• Non ci sono risultati.

Gravidanza associata a carcinoma mammario: studio retrospettivo su una coorte di pazienti afferenti al nostro centro.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Gravidanza associata a carcinoma mammario: studio retrospettivo su una coorte di pazienti afferenti al nostro centro."

Copied!
78
0
0

Testo completo

(1)

1

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECONOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

GRAVIDANZA ASSOCIATA A CARCINOMA MAMMARIO:

ANALISI RETROSPETTIVA DI UNA COORTE DI PAZIENTI

AFFERENTI AL NOSTRO CENTRO.

Relatore

Prof. Alfredo Falcone

Candidato Eleonora Molinaro

(2)

2

Alla mia

Mamma.

(3)

3

Indice

Indice ... 3

Riassunto ... 5

Capitolo 1: Carcinoma mammario ... 7

1.1 Epidemiologia ... 7

1.2 Eziologia ... 8

1.3 Screening ... 11

1.4 Classificazione istologica ... 12

1.5 Classificazione in base ai profili genetici ... 13

1.6 Quadro clinico ... 15

1.6 Classificazione in base al sistema TNM ... 18

1.7 Fattori prognostici... 19

1.8 Trattamento ... 21

1.8.1 Carcinoma in situ ... 21

1.8.2 Malattia loco-regionale ... 21

1.8.3 Malattia localmente avanzata ... 24

1.8.4 Malattia metastatica ... 25

Capitolo 2: Il carcinoma mammario nelle donne giovani ... 27

2.1 Epidemiologia, fattori di rischio, prognosi ... 27

2.2 Trattamento ... 30

2.3 Problematiche particolari ... 32

2.3.1 Sfera della fertilità ... 32

2.3.2 Sfera psico-neurologica ... 33

2.3.3 Carcinoma mammario nella donna giovane Vs Carcinoma mammario in gravidanza ... 33

Capitolo 3: Gestione del carcinoma mammario in gravidanza... 35

3.1 Epidemiologia ... 35 3.2 Diagnosi e Stadiazione ... 36 3.3 Prognosi ... 38 3.4 Trattamento ... 39 3.4.1 Chirurgia ... 39 3.4.2 Terapia medica ... 40 3.4.3 Radioterapia ... 44

3.5 Outcome nei bambini... 44

Capitolo 4: Analisi e confronto di due coorti di pazienti ... 46

4.1 Introduzione e razionale ... 46

4.2 Disegno dello studio ... 47

(4)

4

4.3 Analisi descrittiva dei campioni ... 48

4.3.1 Coorte dei casi, “gravide” ... 49

4.3.2 Coorte dei controlli, “non gravide” ... 50

4.4 Analisi del tempo di ricaduta globale e dei diversi sottogruppi ... 51

4.4.1 Coorte “gravide”. ... 51

4.4.2 Coorte “non gravide” ... 55

4.5 Confronto delle due coorti di pazienti globalmente e in base allo stato recettoriale ... 58

4.6 Discussione e conclusioni ... 60

APPENDICE ... 61

BIBLIOGRAFIA ... 72

(5)

5

Riassunto

Il carcinoma mammario è la neoplasia più frequentemente associata a gravidanza. L’incidenza del PABC, Pregnancy Associated Breast Cancer, è del 3%. E’ un evento raro, soprattutto per la difficoltà di porre diagnosi. La presenza della malattia è mascherata, dal punto di vista clinico, dalle naturali modificazioni della ghiandola mammaria durante la gestazione. L’imaging, quale mammografie e TC, è ostacolato dagli effetti teratogeni delle radiazioni ionizzanti. L’unica metodica completamente sicura è l’ecografia. La diagnosi di certezza rimane isto-citologica. La prognosi è peggiore rispetto alla popolazione in postmenopausa sia per il ritardo alla diagnosi sia per una malattia che mostra caratteristiche biologiche di maggiore aggressività, ma non appare dissimile da quella delle donne giovani (under 40). La scelta del trattamento terapeutico deve considerare sia la salute della madre sia del feto. La chirurgia ed una eventuale chemioterapia devono essere rinviati ad organogenesi completata, dopo il primo trimestre. La chemioterapia deve essere interrotta due settimane prima l’induzione del parto, a causa della neutropenia. Farmaci quali le antracicline e i taxani si sono dimostrati sicuri per il feto, determinando minimi eventi avversi. L’ormonoterapia, la target therapy e la radioterapia sono da rimandare a gestazione conclusa. In questo elaborato è presente una revisione della letteratura al riguardo e vengono illustrati i risultati di una analisi retrospettiva, volta soprattutto a capire se vi fosse qualche differenza significativa fra il PABC e il non-PABC. Lo studio è stato eseguito su un insieme di pazienti divise in due coorti. La prima coorte presenta 40 pazienti trattate nella U.O. Oncologia Medica di Pisa dal 2002 al 2014. Le pazienti sono state selezionate per carcinoma in gravidanza o in allattamento, gravidanza dopo carcinoma, tempo massimo 2 anni, e gravidanza che precede il carcinoma, tempo massimo 5 anni. A queste si è affiancato un gruppo di controllo, composto da 88 pazienti di età inferiore ai 40 anni afferenti al Polo Oncologico dal 1996 al 2014, che non hanno mai intrapreso una gravidanza o che lo hanno fatto in periodo maggiore ai 5 anni precedenti e ai 2 anni seguenti la diagnosi. Queste due coorti di pazienti sono state analizzate sia nel globale sia in diversi sottogruppi alla ricerca di eventuali differenze prognostiche. Piccole differenze prognostiche sono state rilevate. Tale differenza potrebbe essere secondaria sia all’healthy mother effect sia alle dimensioni limitate del campione. Pertanto il nostro lavoro può rappresentare un punto di inizio per approfondire tale dato con studi futuri.

(6)
(7)

7

Capitolo 1: Carcinoma mammario

1.1 Epidemiologia

Il carcinoma mammario è la neoplasia più frequente nella donna. Negli Stati Uniti rappresenta il 15% di tutte le neoplasie in ambo i sessi e il 29% nella donna.1

Ha un incidenza più elevata negli Stati Uniti e nel Nord Europa; più bassa in Asia, Africa e Sudamerica. Infatti in Nord America si registrano 90 casi ogni 100 mila donne2 e in Europa Occidentale 78 casi ogni 100 mila donne3, contro i 20-40 casi riportati4 nei paesi meno industrializzati.

L’incidenza è in modesto aumento.

In Italia si attestano 40 mila nuovi casi l’anno, in linea con le medie europee. Il tasso standardizzato è pari a 114/100000/anno. Si stima che nel 2015 verranno diagnosticati 48 mila nuovi casi di carcinoma della mammella, di cui solo l’1% nei maschi. L’ incidenza aumenta con l’aumentare dell’età della donna, infatti per fasce di età è pari al 41% fra i 0-49 anni, 35% fra i 50-69, 21% nelle donne con una età superiore ai 70 anni. Le differenze fra macro-aree osservate nel periodo 2007-2010 mostrano una maggiore incidenza al Nord (125 casi su 100 mila abitanti), rispetto al Centro (100/100mila) e al Sud-Isole (91/100mila).5

Complessivamente nel 2006 in Italia vivevano 522.235 donne che hanno ricevuto una diagnosi di carcinoma mammario.5 Negli Stati Uniti si sono registrati nel 2014 235mila nuovi casi. 1

La mortalità è in riduzione di circa l’1,7% annuo dalla fine degli anni Ottanta.5 Questo effetto è legato alla diffusione massiva di adeguate metodiche di screening che consentono una diagnosi sempre più precoce e all’impiego di terapie mediche integrate sempre più efficaci sia nel setting neoadiuvante e adiuvante sia nella malattia metastatica.

(8)

8 Il tasso di mortalità standardizzato nelle donne italiane è di 24/100000/anno. Nelle donne italiane prima di compiere gli 84 anni è stato osservato che una donna su otto riceve diagnosi di carcinoma mammario e una su trentatré decede a causa di questa patologia, per un totale di oltre 11 mila decessi all’anno. Rappresenta il 28% delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni, il 21% tra i 50 e i 69 anni e il 14% dopo i 70 anni.5

Nel 2014 negli Stati Uniti il 15% delle morti per cancro furono determinate dal carcinoma mammario, secondo solo al carcinoma polmonare.1

La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi, indipendentemente da altre commorbidità, è in moderato e costante aumento da molti anni: nelle donne ammalate dal 1990 al 1992 era del 78%, mentre in quella ammalate fra il 2005 e il 2007 sale all’87%. Anche per la sopravvivenza sono presenti differenze geografiche tra le varie aree del Paese: l’81% al Sud contro l’85-87% al Centro-Nord.5

1.2 Eziologia

Il cancro è una patologia multifattoriale e diversi eventi concorrono nel determinare la genesi di una cellula neoplastica.

