultato pi`u preciso. Si noti che, poich´e gli spazi EC considerati sono inverianti per traslazione [1][9], non `e restrittivo considerare solo gli intervalli del tipo [0, h]. Entrambi gli algoritmi risolvono al calcolatore i problemi di interpolazione alla Hermite per ottenere le funzioni di transizione su [0, h] e verificano se valgono le condizioni descritte precedentemente. Per essere pi`u precisi, per la ricerca della seconda lunghezza critica, dapprima controllano che le funzioni fi,n− fi+1,n non

ammettano zeri su ]0, h[, per assicurarsi che h sia minore o uguale alla prima lunghezza critica, cio`e che lo spazio considerato sia EC su [0, h]; successivamente guardano il segno di tali funzioni: se `e negativo per almeno una i ∈ {0, . . . , n} lo spazio non ammette B-base normalizzata su [0, h] (per rafforzare il secondo test, gli algoritmi controllano anche se le fi,n sono crescenti, verificando se le loro

derivate sono positive). Il primo algoritmo si ferma non appena il secondo test risulta negativo e viene lanciato quello di bisezione: in base al risultato dei test il calcolo delle fi,n viene ripetuto su un intervallo pi`u o meno ampio. Trattandosi

di un algoritmo di bisezione, ad ogni passo la differenza tra le lunghezze di un intervallo e del precedente `e dimezzata, quindi al passo k:

|hk− ℓ2| <

h 2k,

dove hk `e la misura dell’intervallo testato al k-esimo passo e ℓ2 `e la seconda

lunghezza critica; si ha quindi convergenza del metodo per k → ∞.

Si osservi che dal teorema 3.4 si deduce che la prima lunghezza critica di uno spazio E coincide con la seconda lunghezza critica dello spazio integrato di E. Per questo motivo `e sufficiente calcolare numericamente ℓ2 per ottenere ℓ1 dello

spazio integrato.

Presentiamo ora i risultati:

4.1.1

Spazi polinomiali

Come prima classe di spazi abbiamo scelto gli spazi Pn, per i quali `e noto che

la B-base normalizzata, cio`e la base di Bernstein, `e ben definita su [0, h] con h arbitrario in R+. I dati sperimentali rispecchiano la teoria, infatti le funzioni di

(33)

4.1 Un approccio sperimentale 33

4.1.2

Gli spazi misti trigonometrici-polinomiali Γ

n

Lo spazio Γn = span{1, t, . . . , tn−2, cos(t), sin(t)}, n ≥ 2, `e un esempio di spazio

EC di dimensione n + 1 su [0, h], con h < π, in quanto `e ottenuto per integrazioni successive dello spazio span{1, cos(t), sin(t)}, che abbiamo gi`a visto essere EC su [0, h], per h < π. Inoltre, dal teorema 3.4, la seconda lunghezza critica ℓ2 di Γn,

per n ≥ 3, `e sicuramente maggiore o uguale di π, in quanto lo spazio contiene costanti non nulle e il suo spazio derivato DΓn = Γn−1 `e ancora uno spazio EC,

di dimensione n.

L’algoritmo `e stato testato per n = 3, 4, 5, 6. In tabella sono riportati i va-lori ottenuti per la seconda lunghezza critica, con precisione fino alla sesta cifra decimale. Nell’ultima colonna presentiamo i valori della prima lunghezza critica dedotti:

Spazio 2a lunghezza 1a lunghezza

(generatori) critica critica {1, cos(t), sin(t)} 3.141592 6.283185 ր {1, t, cos(t), sin(t)} 6.283185 6.283185 ր {1, t, t2, cos(t), sin(t)} 6.283185 8.986819 ր {1, t, t2, t3, cos(t), sin(t)} 8.986819

Si osservi che i dati rispettano quanto detto a livello teorico. Si noti inol-tre l’andamento crescente di ℓ2(Γn) (e quindi di ℓ1(Γn)) al crescere della

di-mensione dello spazio. Da questi dati possiamo anche dedurre che lo spazio span{cos(t), sin(t)} = DΓ2 `e EC su [0, π].

