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Gli enzimi pancreatici in corso di terapia incretinica del diabete mellito tipo 2

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Scuola di Specializzazione in Medicina Interna

(Dir. Prof. Stefano Taddei)

Tesi di specializzazione in Medicina Interna

Gli enzimi pancreatici in corso di terapia incretinica

del diabete mellito

Relatore

Candidato

Dr.ssa Elena Matteucci

Dr.ssa Chiara Giampietro

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Riassunto

La terapia incretinica in questi anni si è dimostrata un efficace strumento per migliorare il controllo glicometabolico nel diabete tipo 2. Gli analoghi del recettore del GLP-1 (Glucagon like peptide-1) si sono rivelati validi nel ridurre i valori di HbA1c e, quale effetto ancillare, nell’indurre significative perdite di peso, con trascurabile frequenza di eventi ipoglicemici. Anche gli inibitori della DPP-4 (Dipeptidil-dipeptidasi-4) sono risultati idonei nel migliorare il controllo glicemico, con effetti pressoché neutri sul peso corporeo e rischio quasi nullo di ipoglicemia.

Permangono dubbi sulla sicurezza “long-term” di questi farmaci, in particolare riguardo al rischio di pancreatite acuta, alla possibilità di indurre modificazioni istopatologiche suggestive di pancreatite cronica, incluse lesioni preneoplastiche e, nel lungo periodo, sviluppo anche di cancro pancreatico. Alcuni studi riportano anche un incremento del rischio di cancro tiroideo (carcinoma midollare). I dati presenti ad oggi in letteratura, volti a chiarire il quesito se i benefici derivanti dall’utilizzo di queste terapie superino o meno i rischi, sono ancora conflittuali, non esaustivi.

Nel nostro studio abbiamo analizzato 204 diabetici in terapia con incretine e 65 in sola dieta o in terapia ipoglicemizzante con farmaci differenti dalle incretine.

Tutti i pazienti hanno effettuato un dosaggio degli enzimi pancreatici (amilasemia totale e/o pancreatica, lipasemia). In 21 soggetti incretino-trattati abbiamo riscontrato un incremento degli enzimi pancreatici, cui è seguita la sospensione della terapia con normalizzazione dei valori enzimatici. Non abbiamo registrato alcun quadro di pancreatite acuta. I 21 diabetici enzimo-positivi presentavano rispetto a quelli senza rialzo enzimatico una maggiore trigliceridemia, una più lunga durata della terapia

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significatività statistica. Sono stati inoltre ricercati ed esclusi, anche ecograficamente, altri fattori possibili di insulto pancreatico. Dal confronto fra il gruppo di diabetici incretino-trattati e il gruppo di pazienti non-incretinici, non è emersa una diversità statisticamente significativa nei valori medi degli enzimi pancreatici dosati.

Nel nostro studio si conferma che la terapia con incretine (GLP-1 agonisti o DPP-4 inibitori) può indurre nel 10% dei diabetici così trattati un rialzo della lipasemia, e/o anche un rialzo della amilasemia totale e/o pancreatica. Questo incremento enzimatico sembra completamente reversibile in tempi brevi (1-4 mesi), dopo la sospensione delle incretine ed apparentemente non connota un quadro clinico, documentato anche ecograficamente, di pancreatite acuta.

L’aumento della trigliceridemia, la durata della terapia incretinica, i valori elevati di BMI potrebbero rendere i pazienti più proni allo sviluppo di insulto pancreatico, considerando che fra le principali indicazioni all’incretino-terapia nel diabete tipo 2 risultano l’aumento del BMI fino alla franca obesità, condizioni entrambe spesso caratterizzate da franca ipertrigliceridemia.

Ulteriori studi saranno necessari per meglio definire il problema della “safety

pancreatica long- term" dei farmaci incretinici.

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Introduzione

La prevalenza del diabete mellito è in notevole aumento non solo nei paesi industrializzati, ma soprattutto nei paesi in via di sviluppo. I dati più recenti forniti dalla International Diabetes Federation (IDF) nel 2013 riportano l’esistenza di 382 milioni di pazienti diabetici in tutto il mondo, con la previsione di raggiungere i 592 milioni nel 2035. La prevalenza globale di diabete mellito stimata nel 2013 si assesta attorno all'8.3% nella popolazione fra i 20-79 anni d’età, raggiungendo una stima fra il 9-10% nei paesi più popolosi al mondo, come la Cina e l'India. Una prevalenza particolarmente elevata è stata osservata in Messico (12.6%) ed Egitto (16.8%), superiore a quella degli USA (9.2%) e della Germania (8.2%) [1]. Questi dati indicano che nel 2013, i 2/3 di tutti i diabetici riguardavano i paesi in via di sviluppo. [1] L'incremento della prevalenza del diabete in queste aree sembra correlabile alla rapida urbanizzazione, ai cambiamenti nutrizionali ed alla scarsa attività fisica [2]. La forma più diffusa di diabete è il tipo 2, che rende conto di circa il 90% dei diabetici; il restante 10% dei soggetti risulta affetto da diabete di tipo 1 o diabete gestazionale [1]. L'aumentata prevalenza del diabete tipo 2 è verosimilmente conseguente all'incremento dell'obesità e di stili di vita sempre più sedentari. Oltre l'80% dei diabetici tipo 2 è infatti obeso o in sovrappeso ed è inoltre scarsamente attivo dal punto di vista fisico.