Un ruolo importante nei processi di cancerogenesi è giocato dall’inquinamento. Ad esempio, il bifenil policlorinato è una sostanza idrofoba prodotta a livello industriale; per la teoria della magnificazione, è possibile trovarne quantità rilevanti nei grandi pesci carnivori, come il salmone. Quando questo viene introdotto dall’uomo come alimento, il cancerogeno tende ad accumularsi a livello del tessuto adiposo.

Una dieta ricca di vegetali, frutta e fibre associata ad una regolare attività fisica, sembra conduca ad una diminuzione del rischio di sviluppare tumore mammario, mentre il consumo di alcol, una dieta ricca di grassi saturi e proteine animali e l' abitudine al fumo sembra che lo aumentino.

Per ciò che concerne specificatamente il tumore mammario, sono considerati fattori di rischio:

o età,

o pregressa radioterapia toracica,

(9)

9 o anamnesi personale positiva per carcinoma mammario, endometriale, ovarico, o precedenti patologie mammarie ( iperplasia atipica, carcinoma lobulare in situ), o anomalie mammografiche (microcalcificazioni)

o mutazione dei geni BRCA 1 e 2, o obesità,

o eccessivo consumo di grassi animali, o aumentata esposizione agli estrogeni, o mancato allattamento al seno,

o scarsa attività fisica, uso di alcol, elevato consumo di carboidrati e grassi saturi.

Il rischio di ammalare di carcinoma della mammella è legato con un rapporto di proporzionalità diretta all’aumento dell’età. Le probabilità di sviluppare un cancro al seno sono del 2,3% fino ai 49 anni, del 2,9% nel range 50-69 anni, e del 4,5% fra i 70 e gli 84 anni.5 La curva (FIGURA 1) che descrive l’incidenza aumenta esponenzialmente nel premenopausa, raggiunge, quindi, un plateau che si mantiene fino ai 60 anni, per poi continuare a salire. Il razionale è da ricercarsi da un lato nel continuo stimolo proliferativo e maturativo della ghiandola mammaria sotto controllo endocrino, dall’altro all’accumularsi di alterazioni epigenetiche e allo sbilanciarsi del rapporto fra oncogeni e geni oncosoppressori.

FIGURA 1

Tra gli agenti fisici, le radiazioni sia ionizzanti sia ultraviolette sono in grado di provocare danni al DNA ed agire come potenziali cancerogeni. Le radiazioni ionizzanti sono utilizzate sia come metodiche diagnostiche (TC, RX, scintigrafie, PET…) sia come metodiche terapeutiche (radioterapia). Per questo una pregressa irradiazione della parete

(10)

10 toracica, soprattutto se eseguita prima dei 30 anni, rappresenta un fattore di rischio riconosciuto per lo sviluppo della neoplasia mammaria.

Sebbene la maggior parte dei casi di carcinoma mammario siano “sporadici”, insorgano cioè in donne senza una significativa storia familiare per questa patologia, esiste una minoranza di casi, pari al 15%, definiti “familiari”, in cui tale patologia possiede una frequenza superiore a quella della popolazione generale. Il rischio è stimato dalla WHO intorno al 7.8% per donne che non hanno avuto casi in famiglia di tumore al seno, al 13.3% per chi ha avuto un caso in parenti di primo grado e al 21.1% per chi ha avuto due casi fra i familiari di primo grado. Di questi, una piccola percentuale, è ereditaria, essendo legata alla mutazione di BRCA1 e BRCA2. Il rischio di ammalarsi di carcinoma mammario nella propria vita è pari al 65% per le donne BRCA1 mutate, e al 40% per le donne BRCA2 mutate.6 Esistono anche altri geni correlati allo sviluppo del carcinoma, che sono ancora in fase di studio: p53, PTEN, ATM, BARD1, PALB2, BRIP1, CDH1 e CHEK2.

Per l’insorgenza del carcinoma mammari stanno assumendo sempre più importanza i fattori dietetici e la sindrome metabolica. Infatti l’obesità è un fattore di rischio riconosciuto. Il tessuto adiposo in post-menopausa rappresenta la maggiore fonte di sintesi di estrogeni circolanti. Questo comporta uno stimolo, eccessivo nelle persone obese, della ghiandola mammaria. Mentre la sindrome metabolica sembra giocare un ruolo nei processi di cancerogenesi per un aumento della secrezione di insulina, secondario ad una condizione di insulino-resistenza, che si instaura in questi soggetti. L’insulina , infatti, agisce sul recettore di membrana del fattore di crescita insulino-simile (IGFR1R), attivando le vie del segnale intracellulare fondamentali per la crescita neoplastica.5

Lo studio di Petracci et al.7 su un modello di predizione del rischio assoluto per le donne italiane, che individua tre fattori modificabili, quali l’attività fisica, il consumo di alcool e il BMI, dimostra che agire su questi fattori con una regolare attività fisica quotidiana e una dieta equilibrata (tipo mediterraneo), riduce il rischio in 20 anni dell’1,6% in menopausa, arrivando al 3,2% nelle donne con anamnesi familiare positiva e al 4,1% nelle donne ad alto rischio.

L’aumentata esposizione agli estrogeni può essere secondaria al menarca precoce, alla menopausa tardiva, alla nulliparità, al mancato allattamento al seno, ad una prima gravidanza tardiva dopo i 30 anni. Un ruolo controverso è giocato dalla terapia estro-progestinica e dalla terapia ormonale sostitutiva. Nella maggior parte degli studi, l’attività

(11)

11 proliferativa della ghiandola mammaria, espressa come “thymidine labeling index”, è aumentata nella terza e quarta settimana di ciclo mestruale, cioè tra il quindicesimo e il venticinquesimo giorno. Quindi, è più alta nella fase secretiva del ciclo, dove prevale l’azione del progesterone, rispetto alla fase proliferativa, dove prevale l’azione dell’estrogeno. E’ stato provato che il maggior stimolo proliferativo è secondario all’effetto sinergico che il progesterone svolge con l’estrogeno a livello del seno. Le pillole anticoncezionali contengono sia estrogeni che progesterone quindi stimolano la proliferazione della ghiandola. Uno studio che confrontava più di 53 mila donne con il cancro alla mammella e 100 mila donne di controllo senza tumore alla mammella stabilì che esisteva un piccolo aumento del rischio di uno 0,7%. Tale aumento è confinato ai primi anni dopo la cessazione della pillola. A distanza di 10 anni il rischio fra chi ha fatto terapia estro-progestinica e chi non l’ha intrapresa si eguaglia. Discorso diverso per la terapia ormonale sostitutiva. Secondo un studio8, l’uso della terapia ormonale sostitutiva per più di 5 anni determina un aumento di circa il 30% del rischio relativo di sviluppare il tumore mammario. Schneider e al. nel 2000 confrontarono l’uso di soli estrogeni e dell’associazione fra estrogeni e progesterone: l’associazione aumenta il rischio 1,3 volte rispetto al solo estrogeno, che l’aumenta di 1,1 volte.

1.3 Screening

La prevenzione secondaria è data dall’insieme delle metodiche in grado di ridurre la mortalità specifica di una determinata neoplasia, attraverso una diagnosi precoce che consente di mettere in atto tutte le svariati opzioni terapeutiche. Questa condizione non è sempre possibile da mettere in pratica. Il cancro al seno si presenta come prototipo di malattia in cui la prevenzione secondaria è efficace.

Per le donne in fascia di età compresa fra i 50-69 anni è raccomandata la mammografia a cadenza biennale. Mentre per le donne di fascia di età compresa fra i 40-49 anni e di età superiore ai 70 anni la situazione è controversa. Infatti nelle donne più giovani il basso rischio di sviluppare carcinoma mammario, la bassa sensibilità mammografica e l’alto tasso di falsi positivi rendono il rapporto rischio/beneficio inadeguato. Rimane, comunque, la possibilità di estendere lo screening qualora sussistessero fattori di aumento del rischio.

(12)

12 Allo stesso tempo l’aumento della sopravvivenza in condizioni di buona salute fa pensare che possa essere vantaggioso prolungare la fascia di età in cui offrire lo screening fino ai 74 anni. L’ampliamento è tuttora oggetto di studio.

Nelle donne ad alto rischio per importante storia familiare di carcinoma mammario o perché portatrici di mutazione di BRCA1 e BRCA2 i controlli mammografici dovrebbero essere iniziati all’età di 25 anni o 10 anni prima dell’età di insorgenza del tumore nel familiare più giovane, nonostante la bassa sensibilità della mammografia in questa popolazione. La risonanza magnetica è raccomandata, in aggiunta alla mammografia annuale, per le donne con mutazione di BRCA1 e/o BRCA2.