La figura (4.1) mostra come esempio la variazione delle funzioni di transizione e della candidata B-base normalizzata all’aumentare dell’ampiezza dell’interval-lo testata, h, in Γ4. Si noti che il cambiamento avviene con continuit`a: per

h < ℓ2(Γ4) le funzioni di transizione fi,4 sono tutte strettamente crescenti e

di-stinte e le ui,4 sono proprio la B-base normalizzata; per h = ℓ2(Γ4) = 2π due delle

fi,4 coincidono e le ui,4 non sono pi`u la B-base normalizzata, infatti una di esse `e

diventata la funzione nulla; le funzioni di trasizione che si erano avvicinate fino a coincidere, per ℓ2(Γ4) < h < ℓ1(Γ4) si scambiano di posto: non si intersecano,

ma non sono pi`u crescenti strettamente. Dalla proposizione 3.6 sappiamo che le ui,4, a meno del segno, sono una B-base, non normalizzata. All’avvicinarsi di h a

ℓ1(Γ4) le funzioni u1,4 e u3,4 tendono a diventare la stessa funzione.

4.1.3

Gli spazi iperbolici di dimensione 3 e 4

Consideriamo le famiglie di spazi iperbolici {Hα

2}α∈R+ e {Hα

3}α∈R+, con Hα

2 =

span{1, cosh(αt), sinh(αt)}, Hα

3 = span{1, t, cosh(αt), sinh(αt)}. Questa classe

di spazi `e famosa per l’effetto di tensione generato (visibile in figura (4.2)), uti-lizzato per evitare oscillazioni in alcuni casi di interpolazione.

(34)

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 f0,4 f3,4 f2,4 f 1,4 f4,4 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 u4,4 u3,4 u 1,4 u0,4 u2,4 h = 32π 0 1 2 3 4 5 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 f 0,4 f4,4 f3,4 f2,4 f1,4 0 1 2 3 4 5 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 u3,4 u0,4 u 4,4 u1,4 u2,4 h = 11 6π 0 1 2 3 4 5 6 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 f4,4 f 2,4= f3,4 f1,4 f0,4 0 1 2 3 4 5 6 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 u 4,4 u3,4 u1,4 u0,4 u 2,4 h = 2π 0 1 2 3 4 5 6 7 −0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 f 4,4 f1,4 f 3,4 f2,4 f 0,4 0 1 2 3 4 5 6 7 −0.8 −0.6 −0.4 −0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 u4,4 u3,4 u 2,4 u 0,4 u1,4 h = 146π Figura 4.1: Risultati sperimentali per Γ4: funzioni di transizione (sinistra) e

(35)

4.1 Un approccio sperimentale 35 A livello teorico si dimostra facilmente che questi sono spazi EC su ogni intervallo [0, h], con h ∈ R+; presentiamo la dimostrazione per α = 1 (per α generico si

procede esattamente nello stesso modo):

Fissiamo [0, h] con ∈ R+ e consideriamo lo spazio span{cosh(t), sinh(t)}.

Dimo-striamo che questo `e EC; ne verr`a che tutti gli spazi ottenuti per integrazione sono EC su [0, h] (in particolare lo saranno H1

2 e H31) e, poich´e h `e arbitrario

positivo, le loro lunghezze critiche sono entrambe +∞. Sia allora

f (t) = c1cosh(t) + c2sinh(t), c1, c2 ∈ R,

una generica funzione di span{cosh(t), sinh(t)} in [0, h]. Mostriamo che se f ha due zeri (contati con molteplicit`a) in [0, h] allora `e la funzione nulla. Siano t1, t2 ∈ [0, h], t1 ≤ t2.

Se t1 < t2, impostiamo il sistema lineare:

( f (t1) = 0 f (t2) = 0 cio`e ( c1cosh(t1) + c2sinh(t1) = 0 c1cosh(t2) + c2sinh(t2) = 0

e consideriamo la matrice dei coefficienti: A =  cosh(t1) sinh(t1) cosh(t2) sinh(t2)  ; si ha det(A) = 0 ⇔ sinh(t1) cosh(t1) = sinh(t2) cosh(t2) ⇔ tanh(t1) = tanh(t2),

il che non `e possibile perch´e t1 6= t2 e la tangente iperbolica `e iniettiva. Quindi il

sistema ammette come unica soluzione quella banale c1 = c2 = 0 e quindi f `e la

funzione nulla.

