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Farmaci "PAXAR": nuove proposte per la cura e la prevenzione degli eventi tromboembolici

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE ... 2

1. SCOPO FISIOLOGICO DELLA COAGULAZIONE ... 3

1.1 Attivazione piastrinica ... 4

1.2 Patologie tromboemboliche ... 8

1.3 Principali farmaci antiaggreganti ... 9

1.4 Nuove strategie terapeutiche ... 13

1.5 Azione della trombina sul recettore piastrinico PAR-1 ... 13

2. AGONISTI E ANTAGONISTI DEL RECETTORE PAR-1 ... 18

2.1 Sviluppo degli antagonisti PAR-1 ... 18

2.2 Sintesi e sperimentazione clinica di ATOPAXAR ... 22

3. ANTAGONISTI DEL RECETTORE PAR-1 DERIVATI DALL’HIMBACINA ... 31

3.1 Proprietà del Vorapaxar nel legame al PAR-1 ... 46

3.2 Approvazione per l’uso terapeutico del Vorapaxar ... 52

3.3 Sviluppi successivi al Vorapaxar ... 53

4. APPENDICE ... 57

4.1 Esami di laboratorio ... 57

4.2 Criteri per la valutazione del sanguinamento ... 59

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INTRODUZIONE

La terapia antiaggregante piastrinica ha rivoluzionato il trattamento delle malattie cardiovascolari, principale causa di morte nei paesi industrializzati. L’attivazione piastrinica rappresenta un momento chiave nel processo aterosclerotico e nella formazione del trombo e questo può causare angina instabile, infarto del miocardio o ictus ischemico. L’inibizione della funzione piastrinica sembra essere quindi la miglior strategia per il trattamento e la prevenzione delle trombosi arteriose, anche se spesso il controllo di tale meccanismo fisiologico comporta un aumento del rischio emorragico nei pazienti trattati. Un agente anti-piastrinico ideale dovrebbe essere capace di bloccare in maniera selettiva i meccanismi trombogeni senza interferire con la fisiologica funzione piastrinica protettiva, tuttavia, al momento nessun farmaco presenta queste caratteristiche ideali. I farmaci attualmente utilizzati sono in genere ben tollerati, ma possono presentare un’efficacia limitata; per questo motivo la ricerca è attiva nello sviluppo di nuove e più efficaci molecole ad azione anti-piastrinica.

Lo sviluppo di nuovi farmaci si è indirizzato verso l’inibizione dell’attivazione del recettore per la trombina, denominato PAR-1. L’inibizione di questo specifico recettore ha dato origine ad una nuova classe di farmaci che presentano, come caratteristiche peculiari, una maggiore efficacia rispetto alle terapie convenzionali e un maggior profilo di sicurezza per quel che riguarda il rischio emorragico.

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1. SCOPO FISIOLOGICO DELLA COAGULAZIONE

Le piastrine sono note per avere un ruolo fondamentale nell’omeostasi arrestando il sanguinamento quando si rende necessario. Questo è facilmente dimostrabile se paragonato alla condizione di trombocitopenia o di malattie genetiche che interessano alcuni dei principali recettori piastrinici. Quando in un vaso si verifica una lesione, il primo meccanismo ad innescarsi per limitare la perdita di sangue è la vasocostrizione, che in prima istanza riduce il problema. Successivamente, inizia una fase chiamata emostasi primaria in cui avviene l’adesione e l’aggregazione piastrinica. Questo processo porta alla formazione di un tappo piastrinico in grado di arrestare la fuoriuscita di sangue. Infine, ha inizio l’emostasi vera e propria in cui il tappo piastrinico viene convertito in un coagulo definitivo tramite la deposizione di fibrina.

Si tratta di processi continui a prescindere dalle lesioni in quanto tali. Un livido è semplicemente il sanguinamento di un capillare locale nel tessuto extra-vascolare; ecchimosi molto evidenti in risposta ad un danno lieve, invece, possono essere un segno della presenza di un ridotto quantitativo di piastrine.

L’attivazione piastrinica ha inizio quando queste, trasportate dal flusso sanguigno, vengono in contatto con la matrice cellulare subendoteliale esposta a seguito di una lesione. Nella matrice del vaso lesionato sono presenti molti ligandi importanti per l’attivazione di diversi recettori piastrinici, come collagene e laminina. All’inizio del processo coagulativo, il fattore di Von Willebrand (vWF) gioca un ruolo importante nell’adesione delle piastrine, grazie al suo legame prima al collagene e successivamente al recettore piastrinico GpIb (Glicoproteina). Le piastrine, come vWF, legano anch’esse il collagene esposto tramite il recettore GpIa attivandosi e subendo una serie di modificazioni conformazionali che conferiscono alle piastrine la capacità di legarsi tra loro per formare un trombo di dimensioni limitate, allo scopo di prevenire il sanguinamento. Ognuna di queste fasi coinvolge recettori specifici.

La trombosi invece è la versione patologica dell’emostasi, dove normali risposte di controllo, atte a regolare le dimensioni e la stabilità del trombo, non sembrano funzionare in modo appropriato: così può accadere che nei vasi si formino occlusioni potenzialmente letali. 1,2

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1.1 Attivazione piastrinica

Interazione tra piastrine e parete vasale

Le piastrine sono piccole cellule anucleate (1,5-3 micron) che si originano dalla frammentazione del citoplasma dei megacariociti. Il primo processo che porta alla loro attivazione avviene grazie ad una grande glicoproteina multimerica, il fattore di Von Willebrand (vWF), e alla glicoproteina GpIbα presente sulla superfice cellulare piastrinica e che fa parte del complesso recettoriale GpIb/IX/V. Il vWF, derivante principalmente dal plasma, si lega in modo selettivo al collagene esposto a seguito della lesione e si distende grazie alla sollecitazione esercitata dal flusso sanguigno esponendo il suo sito di legame A1 per il GpIb piastrinico. Il legame è favorito dalla presenza di una elevata quantità di vWF circolante, i quali forniscono un solido ancoraggio alle piastrine, consentendo ad esse di rallentare e aderire al sito della lesione.

Questa iniziale interazione porta alla trasmissione del segnale interno alle piastrine, al rilascio di rapidi flussi di Ca++, rilascio di ADP e mobilitazione delle integrine le quali contribuiscono

all’attivazione. I flussi di calcio sono coinvolti in molti dei processi di segnalazione delle piastrine e portano anche all’esposizione sulla superficie di fosfolipidi carichi negativamente come la fosfatidilserina. La superfice cellulare carica negativamente è di importanza critica per la conversione della protrombina in trombina all’interno della cascata della coagulazione.

Attivazione delle piastrine sulla parete vasale

Dopo questa prima interazione altri recettori entrano in gioco. Il più importante coinvolto in questa fase è il GpIa presente sulle piastrine, il quale si lega in modo specifico al GPO (glicina – prolina – idrossiprolina) che si trova sul collagene esposto insieme alla laminina, una molecola di adesione, anch’essa presente nelle lesioni vascolari. Dal momento che il collagene varia notevolmente il proprio contenuto di GPO in base all’entità del danno, il grado di attivazione delle piastrine sarà ad esso proporzionato.

Interazioni piastrina-piastrina

Normalmente le piastrine circolano senza interagire tra loro; a seguito dell’interazione tra GpIa e collagene, le piastrine risultano fortemente attivate e subiscono un cambiamento conformazionale con conseguente rilascio del contenuto dei granuli presenti al loro interno. Questo provoca un

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feed-5 back sui propri recettori attivando in particolare il recettore glicoproteico GpIIb/IIIa, il quale è in grado di legare sia il vWF che il fibrinogeno. In questo modo si può formare una sorta di ponte tra più piastrine.

Bisogna ricordare che le piastrine contengono due tipi di granuli secretori: gli α-granuli e i δ-granuli (granuli densi). Questi contengono una grande varietà di molecole di adesione, chemochine, proteine della coagulazione, proteine fibrinolitiche, fattori di crescita, molecole immunitarie, ioni calcio, magnesio, fosfati e pirofosfati, nucleotidi quali ATP, GTP, ADP, neurotrasmettitori come glutammato, serotonina, dopamina e altre molecole.