L’ autopalpazione, dovrebbe essere effettuata almeno a partire dai 20 anni una volta al mese, tra il settimo ed il quattordicesimo giorno del ciclo (non esiste comunque evidenza di efficacia nello screening9). Una visita senologica periodica (non esiste comunque evidenza di efficacia nello screening10) è da consigliare alle giovani pazienti. L’ ecografia mammaria, va riservata soprattutto a donne molto giovani come prevenzione secondaria, a causa della aumentata densità della loro mammella, per evitare di sottoporle eccessivamente a radiazioni. (non esiste comunque evidenza di efficacia nello screening11). Inoltre non è stato ancora ben quantificato il rischio di ottenere falsi positivi o casi di “overdiagnosis” a causa dell’ impiego di questa metodica.

In Italia la diffusione su larga scala del programma di screening mammografico, dalla seconda metà degli anni Novanta, ha contribuito a determinare una riduzione della mortalità specifica, con una diminuzione degli interventi di mastectomia e con una modesta quota di overdiagnosis.5

1.4 Classificazione istologica

In Appendice la tabella 1 riassume la classificazione anatomo-patologica del tumore della mammella secondo la l’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2012.12

Il carcinoma infiltrante o invasivo di tipo non specifico (NTS) , comunemente noto come carcinoma duttale di tipo non specifico, comprende il gruppo più ampio di carcinomi invasivi della mammella, circa il 70-80%, e rappresenta una entità non facilmente definibile poiché racchiude un gruppo eterogeneo di tumori che non presentano

(13)

13 caratteristiche sufficienti per poterli classificare come tipi istologici specifici. Il secondo istotipo più frequente è il carcinoma lobulare, che rappresenta il 10-15% dei carcinomi invasivi della mammella..

La metà dei casi di carcinoma insorge nel quadrante superiore esterno (QSE) della mammella, il 20% nell’area centrale o sub-areolare, il 10% in ciascuno dei rimanenti tre quadranti; la maggiore incidenza nel QSE è verosimilmente legata al fatto che in questa zona è presente la maggior parte dell’albero ghiandolare. Sia i carcinomi infiltranti che quelli in situ possono contenere delle calcificazioni piccole, numerose e riunite a gruppi, di grande utilità per la diagnosi mammografica di neoplasia maligna.

La differenziazione cellulare può essere definita in base alla presenza o assenza di determinati parametri quali il pleomorfismo nucleare, la presenza e configurazione delle strutture ghiandolari, il pattern di crescita, l’infiltrazione infiammatoria, la formazione di tubuli e l’indice mitotico.

Il grading tumorale esprime la valutazione delle capacità aggressive e della malignità delle cellule di un dato tessuto tumorale e tiene conto di alterazioni cellulari riscontrabili alla microscopia.

Si identificano 3 gradi di differenziazione cellulare: · grado 1 (G1): neoplasie ben differenziate;

· grado 2 (G2): neoplasie moderatamente differenziate; · grado 3 (G3): neoplasie scarsamente differenziate.

La prognosi di questi tumori peggiora in maniera evidente dalle forme G1 a quelle G3.

1.5 Classificazione in base ai profili genetici

Il tumore della mammella è una malattia eterogenea e pazienti con tumori apparentemente simili per caratteristiche clinicopatologiche possono presentare un decorso clinico diverso. In seguito alle indagini di biologia molecolare sul profilo genetico13 dei carcinomi della mammella sono stati individuati quattro14 sottotipi di carcinomi invasivi:

o “luminal A”: neoplasie mammarie con espressione di recettori ormonali estrogenici e progestinici, assenza di iperespressione di HER-2 e bassa attività proliferativa;

(14)

14 hanno una prognosi favorevole, si tratta di tumori indolenti con minore aggressività degli altri;

o “luminal B”: neoplasie che, pur possedendo l’espressione dei recettori ormonali hanno una spinta proliferativa elevata; possono essere modestamente aggressivi; hanno un rischio di recidiva elevato. Possono iperesprimere HER-2.

o “HER-2 enriched”: presenza di espressione di HER-2, ma recettori ormonali negativi: la prognosi di questi tumori non è buona.

o “basal-like”: neoplasie caratterizzate dall’assenza di espressione dei recettori ormonali e di HER-2, con aumentata espressione delle citocheratine mioepiteliali basali (CK5/6 e CK17); tali tumori vengono definiti “tripli negativi”.

FIGURA 2

La figura 2 mostra come i diversi sottotipi hanno una diversa espressione genica e quanto eterogenea sia la patologia tumorale mammaria.

Nella pratica clinica, grazie ad una valutazione immunoistochimica, che valuta lo stato dei recettori ormonali, del Ki67 e di HER-2, possono essere identificati dei sottogruppi fenotipici di carcinoma mammario che presentano una buona corrispondenza con i sottogruppi classificati in base ai profili di espressione genica.15 Tali sottogruppi, che

(15)

15 hanno una rilevanza clinica ed implicazioni terapeutiche importanti, anche a livello di terapia adiuvante sono:

o Luminali A (42-55%): recettori ormonali positivi, HER-2 negativo e bassa attività proliferativa. Ne fanno parte anche i carcinomi tubulari e lobulari di tipo classico; o Luminali B/HER2 negativi (16-19%): recettori ormonali positivi, HER-2 negativo

ed alta attività proliferativa;

o Luminali B/HER2 positivi (16-19%): recettori ormonali positivi, HER-2 sovraespresso, qualsiasi valore di attività proliferativa;

o HER2 positivi (non luminali) (7-12%): HER-2 sovraespresso ed entrambi i recettori ormonali negativi;

o Tripli negativi: assenza di espressione dei recettori ormonali e negatività di HER2. La corrispondenza fra il “fenotipo” triplo negativo e il “genotipo” basal like è solo dell’80%. All’interno del fenotipo vi sono anche alcuni istotipi speciali come il midollare tipico e l’adenoidocistico a basso rischio di ripresa.

Analisi retrospettive hanno associato i quattro sottotipi a differenze in sopravvivenza libera da malattia, sedi di ripresa di malattia e sopravvivenza globale.16

1.6 Quadro clinico

In genere il tumore mammario non provoca dolore, soprattutto se in uno stadio iniziale. Uno studio effettuato su quasi mille donne con dolore al seno ha, infatti, dimostrato che solo lo 0,4% era riferibile alla presenza di una lesione maligna, mentre nel 12,3% erano presenti lesioni benigne e nel resto dei casi non vi era alcuna lesione. Il dolore potrebbe essere stato provocato solo dalle naturali variazioni ormonali durante il ciclo.17

Attualmente la diffusione dei programmi di screening e delle campagne di sensibilizzazione della popolazione femminile hanno consentito un incremento della diagnosi di tumori mammari in fase preclinica. In queste donne il riscontro della neoplasia non palpabile avviene solo mediante indagine radiologica.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, circa l’80%, il carcinoma mammario si presenta all’esordio come una formazione nodulare, di consistenza dura a margini irregolari,

(16)

16 generalmente fisso rispetto ai piani superficiali e profondi. Altra caratteristica delle forme maligne è la retrazione del capezzolo; il meccanismo patogenetico è legato ad una reazione sclerotica indotta dalle cellule tumorali che crescono intorno ai dotti di calibro maggiore. A volte, in caso di neoplasia maligna, può essere presente il caratteristico aspetto a buccia d’arancia della cute che sovrasta la neoplasia: questo è dovuto in parte a piccole retrazioni e in parte all’edema linfatico causato dalla presenza dei trombi che occludono i vasi linfatici. La stasi linfatica può associarsi ad una reazione infiammatoria generalizzata della mammella, configurando il quadro di carcinoma infiammatorio. In questo caso la mammella sede della neoplasia maligna assume un aspetto edematoso, è ricoperta da cute iperemica e è ipertermica. Tale quadro è prognosticamene sfavorevole. Altre volte la diagnosi della malattia è secondaria non alla palpazione del nodulo, ma dei linfonodi, sede di neoplasia a livello delle stazioni superficiali, soprattutto quelli ascellari e quelli sovraclaveari.

FIGURA 3

La diagnosi non può comunque prescindere da una accurata anamnesi. Andrà indagato se nella linea diretta femminile esistano o siano esistite patologie a carico della mammella; l’epoca di comparsa del menarca, le caratteristiche del ciclo mestruale (frequenza, regolarità, durata), eventuali gravidanze e/o aborti, l’età della prima gravidanza, l’allattamento della prole, l’eventuale impiego di contraccettivi ormonali.

L’esame obiettivo della mammella è volto soprattutto a definire le caratteristiche cliniche del nodulo mammario, qualora fosse palpabile. In modo particolare devono essere definite le dimensioni, la forma, i limiti, la consistenza, la dolorabilità e la mobilità sia sui piani superficiali sia profondi, oltre che i rapporti col capezzolo e l’areola. Devono, quindi essere esplorate le stazioni linfonodali superficiali. L’esame fisico locale va sempre completato

(17)

17 con un esame clinico generale, ponendo particolare attenzione agli organi bersaglio della metastatizzazione del cancro mammario (fegato, polmoni, scheletro).

Una volta individuato un nodulo mammario, l’iter diagnostico richiede l’esecuzione di esami strumentali, quali la mammografia e l’ecografia bilaterali.