Se t1 = t2 consideriamo invece il sistema:

( f (t1) = 0 f′(t 1) = 0 cio`e ( c1cosh(t1) + c2sinh(t1) = 0 c1sinh(t1) + c2cosh(t1) = 0;

questa volta abbiamo: det  cosh(t1) sinh(t1) = 0 sinh(t1) cosh(t1) = 0  = cosh2(t1) − sinh2(t1) = 1 6= 0,

quindi anche in questo caso f `e la funzione nulla.

Abbiamo allora provato che gli spazi iperbolici sono spazi EC su domini di ampiezza arbitraria.

Tuttavia dalle prove sperimentali sembrano esserci dei valori limite. Utiliz-zando il primo algoritmo, si ottengono i risultati in tabella (4.1) e in figura (4.3): l’algoritmo si ferma e produce questi valori a causa dell’approssimazione dovuta all’utilizzo dei numeri finiti: come si pu`o osservare anche dal grafico in figura (4.2) le funzioni di transizione successive, all’aumentare dell’ampiezza dell’intervallo, assumono valori molto vicini. In aritmentica finita, se la differenza relativa di due

(36)

0 1 2 3 4 5 6 7 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 f 2,2 f0,2 f 1,2 0 1 2 3 4 5 6 7 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 u 1,2 u 0,2 u 2,2 h = 7 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 f2,2 f 1,2 f0,2 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 u2,2 u1,2 u 0,2 h = 19 Figura 4.2: Risultati sperimentali per H1

2: funzioni di transizione (sinistra) e

B-base normalizzata (destra).

2a lunghezza critica calcolata 2a lunghezza critica calcolata

in Hα 2 in H3α α = 0.50 36.70 34.80 α = 0.75 24.39 23.20 α = 1.00 18.25 17.39 α = 1.25 14.55 13.92 α = 1.50 12.24 11.50 α = 1.75 10.50 9.94 α = 2.00 9.19 8.71 α = 2.25 8.16 7.73 α = 2.50 7.29 6.97

Tabella 4.1: Seconda lunghezza critica calcolata sperimentalmente per gli spazi span{1, cosh(αt), sinh(αt)} e span{1, t, cosh(αt), sinh(αt)}.

(37)

4.1 Un approccio sperimentale 37 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 0 10 20 30 40 50 60 70 parametro α

seconda lunghezza critica numerica

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 0 10 20 30 40 50 60 paramentro α

seconda lunghezza critica numerica

Figura 4.3: Seconda lunghezza critica numerica per gli spazi iperbolici Hα 2

(sinistra) e Hα

3 (destra) al variare del parametro α.

valori `e minore della precisione di macchina, questi sono salvati come lo stesso numero. Matlab lavora con lo standard IEEE basic double, ci`o significa che la precisione di macchina `e ∼ 10−16, quindi ad esempio il numero 1 − 10−17 viene

salvato come 1. Questo `e ci`o che accade per alcuni valori assunti dalle funzioni di transizione degli spazi considerati. Quindi i valori in tabella rappresentano la seconda lunghezza critica numerica, cio`e l’ampiezza che `e consigliabile non supe-rare per ottenere risultati attendibili nel momento in cui si lavora su Hα

2 e H3α al

calcolatore.

4.1.4

Spazi misti iperbolici-trigonometrici

Presentiamo due famiglie di spazi misti iperbolici e trigonometrici di dimensione 5, {Φα,β}

α,β∈R+ e {Ψα,β}α,β∈R+, con

Φα,β = span{1, cosh(αt), sinh(αt), cos(βt), sin(βt)},

Ψα,β = span{1, cosh(αt) cos(βt), cosh(αt) sin(βt),

sinh(αt) cos(βt), sinh(αt) sin(βt)}.

La peculiarit`a di questi spazi sta nel fatto che, al variare dei parametri, gli ef-fetti grafici prodotti dalle componenti iperboliche e da quelle trigonometriche sono complementari: mentre le prime danno un effetto di tensione, le seconde producono una sorta di rilassamento [1](figura (4.4)).