La fisiopatologia del diabete mellito tipo 2 è tuttora da decifrare compiutamente. I principali fattori di rischio del diabete tipo 2 sono l'età, l'obesità, la scarsa attività fisica, la familiarità, la dieta. Nonostante l'ereditarietà sia una componente importante nella patogenesi del diabete tipo 2 (30-70%), le variabili genetiche influenzano non

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considera il diabete tipo 2 come la risultante dell'interazione tra ambiente, stile di vita e fattori genetici, connotandola quindi come una malattia poligenica e multifattoriale [3]. La patogenesi del diabete mellito tipo 2 è riconducibile a due fondamentali difetti, l'insulino- resistenza, caratterizzata dalla ridotta sensibilità all'azione insulinica da parte dei tessuti periferici (fegato, muscolo scheletrico e tessuto adiposo) e il deficit relativo di secrezione insulinica. Quale dei due difetti sia primitivo e quale secondario non è ad oggi ancora chiarito. I meccanismi che regolano l'omeostasi glucidica post-prandiale prevedono una rapida e adeguata secrezione insulinica e una riduzione dei livelli di glucagone: entrambe queste azioni hanno come effetto ultimo la riduzione della produzione epatica di glucosio. Figura 1

L’iperglicemia nel diabete mellito di tipo 2 deriva da tre difetti principali

Cellule pancreatiche: alterata secrezione insulinica Cellule pancreatiche: eccessiva secrezione di glucagone

Aumentata produzione di

glucosio

Ridotto assorbimento di glucosio e aumentata lipolisi

Iperglicemia

Inzucchi SE. JAMA 2002;287:360–372; Porte D Jr, Kahn SE. Clin Invest Med. 1995;18:247–254

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La risposta secretoria insulinica è tuttavia solo in parte dipendente dall'iperglicemia. Già nel 1940 era stato ipotizzato un ruolo degli ormoni intestinali nel controllo della glicemia post-prandiale [4], ipotesi che molti anni dopo ha trovato conferma nella scoperta delle incretine. Negli ultimi anni quella incretinica è diventata una importante opzione terapeutica per il trattamento del diabete mellito tipo 2. Questa terapia si avvale dell’utilizzo di due tipi di farmaci, gli analoghi del recettore del GLP-1 e gli inibitori

della dipeptidil-dipeptidasi-IV. La progressiva diffusione di questi farmaci sembra

dovuta non soltanto al rischio pressoché nullo di ipoglicemia correlato al loro utilizzo e agli effetti ancillari che essi esplicano a vari livelli, ma soprattutto ad evidenze sempre maggiori a supporto dell’azione protettiva sul profilo cardiovascolare, in contrasto con le suggestioni ancora oggi molto dibattute sull’incremento del rischio coronarico conseguente all’utilizzo di una vecchia, storica, classe di farmaci, le sulfaniluree.

Il dibattito sulla “safety” cardiovascolare delle sulfaniluree risale al 1970 quando si è cominciato a osservare un significativo aumento della mortalità cardiovascolare in diabetici trattati con tolbutamide, rispetto al placebo [5]. Al contrario il più recente studio UKPDS ha dimostrato un rischio sovrapponibile di morte per infarto del miocardio nei pazienti in terapia con glibenclamide o clorpropamide rispetto ai controlli [6]. In mancanza di ulteriori trials randomizzati, successivi studi hanno indagato la potenziale associazione tra sulfaniluree ed eventi cardiovascolari, senza tuttavia ottenere risultati univoci, avendo alcuni osservato un rischio aumentato [7-8], altri una riduzione del rischio [9], altri ancora un effetto sostanzialmente neutro [10-11]. La questione è ancora aperta con ulteriori interrogativi sulla possibile differenza intrinseca tra le diverse molecole di sulfaniluree [12-13]. Le sulfaniluree promuovono il rilascio di insulina dalle β-cellule pancreatiche legandosi al recettore per le sulfaniluree, legame che determina la