La mammografia trova indicazione quando si tratta di precisare la sede, la forma, il volume, i limiti e i rapporti di un processo patologico. La diagnosi mammografica di lesioni maligne si basa su segni diretti e segni indiretti. I segni diretti sono rappresentati da opacità nodulari di varia densità a contorni irregolari e sfrangiati; i segni indiretti possono essere l’ispessimento o la retrazione della cute e del capezzolo, l’aumento di calibro dei vasi, la presenza di microcalcificazioni irregolarmente distribuite nella compagine del tessuto neoplastico.

L’ecografia mammaria viene preferita in caso di giovane età della donna, inferiore ai 30 anni. Essa permette di distinguere se i noduli siano cistici o solidi. I noduli interamente cistici (anecogeni) sono quasi sempre benigni, mentre la maggior parte dei carcinomi della mammella si presentano come noduli solidi, con ecostruttura disomogenea, calcificazioni intranodulari, margini irregolari e vascolarizzazione intranodulare. Questa indagine offre inoltre la possibilità di guidare l’agoaspirazione per eseguire un esame citoistologico. Lo studio ecotomografico consente di evidenziare, con buona sensibilità, la presenza di linfonodi a livello del cavo ascellare e il loro aspetto.

FIGURE 4 e 5. Visione mammografica ed ecografica di un nodulo maligno. 18, 19

La risonanza magnetica è una metodica di secondo livello. Viene eseguita col mezzo di contrasto, il gadolinio, per evidenziare la neoangiogenesi. Trova indicazione, principalmente, nella diagnosi differenziale fra esiti cicatriziali dopo chirurgia conservativa e recidive, nelle pazienti portatrici di protesi, nelle pazienti con elevato rischio

(18)

eredo-18 familiare o con mutazione di BRCA1 e BRCA2, nel sospetto di neoplasia multicentrica e multifocale.

La diagnosi di certezza è cito-istologica. La citologia studia poche cellule prelevate mediante agobiopsia. Solitamente è effettuata mediante agoaspirato, con ago sottile; tale metodica è detta anche FNAB, acronimo inglese per Fine Needle Aspiration Biopsy L’istologia permette una diagnosi più accurata in quanto va ad analizzare piccoli frammenti di tessuto mammario. Il prelievo è effettuato in anestesia locale mediante aghi speciali di calibro superiore al millimetro. La metodica maggiormente usata è la CNB, acronimo inglese per Core Needle Biopsy. La biopsia può essere eseguita con diverse tecniche: a mano libera, con guida ecografica o con guida stereotassica. Quest’ultima è il Mammotome. Questo è indicato soprattutto per le microcalcificazioni mammarie radiologicamente dubbie o sospette di dimensioni inferiori ai 2 cm e per la valutazione di distorsioni, noduli od opacità. 20

1.6 Classificazione in base al sistema TNM

L’estensione della malattia viene descritta con criteri classificativi standardizzati. Dal gennaio 2010 è in uso il sistema di classificazione TNM rivisto dall’American Joint Commitee on Cancer. Si tratta della settima edizione.21 E’ stata riportata in appendice (Tabella 2). Il sistema TNM prende in considerazione tre parametri: T (Tumor) indica l’estensione locale della malattia; N (Nodes) il numero di linfonodi coinvolti; ed M (Metastasis) la presenza di malattia a distanza. In base a questi parametri sono stati formulati degli stadi di malattia (Tabella 3). In considerazione dello stadio di malattia sarà stabilito l’iter terapeutico più adeguato e la prognosi del paziente.

Dopo un accurato esame clinico per la valutazione dell’estensione locale della malattia, al paziente vengono richiesti gli esami ematochimici di routine per lo studio della sua funzione epatica e renale e della composizione del suo sangue. Un ruolo fondamentale è giocato anche dai marker tumorali: il CEA e il CA15.3. Essi si innalzano in caso di presenza di malattia, rientrano nel range di normalità dopo una chirurgia radicale, per poi aumentare nuovamente in caso di ripresa di malattia locale o a distanza. Il CEA è meno specifico del secondo e viene utilizzato per questo anche nella stadiazione di altri

(19)

19 adenocarcinomi; ha un cut-off di normalità di 2ng/ml. Il CA15.3 è più specifico per la mammella; ha un cut-off di 25UI/ml. Alle volte, soprattutto in caso di donne giovani, è utile la valutazione del CA125. Quest’ultimo ha un cut-off di 37μg/ml.22

In seguito la paziente è sottoposta a controllo mammografico in modo da valutare l’estensione locale del processo patologico mammario. Fortemente consigliati nel periodo preoperatorio e postoperatorio sono un Rx torace in 2 proiezioni, una ecografia addome completo e una scintigrafia ossea, con lo scopo di valutare le condizioni degli organi più frequentemente colpiti da interessamento neoplastico secondario. Nel caso in cui sia presente evidenza clinica di diffusione a distanza di malattia, il paziente verrà sottoposto ad indagini diagnostiche più approfondite come TC total body, TC/PET, RM.

1.7 Fattori prognostici

Esistono fattori validati che si sono dimostrati essere importanti dal punto di vista prognostico23 ed utili nella scelta del tipo di trattamento quali:

1. Dimensione del tumore

E’ difficile definire un valore soglia al di sotto o al di sopra del quale il tumore possa essere considerato a cattiva o a buona prognosi, fatta eccezione per i tumori molto piccoli.

2. Stato dei linfonodi ascellari

I risultati dello studio MIRROR24 hanno evidenziato come la presenza di cellule isolate o di micro metastasi nei linfonodi regionali si associa, in assenza di terapie adiuvanti, ad una peggiore sopravvivenza libera da malattia.

3. Grado istologico

Un grado istologico elevato (G3) è considerato un fattore prognostico sfavorevole a differenza di un grado istologico basso (G1)

4. Attività proliferativa

L’attività proliferativa è misurata con il Ki67 labeling index, ovvero la percentuale di nuclei di cellule tumorali che si colorano con l’anticorpo per la proteina Ki67. 5. Tipo istologico

(20)

20 Gli istotipi tubulare, midollare, l’adenoidocistico, l’apocrino in assenza di interessamento linfonodale e di altri segni di aumentato rischio metastatico hanno una prognosi favorevole.25

6. Invasione vascolare peritumorale

L’invasione vascolare è definita come presenza di chiari segni di invasione in almeno dieci campi microscopici. In uno studio di popolazione26 su ampia casistica è stato evidenziato che nelle donne con tumori della mammella operabili l’invasione vascolare era predittiva di una peggiore sopravvivenza libera da malattia invasiva e di sopravvivenza globale in presenza di altri fattori prognostici sfavorevoli.

7. Stato di HER-2

Rappresenta un consolidato fattore prognostico e un fattore predittivo di risposta ai farmaci anti-HER2 (ad esempio trastuzumab, lapatinib, pertuzumab) e verosimilmente di resistenza al tamoxifene.27 I due metodi più utilizzati, per determinarne la positività o la negatività, sono quello immunoistochimico che valuta l’eventuale sovra espressione del recettore HER-2 e l’ibridazione in situ mediante fluorescenza (FISH) che misura l’amplificazione del gene. Il tumore viene definito HER-2 positivo se con la metodica immunoistochimica viene data una positività di 3+ o se c’è una amplificazione genica con la metodica FISH. Nei casi risultati 2+ è importante eseguire la valutazione dell’amplificazione genica. 8. Stato dei recettori ormonali

Le raccomandazioni ASCO per la determinazione immunoistochimica dei recettori ormonali (ER e PgR) considerano positivi i tumori con almeno 1% di cellule positive. Esiste una relazione tra i livelli dei recettori ed i benefici ottenuti con i trattamenti ormonali sia nella malattia metastatica che nel setting adiuvante e neoadiuvante. Pertanto i tumori con elevati livelli di recettori sono quelli che hanno maggiori probabilità di beneficiare di una terapia ormonale, anche se molti altri fattori possono influenzare l’ormonoresponsività dei tumori come lo stato di Her-2, il grado istologico ed il Ki67.

(21)

21

1.8 Trattamento

Il trattamento della neoplasia della mammella è di tipo multidisciplinare, coinvolgendo vari specialisti, quali il chirurgo, l’oncologo e il radioterapista. Attualmente si individuano quattro situazioni differenti: carcinoma in situ, malattia loco-regionale, malattia localmente avanzata o non operabile in maniera conservativa, malattia metastatica. Generalmente nel primo caso l’approccio è chirurgico, nel secondo caso si opta per una terapia chirurgica seguita da un trattamento adiuvante; nel terzo si fa precedere alla chirurgia un trattamento neoadiuvante e seguire un trattamento adiuvante; nel quarto caso, spesso, l’opzione chirurgica è da scartare, il trattamento è basato su una terapia medica o radioterapica palliative.