Aggregazione piastrinica

Una volta che questa fase si è conclusa, le piastrine sono in grado di aggregarsi in modo molto efficace le une alle altre. Questo processo è complesso e coinvolge altri vWF circolanti, i quali sono in grado di legarsi al recettore GpIb sulle piastrine attivate. Questo legame consente al fattore di Von Willebrand di agganciare altre piastrine con lo stesso meccanismo precedentemente descritto, ma con la differenza che questo nuovo strato non può venire in contatto con il collagene come avveniva precedentemente. Pertanto, la via principale di attivazione per i successivi strati consiste esclusivamente nei mediatori rilasciati dallo strato sottostante. In questo momento, quindi, hanno particolare importanza i mediatori rilasciati a seguito della degranulazione, i quali come è stato riportato in precedenza, vanno ad agire sui recettori piastrinici. Tra questi i più importanti sono recettori costituiti da sette domini trans-membrana accoppiati a proteine G. Alcuni di questi sono particolarmente interessanti nell’ambito delle patologie legate alla coagulazione: i recettori per l’ADP denominati P2Y1 e P2Y12; il recettore per il trombossano A2 (TXA2): molecola che viene sintetizzata

a partire dall’acido arachidonico tramite la ciclossigenasi 1 (COX-1); i recettori GpIIb/IIIa e i recettori per la trombina, una proteasi multifunzionale, appartenenti alla famiglia dei PAR, i quali verranno analizzati in modo dettagliato nei capitoli successivi visto il notevole interesse in campo farmacologico derivante dallo sviluppo di nuovi farmaci che inibiscono l’attività di tali recettori. 3

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Figura 1: schema dei principali recettori coinvolti nell’attivazione e aggregazione piastrinica. Thrombosis Research 2012

In seguito ha inizio la fase di coagulazione, un processo complesso che consiste nell’attivazione sequenziale di vari fattori presenti nel sangue in forma inattiva. La sequenza con cui un fattore attivato attiva il successivo è riportata nella figura 2.

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7 La fase fondamentale nella coagulazione del sangue è la conversione del fibrinogeno in fibrina ad opera dalla trombina. In questa reazione si viene a formare un coagulo costituito da una fitta rete di filamenti di fibrina, in cui rimangono intrappolati globuli rossi e altre particelle plasmatiche. Si possono distinguere due vie principali di attivazione della cascata della coagulazione: la via intrinseca e quella estrinseca. Entrambe convergono in una fase finale comune. 4

La via intrinseca è chiamata così perché i fattori che la compongono sono sempre presenti e circolanti nel sangue. Questa viene attivata quando il sangue incontra una superficie anomala, diversa dalla membrana delle cellule endoteliali (fanno eccezione alcuni distretti capillari che possono presentare microscopici pori in cui cellule non epiteliali si affacciano direttamente sulla corrente ematica). La formazione del coagulo attraverso la via intrinseca richiede alcuni minuti ed ha inizio con l’attivazione del fattore XII.

La via estrinseca viene attivata invece da un danno tissutale con la conseguente liberazione del Fattore Tissutale (componente strutturale dei tessuti normalmente non in contatto con il plasma), il quale forma un complesso con il fattore VIIa, attivando a sua volta il fattore X. Questa via conduce alla formazione del coagulo in un tempo valutabile in pochi secondi.

Dopo l’attivazione del fattore X, la via intrinseca ed estrinseca convergono in una via comune che porta alla formazione della trombina, l’ultimo enzima della cascata il quale agisce sul fibrinogeno convertendolo in fibrina. 5

Figura 3: Rappresentazione delle fibrina che lega globuli rossi

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8 Se la lesione vascolare non è particolarmente grave, l’emostasi dovrebbe essere in grado di impedire la perdita di sangue senza ostacolarne il flusso. Per far sì che questo avvenga la dimensione del trombo in formazione deve essere limitata. Questo meccanismo di controllo interviene nella fase fibrinolitica, in cui le piastrine che si trovano nella parte più esterna del coagulo a causa del loro minor grado di attivazione, aderiscono in modo meno stabile le une alle altre, fino a raggiungere un punto di equilibrio in cui non aderiscono più. Inoltre le piastrine più esterne possono subire un processo di disattivazione dei propri recettori e distaccarsi. Se gran parte del coagulo si dovesse staccare questo potrebbe originare un embolo, ma in condizioni non patologiche questo non avviene poiché le piastrine non rimangono coese a lungo e si disgregano. La reazione fondamentale della fibrinolisi è rappresentata dalla conversione del plasminogeno (pro-enzima inattivo) nell’enzima proteolitico attivo plasmina, mediante la scissione di un singolo legame peptidico. La plasmina così prodotta degrada la fibrina dando origine a prodotti solubili nel plasma e quindi alla lisi del coagulo. Una volta che le piastrine in eccesso sono state rimosse dal sito della lesione, vengono esposte a prostaglandine e ossido nitrico (NO) che ne riducono l’attivazione.

Infine, la parete danneggiata del vaso rimane ricoperta da uno strato non trombogenico di piastrine, di cui non si conosce il reale meccanismo di formazione, per continuare ad impedire la perdita di sangue e favorire l’instaurarsi dei processi di guarigione senza attirare altre piastrine. 4,6

1.2 Patologie tromboemboliche

La trombosi è l’attivazione impropria della coagulazione in sede intra-vascolare. Esistono tre fattori principali, noti come triade di Virchow, che ne predispongono l’attivazione. Il primo fattore, che è il predominante fra i tre, consiste in lesioni alla parete dei vasi grazie ai quali ha inizio la coagulazione. Il secondo consiste nella stasi o turbolenza del normale flusso ematico; in queste condizioni le piastrine possono aderire all’endotelio, si possono accumulare fattori attivati della coagulazione, oppure possono non arrivare quei fattori che limitano la coagulazione. Infine, il terzo fattore è dovuto ad una iper-coagulabilità per cause genetiche, immobilizzazione prolungata a letto, infarto del miocardio, gravi danni tissutali (ustioni) e presenza di valvole cardiache artificiali. 7

Quando un trombo si stacca ed entra nel circolo ematico, avviene la cosiddetta embolizzazione. La maggior parte degli emboli sono costituiti da frammenti di trombi, da cui il termine tromboembolia. Questi sono in grado di bloccare in modo totale o parziale il flusso sanguigno nei vasi di piccolo calibro e la conseguenza più grave di tale episodio è la necrosi ischemica (infarto) del tessuto irrorato dal vaso occluso. Al variare della posizione in cui viene generato il trombo, questo può essere

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9 trasportato dal flusso sanguigno in vari distretti e causare, ad esempio, embolia polmonare, ictus ischemico e infarto del miocardio che è tra le principali cause di morte nei paesi industrializzati. In queste condizioni si rende quindi necessario esercitare un controllo sull’attività delle piastrine. Le terapie convenzionali molto spesso consistono nell’utilizzo in combinazione di antagonisti dell’ADP e inibitori della sintesi del TXA2, visto che per entrambi è possibile effettuare la somministrazione

orale. Purtroppo, questa combinazione risulta avere una modesta efficacia nel controllare l’aggregazione piastrinica e presenta il non trascurabile problema di poter causare aumento del sanguinamento a causa del prolungamento dei tempi di coagulazione che si possono avere nei pazienti a cui viene somministrata tale terapia. 8,9

1.3 Principali farmaci antiaggreganti

Inibitori della ciclo-ossigenasi: acido acetilsalicilico

L’azione antiaggregante dell’acido acetilsalicilico si manifesta tramite inibizione specifica dell’attività ciclossigenasica delle piastrine, cioè attraverso l’acetilazione della Ser530 della

ciclossigenasi (COX). Questo è un enzima bifunzionale che ha sia attività ciclossigenasica (converte l’acido arachidonico in prostaglandina G2) che perossidasica (converte prostaglandina G2 in prostaglandina H2, precursore di altre prostaglandine e trombossani). Nelle piastrine questo effetto inibitorio ha come risultato finale la ridotta produzione di prostaglandine e in particolare del Trombossano A2, che è un forte agonista piastrinico. Questa inibizione è irreversibile per cui l’aggregazione piastrinica TXA-dipendente può essere ripristinata solo dalla sintesi di nuove piastrine. L’effetto di questo farmaco si protrae fino a 7 giorni dopo che la somministrazione è stata sospesa. O OH O O CH3 acido acetilsalicilico

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10 Inibitori del recettore P2Y12 per l’ADP: tienopiridine

L’ADP svolge un ruolo chiave nell’instaurarsi dell’emostasi fisiologica e nella produzione patologica di trombi arteriosi. Le tienopiridine, come ticlopidina e clopidogrel, inibiscono la via ADP-dipendente di attivazione piastrinica attraverso una modificazione irreversibile del recettore piastrinico P2Y12,

mediante metaboliti attivi a breve durata d’azione generati nel fegato da isoenzimi del citocromo P-450. Infatti questi sono pro-farmaci che somministrati per via orale necessitano di essere convertiti nella forma attiva. L’effetto antiaggregante dipende dalla concentrazione ematica. Si raggiunge un’inibizione significativa dopo 2-3 giorni di trattamento e il massimo dell’efficacia dopo circa 7 giorni. N Cl S N S Cl O O CH3 H ticlopidina clopidogrel

Inibitori delle fosfodiesterasi: dipiridamolo

Il dipiridamolo inibisce la captazione dell’adenosina da parte di eritrociti, piastrine e cellule endoteliali. Come conseguenza aumenta la concentrazione locale di adenosina, la quale può agire sul recettore A2 piastrinico stimolando l’adenilatociclasi e quindi, aumentando i livelli di cAMP nelle piastrine. In tal modo viene inibita l’aggregazione in risposta a vari stimoli, quali fattore tissutale, collagene e ADP. Al massimo viene raggiunta un’inibizione dell’aggregazione, alle dosi terapeutiche, dell’80%.