Gli spazi Φα,β

Per questa famiglia di spazi si hanno risultati noti dalla letteratura [1]; pi`u pre-cisamente si ha che la seconda lunghezza critica di Φα,β `e la soluzione (unica)

dell’equazione: (β2 − α2)sinh(αx)sin(βx) = 2αβ(1 − cosh(αx)cos(βx), x ∈ π β, 2π β  . (4.1) Riportiamo in tabella i dati ricavati con l’algoritmo di bisezione e i valori teorici a confronto:

(38)

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1

Figura 4.4: B-base normalizzata dello spazio Ψα,β: α = 3.5, β = 0.5 (in alto a

sinistra); α = β = 1 (in alto a destra); α = 0.5, β = 3.5 (in basso a sinistra). Spazio misto Seconda lunghezza Seconda lunghezza

Φα,β critica sperimentale critica teorica

β = 1, α = 0.50 5.456401 5.456401 α = 0.75 5.039726 5.039726 α = 1.00 4.730041 4.730041 α = 1.25 4.498134 4.498134 α = 1.50 4.320429 4.320429 α = 1.75 4.181030 4.181030 α = 2.00 4.069355 4.069355 α = 2.25 3.978234 3.978234 α = 2.50 3.902685 3.902685 α = 1, β = 0.50 8.138710 8.138710 β = 0.75 5.911730 5.911730 β = 1.00 4.730041 4.730041 β = 1.25 3.976121 3.976121 β = 1.50 3.443620 3.443620 β = 1.75 3.042909 3.042909 β = 2.00 2.728200 2.728200 β = 2.25 2.473358 2.473358 β = 2.50 2.262208 2.262208

Per alleggerire la lettura abbiamo fornito solo le prime sei cifre decimali, in realt`a i dati combaciano fino alla decima.

Presentiamo anche i grafici dell’andamento della seconda lunghezza critica al va-riare dei parametri α e β, in figura (4.5) e (4.6). Si noti la dipendenza continua della seconda lunghezza critica rispetto ad α e β. La discrepanza tra le

(39)

super-4.1 Un approccio sperimentale 39 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 5.5 6 parametro α

seconda lunghezza critica

valori teorici dati sperimentali 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 0 2 4 6 8 10 12 14 parametro β

seconda lunghezza critica

valori teorici dati sperimentali

Figura 4.5: Andamento della seconda lunghezza critica di Φα,β al variare dei

parametri α e β; a sinistra β = 1 fissato, a destra α = 1 fissato.

0 1 2 3 0 1 2 3 0 5 10 15 parametro α parametro β

seconda lunghezza critica

0 1 2 3 0 1 2 3 0 5 10 15 parametro α parametro β

seconda lunghezza critica

Figura 4.6: Andamento della seconda lunghezza critica di Φα,β al variare dei

parametri α e β: a sinistra i dati sperimentali, a destra i valori teorici.

fici in figura (4.6) `e dovuta allo stesso problema riscontrato nel caso degli spazi iperbolici: i paramentri α e β sono un indice del peso relativo delle due compo-nenti dello spazio, quella iperbolica e quella trigonometrica rispettivamente. Al diminuire di β e all’aumetare di α il peso relativo delle funzioni iperboliche `e maggiore ed emergono i problemi numerici spiegati in precedenza. Quindi anche in questo caso l’algoritmo non rileva la lunghezza critica teorica, ma valori di interesse numerico.

Gli spazi Ψα,β

Come nel caso precedente anche per questa famiglia di spazi sono noti risultati teorici [1] che forniscono la seconda lunghezza critica di Ψα,β come soluzione di

un’equazione: β tanh(αx) = α tan(βx), x ∈ π β, 3π 2β  . (4.2)

Anche in questo caso i dati ricavati sperimentalmente sono coerenti con i va-lori teorici, come riportato nella seguente tabella e in figura (4.7); tuttavia, al diminuire del rapporto β/α si osserva una discrepanza (figura (4.8)).

(40)

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.4 3.6 3.8 4 4.2 4.4 parametro α

seconda lunghezza critica

valori teorici dati sperimentali 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 0 2 4 6 8 10 12 paramentro β

seconda lunghezza critica

valori teorici dati sperimentali

Figura 4.7: Andamento della seconda lunghezza critica di Ψα,β al variare dei

parametri α e β; a sinistra β = 1 fissato, a destra α = 1 fissato.