1.8.1 Carcinoma in situ

Il trattamento del carcinoma in situ è chirurgico: una chirurgia conservativa seguita da radioterapia sulla mammella residua oppure mastectomia semplice. L’uso della terapia antiestrogenica con tamoxifene alla dose di 20 mg al giorno, qualora fosse documentata positività dei recettori ormonali, ridurrebbe il rischio di sviluppare un carcinoma invasivo sia nella stessa mammella operata sia nella controlaterale.28 Nella scelta terapeutica devono, comunque, essere presi in considerazione anche gli effetti collaterali di tale farmaco.

1.8.2 Malattia loco-regionale

In caso di malattia allo stadio I-II il primo approccio terapeutico è costituito o dalla chirurgia conservativa con dissezione ascellare seguita dalla radioterapia o da una mastectomia con dissezione ascellare. La scelta del tipo di intervento a livello mammario dipende dalla localizzazione e dal rapporto tumore/dimensioni della mammella, dalle caratteristiche mammografiche, dalla preferenza della paziente o dalla presenza o meno di controindicazioni alla radioterapia.

(22)

22 La chirurgia conservativa consiste nella asportazione del quadrante di mammella, sede della neoplasia, con 2 cm di parenchima macroscopicamente sano. La mastectomia radicale consiste, invece, nella asportazione dell’intera ghiandola mammaria, con o senza i muscoli pettorali in base alla tecnica utilizzata. Per queste pazienti sono disponibili interventi di ricostruzione chirurgica, tra le quali il posizionamento, immediato o differito nel tempo, di protesi mammarie. Uno studio effettuato a Milano29 fra il 1973 e il 1980, in cui furono incluse 701 pazienti con neoplasia inferiore ai 2 cm e senza linfonodi palpabili a livello del distretto ascellare, non mostrò differenze in termini di disease free survival e overall survival fra i due gruppi trattati o con approccio conservativo o con approccio radicale.

In caso di linfonodi ascellari clinicamente negativi è indicato far precedere alla dissezione ascellare la biopsia del linfonodo sentinella.30 Il linfonodo sentinella è il primo linfonodo che riceve la linfa dal settore anatomico, nel quale è localizzato il tumore primitivo. Questo viene identificato preoperatoriamente mediante l’inoculo sub dermico o peritumorale di un tracciante radioattivo e l’esecuzione di una linfoscintigrafia. Durante l’intervento chirurgico l’identificazione e l’asportazione del linfonodo sentinella avvengono mediante l’utilizzo di una sonda per chirurgia radioguidata. Un attento esame istologico indicherà se la neoplasia ha già invaso la rete linfonodale o meno. In caso di negatività alla donna viene risparmiata la dissezione ascellare e le commorbidità che ne seguono, quali edema, parestesia, dolore cronico e limitazioni funzionali dell’arto superiore. In caso di positività è indicata la dissezione del I- II e III livello ascellare, con l’asportazione di almeno 10 linfonodi.

Dopo chirurgia conservativa la radioterapia deve comprendere tutta la mammella residua. Il tipo di frazionamento standard è di 50 Gy in 25 frazioni 5 volte alla settimana; con la possibilità di aggiungere un supplemento di dose (boost) di 10-16 Gy sul letto tumorale. Il boost è una opzione da valutare soprattutto in relazione al rischio di ricaduta locale e alla possibilità tecnica di confinare l’irradiazione al solo letto tumorale. Dopo mastectomia, la radioterapia della parete toracica è indicata in caso di tumori primitivi maggiori di 5 cm o che interessano la cute e/o il muscolo pettorale e/o la parete toracica o 4 o più linfonodi ascellari. In quest’ultimo caso l’irradiazione è estesa anche al cavo ascellare.31

La terapia sistemica adiuvante viene presa in considerazione dopo la chirurgia vista la significativa riduzione del rischio di recidiva e di morte ottenuta con la terapia ormonale,

(23)

23 con la polichemioterapia e con la terapia a bersaglio molecolare. L’indicazione ad una terapia adiuvante viene decisa in base alle caratteristiche del tumore, al rischio di ripresa di malattia e all’entità del beneficio prevedibile, valutando anche la tossicità della terapia, le preferenze della paziente, le malattie concomitanti e l’aspettativa di vita.

In caso di espressione del nodulo tumorale dei recettori estrogenici e progestinici sarà preso in considerazione un trattamento di tipo ormonale. Diversi sono i farmaci approvati: il tamoxifene, un SERM, ovvero un modulatore selettivo del recettore per gli estrogeni; anatrozolo, letrozolo, exemestane, inibitori delle aromatasi; gli analoghi del GnRH. La scelta del tipo di farmaco dipende dallo stato ormonale della paziente, e in modo particolare se questa è o meno in menopausa. Nelle donne in premenopausa il trattamento di scelta è il tamoxifene 20 mg per almeno 5 anni, in associazione per almeno 2 anni ad un LHRH-analogo. In postmenopausa l’indicazione è per gli inibitori delle aromatasi; anche questo trattamento deve essere mantenuto per un periodo di 5 anni. La prosecuzione del tamoxifene dopo i 5 anni è oggetto di studio. Lo studio ATLAS32 ha evidenziato un vantaggio significativo in sopravvivenza libera da ripresa di malattia ma non in sopravvivenza globale e una aumentata incidenza di tumori dell’endometrio. Gli inibitori delle aromatasi possono essere anche utilizzati per 3-2 anni dopo il tamoxifene somministrato per 2 o 3 anni. La tossicità del tamoxifene interessa soprattutto l’endometrio determinandone iperplasia e molto raramente l’insorgenza di una neoplasia; mentre gli inibitori delle aromatasi tendono ad aumentare lo stato di osteoporosi. Le pazienti devono, pertanto, essere sottoposte a follow up ginecologico con una ecografia transvaginale e per misurare la mineralizzazione ossea a densitometria.

La chemioterapia deve essere iniziata entro sei settimane dall’intervento chirurgico. E’ possibile distinguere i vari schemi polichemioterapici per il tumore alla mammella in tre generazioni. La prima generazione, introdotta negli anni ’70, si basa sui regimi che combinano ciclofosfamide, metotrexate e 5-fluorouracile, il CMF. Ad oggi questo schema deve essere riservato a pazienti con controindicazioni ad uso di antracicline o pazienti che rifiutano in modo assoluto una alopecia completa.31 Alla seconda generazione appartengono i regimi a base di antracicline, introdotti negli anni ‘80. Gli schemi più utilizzati sono: AC (adriamicina e ciclofosfamide), EC (epirubicina e ciclofosfamide), FEC (5-fluorouracile, epirubicina, ciclofosfamide) e FAC (5-fluorouracile, adriamicina, ciclofosfamide). Le antracicline hanno principalmente due tipi di tossicità, una dose

(24)

24 limitante, la mielodepressione e l’altra dose cumulativa, la cardiotossicità. Le pazienti in trattamento con antracicline devono essere periodicamente valutate dal punto di vista cardiologico. Alla terza generazione fanno capo dei farmaci introdotti negli anni ’90, i taxani (paclitaxel o taxolo e docetaxel o taxotere). Attualmente per il trattamento adiuvante della mammella si preferiscono schemi sequenziali come FEC seguita da docetaxel e AC o EC seguita da paclitaxel. Tali regimi sono definiti a blocco-sequenziale. E’ possibile la somministrazione di regimi a base di soli taxani, come il TC, che comprende ciclofosfamide e docetaxel.

L’avvento del trastuzumab ha cambiato la storia naturale dei noduli HER-2 positivi. E’ un anticorpo monoclonale per il dominio extracellulare di HER2. Se la chemioterapia adiuvante scelta consta di un regime con antracicline per 4 cicli seguito da un taxano settimanale, la miglior modalità di somministrazione prevede la concomitanza col taxano e infine in monoterapia per completare un anno di trattamento. In alternativa può essere somministrato in monoterapia per un anno in sequenza ad un regime adiuvante consolidato, a base di sole antracicline, soli taxani o entrambi. Controindicazione alla sua somministrazione è la presenza di una frazione di eiezione inferiore al 50%. La paziente, che riceve trastuzumab, va monitorata periodicamente per quanto riguarda la funzionalità cardiaca.31 Due studi condotti nel Nord America hanno confrontato la chemioterapia in associazione a trastuzumab verso la sola chemioterapia. L’aggiunta di trastuzumab ha determinato una riduzione del rischio di recidiva del 12,8% assoluto e un vantaggio assoluto in sopravvivenza globale del 3,2% ad un follow up mediano di 2,9 anni. Ad un follow up di 4 anni la combinazione dell’anticorpo con la chemioterapia continua a dimostrare una riduzione del rischio di ricaduta del 52% e di morte del 39%, con un aumento assoluto della sopravvivenza libera da malattia del 12% e della sopravvivenza globale del 7,4%.33

1.8.3 Malattia localmente avanzata

La malattia localmente avanzata (IIIB/IIIC o con mastite carcinomatosa) non beneficia di un trattamento chirurgico ab inizio. Si può tentare un approccio con un trattamento medico di tipo neoadiuvante. Il trattamento primario è da riservarsi anche alle pazienti in stadi più bassi ma candidate a mastectomia, al fine di aumentare le possibilità di una chirurgia

(25)

25 conservativa, nei casi in cui non risulti effettuabile alla diagnosi.31 In generale qualsiasi regime chemioterapico che si sia dimostrato efficace in adiuvante è applicabile in neoadiuvante. Si preferisce utilizzare schemi a base di antracicline e taxani a blocco sequenziale. Le pazienti HER-2 positive devono ricevere il trastuzumab associato alla chemioterapia; la durata del trattamento con trastuzumab, fra fase pre- e post- operatoria, deve essere di 52 settimane.5 L’ormonoterapia primaria, nelle donne con recettori ormonali positivi, può essere presa in considerazione tenendo conto però che la durata ottimale del trattamento non è nota e che sono da prevedere almeno 6 mesi di terapia.