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11 N N N N N N OH OH O H OH N N dipiridamolo

Inibitori del recettore glicoproteico Gp IIb/IIIa: eptifibatide

I farmaci appartenenti a questa classe, come abciximab, un anticorpo monoclonale chimerico e eptifibatide, un eptapeptide ciclico sintetico, appartengono alla categoria di quei farmaci che inattivano in modo reversibile il recettore piastrinico Gp IIb/IIIa. Facendo questo inibiscono l’aggregazione prevenendo il legame del fibrinogeno, del vWF e di altre molecole adesive al recettore glicoproteico presente sulle piastrine attivate. Entrambi mostrano una rapida insorgenza d’azione e rapida cessazione dopo che il farmaco viene sospeso. Un importate inconveniente è che questi inibitori esistono solo in formulazioni endovenose e che lo sviluppo di versioni adatte alla somministrazione orale non ha finora avuto successo.

O N H N H S S N H O O O N H2 O N N H N H O O OH O N H NH N H NH2 eptifibatide

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12 Inibitori diretti della trombina: dabigatran

Dabigatran è un potente inibitore diretto, competitivo, reversibile della trombina. Poiché la trombina consente la conversione del fibrinogeno in fibrina nella cascata della coagulazione, la sua inibizione previene la formazione di trombi. Dabigatran svolge la sua azione inibendo la trombina libera, quella legata alla fibrina e l’aggregazione piastrinica indotta da trombina. 6,10

O H N N O O N N CH3 NH NH NH2 dabigatran

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1.4 Nuove strategie terapeutiche

Recentemente gli studi su farmaci atti a controllare l’aggregazione piastrinica, nei casi di trombosi delle arterie coronariche o di altri organi vitali, sono stati rivolti verso il controllo dell’attività della trombina; in particolare il bersaglio dei nuovi studi sono i recettori piastrinici PAR (recettori attivati da proteasi) e il loro meccanismo d’attivazione. I nuovi farmaci sono selezionati sulla base della loro affinità per il recettore piastrinico. Poiché tramite questo approccio terapeutico non vengono inibite la sintesi e le altre funzioni della trombina, si avrebbe il non trascurabile vantaggio di non aumentare il rischio di sanguinamento che è sempre presente con l’utilizzo degli anti-aggreganti tradizionali. È stato inoltre visto che nell’uomo i recettori PAR-1 sono localizzati anche nella parete dei vasi e l’azione della trombina su questi provoca vasocostrizione. Impedire tale risposta può essere positivo in tutti quei casi di trombosi o restringimento del lume dei vasi, a causa di processi aterosclerotici, in cui si deve cercare di mantenere costante l’afflusso di sangue nel distretto interessato. 11

1.5 Azione della trombina sul recettore piastrinico PAR-1

È stato osservato che alcune proteasi, tradizionalmente considerate come enzimi capaci di degradare proteine extracellulari, si possono comportare come molecole segnale, attivando recettori presenti sulla membrana plasmatica delle cellule. Queste sono proteasi a serina in grado di intervenire metabolizzando determinate sequenze amminoacidiche incorporate nel recettore il quale dopo il loro intervento è in grado di attivarsi.

Il segnale della trombina, una proteasi multifunzionale, è mediato da una famiglia di recettori accoppiati a proteine G (GPCR) chiamati PAR, i quali presentano 7 domini trans-membrana con una regione NH2-terminale extracellulare e una regione COOH-terminale intracellulare. 9

Nel 1991 Coughlin insieme al suo gruppo di ricerca, ha identificato il primo recettore per la trombina utilizzando tecniche di clonazione su ovociti di Xenopus (una varietà di rana). Inizialmente, mRNA è stato iniettato da cellule altamente reattive alla trombina (piastrine umane e cellule endoteliali valvolari) in ovociti di Xenopus e la risposta alla trombina è stata saggiata.12 Il frazionamento dell’mRNA codificante il recettore ha portato alla costruzione di una libreria di cDNA di dimensioni specifiche. Iniettando in vitro negli ovociti il cRNA trascritto e analizzando funzionalmente la risposta alla trombina, in alcuni casi è stata isolata una singola specie di cDNA che, saggiato negli ovociti, ha mostrato una risposta forte e specifica alla trombina rispetto ad altre proteasi come la tripsina. Questo recettore clonato per la trombina viene identificato come PAR-1.

La trombina è in grado di riconoscere la regione NH2-terminale extracellulare ancorata al recettore

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14 trombina al sito di taglio. Questa scinde una porzione della catena peptidica extracellulare dal recettore tra Arg41 e Ser42 in modo da esporre un nuovo terminale amminico che porta la sequenza

peptidica di riconoscimento SFLLRN. Questa sequenza specifica funziona da agonista per il recettore PAR-1, con la particolarità che in questo caso l’agonista fa parte del recettore stesso poiché è ad esso ancorato. Il taglio operato per smascherare l’agonista è irreversibile. La sequenza peptidica SFLLRN viene imitata dall’agonista sintetico TRAP-6, composto da 14 aminoacidi, il quale è in grado di attivare il recettore PAR-1 indipendentemente dal taglio effettuato dalla trombina che è in grado di smascherare il ligando endogeno già presente sul recettore stesso.

Il posizionamento del ligando, ancorato al recettore stesso, produce un cambiamento conformazionale, dando inizio alla reazione del complesso eterotrimerico delle proteine G, le quali promuovono la trasduzione del segnale.

Le subunità α G12 e G13 mediano le risposte del citoscheletro le quali probabilmente inducono il cambiamento conformazionale nelle piastrine, incrementando la permeabilità e la migrazione verso le cellule endoteliali. La subunità Gαq attiva la fosfolipasi Cβ innescando l’idrolisi del fosfatidilinositolo, la mobilitazione del calcio e l’attivazione della protein-chinasi C. Questa via media risposte che vanno dalla secrezione dei granuli all’attivazione delle integrine, all’aggregazione piastrinica e anche risposte trascrizionali nelle cellule endoteliali e mesenchimali attraverso le chinasi e le fosfatasi regolate dal calcio. Nelle piastrine il segnale generato dalla subunità Gαi media l’inibizione dell’adenilato-ciclasi, la quale può anche essere innescata dalla secrezione di ADP attraverso l’attivazione del PAR-1 o dall’attivazione del P2Y12. Le subunità Gβγ possono attivare il

fosfatidilinositolo-3-chinasi, altri enzimi in grado di modificare i lipidi e le protein-chinasi. L’enzima fosfatidilinositolo-3-chinasi modifica lo strato interno della membrana plasmatica in modo da favorire l’aggancio e il reclutamento di diverse proteine segnale. Pertanto, l’accoppiamento del PAR-1 con Gq, GPAR-13 e Gz può spiegare la maggioranza degli effetti pleiotropici della trombina sulle cellule. Peptidi sintetici genericamente indicati con la sigla TRAP (thrombin receptor activating peptide), imitano il ligando endogeno che porta la sequenza di riconoscimento SFLLRN e sono in grado di attivare il recettore senza che avvenga la scissione da parte della trombina.

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Figura 4: Rappresentazione del meccanismo di attivazione del recettore PAR-1. Vascular Pharmacology (2014)

La famiglia dei PAR è suddivisa in 4 gruppi (PAR-1, PAR-2, PAR-3 e PAR-4) in base all’ordine temporale in cui sono stati scoperti e alla diversità dei loro agonisti endogeni preferenziali. Riguardo al recettore PAR-1, è stato rilevato sulle membrane delle piastrine umane ma non su quelle di topo. Il secondo recettore appartenente a questa classe, denominato PAR-2, è stato isolato da una libreria genomica di topo e isolato anche negli ovociti di Xenopus. Questo recettore, pur mantenendo la medesima struttura e meccanismo di attivazione del PAR-1, non poteva essere attivato dalla trombina, ma poteva essere attivato da basse concentrazioni di tripsina. Una strategia di ricerca basata sulla reazione a catena della polimerasi (PCR) ha prodotto un nuovo DNA complementare umano che codifica per un diverso recettore accoppiato a proteine G: questo recettore, denominato PAR-3, presentava somiglianze nelle sequenze amminoacidiche sia con PAR-1 che PAR-2 e poteva essere attivato dall’attività della trombina. L’analisi di sequenze genomiche che codificano per i recettori PAR ha portato all’identificazione del PAR-4, il quale presenta sequenze amminoacidiche in comune con il PAR-3. Studi funzionali condotti su piastrine umane e di topo hanno rivelato che il PAR-4 funziona come un secondo recettore preferenziale per la trombina.

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16 Tabella 1: Agonisti recettori PAR

PAR-1 PAR-2 PAR-3 PAR-4

Trombina VIIa / Xa / TF Trombina Trombina

Plasmina Tripsina Plasmina

TF / VIIa / Xa Triptasi Tripsina

Proteina C attivata MT-SP1 Catepsina G Tripsina TMPRSS2 Triptasi Catepsina G Granzime A Metalloproteasi della matrice-1

Come altri recettori accoppiati a proteine G, il PAR-1 attivato è rapidamente disaccoppiato dalla segnalazione, internalizzato tramite meccanismi dipendenti dalla fosforilazione e successivamente trasferito ai lisosomi per essere degradato. Alcuni recettori sfuggono a questo destino e sembrano tornare alla superficie cellulare con il ligando ancora collegato ad essi ma in uno stato inattivo. In entrambi i casi è evidente che il recettore può subire una sola attivazione.