0 1 2 3 0 1 2 3 0 5 10 15 parametro α parametro β

seconda lunghezza critica

0 1 2 3 0 1 2 3 0 5 10 15 parametro β parametro α

seconda lunghezza critica

Figura 4.8: Andamento della seconda lunghezza critica di Ψα,β al variare dei

(41)

4.2 Esempi di curve di B´ezier su Γ3 41

Spazio misto Seconda lunghezza Seconda lunghezza Ψα,β critica sperimentale critica teorica

β = 1, α = 0.50 4.237081 4.237081 α = 0.75 4.066734 4.066734 α = 1.00 3.926602 3.926602 α = 1.25 3.816263 3.816263 α = 1.50 3.729582 3.729582 α = 1.75 3.660736 3.660736 α = 2.00 3.605240 3.605240 α = 2.25 3.559817 3.559817 α = 2.50 3.522099 3.522099 α = 1, β = 0.50 7.210480 7.210480 β = 0.75 5.046739 5.046739 β = 1.00 3.926602 3.926602 β = 1.25 3.228894 3.228894 β = 1.50 2.747057 2.747057 β = 1.75 2.392004 2.392004 β = 2.00 2.118541 2.118541 β = 2.25 1.901042 1.901042 β = 2.50 1.723768 1.723768

4.2

Esempi di curve di B´

ezier su Γ

3

In quest’ultima sezione verranno forniti alcuni esempi di curve di B´ezier genera-lizzate, per la riproduzione della cicloide e dell’elica, e sar`a fatto un confronto con le curve di B´ezier (classiche) polinomiali (per approfondire vedere [5][7][8][11]). Consideriamo lo spazio Γ3; abbiamo visto che `e spazio EC sull’intervallo [0, α], α

fissato in ]0, 2π[.

Presentiamo esplicitamente il procedimento per ricavare la B-base normalizzata a partire dalle funzioni di transizione.

Γ3 = span{1, t, cos(t), sin(t)}; poich´e contiene costanti porremo f0,3 ≡ 1. Per

determinare f1,3, f2,3 e f3,3 impostiamo i problemi di interpolazione alla Hermite

come in (3.16).

Scriviamo fi,3, i = 1, 2, 3 rispetto alla base (1, t, cos(t), sin(t)):

fi,3 = ci,0+ ci,1t + ci,2cos(t) + ci,3sin(t); (4.3)

e imponiamo le condizioni (3.16) in 0 e α. Otteniamo i seguenti sistemi lineari:          f1,3(0) = 0 f1,3(α) = 1 f′ 1,3(α) = 0 f′′ 1,3(α) = 0 , cio`e          0 = c1,0+ c1,2 1 = c1,0+ αc1,1+ Cc1,2+ Sc1,3 0 = c1,1− Sc1,2+ Cc1,3 0 = −Cc1,2− Sc1,3

(42)

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

Figura 4.9: Funzioni di transizione per Γ3su [0,34π].

         f2,3(0) = 0 f′ 2,3(0) = 0 f2,3(α) = 1 f′ 2,3(α) = 0 , cio`e          0 = c2,0+ c2,2 0 = c2,1+ c2,3 1 = c2,0+ αc2,1+ Cc2,2+ Sc2,3 0 = c2,1− Sc2,2+ Cc2,3          f3,3(0) = 0 f′ 3,3(0) = 0 f′′ 3,3(0) = 0 f3,3(α) = 1 , cio`e          0 = c3,0+ c3,2 0 = c3,1+ c3,3 0 = −c3,2 1 = c3,0+ αc3,1+ Cc3,2+ Sc3,3

dove abbiamo posto C = cos(α), e S = sin(α); se α 6= π, si ricavano le espressioni:

f1,3(t) = − S α − S + 1 α − St + S α − Scos(t) − C α − S sin(t), f2,3(t) = 1 − C 2(1 − C) − αS − S 2(1 − C) − αSt − 1 − C 2(1 − C) − αS cos(t) + ... ... + S 2(1 − C) − αS sin(t), f3,3(t) = 1 α − St − 1 α − S sin(t).

Si verifica che queste funzioni sono strettamente crescenti, come si pu`o vedere anche dai loro grafici in figura 4.9. Allora dal teorema 3.5 sappiamo che le fun-zioni ricavate per differenza dalle funfun-zioni di transizione costituiscono la B-base

(43)

4.2 Esempi di curve di B´ezier su Γ3 43

normalizzata di Γ3 (riportiamo solo il risultato finale):

u0,3(t) =f0,3(t) − f1,3(t) = = α α − S − 1 α − St − S α − S cos(t) + C α − S sin(t), u1,3(t) =f1,3(t) − f2,3(t) = =−(α − K)M α − S + M α − S + (α − K)M α − S cos(t) + 1 − C − M α − S sin(t), u2,3(t) =f2,3(t) − f3,3(t) = = KM α − S − M α − S − KM α − S cos(t) + M α − S sin(t), u2,3(t) =f3,3(t) = = 1 α − St − 1 α − S sin(t). dove K := α−S 1−C, M := S(1−C) 2S−α−αC.