L’obiettivo è quello di ottenere una risposta patologica completa (pRC). Tuttavia in letteratura sono state riportate diverse definizioni di pRC:

o Assenza di residuo invasivo ed invasivo su mammella e su linfonodi;

o Assenza di residuo invasivo su mammella e linfonodi. Residuo non invasivo ammesso;

o Assenza di residuo invasivo su mammella. Residuo non invasivo e coinvolgimento linfonodale ammessi;

o Assenza di residuo macroscopico invasivo su mammella. Residuo invasivo focale, residuo non invasivo e coinvolgimento linfonodale ammessi.

In seguito il trattamento neoadiuvante è seguito da una chemioterapia o da una radioterapia. Generalmente se si è raggiunta una condizione di operabilità si invia il paziente all’intervento chirurgico seguito poi da un trattamento adiuvante. Altrimenti, se persiste una condizione di non operabilità si opta per una radioterapia per il controllo locale della malattia.

1.8.4 Malattia metastatica

Nonostante i trattamenti adiuvanti disponibili circa il 20-30% delle pazienti affette da carcinoma mammario ricade a livello sistemico. Grazie ai progressi diagnostici e terapeutici, alla disponibilità di nuovi farmaci antitumorali e migliori terapie di supporto, alla migliore integrazione delle terapie sistemiche con le terapie locali, la sopravvivenza mediana globale della malattia metastatica è arrivata a superare i 30 mesi nelle forme HER2-negative34 e recettori ormonali positivi ed i 37 mesi nelle forme HER2-positive35.

(26)

26 L’ormonoterapia (tamoxifene+LHRH in premenopausa; inibitori dell’aromatasi o fulvestrant in postmenopausa) trova indicazione nei tumori con recettori ormonali positivi, in presenza di una malattia indolente. In tali casi, nelle pazienti in postmenopausa dopo progressione durante o dopo terapia con antiaromatasici non steroidei, l’aggiunta di everolimus ad exemestane determina un vantaggio statisticamente e clinicamente significativo della sopravvivenza libera da progressione34.

La chemioterapia trova indicazione nel caso di malattia con recettori ormonali negativi, metastasi viscerali multiple o che determinano un pericolo di vita nel breve termine, malattia aggressiva (breve intervallo libero di malattia), in pazienti giovani con metastasi viscerali, o in pazienti che non rispondano più alla terapia ormonale. La scelta della chemioterapia si basa anche sul precedente trattamento ricevuto in neoadiuvante/adiuvante. Farmaci considerati molti attivi in questo setting sono: le antracicline (adriamicina, epirubicina, doxorubicina liposomiale), i taxani (paclitaxel, docetaxel, nab-paclitaxel), la vinorelbina, la capecitabina e l’eribulina.

Ai chemioterapici tradizionali possono essere associati farmaci biologici di ultima generazione. Nel tumore mammario HER-2 negativo si può associare il Bevacizumab al paclitaxel, un antineoangiogenetico, che impedisce al tumore la formazione di vasi sanguigni per il suo sostentamento. Nel tumore mammario HER-2 positivo in progressione dopo terapia a base di trastuzumab, è possibile ricorrere all’associazione pertuzumab, trastuzumab e docetaxel36 oppure al lapatinib in associazione con la capecitabina. Sia il pertuzumab sia il lapatinib sono diretti contro HER-2 ma hanno una modalità d’azione diversa dal trastuzumab. Altro farmaco di nuova generazione registrato in seconda linea in caso di progressione al trastuzumab è il T-DM1 (trastuzumb-emstansine). Associa ad una molecola di trastuzumab da 3 a 4 molecole di miatensina, un forte citotossico che agisce sul fuso mitotico.

La radioterapia e la chirurgia, nella fase metastatica, trovano indicazioni con finalità palliative. Nelle pazienti con metastasi ossee è indicato un trattamento con bifosfonati o con denosumab37.

(27)

27

Capitolo 2: Il carcinoma mammario nelle donne

giovani

2.1 Epidemiologia, fattori di rischio, prognosi

Molti studi dividono le donne con un carcinoma mammario in due gruppi utilizzando come cut off i 50 anni. Questi due gruppi corrispondono, grossomodo, al setting premenopausale e a quello postmenopausale. E’ opportuno suddividere ulteriormente il primo gruppo in donne con malattia precoce, quelle con una età inferiore ai 40 anni, e in donne con malattia relativamente precoce, con una età compresa fra i 40 e i 50 anni.38

L’incidenza annuale del tumore mammario nelle donne con una età inferiore ai 40 anni si mantiene costante39, ed è pari al 5-7%. Tale neoplasia è quella più comunemente diagnosticata in donne con una età compresa fra i 25 e i 39 anni.40 In questo sottogruppo non si evidenziano le discrepanze fra i tassi di incidenza dei paesi più industrializzati e quelli più poveri, ma si evidenziano differenze in base all’etnia. Negli Stati Uniti l’incidenza è maggiore nelle donne di colore rispetto alle donne bianche. Mentre il tasso di incidenza di carcinoma mammario nelle donne con una età inferiore ai 40 anni è pari al 15% in Asia. 41

I fattori di rischio sono simili a quelli delle donne in postmenopausa, con qualche difformità. Ad esempio l’obesità rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo della neoplasia in postmenopausa, per l’aumento dell’aromatizzazione degli ormoni sessuali maschili in ormoni sessuali femminili. Invece un elevato BMI è un fattore protettivo in donne con una età inferiore ai 40 anni.42 Il razionale non è noto.

L’uso di contraccettivi orali, invece, rappresenta un fattore di rischio nelle donne in premenopausa, ma non di elevata entità. Il Collaborative Group on Hormonal Factors in Breast Cancer, che ha analizzato i dati di uno studio, che ha confrontato più di 53 mila donne che facevano uso di terapia estroprogestinica e più di 100 mila donne che non ne

(28)

28 facevano uso, ha sì osservato un aumento del rischio, ma questo si annullava dopo 10 anni dall’interruzione dell’assunzione della pillola.43

La gravidanza è comunemente nota come un fattore protettivo. Però nei primi anni dopo il parto si evidenzia un aumento della incidenza.44 Il motivo è da ricercarsi nella aumentata proliferazione della ghiandola, per prepararsi all’allattamento prima, e nella sua successiva involuzione. In tale periodo le cellule sarebbero più sensibili all’azione di mutageni. L‘allattamento gioca un ruolo protettivo. In uno studio caso/controllo effettuato in Gran Bretagna45 il rischio relativo di carcinoma mammario in donne con una età inferiore ai 36 anni diminuiva del 22% per ogni anno di allattamento. In altre metanalisi la diminuzione del rischio è più modesta, ed è pari al 4,3% per ogni anno di allattamento.46

La genetica svolge un ruolo importantissimo. Normalmente in Gran Bretagna il 3% delle donne ha una mutazione del BRCA1, tale percentuale sale al 6-9% ne sottogruppo di donne giovani con tumore mammario.47 Anche mutazioni a carico di altri geni rappresentano dei fattori di rischio. La sindrome di Li Fraumeni, causata da una mutazione di p53 si associa ad un aumento dell’incidenza di carcinoma mammario fra i 20 e i 30 anni.48 Rimane, comunque, una condizione rara. La mutazione di CHEK2 determina un raddoppiamento dell’incidenza di neoplasia mammaria nelle donne giovani.49

Una importante storia familiare di neoplasia mammaria rappresenta anche essa un fattore di rischio.