Nelle cellule endoteliali, la reattività alla trombina viene mantenuta mediante il trasporto del nuovo recettore alla superficie cellulare da un pool intracellulare preformato. Al contrario, nelle piastrine, il recupero della funzione dei PAR-1 richiede una nuova sintesi proteica, forse perché una volta che queste sono state incorporate in un coagulo non hanno la necessità di poter essere attivate nuovamente.

Quindi, una volta che il recettore viene attivato, innesca, come per altri recettori accoppiati a proteine G, la produzione intracellulare di secondi messaggeri come l’inositolo trifosfato. Più recettori PAR-1 vengono attivati, maggiore sarà la quantità di secondi messaggeri liberati e quindi, maggiore sarà stata la concentrazione di trombina necessaria per raggiungere tale effetto. Grazie a questo particolare meccanismo di attivazione viene modulata l’attività della trombina. 9

Anche le cellule muscolari vascolari lisce presentano i recettori PAR-1, ed è quindi chiaro che anche queste risentiranno in qualche maniera della liberazione di trombina.

In condizioni patologiche, come trombosi, emorragia, infiammazione o danno tissutale, le proteasi del sistema della coagulazione sono chiaramente attive. In queste condizioni, l’attivazione dei PAR-1 vascolari può scatenare reazioni acute per quanto riguarda l’aumento della permeabilità endoteliale, il rilascio di citochine e la regolazione dell’espressione di una vasta gamma di geni sia nelle cellule endoteliali che nelle cellule muscolari lisce dei vasi. È stato osservato che in colture di tali cellule, l’attivazione del recettore PAR-1 ad opera della trombina stimola proliferazione, contrazione,

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17 ipertrofia cellulare e inoltre, viene stimolata la produzione di matrice extracellulare e il rilascio di citochine e fattori di crescita. In queste condizioni, c’è una maggiore espressione sulla superfice dei vasi di molecole di adesione. Queste molecole sono in grado di richiamare piastrine e leucociti i quali sono in grado di dare inizio ad un processo coagulativo.

L’inibizione degli effetti vascolari del PAR può quindi fornire nuove strategie terapeutiche per la prevenzione e il trattamento di quelle malattie vascolari in cui è presente un restringimento del lume che può impedire il normale flusso. Questo approccio potrebbe anche avere effetti positivi sul controllo di tutti gli eventi riconducibili ad un processo infiammatorio e sull’inibizione degli effetti mitogenici e contrattili della trombina, i quali contribuiscono al restringimento dei vasi che si può verificare dopo alcune operazioni chirurgiche o nei casi di aterosclerosi. Inibendo quindi gli effetti vascolari dovuti all’attivazione del recettore PAR-1 potrebbe essere possibile sviluppare nuove strategie terapeutiche utili in tutti quei casi dove si si deve prevenire un evento ischemico in pazienti ad alto rischio. 9,12

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2. AGONISTI E ANTAGONISTI DEL RECETTORE PAR-1

E’ stato ipotizzato che l’utilizzo di antagonisti della trombina sul proprio recettore piastrinico possano essere utili nel trattamento di disturbi, come la trombosi arteriosa e l’aterosclerosi e di casi in cui si verifica uno spasmo con conseguente restringimento dei vasi sanguigni. Tali antagonisti avrebbero in teoria un alto profilo di sicurezza, poiché andrebbero ad inibire in modo specifico solo la funzione dei PAR-1, piuttosto che l’inibizione della sintesi o dell’attività della trombina. Questo potrebbe essere un valido approccio per aggirare il rischio di sanguinamento che si verifica nel trattamento delle malattie trombotiche nell’uomo con l’uso di farmaci tradizionali, come acido acetilsalicilico e clopidogrel. 13

2.1 Sviluppo degli antagonisti PAR-1

Le prime ricerche su antagonisti specifici per il recettore piastrinico PAR-1 hanno avuto origine dall’analisi di peptidi sintetici agonisti che simulavano la sequenza SFLLRN, in grado quindi di attivare le piastrine indipendentemente dall’azione della trombina. In generale i peptidi richiedono almeno un pentapeptide N-terminale con un gruppo amminico libero in posizione 1, un residuo aromatico come la fenilalanina in 2, un residuo basico come l’arginina in 5 e un aminoacido ingombrante in posizione 4. La sostituzione con alanina in posizione 2 abolisce l’attivazione da parte della trombina e gli aminoacidi 1 e 3 possono essere sostituiti dalla prolina. Tra i peptidi saggiati, [N-(Me)-S]FLLR-NH2 ha mostrato attività mista agonista/antagonista nel saggio di binding, con IC50=

0,7 µM. Altri studi relativi alle SAR hanno interessato l’inserimento di eterocicli, pseudo-peptidi e macrocicli nella sequenza. Sono state così ottenute alcune serie di ibridi eterociclo-peptide con vari gruppi attaccati alla porzione N-terminale di un segmento tripeptidico. 14

Per questo motivo una nuova linea di ricerca si è indirizzata verso la realizzazione di un antagonista ex novo. Partendo dall’osservazione dei vincoli spaziali presenti negli agonisti peptidici, si è cercato di collegare un gruppo amminico, un fenile e gruppi guanidinici in una struttura adatta, con lo scopo di ottenere antagonisti PAR-1 peptido-mimetici. È stato così realizzato un modello di farmacoforo con una “struttura a 3 punti” in cui si varia la distanza tra il gruppo NH3, il centro dell’anello

benzenico e il carbonio centrale del gruppo guanidinico; questo è servito per progettare la struttura dei candidati peptido-mimetici.

(19)

19

Utilizzando questo tipo di approccio si è giunti all’identificazione di una serie di composti;

RWJ-53052 è stato il primo prototipo di PAR-1 antagonista contente struttura indolica. RWJ-RWJ-53052 in test

condotti su plasma umano arricchito di piastrine, ha inibito l’aggregazione piastrinica indotta da SFLLRN-NH2 (IC50= 0,27 µM) e trombina (IC50= 2,32 µM). Nei test condotti con radio-ligando

presenta una modesta affinità verso il PAR-1 (IC50= 2,2 µM). Sulla base dell’individuazione del lead RWJ-53052, è stata sviluppata un’ampia serie di analoghi per sintesi parallela in fase solida in cui

variano i gruppi sostituenti. RWJ-54399, RWJ-56110 e RWJ-57269 hanno ottenuto i migliori risultati per quanto riguarda l’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da TRAP, trombina, collagene, mimetici del trombossano e per la loro affinità verso il recettore PAR-1. In particolare

RWJ-57269 ha una forte affinità PAR-1 (IC50= 25 nM), anche se è risultato citotossico sulle piastrine

(DL50= 37 µM) ad elevate concentrazioni.

Il composto RWJ-56110, grazie alla sua potenza, selettività recettoriale e mancanza di citotossicità, è stato selezionato come modello per definire l’antagonismo PAR-1. In test condotti su plasma arricchito di piastrine, questo peptide inibisce l’aggregazione indotta da trombina (IC50= 0,34 µM),

TRAP-6 (IC50= 0,16 µM) e non provoca nessuna risposta inibitoria nei confronti dell’attivazione

indotta da collagene e mimetici del trombossano. Nei test per valutare la specificità recettoriale utilizzando il radioligando peptidico, è stata osservata una IC50= 0,44 µM. Rispetto agli studi in vivo

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20 NH O NH NH NH O N H2 F F O N N Cl Cl RWJ-56110 RWJ-53052 N H O NH NH NH O O N N NH NH2 NH O CH3 F RWJ-54399 N H O NH NH NH O O N N NH NH2 NH F F Cl Cl RWJ-57269 NH O NH NH NH O S F F O N N Cl Cl N H2 CH3

Da queste molecole ha avuto origine una nuova generazione di antagonisti peptidici in cui si è cercato di migliorare la sicurezza in vivo e avere un vantaggio terapeutico nei casi di trombosi e di restringimento del lume dei vasi. Anche in questo studio per l’ottimizzazione dei composti si è resa necessaria l’osservazione delle relazioni struttura-funzione della sequenza peptidica SFLLRN; sono state prese in esame le SAR di oltre 1200 composti per cercare di ottenere un significativo

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21 miglioramento nella potenza e nella selettività recettoriale. RWJ-58259 è risultato essere molto affine per il recettore PAR-1 nei saggi condotti con radioligando su plasma arricchito di piastrine (IC50=

0,15 µM) e efficace nell’inibire le risposte di aggregazione indotta da trombina (IC50= 0,37 µM) e

TRAP (IC50= 0,11 µM). In un modello ex vivo si è rivelato molto efficace nell’inibire l’attivazione

delle piastrine, a seguito della stimolazione effettuata da 2 U/ml di trombina, alla dose di 0,3 mg/kg (iv). RWJ-58259 è stato studiato in due modelli di trombosi su cavie: il primo valutava la formazione di trombi in presenza di shunt arterovenoso e il secondo misurava il tempo di occlusione di un’arteria a seguito di fotostimolazione. Alla dose di 10 mg/kg (iv), il composto non ha inibito la formazione di trombi in entrambi i modelli, tuttavia è stata osservata una riduzione delle dimensioni del trombo negli animali con shunt arterovenoso.