La B-base normalizzata si trova anche per α = π, in tal caso: u0,3(t) = π − 1 π − 1 πsin(t), u1,3(t) = 2 − π 2π + 1 2cos(t) + 1 π sin(t), u2,3(t) = 1 2 − 1 πt − 1 2cos(t) + 1 πsin(t), u3,3(t) = 1 πt − 1 πsin(t).

4.2.1

La cicloide come curva di B´

ezier nel piano

La forma parametrica della cicloide `e data da: (

x = t − sin(t)

y = 1 − cos(t) t ∈ R, (4.4) e queste sono funzioni appartenenti a Γ3. In figura (4.10) sono riportate le curve

di B´ezier in P3 e Γ3, i cui punti di controllo sono stati determinati attraverso

una interpolazione alla Lagrange sulle due componenti, x e y, partendo da una campionamento dei valori reali delle coordinate della cicloide, per t ∈0,3

 . In figura (4.11) sono riportati i grafici degli errori di approssimazione delle curve di B´ezier nella riproduzione della curva esatta; l’errore `e calcolato secondo la norma euclidea di R2. Si osservi che, in Γ

3, esso `e dell’ordine di 10−16, cio`e

dell’ordine della precisione di macchina, quindi si pu`o assumere che la curva sia riprodotta in modo esatto, mentre l’errore relativo al caso polinomiale `e molto pi`u elevato.

(44)

−0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 −0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8

Cicloide, interpolazione alla Lagrange in P

3 Curva esatta Poligonale di controllo Bézier in P3 Dati −0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 −0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8

Cicloide, interpolazione alla Lagrange in Γ3

Curva esatta Poligonale di controllo Bézier in Γ3 Dati

Figura 4.10: Ramo di cicloide: curve di B´ezier polinomiale e trigonometrica a confronto. 0 0.5 1 1.5 2 2.5 0 0.005 0.01 0.015 Errore in P 3 0 0.5 1 1.5 2 2.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5x 10 −16 Errore in Γ3

(45)

4.2 Esempi di curve di B´ezier su Γ3 45 −1 −0.5 0 0.5 1 −1 −0.5 0 0.5 1 −2 0 2 4 6 8 10 Elica, riprodotta in P 3 −0.5 0 0.5 1 −1 −0.5 0 0.5 1 −2 0 2 4 6 8 10 Elica, riprodotta in Γ3

Figura 4.12: Elica: curve di B´ezier polinomiale e trigonometrica a confronto.

0 1 2 3 4 5 0 0.05 0.1 0.15 0.2 0.25 0.3 0.35 Errore in P 3 0 1 2 3 4 5 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2x 10 −15 Errore in Γ3

Figura 4.13: Errore di approssimazione delle curve di B´ezier in figura (4.12)

4.2.2

L’elica come curva di B´

ezier nello spazio

Come per la cicloide presentiamo la parametrizzazione di un’elica, stavolta in R3,

e le curve di B`ezier in P3 e Γ3 corrispondenti.

Forma parametrica:      x = cos(t) y = sin(t) z = t t ∈ R, (4.5)

In figura (4.12) il tratto in blu rappresenta la curva di B´ezier in P3 e Γ3,

i cui punti di controllo, come per la cicloide, sono stati determinati attraverso una interpolazione alla Lagrange sulle componenti x, y e z, partendo da una campionamento dei valori reali delle coordinate dell’elica, per t ∈0,53π.

La situazione per l’errore `e la stessa del caso della cicloide, come `e mostrato in figura (4.13).

(46)

Figura

Figura 1.1: Grafici della base di Bernstein di P 2 e P 5 .
Figura 1.2: Numeri di condizione per la valutazione del polinomio 1−t+t 2 −. . .+ t 10 in base monomiale (C P (p(t))) e in base di Bernstein (C B (p(t))) a confronto.
Figura 1.3: Esempi di curve piane di B´ezier (a destra), in cui un punto di con- con-trollo `e stato spostato, e relative basi di Bernstein (a sinistra) in P 3 (sopra) e P 6
Figura 3.1: Funzioni di transizione di P 5 .
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