Un aumento dell’incidenza di neoplasia mammaria si è visto in donne esposte a radiazioni ionizzanti. L’aumento del rischio varia in base all’età, in cui è avvenuta l’esposizione, e la dose. L’esposizione è molto più pericolosa nella adolescenza, quando la ghiandola si sta sviluppando, rispetto all’infanzia, quando è in una fase quiescente. In donne con una età inferiore a 25 anni, che sono state irradiate in quanto affette da linfoma di Hodgkin, il rischio di ammalarsi aumentava del 10% a 45 anni e del 29% a 55 anni.50

Il tumore mammario quando interessa le giovani donne ha solitamente una prognosi peggiore di quando interessa donne con una età superiore ai 50 anni. Tale è determinata, soprattutto, dalle caratteristiche della malattia in questa popolazione; che conferiscono alla neoplasia una maggiore aggressività38:

o Un rischio maggiore di ricorrenza locale;

(29)

29 o Alto rischio di insorgenza di carcinoma mammario alla mammella controlaterale; o Alto numero di neoplasie omononegative;

o Alto numero di neoplasie HER-2 positive; o Alto numero di neoplasie TP53 positive.

Alla ripresa locale di malattia è associato un alto tasso di mortalità pari a quello che si registra per la presenza di metastasi a distanza. Fattori di rischio sono il piccolo intervallo libero da malattia, la positività linfonodale e l’età della donna alla diagnosi.

L’età sembrerebbe un fattore di rischio indipendente. Lo studio di Bharat et al. 51

valutò un rischio di recidiva maggiore di 1,53 volte nelle donne giovani rispetto alle donne con una età superiore ai 40; mentre Azim et al.52 valutarono un hazard ratio di 1,43 volte maggiore. Se tale dato fosse confermato le giovani donne con carcinoma mammario potrebbero beneficiare di schemi di trattamento della malattia rispetto alle donne di età maggiore, privilegiando un approccio più aggressivo. La differenza di prognosi nel carcinoma mammario nelle donne con una età inferiore ai 40 anni e in quelle con una età superiore sarebbe rilevante soprattutto negli stadi I e II rispetto a quelli più avanzati.53

Si pensa che oltre all’età il motivo dell’outcome peggiore della neoplasia mammaria nella donna giovane sia da ricercarsi nel microambiente ella ghiandola. Anders et al.54 misurarono l’espressione di EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor) in donne giovani con carcinoma mammario; risultò che più alti livelli di espressione di EGFR si associavano ad una prognosi peggiore. Tale studio identificò 367 geni che erano espressi dalle cellule neoplastiche di donne giovani, oltre al già citato EGFR, vi sono geni che regolano il sistema immunitario, la risposta all’ipossia, il sito di legame per la ripamicina, l’apoptosi, la via delle MAP chinasi. Azim et al.52 evidenziarono, invece, come la cellule della ghiandola mammaria di donne che avevano sviluppato carcinoma, esprimevano geni tipici dei progenitori delle cellule luminali come RANKL e KIT. Secondo le linee guida del NCCN, alle pazienti al di sotto dei 50 anni devono essere inviate ad una consulenza genetica.55 Si ricercherà la mutazione del BRCA1 e BRCA2. I tumori associati a mutazione di BRCA1 è più frequentemente G3 e “triplo negativo”; mentre quello associato a mutazione di BRCA2 è solitamente di tipo “luminale”, ormonopositivo47

. Si riscontra mutazione di p53; essa si associa più spesso a malattia HER2 positiva.56 Mentre il test per

(30)

30 la mutazione di p53 è da proporre a donne con una età inferiore o uguale i 35 anni risultate non portatrici della mutazione a carico dei geni BRCA1 e BRCA2.

Uno studio che valutò il rischio di sviluppare carcinoma alla mammella controlaterale evidenziò come se una donna con una età inferiore ai 30 anni sviluppa un nodulo maligno a destra, la probabilità che la patologia si ripresenti a sinistra a 40 anni sono del 5%.57 Vi sono alcuni istotipi particolari, come l’adenocarcinoma secretorio giovanile, a buona prognosi.58 Un più alto numero di noduli mostra caratteristiche biologiche associate ad una maggiore aggressività; ad esempio le neoplasie definite triple negative hanno un tasso di incidenza nelle donne afroamericane se in postmenopausa del 15%, mentre in premenopausa del 40%.41

Le donne con una età inferiore di 50 anni non rientrano nella campagna di screening mammografico. E’ in fase di discussione se estendere il range di popolazione a cui è rivolta anche a donne di età inferiore. Ad oggi per effettuare una diagnosi precoce si consiglia l’esecuzione di una ecografia senologica nelle donne ad alto rischio una volta l’anno a partire dai 30 anni. E’ comunque buona abitudine l’effettuazione dell’autopalpazione. Secondo uno studio condotto da Ogawa et al.59 tale procedura permetterebbe di fare diagnosi di noduli maligni di dimensioni inferiori, 2,5 cm contro i 3,5cm in donne che, invece, non la attuavano. Nelle donne giovani trova indicazione la risonanza magnetica mammaria.

2.2 Trattamento

La cattiva prognosi della neoplasia mammaria quando interessa donne giovani pone diversi interrogativi sulla scelta del trattamento adeguato. Per alcuni queste donne dovrebbero essere sottoposte ad una chemioterapia, indipendentemente dallo stato linfonodale, dalle dimensioni del nodulo e dal suo grado di differenziazione. L’Early Breast Cancer Trialists Collaborative Group ha evidenziato il vantaggio, che le donne con una età inferiore ai 50 anni, ricevono dalla effettuazione di una chemioterapia: il tasso di mortalità si abbassa del 38%60. Kroman et al.61 sottolinearono come tale vantaggio fosse maggiore per le donne

(31)

31 con una età inferiore ai 35 anni alla diagnosi (OR per non-chemioterapia versus chemioterapia 2,2;95% CI 1,6-2,9). Nella scelta se proporre o meno alla donna una chemioterapia deve essere anche valutata la lunga aspettativa di vita, e quindi si deve prestare particolare attenzione alle tossicità a lungo termine dei farmaci, come una seconda neoplasia o un danno all’apparato cardiovascolare Comunque diversi studi hanno, anche, dimostrato che nelle donne giovani con malattia indolente un trattamento a base di terapia ormonale, tamoxifene associato a LHRH analoghi, determina lo stesso vantaggio di un trattamento chemioterapico.62 Lo studio ATLAS ha evidenziato come sussistano dei vantaggi nel prolungare il trattamento con tamoxifene oltre i 5 anni.32.

Data l’elevata ripresa di malattia a livello locale, e l’elevata mortalità che a questa consegue, paragonabile in questa popolazione alla mortalità secondaria a metastatizzazione a distanza, alcuni autori mettono in dubbio il ruolo della chirurgia conservativa. Non sono ad oggi stati compiuti studi randomizzati che mettessero in confronto la mortalità relativa ai due diversi tipi di chirurgia nelle donne giovani. Perciò, il tipo di tecnica chirurgica

continua ad essere scelto in base ai fattori del setting postmenopausale; da tenere in considerazione sono anche una futura possibilità di ricostruzione ed una pregressa irradiazione. La mastectomia, sia semplice sia radicale, ha dimostrato avere un tasso inferiore di ripresa di malattia loco-regionale.63 A sostegno della chirurgia radicale vi è anche la questione, precedentemente accennata, che queste donne proprio per la loro giovane età hanno più tempo per sviluppare una seconda neoplasia mammaria.38 Per ciò che concerne la chirurgia sulla ascella bisogna tener presente che il linfedema interessa maggiormente le donne giovani. Il motivo non è chiaro.64 Dato il maggior rischio di neoplasia nella mammella controlaterale altri autori sostengono il ruolo della mastectomia controlaterale profilattica. Non vi sono studi che evidenziano in modo chiaro una riduzione della mortalità per chirurgia sulla mammella controlaterale. Inoltre uno studio dell’American College of Surgeon National Surgery Quality Improvement Program documenta come la mastectomia bilaterale aumenta le complicanze post-chirurgiche, ad esempio le infezioni della ferita.65 Ad oggi tale tipo di intervento trova indicazione solo nelle donne ad alto rischio, o per una anamnesi familiare fortemente positiva o perché portatrici della mutazione BRCA1 e BRCA2.