NH O NH NH NH O N H2 F F O N N N Cl Cl RWJ-58259

In test condotti su piastrine umane e di porcellini d’india (entrambi presentano sulla superfice cellulare il PAR-1) il composto è stato molto efficace inibendo l’attivazione piastrinica anche ad alte concentrazioni di trombina (200 nM). Visto che la trombina stimola anche la proliferazione di cellule muscolari lisce nella parete dei vasi, il composto è stato testato anche su ratti sottoposti ad angioplastica; in questo caso è stata osservata un’importante riduzione dell’inspessimento neointimale (45 µm negli animali trattati con il peptide rispetto ai 77 µm del gruppo di controllo). Anche questo dato, insieme alla selettività del sito di azione che limita il sanguinamento comune alle terapie anticoagulanti tradizionali, porta questa molecola a riscuotere particolare interesse nell’ambito delle terapie cardiovascolari. 17,18

(22)

22

2.2 Sintesi e sperimentazione clinica di ATOPAXAR

Proseguendo con lo sviluppo dei composti precedenti si arriva ad un nuovo importante candidato a farmaco antiaggregante piastrinico, attualmente in studi clinici di fase II, che prende il nome di Atopaxar. Gli studi su questo antagonista PAR-1 si sono svolti prevalentemente in Giappone e per la maggior parte non sono accessibili poiché coperti da brevetti. Tuttavia alcune fasi essenziali dello sviluppo sono riportate in letteratura e una monografia sulla rivista Drug Design and Discovery (2012) riporta la sintesi e le sperimentazioni cliniche.

Alcune molecole strutturalmente correlate all’Atopaxar sono state realizzate da S. Chackalamannil e suoi collaboratori nel 2001.19 In questa ricerca sono stati descritti una serie di potenti antagonisti PAR-1 derivati dal 2-aminobenzimidazolo. Mediante High Throughput Screening è stato identificato un composto lead per l’inibizione del recettore della trombina, 1b. Si tratta di un derivato 2-imminobenzimidazolico N1, N3 di-sostituito. Una variazione sistematica del sostituente N3 ha

permesso di stabilire che un gruppo alchilico a basso PM o un benzile conferiscono elevata potenza alla molecola. La presenza di un gruppo 3,5-di-t-butil-4-idrossi fenilacil metilenico su N1 si è rivelata

essenziale per l’attività. Anche il gruppo imminico deve essere presente, poiché è stato osservato che derivati in cui C=O è al posto di C=NH sono uniformemente inattivi.

N N O NH R OH CH3 C H3 CH3 CH3 C H3 C H3 1 1a R= H 1b R= CH3 1g R= 1h R= C H3 3

I risultati per quanto riguarda l’affinità (IC50) verso PAR-1 sono: 1a= 1500 nM; 1b= 900 nM; 1g= 65

nM; 1h= 33 nM. I composti 1g e 1h sono stati ulteriormente testati in saggi sull’aggregazione indotta da haTRAP e trombina. 1g ha mostrato un’inibizione rispettivamente di 265 e 600 nM, mentre 1h di 575 e 1500 nM. Nel 2004 fu presentato in un congresso scientifico un nuovo antagonista PAR-1 non peptidico, ER-97719-5, attivo per via orale, anch’esso proveniente da uno screening basato su test di

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23 binding al recettore; in realtà si trattava del composto 1g già descritto da Chackalamannil nel 2001. L’ottimizzazione della struttura di questo composto ha portato allo sviluppo di altre serie di composti; una di queste comprendeva il derivato ER-129614-06 il quale presentava valori di IC50 pari a 14 e 28

nM nei confronti dell’aggregazione piastrinica indotta da trombina e TRAP, rispettivamente. La somministrazione per via orale del nuovo antagonista in un modello di trombosi arteriosa su cavie ha prodotto un significativo effetto antitrombotico.

N NH C H3 O O C H3 NH O O N C H3 CH3 C H3 CH3 ER-129614-06 Atopaxar

Nel 2002 ricercatori del gruppo Eisai Co hanno svolto e sottoposto ad approvazione per la registrazione di brevetti consistenti sperimentazioni su guanidine e amidine cicliche, compreso lo stesso derivato ER-129614-06: da questi studi è emerso il candidato allo sviluppo clinico E-5555, del quale sono stati forniti pochi dati preliminari preclinici ad un congresso nel novembre del 2003 (Kogushi).21 Nel saggio di binding con radioligando E-5555 ha mostrato IC50= 19 nM; e si è mostrato

attivo nei saggi di inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da trombina e TRAP. Nel modello di trombosi indotto fotochimicamente il nuovo composto ha inibito la formazione di trombi in modo dose-dipendente senza prolungare il tempo di sanguinamento.

Questa molecola, attualmente in fase II di sperimentazione clinica, prende il nome di Atopaxar (E-5555). 19,20

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24

Sintesi Atopaxar

Parte 1 OH CH3 C H3 CH3 CH3 Cl O OH CH3 C H3 CH3 O C H3 OH CH3 C H3 CH3 O C H3 N+ O -O AlCl3, toluene HNO3 H2O / CH2Cl CH3I, K2CO3 / DMF O CH3 C H3 CH3 O C H3 N+ O -O CH3 Fe, NH4Cl EtOH / H2O O CH3 C H3 CH3 O C H3 NH2 CH3 Br O Br NaI, K2CO3 / DMF O CH3 C H3 CH3 O C H3 CH3 N O NBS, Et3N TBDMSOTf / THF O CH3 C H3 CH3 O CH3 N O Br (I) (II) (III) (IV) (V) (VI) (VII) (VIII) (IX)

Tramite acilazione di Friedel-Crafts del 2-t-butilfenolo (I) con cloruro di acetile (II) in presenza di AlCl3 in toluene a freddo si ottiene l’intermedio derivato dell’idrossifenil etanone (III), il quale

tramite nitrazione effettuata con HNO3 in H2O/CH2Cl2 a freddo fornisce (IV). Una alchilazione

dell’ossigeno del fenolo (IV) è ottenuta con metil ioduro e K2CO3 in DMF producendo il metil-etere

(V), il cui gruppo nitro viene ridotto tramite Fe e NH4Cl in EtOH/H2O per ottenere la corrispondente

ammina (VI). Il derivato anilinico (VI) subisce una ciclo-condensazione con etere bis(2-bromoetilico) (VII) con NaI e K2CO3 in DMF ottenendo il derivato 3-morfolino-acetofenone (VIII). Una

α-alogenazione dell’acetofenone (VIII) viene realizzata con N-bromosuccinimmide in presenza di Et3N

e del catalizzatore t-butildimetil triflato in THF, producendo il corrispondente bromoacetofenone (IX).

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25 Parte 2 F O H O H C H3 I K2CO3 / DMF F O C H3 O C H3 Br2 NaOAc, AcOH, 70°C F O C H3 O C H3 Br Br F O C H3 O C H3 N N CuCN DMF, 150°C H2 / PtO2

EtOAc, EtOH, MeOH F O C H3 O C H3 N NH2 (XI) (XII) (XIII) (XIV) (XV) (X)

Per preparare l’intermedio isoindolico (X), si inizia da una doppia alchilazione del 3-fluoro-catecolo (XI) con ioduro di etile (XII) in presenza di K2CO3 in DMF, per ottenere 1,2-dietossi-3-fluorobenzene

(XIII), il quale viene bromurato con Br2 in presenza di sodio acetato e acido acetico a 70°C a dare

1,2-dibromo-4,5-dietossi-3-fluorobenzene (XIV). Il bromo presente nell’intermedio (XIV) viene sostituito utilizzando CuCN in DMF a 150 °C ottenendo il corrispondente ftalonitrile (XV); questo viene infine sottoposto a ciclizzazione riduttiva con H2 su PtO2 in una miscela di solventi.

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26 Parte 3 O CH3 C H3 CH3 O CH3 N O Br

+

F O C H3 O C H3 N NH2 THF o DMF F O C H3 O C H3 N NH O CH3 C H3 CH3 O CH3 N O Atopaxar (E-5555) (IX) (X)

Infine viene realizzata una condensazione utilizzando THF o DMF.

Prove pre-cliniche

L’affinità di legame dell’Atopaxar verso il recettore PAR-1 è stata valutata su membrane purificate di piastrine umane utilizzando haTRAP. La molecola in esame inibisce il legame del radioligando con IC50= 19 nM. I composti di riferimento TRAP e haTRAP mostrano valori di IC50 rispettivamente

di 490 e 56 nM. Da studi in vitro condotti su membrane purificate di piastrine umane, è risultato che tale molecola inibisce l’aggregazione piastrinica indotta da trombina e TRAP in modo efficace, mostrando una IC50 rispettivamente di 64 e 31 nM. Allo stesso modo, Atopaxar ha inibito

l’aggregazione indotta da trombina e TRAP nei porcellini d’india, mostrando rispettivamente IC50 di

130 e 97 nM. È stato inoltre osservato che in entrambe le specie animali la molecola in esame non inibiva l’aggregazione piastrinica indotta da: ADP, peptide attivante il recettore PAR-4, agonisti mimetici del trombossano (U46619) o collagene sino alla concentrazione di 20 mM.

Un aspetto da tenere in considerazione è che l’espressione del recettore PAR-1 varia a seconda della specie, infatti è presente solo nelle piastrine di primati e nei porcellini d’india. Le proprietà antitrombotiche di questa molecola sono state studiate in modelli di trombosi fotochimicamente indotta su porcellini d’india, dopo somministrazione orale di 30 e 100 mg/kg. È stato osservato un significativo prolungamento dei tempi di occlusione dell’arteria femorale, dimostrando così il suo

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27 effetto antitrombotico. Nella stessa specie, somministrazioni orali di Atopaxar alle dosi di 10, 30 e 100 mg/kg produce una significativa inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da trombina e TRAP in test ex vivo. Comunque dalle sperimentazioni è emerso che neppure alla dose di 100 mg/kg di Atopaxar, l’aggregazione piastrinica indotta da ADP, peptide attivante il recettore PAR-4, U46619 o collagene veniva inibita, denotando quindi un importante parametro di sicurezza.

Atopaxar, somministrato per via orale alle dosi di 30, 300 e 1000 mg/kg, non ha prolungato i tempi di sanguinamento nei porcellini d’india. Nello stesso modello sperimentale, il tempo di sanguinamento prolungato dal fattore tissutale che attiva il plasminogeno (1 mg/kg iv) non è stato ulteriormente modificato dalla concomitante somministrazione del farmaco alla dose di 300 mg/kg. In un modello animale (conigli) di emorragia subaracnoidea, è stato osservato un aumento della risposta contrattile alla trombina in preparazioni di arteria basilare e sovra-espressione di recettori PAR-1 nel tessuto vascolare rispetto agli animali del gruppo di controllo. Questo indica un possibile utilizzo di Atopaxar nelle prevenzione di spasmi nelle arterie cerebrali a seguito di emorragia subaracnoidea. Per queste sue caratteristiche è stato testato in condizioni di inspessimento intimale della parete di un vaso a seguito di una lesione, in cellule muscolari lisce umane e di ratto.

Nel ratto è stata inibita la proliferazione di cellule muscolari lisce a seguito di stimolazione da parte di trombina e TRAP con IC50 rispettivamente di 160 e 38 nM, mentre sulle cellule muscolari lisce

umane a seguito della somministrazione di trombina alle dosi di 0,3 e 3 U/ml, sono stati osservati valori di IC50 rispettivamente di 28 e 79 nM.

L’Atopaxar, somministrato alla dose di 10 e 30 mg/kg per 16 giorni in topi a cui era stato provocato inspessimento intimale della parete di un vaso, ha prodotto una riduzione statisticamente significativa dell’inspessimento alla dose più alta. Questo costituisce un dato significativo poiché mostra che l’utilizzo di tale molecola può attenuare la risposta naturale dell’organismo durante le fasi di riparazione di un danno vascolare, le quali portano inevitabilmente ad una riduzione del calibro di tale vaso. Ad esempio in pazienti con problemi di aterosclerosi, malattia che da sola determina un restringimento del lume dei vasi, l’azione di questo farmaco potrebbe rappresentare un vantaggio. Gli effetti sulle piastrine sono stati valutati all’interno di studi clinici con l’utilizzo di volontari sani e in pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) trattati con acido acetilsalicilico e clopidogrel. Anche per tale molecola, è stata osservata una riduzione sia di ulteriori eventi cardiovascolari che del sanguinamento rispetto alle terapie convenzionali. Atopaxar mostra quasi completa inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da TRAP alle concentrazioni di 20, 50 e 100 ng/ml. Inoltre inibisce moderatamente (10-15%) l’aggregazione piastrinica indotta da ADP e collagene, pertanto si può affermare che tale molecola può migliorare gli effetti antipiastrinici delle terapie convenzionali (acido acetilsalicilico e clopidogrel) fornendo un effetto sinergico.

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28 Farmacocinetica e Metabolismo

La farmacocinetica dell’Atopaxar è stata studiata in volontari sani che hanno ricevuto dosi di 50, 100 e 200 mg per via orale per 14 giorni. Lo stato stazionario è stato raggiunto dopo 11 giorni, tmax dopo

circa 3,5 ore e emivita di circa 23 ore in modo simile per tutti i gruppi che assumevano diverse dosi. La sicurezza dell’Atopaxar, somministrato come singola dose orale di 20 o 400 mg e ripetuto per 14 giorni alle dosi di 50 o 200 mg, è stata valutata in studi randomizzati, a doppio-cieco e controllo con placebo su volontari sani. Un leggero sanguinamento è stato osservato nel gruppo che ha ricevuto la dose di 200 mg e il mal di testa è stato l’effetto collaterale più comunemente riferito. Non sono stati modificati i tempi di coagulazione e il tempo di sanguinamento. Complessivamente Atopaxar è stato ben tollerato.

Inoltre, la sicurezza dell’Atopaxar, questa volta somministrato in aggiunta alle classiche terapie antitrombotiche, è stata valutata in 2 studi di fase II, a doppio cieco e controllati con placebo (pazienti con età compresa tra 45 e 80 anni); uno in pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) e l’altro in pazienti ad alto rischio per malattie alle arterie coronarie (CAD). Questi studi rientrano sotto il nome di J-LANCELOT trials (Japanese-Lesson from ANtagonizing the CELlular effects Of Thrombin). Atopaxar è stato somministrato per via orale (50, 100 e 200 mg) per 12 settimane ai pazienti con sindrome coronarica acuta o per 24 settimane ai pazienti con malattie alle arterie coronarie, in aggiunta alle terapie standard che comprendono acido acetilsalicilico e tienopiridine. L’endpoint primario di sicurezza era il verificarsi di sanguinamento riportato secondo i criteri CURE e TIMI (Thrombolysis In Myocardial Infarction) (capitolo 4). È stata rilevata una bassa incidenza di sanguinamento nei pazienti con ACS e in quelli con CAD trattati con Atopaxar in accordo con i criteri di CURE, sebbene sia stato rilevato un alto tasso di sanguinamento secondo i criteri TIMI con il dosaggio di 200 mg. Complessivamente Atopaxar non aumenta in modo clinicamente significativo il sanguinamento, dimostrando quindi che è possibile aggiungere alla terapia un ulteriore agente inibitore dell’attività piastrinica senza causare alterazioni dannose ai parametri della coagulazione. Il più comune effetto collaterale osservato durante questi studi è stato un’alterazione del normale funzionamento epatico. La molecola in esame alle dosi di 50, 100 e 200 mg, ha aumentato fino a più di tre volte il limite superiore dei normali livelli di alanina aminotransferasi (ALT). Anche i livelli di aspartato aminotransferasi (AST), sono aumentati fino a più di tre volte rispetto al normale limite superiore. In nessun gruppo si sono verificati decessi a seguito di problemi circolatori, infarto del miocardio o ictus celebrale.

La sicurezza e la tollerabilità dell’Atopaxar sono state valutate anche in 2 successivi studi di fase II, eseguiti questa volta su pazienti occidentali.

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29 Il primo di questi, denominato LANCELOT-ACS trial (Lesson from ANtagonizing the CELlular effects Of Thrombin-Acute Coronary Syndromes trial), 603 pazienti (tra 18 e 80 anni) che presentavano ACS sono stati autorizzati ad assumere acido acetilsalicilico, clopidogrel o ticlopidina. Atopaxar è stato somministrato alla dose iniziale di 400 mg e successivamente per 12 settimane alle dosi di 50, 100 e 200 mg. L’endpoint di sicurezza primario e secondario erano gli stessi dello studio precedente. La percentuale di soggetti che hanno sperimentato un qualsiasi tipo di sanguinamento era simile tra il gruppo a cui veniva somministrato il farmaco e quello con placebo secondo i parametri CURE (Atopaxar 3,1% - placebo 2,2%) e TIMI (Atopaxar 9,2% - placebo 10,1%). L’incidenza di morte per problemi vascolari, infarto del miocardio o fenomeni ischemici, non presentava differenze tra i due gruppi (Atopaxar 7,8% - placebo 8,0%). È stata rilevata una riduzione statisticamente rilevante (34%) nell’incidenza di ischemia rilevata da holter nelle prime 48 ore nel gruppo a cui veniva somministrato il farmaco (dose iniziale di 400 mg) rispetto al placebo. Un incremento significativo nei livelli di ALT è stato osservato nel gruppo che riceveva la dose di 200 mg (Atopaxar 5,5% - placebo 2,5%). I più comuni effetti avversi osservati si limitavano a disordini gastrointestinali, comunque in generale il farmaco è risultato essere ben tollerato.