(32)

32 Si discute anche sull’effettuazione di una irradiazione postmastectomia, con lo scopo di ridurre il tasso di incidenza di ripresa locale di malattia. Ad oggi viene proposta alle donne con nodulo maggiore di 50 mm o N2 o con interessamento della cute.66

La giovane età è associata ad un aumento del rischio di secondarismi a livello encefalico. Le modalità di trattamento non differiscono e comprendono principalmente la possibilità di effettuare una radioterapia di tipo stereotassica o whole-brain.67

2.3 Problematiche particolari

2.3.1 Sfera della fertilità

Il rischio che un trattamento chemioterapico induca una menopausa precoce dipende dagli agenti utilizzati, dalla dose totale e dall’età della paziente, o meglio, dalla sua riserva ovarica. In Appendice la tabella 468 mostra la probabilità che i regimi chemioterapici più usati inducano amenorrea nelle donne con una età inferiore e maggiore ai 40 anni. I sintomi della menopausa sono in questo gruppo di donne particolarmente fastidiosi. Questi comprendono hot flash, astenia, insonnia, sbalzi d’umore. Le caldane possono trovare giovamento se trattate con farmaci non ormonali, quali gli SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina), gabapentin, clonidina o l’agopuntura.58

Si consiglia di attendere almeno due anni di periodo libero da malattia prima di intraprendere una gravidanza. Comunque devono essere trascorsi, almeno, nove mesi dall’effettuazione della radioterapia, sei mesi dalla chemioterapia e tre mesi dalla sospensione del tamoxifene.58 Bisogna considerare che il tamoxifene è altamente teratogeno. Non è stato osservato un aumento del tasso di mortalità se la gravidanza segue il carcinoma. Una metanalisi di 14 studi retrospettivi, che valutavano l’impatto della gravidanza sulla sopravvivenza globale in donne con una anamnesi positiva per neoplasia mammaria, ha dimostrato una riduzione della mortalità del 41% rispetto alle donne che avevano scelto di non intraprendere una gravidanza.69 Considerando questi risultati alla luce del “healthy mother effect”, ovvero solo le donne che si sentono in salute decidono di avere dei figli, si può concludere che non vi siano sostanziali differenze fra i due gruppi. Nelle linee guida dell’ASCO è evidenziato come alle donne giovani che si sottoporranno a

(33)

33 chemioterapia è necessario proporre la possibilità di preservare la fertilità. Infatti la chemioterapia può determinare sterilità sia esaurendo la riserva ovarica sia danneggiando le cellule della granulosa ovarica. Le tecniche sono diverse, dal congelamento degli oociti all’effettuazione di una terapia con LHRH analoghi.70

Siccome bisogna considerare potenzialmente fertile una donna giovane, anche se con irregolarità mestruali o con amenorrea durante o dopo il trattamento chemioterapico e poiché concepire durante la chemioterapia determina un altissimo rischio di malformazioni fetali, deve essere tenuto presente il problema della contraccezione. La scelta dovrebbe ricadere sull’uso di un metodo a barriera, come condom o diaframma.71

In chi desidera una soluzione definitiva è da proporre un intervento di legature delle tube.

2.3.2 Sfera psico-neurologica

L’aspetto psicologico riveste un importante ruolo. Lo stress, a cui le donne con carcinoma mammario in premenopausa sono sottoposte, sembrerebbe maggiore rispetto a quello delle donne in postmenopausa. Uno studio retrospettivo su 500 donne con neoplasia mammaria ha evidenziato come le capacità sociali ed emozionali dopo 6 mesi dalla diagnosi sarebbero inversamente proporzionali all’età della donna.70

La chemioterapia determina degli effetti anche sulle capacità neurologiche, andando a determinare la cosiddetta sindrome “chemobrain”.72

Questa comprende deficit di attenzione, di memoria e di concentrazione, che assumono un ruolo maggiormente rilevante nelle donne giovani, in quanto attive professionalmente.

2.3.3 Carcinoma mammario nella donna giovane Vs Carcinoma

mammario in gravidanza

Genin e colleghi73 studiarono un gruppo di 276 pazienti affette da carcinoma mammario di età compresa fra i 20 e i 43 anni. Di queste la neoplasia mammaria si è associata a gravidanza in 41 casi. I risultati di qu esto studio stabiliscono che non vi sono sostanziali differenze fra i due gruppi. Solitamente la diagnosi è posta più tardivamente nelle donne gravide rispetto alle non gravide, presentandosi in uno stadio maggiore: si ha una maggior estensione del nodulo, ma non un maggior tasso di interessamento dei linfonodi. Dal punto di vista biologico vi è una maggiore frequenza di malattia ormononegativa nelle gravide

(34)

34 rispetto alle non gravide; mentre il tasso di iperespressione di HER2 è due volte maggiore nelle prime rispetto alle seconde. I noduli che si sono dimostrati avere un comportamento maggiormente aggressivo sono quelli che si sono originati entro i 5 anni dal parto.

(35)

35

Capitolo 3: Gestione del carcinoma mammario in

gravidanza

3.1 Epidemiologia

Nel corso del 2014 i nuovi casi di tumore sono stati poco più di 800 mila, fra questi il 20-30% ha colpito giovani donne con una età inferiore ai 45 anni.1

E’ stato documentato un raddoppiamento dell’incidenza delle neoplasie nel periodo gestazionale passando da 1:2000 nel 1964 ad 1:1000 nel 200074; il motivo è da ricercarsi sia nelle migliori tecniche diagnostiche, sia nella maggior aderenza della popolazione a controlli e metodiche di screening, sia allo slittamento della prima gravidanza dalla seconda alla terza decade di vita, perciò ad una maggior età della gestante.75

Nel periodo gestazionale vengono diagnosticati più frequentemente carcinomi alla cervice, melanomi, linfomi, carcinomi ovarici e carcinomi mammari.

L’incidenza del carcinoma mammario in gravidanza è stimata circa su 1:3000 casi.74

Si definisce tumore mammario in gravidanza (Pregnancy-Associated Breast Cancer PABC) la neoplasia diagnosticata durante la gestazione od entro un anno dal parto.76

Secondo il registro europeo l’età media di diagnosi è 33 anni (22-43 anni) e l’età media di gestazione alla diagnosi è di 21 settimane. 76

Il rischio di PABC è maggiore se la prima gravidanza è intrapresa dopo i 35 anni; tale rischio si mantiene per i 5 anni consecutivi al parto. A termine di tale periodo la gravidanza diviene un fattore protettivo.77

Dal punto di vista genetico, il 50% delle pazienti affette da PABC ha una storia familiare positiva per carcinoma mammario; il 30% presenta una mutazione per BRCA1 o BRCA2; l’8% è mutato per p53.78

(36)

36

3.2 Diagnosi e Stadiazione

E’ stato stimato un ritardo della diagnosi di circa 6 mesi.76

Nel registro europeo il 21,6% dei casi sono diagnosticati nel primo trimestre, nel 43,3% nel secondo e nel 35,1% nel terzo.76

L’inizio del percorso diagnostico deve basarsi su anamnesi ed esame obiettivo, fondamentali nel porre un sospetto; questo andrà in seguito approfondito.

Le modalità di presentazione sono le stesse delle donne non gravide: un nodulo palpabile duro e non dolente, linfadenopatie a livello dei linfonodi ascellari e sovraclaveari, alterazione o retrazione del capezzolo, arrossamento od edema della cute.

Bisogna prestare, però, particolare attenzione nell’ispezione e nella palpazione della mammella in quanto alcuni segni di malattia potrebbero essere confusi con le fisiologiche modificazioni della ghiandola, tipiche del periodo gestazionale.

Lo studio del nodulo con tecniche di imaging deve basarsi sull’utilizzo della ecografia e della risonanza magnetica; altre metodiche a base di radiazioni ionizzanti potrebbero determinare dei danni al feto come malformazioni, ritardi della crescita e leucemie.

Lo studio effettuato da McCollough et al.79 ha dimostrato che una esposizione inferiore ai 0,05 Gy non determina un aumento del rischio per il feto ad organogenesi terminata, dopo l’ottava/dodicesima settimana. Qualora l’utilizzo di metodiche a base di radiazioni ionizzanti fosse indispensabile e non procrastinabile è necessario adottare tutte le precauzioni atte a schermare il più possibile l’esposizione del feto.

L’iperplasia duttale della ghiandola mammaria, in questo periodo, determina un aumento di densità, tale da abbassare la sensibilità della mammografia, che rimane, comunque, importante nell’evidenziare le microcalcificazioni.

L’ecografia rappresenta il gold standard nella valutazione di un nodulo palpabile nelle donne gravide. Risulta anche utile nel guidare la biopsia.

La risonanza magnetica gioca un ruolo controverso, soprattutto, per la scarsa capacità di discernere fra una ipervascolarizzazione indotta da un nodulo maligno e quella indotta dalla iperplasia ghiandolare del periodo gestazionale e, in seguito, anche dall’allattamento.

Riferimenti

Documenti correlati

sua divisione in due cellule, tempo caratteristico della specie e delle condizioni colturali..

Si aggiunga alla classe ArrayStack (implementa l’interfaccia Stack usando un array) il metodo Stack clone() che restituisce un nuovo stack avente lo stesso contenuto dello stack...

L'equazione precedente stabilisce che la superficie dell'area richiesta per un separatore ideale è uguale alla portata in ingresso della soluzione diviso la velocità di

Livello descrittivo: gli allievi sono in grado di riconoscere le figure e di caratterizzarle in base alle loro proprietà geometriche, le sanno denominare. Livello razionale:

A comparison between the evidence produced with the instruments estimated on monthly data and the ones estimated on weekly data (and then sampled at a monthly

A parto avvenuto ed almeno un mese prima del termine del congedo obbligatorio, la specializzanda deve inviare tramite l’email di Ateneo all’indirizzo di

A parto avvenuto ed almeno un mese prima del termine del congedo obbligatorio, la specializzanda deve inviare tramite l’email di Ateneo all’indirizzo di