Il secondo studio, condotto su pazienti che presentavano CAD, prende il nome di LANCELOT-CAD trial (Lessons from ANtagonizing the CELlular effects Of Thrombin-Coronary Artery Disease trial) ed è stato condotto su 720 pazienti (tra 45 e 80 anni) che come nello studio precedente erano stati autorizzati ad assumere acido acetilsalicilico, clopidogrel o ticlopidine. In questo caso Atopaxar è stato somministrato per 24 settimane alle dosi di 50, 100 e 200 mg. Il primo endpoint di sicurezza era l’incidenza di sanguinamento secondo i criteri CURE e TIMI, mentre il secondo era la morte per problemi cardiovascolari, infarto miocardico, ictus celebrale o ischemia refrattaria. È stata osservata una differenza tra Atopaxar e placebo per quanto riguarda i casi di sanguinamento maggiore secondo i criteri CURE (rispettivamente del 3,9% rispetto allo 0,6% del placebo) e TIMI (rispettivamente del 10,3% rispetto al 6,8% del placebo). Non sono state osservate differenze significative tra i gruppi a cui veniva somministrato Atopaxar e placebo per quanto riguarda i casi di morte per problemi vascolari, infarto del miocardio o ischemia celebrale (Atopaxar 2,6% - placebo 4,6%). È stato anche osservato un aumento clinicamente significativo dei livelli di ALT (5,9%) e AST (3,8%), nei pazienti a cui veniva somministrato il farmaco se confrontati con coloro che avevano assunto il placebo (0,0%).

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30 Studi clinici

Nel nuovo studio J-LANCELOT è emerso che alla dose di 50 mg l’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da haTRAP viene inibita del 20-50% nei pazienti con sindrome coronarica acuta e del 50-60% in quelli con malattie delle arterie coronarie. Alle dosi di 100 e 200 mg l’inibizione dell’aggregazione è stata di oltre il 90% e si è protratta per 2 settimane dopo il termine della somministrazione.

Secondo lo studio LANCELOT-ACS, l’inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta da haTRAP alla dodicesima settimana era del 66,5%, 71,5% e 88,9% rispettivamente alle dosi di 50, 100 e 200 mg di farmaco. Inoltre è stato osservato che dopo 3-6 ore dalla somministrazione della dose iniziale di 400 mg, si raggiunge un’inibizione del 92%.

Anche nello studio LANCELOT-CAD l’aggregazione è stata valutata utilizzando l’agonista peptidico haTRAP. Dai dati è emerso che l’inibizione completa dell’aggregazione viene raggiunta dopo 4-6 ore dalla somministrazione di dosi pari a 100 e 200 mg di Atopaxar e mantenuta fino a 24 ore. In contrasto con questo dopo una singola dose di 50 mg si produce solo un’inibizione del 38% che decresce nell’arco delle 24 ore. Tuttavia dopo due settimane di somministrazioni orali giornaliere tutti i gruppi mostrano un’inibizione quasi completa dell’aggregazione piastrinica. 20

A causa degli effetti collaterali, tra i quali il prolungamento dell’intervallo elettrocardiografico QT, lo sviluppo di Atopaxar è stato sospeso nel mese di maggio del 2012.

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31

3. ANTAGONISTI DEL RECETTORE PAR-1 DERIVATI DALL’HIMBACINA

Negli ultimi anni la ricerca farmacologica si è orientata verso lo sviluppo di nuove small molecules con alta affinità e selettività per il recettore PAR-1, denominate genericamente “PAXAR”. Un’importante classe di antagonisti è stata ottenuta partendo dal composto naturale “himbacina”, isolato per la prima volta nel 1962 dalla corteccia di un albero di pino australiano appartenente alla specie Galbulimima. Dal punto di vista chimico, questa molecola è un alcaloide tetraciclico piperidinico ed ha inizialmente generato un notevole interesse per le sue caratteristiche strutturali e per le proprietà biologiche come antagonista dei recettori muscarinici.

L’himbacina, un potente e selettivo inibitore del recettore muscarinico M2, aumenta i livelli sinaptici di acetilcolina tramite inibizione selettiva dei recettori presinaptici; questa sua proprietà potrebbe essere un valido approccio terapeutico per il trattamento della demenza senile associata alla malattia di Alzheimer. La struttura è stata risolta tramite cristallizzazione del bromidrato in un sistema ortorombico e misurata a -150°C. 22

Vista la scarsità di himbacina naturale, per favorire gli studi su questa molecola, Hart, Wu e Kozikowski hanno realizzato e pubblicato una sintesi totale della molecola. 23

O O C H3 H H H H N C H3 C H3 (+) - Himbacina

Le prime sperimentazioni (2005) su analoghi sintetici del composto naturale himbacina hanno condotto, tramite uno screening altamente automatizzato su vaste librerie di composti, all’identificazione del composto (±)-2, un promettente PAR-1 antagonista (IC50= 300 nM), su cui

sono stati condotti studi di legame in vitro utilizzando membrane purificate di piastrine umane. Per sintetizzare il nucleo triciclico di questa molecola, è stata riadattata una parte del protocollo utilizzato per la sintesi totale dell’himbacina. Il composto è caratterizzato dalla presenza di un nucleo piridinico

(32)

32 al posto di quello piperidinico. Gli studi iniziali sulle relazioni struttura attività (SAR) sono stati diretti ad ottimizzare la sostituzione sull’anello piridinico, in particolare sul carbonio C-6. Si è dimostrata infatti favorevole la sostituzione di questa posizione con gruppi alchilici. In particolare il composto

(±)-3, il quale presenta un sostituente etilico, ha dato i migliori valori di affinità per PAR-1 (IC50 = 85

nM). Altri gruppi lipofili di piccole dimensioni portano ad un’attività comparabile a quella che si ottiene con i sostituenti alchilici, mentre catene ramificate e sostituenti polari determinano una diminuzione dell’affinità per il recettore piastrinico. L’introduzione di un esile porta ad un drastico calo dell’affinità che diventa nulla quando è analizzato il 6-fenilderivato.

Con l’obiettivo di caratterizzare al meglio la loro attività, i nuovi composti sono stati risolti utilizzando HPLC chirale, in modo da separare e confrontare i due enantiomeri.

O O C H3 H H H H N R 6 H H O O C H3 H H N R H H O O C H3 H H N R Serie Ent-himbacina (+)-2a R= CH3 IC50= 150 nM (+)-3a R= CH2CH3 IC50= 20 nM Serie Himbacina (-)-2b R= CH3 IC50= 1500 nM (-)-3b R= CH2CH3 IC50= 400 nM

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33 La stereochimica assoluta dei composti della serie più attiva è stata stabilita mediante sintesi enantioselettiva. In entrambi i casi, l’enantiomero (+) è risultato essere 10 volte più attivo del (-) ed anche la risoluzione di alcune serie di composti emersi dallo stesso screening ha confermato che la stereochimica assoluta dell’ent-himbacina è favorita per quanto riguarda l’antagonismo PAR-1. Il prefisso ent-, indica l’enantiomero di un prodotto naturale e molecole ad esso correlate, quando il nome comune si riferisce ad un solo stereoisomero. 24

Nel test di binding con radioligando, il composto (+)-3 ha mostrato buoni risultati, con Ki= 12 nM

per PAR-1. Nel saggio di aggregazione indotta da haTRAP (high-affinity receptor-activating peptide) su piastrine umane, il composto ha mostrato un’inibizione dose-dipendente dell’aggregazione con una IC50= 70 nM. Il composto è stato ulteriormente valutato in test in vivo di aggregazione piastrinica

su scimmie dopo infusione endovenosa di 10 mg/kg per 30 minuti, ed è stata osservata una quasi completa inibizione per 2 ore dell’aggregazione indotta dall’agonista peptidico; tuttavia, la molecola ha presentato scarsa biodisponibilità orale a causa del rapido metabolismo che subisce tramite questa via di somministrazione.

Per ovviare all’eccessiva degradazione della molecola sono state testate varie sostituzioni in C-5. L’inserimento di gruppi alchilici in tale posizione porta ad una ridotta affinità di legame rispetto alla sostituzione alchilica in C-6. È stato poi studiato l’effetto di una sostituzione arilica in posizione 5 sull’anello piridinico: tra i composti risultanti, 4 (IC50= 27 nM) è stato il primo della serie a mostrare

un profilo farmacocinetico promettente. In studi preliminari condotti su ratti, dove erano quantificati i livelli plasmatici del farmaco originale 4 ore dopo la somministrazione orale, sono state rilevate solo concentrazioni modeste: si presume che questo avvenga a causa del rapido metabolismo sull’anello aromatico privo di sostituenti. Successivamente, si è infatti osservato che effettuando sostituzioni in orto e meta sul fenile in posizione 5 con alogeni, si ottiene alta affinità per PAR-1 e ottimi livelli plasmatici dopo somministrazione orale. Il m-trifluorometil-fenilderivato 5 ha mostrato complessivamente il miglior profilo in questo gruppo con IC50= 11 nM verso i recettori PAR-1 e una

Cmax= 2300 nM in un modello farmacocinetico nei ratti. Nel saggio condotto con il radioligando

peptidico, il composto 5 ha mostrato Ki= 2,7 nM verso il recettore PAR-1, valore che lo identificava

come il più potente antagonista per il recettore piastrinico PAR-1 tra tutti quelli analizzati fino a quel momento. L’effetto del composto 5 verso le risposte di aggregazione indotte da trombina (1 U/ml), haTRAP (1 µM), ADP (20 µM) e collagene (5 µg/ml) è stato valutato in un esperimento comparativo su plasma umano ricco di piastrine. In questi test la molecola ha mostrato un’importante riduzione dell’attivazione piastrinica indotta da trombina (IC50= 44 nM) e haTRAP (IC50= 24 nM), mentre non

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34 Nel ratto, la molecola ha mostrato una biodisponibilità orale del 30% alla dose di 10 mg/kg e la Cmax

dopo tale somministrazione è stata di 1,16 µM. Inoltre dopo somministrazione endovenosa l’emivita della molecola era di 3,2 ore.

Diversamente nelle scimmie la biodisponibilità orale era del 50% e l’emivita plasmatica dopo somministrazione endovenosa era di 12,4 ore. Su questi animali sono stati condotti ulteriori esami dopo somministrazione orale, prelevando campioni di sangue ad intervalli regolari e testandoli in un aggregometro insieme all’agonista haTRAP (1 µM); il composto 5 ha mostrato un’inibizione di tipo dose-dipendente.

Inoltre il composto 5 non ha influenzato i parametri di coagulazione come il tempo di protrombina o il tempo di tromboplastina parziale attivato, indicando che il suo meccanismo d’azione non si basa sull’inibizione dei siti attivi della trombina o di altre proteasi della coagulazione. 25

H H O O C H3 H H N 5 Composto 4 H H O O C H3 H H N F F F 5 Composto 5

Un nuovo studio ha preso origine dai buoni risultati ottenuti dal composto 5 (SCH 205831), un prototipo di antagonista PAR-1, con l’obiettivo di valutare il metabolismo a cui va incontro il composto triziato dopo somministrazione orale. Le analisi sono state effettuate, dopo somministrazione orale della molecola in esame alla dose di 3 mg/kg, su epatociti di ratti, scimmie e su campioni di plasma prelevato dalle scimmie 6 e 24 ore dopo la somministrazione. In entrambe le specie, tramite analisi LC-MS/MS (cromatografia liquida - massa tandem), è stata osservata la

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35 presenza di 3 metaboliti ossidrilati (uno di questi era presente in maggiore quantità) e di 2 metaboliti di-ossidrilati. O O H H N C H3 H H F F F OH O O H H N C H3 H H F F F OH O O H H N C H3 H H F F F OH O O H H N C H3 H H F F F OH O O H H N C H3 H H F F F OH O O H H N C H3 H H F F F OH

Principali metaboliti ossidrilati

Per caratterizzare al meglio questi metaboliti ne sono state generate quantità nell’ordine di milligrammi incubando il composto 5 con pregnenolone 16α-carbonitrile in microsomi epatici di ratto. Successive analisi condotte con l’utilizzo della risonanza magnetica nucleare (NMR) hanno evidenziato che il principale tra questi era 8-β-OH sostituito, mentre gli altri due metaboliti mono-ossidrilati erano 7-α-OH e 7-β-OH sostituiti. Nelle scimmie, la concentrazione plasmatica del metabolita principale era di 160 ng/ml dopo 24 ore dalla somministrazione e superava i livelli di concentrazione della molecola originaria che era di soli 35 ng/ml.

La presenza di elevati livelli plasmatici di metaboliti ossidrilati poteva indicare l’induzione di enzimi epatici in aggiunta ad una lunga emivita plasmatica.

Uno studio sull’induzione enzimatica è stato condotto somministrando a 4 gruppi di ratti per 10 giorni dosi orali giornaliere di 100 e 300 mg/kg. Il giorno 1 e il giorno 10 sono state misurate, ad intervalli

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36 di tempo prestabiliti, le concentrazioni plasmatiche di tutti i metaboliti ossidrilati. Come era già stato osservato per le scimmie, il principale metabolita ossidrilato superava in concentrazione la molecola originaria ed anche gli altri erano in concentrazione elevata; si è anche notato un incremento nel rapporto tra il peso del fegato e quello del corpo del 10% (dose 100 mg/kg) e del 34% (300 mg/kg). Inoltre nel gruppo a cui veniva somministrata la dose di 300 mg/kg è stato osservato, al termine dei 10 giorni di somministrazione, un aumento dei livelli degli enzimi epatici CYP2B (21 volte superiori) e CYP1A (3,6 volte superiori), i quali erano associati ad un aumento di 3 volte del livello del metabolita 8-β-OH. Visto il mancato raggiungimento di un sufficiente livello plasmatico, lo sviluppo del composto 5 come antagonista del recettore per la trombina è stato sospeso.

Nel tentativo di identificare un composto alternativo che non desse induzione enzimatica, la ricerca è stata orientata in due direzioni. Per prima cosa, sono state valutate molecole con gruppi ossidrilici sull’anello C del sistema triciclico, compresi i metaboliti menzionati in precedenza, allo scopo di verificare se una di queste fosse più attiva del composto originale. Ci sono stati molti casi nella storia dello sviluppo di nuovi farmaci in cui un metabolita è risultato essere più efficace del farmaco originale. È stato ipotizzato che l’induzione enzimatica causata da questi metaboliti, fosse in parte dovuta alla mancanza di gruppi funzionali idonei alla coniugazione. L’inserimento di tali gruppi doveva avvenire in posizioni della molecola tali da non provocare ingombro sterico nei confronti dell’ossidrile, affinché non fosse impedita la coniugazione e la successiva eliminazione. Ciò è stato suggerito dal fatto che il metabolita che presentava in 8-β-OH aveva mostrato una lenta clearance forse proprio per l’ingombro sterico attorno all’ossidrile.

Il secondo approccio è stato quello di bloccare selettivamente le posizioni facilmente metabolizzabili che si trovano sul sistema triciclico, in modo che la molecola subisse ossidazione in vivo in siti predeterminati in cui fosse più facile la coniugazione e l’eliminazione.

Tra i derivati ossidrilati risultanti dallo screening per valutare il binding con PAR-1 di queste molecole, il composto 5 (C-7 ossidrilato) è apparso essere il più potente. Altri composti ossidrilati in C-8 e in C-7 hanno mostrato minore affinità di legame per il recettore PAR-1 e i 6-idrossi-derivati erano essenzialmente inattivi. Studi relativi alle SAR hanno confermato le precedenti conclusioni riguardanti il sostituente legato alla piridina in posizione 5, ovvero che la sostituzione in orto e in meta sul fenile continua ad essere favorita rispetto alla sostituzione in para.

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37 H H O O C H3 H H N F F F OH 7 8 5 Composto 6

Negli studi preliminari il composto 6 ha mostrato le migliori caratteristiche in termini di affinità verso PAR-1 (IC50= 17 nM), potenza ex-vivo e profilo farmacocinetico. Tale molecola si lega in modo

competitivo ai recettori presenti sulle piastrine umane con Ki= 11 nM nei confronti dell’agonista

peptidico [3H]haTRAP. In un test realizzato per valutare i tempi di dissociazione dal recettore, la molecola è stata pre-incubata con membrane piastriniche e una volta raggiunta la saturazione di legame, il composto in eccesso è stato eliminato. L’inibizione del binding dell’agonista [3H]haTRAP

è stata osservata fino a 3 ore dopo il lavaggio, indicando quindi una lenta dissociazione dal recettore. Questo è un fattore di notevole importanza se si deve valutare l’efficacia di un antagonista recettoriale. Per caratterizzare in modo più approfondito gli effetti anti-piastrinici, la molecola è stata pre-incubata per 1 ora con piastrine umane prelevate da soggetti sani che non avevano assunto acido acetilsalicilico per almeno 7 giorni ed è stata osservata completa inibizione dell’aggregazione in risposta alla dose di 0,3 µM di haTRAP, con IC50= 60 nM. Inoltre, non è risultata essere inibita la risposta di

aggregazione delle piastrine indotta dall’ADP, denotando specificità di azione sui recettori PAR-1. Il composto 5 ha mostrato nelle scimmie un buon assorbimento orale (92%) e buona biodisponibilità (89%) che non viene influenzata dalla presenza di cibo. Il principale metabolita osservato è stato un glucuronide escreto principalmente con la bile. La molecola è stata anche testata su microsomi epatici umani e non è stata osservata inibizione di vari isoenzimi del citocromo P450 a concentrazioni superiori a 10 µM. Test sull’induzione enzimatica sono stati anche condotti su ratti, osservando solo una lieve induzione degli isoenzimi 1A e 2B del citocromo P450 alle dosi di 10 e 30 mg/kg. 3

Osservando i risultati delle ricerche condotte fino a questo momento, è evidente che la presenza del sostituente 5-fenilpiridina conferisce alla molecola grande potenza: questo aspetto è stato confermato

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