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cellule muscolari lisce l’apertura dei canali K-ATP dipendenti è tuttavia un elemento fondamentale per la realizzazione del cosiddetto “precondizionamento ischemico”: si tratta di un meccanismo endogeno protettivo per il quale brevi episodi di ischemia e riperfusione consentono al miocardio di acquisire una maggiore elasticità nel caso di un eventuale insulto ischemico maggiore [15-16]. Sebbene la chiusura dei canali K-ATP dipendenti mediata dalle sulfaniluree svolga a livello pancreatico un effetto terapeutico, la chiusura degli stessi canali K-ATP dipendenti a livello miocardico potrebbe pertanto contribuire all’insorgenza di eventi cardiovascolari [17-18]. Nonostante i dati sull'uomo siano limitati, si è osservato che pazienti che sviluppavano sintomatologia anginosa durante la settimana precedente l'ospedalizzazione per infarto miocardico acuto avevano una prognosi a breve termine migliore di coloro che non manifestavano angina. L’angina, secondo questa ipotesi, avrebbe un ruolo nella determinazione dei fenomeni di precondizionamento ischemico miocardico. Se è vero che le sulfaniluree modificano i meccanismi di precondizionamento ischemico, tale modifica potrebbe innescarsi anche durante la settimana precedente l’ischemia miocardica, proprio a livello dei canali miocardici K-ATP dipendenti. Ecco che il “timing” di esposizione alle sulfaniluree diverrebbe cruciale: una recente esposizione alle sulfaniluree potrebbe dunque bloccare meccanismi protettivi antecedenti gli episodi di angina, mentre una esposizione alle sulfaniluree successiva all’evento ischemico cardiaco non risulterebbe avere effetto alcuno. E’ da segnalare l’esistenza, fra le varie sulfaniluree, di affinità di legame diverse per i diversi tessuti: la glibenclamide e la glimepiride ad esempio inibiscono i canali K-ATP dipendenti nel miocardio in misura maggiore rispetto alla gliclazide, che risulterebbe essere più “pancreas-selettiva” [12]. In altri studi la gliclazide ha confermato non avere effetti sulla mortalità cardiovascolare, al contrario della glimepiride che è risultata potenziarlo [19]. Piuttosto che parlare di effetto di classe, le sulfaniluree vanno pertanto

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valutate individualmente. D'altra parte le sulfaniluree condizionano l'incremento del rischio cardiovascolare favorendo l'aumento del peso corporeo e dell’adiposità viscerale [20-21] (quindi potenziando tutti i fattori di rischio cardiovascolare: pressione arteriosa, colesterolemia, PCR); infine le sulfaniluree, come classe, possono indurre severa ipoglicemia, con significativo incremento del rischio cardio-cerebrovascolare [22-24]. Durante la fase acuta dell’ipoglicemia si innescano delle modificazioni elettrocardiografiche (in particolare allungamento dell’intervallo QTc) con possibili sintomi di ischemia cardiaca [25-26]. La terapia con sulfaniluree sembra stimolare il rilascio non solo di insulina, ma anche di pro-insulina e l'elevata proinsulinemia è predittiva di mortalità cardiovascolare in pazienti diabetici e non [27-28]. Tutti questi meccanismi fisiopatologici (inibizione del precondizionamento ischemico, incremento dell’adiposità viscerale e del BMI, maggiore frequenza e gravità di ipoglicemia, incremento della proinsulinemia) possono contribuire a peggiorare l’outcome cardiovascolare del diabetico tipo 2 in corso di trattamento con sulfaniluree. Di qui la necessità di ampliare l’orizzonte terapeutico per meglio affrontare una malattia cronica, quale è il diabete tipo 2, a diffusione mondiale e con enormi costi socio-sanitari, la cui prevalenza è in progressivo aumento.

Dal 2008 in Italia è disponibile una nuova classe terapeutica: le incretine. Il termine incretina deriva dall’inglese In-Cret-In (Intestinal Secretion Insulin) e indica quello che oggi viene denominato asse entero-pancreatico, sistema costituito cioè da ormoni peptidici secreti dall’intestino in grado di stimolare la secrezione insulinica da parte del pancreas in risposta ai pasti (cioè con meccanismo glucosio-dipendente). L’azione di questi ormoni spiega la differenza significativa di output insulinico in risposta ad un carico orale di glucosio piuttosto che ad un analogo quantitativo di glucosio

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somministrato per via endovenosa: questo incremento differenziale di insulinemia connota l’effetto incretinico. Figura 2

Le incretine più note sono il Glucagon-Like Peptide-1 (GLP-1) e il Glucose-dependent Insulinotropic Polipeptide (GIP) [29-31].

L’effetto delle incretine è ridotto nel diabete mellito di tipo 2

Glucosio somministrato:

glucosio orale (50 g/400 ml) endovena (infusione isoglicemica)

Tempo (min) 0 40 60 80 In su lin a IR (mU /L ) 20 -10-5 60 120 180 Effetto delle incretine normale

Soggetti sani (n=8) Soggetti con diabete mellito di tipo 2 (n=14) Tempo (min) 0 40 60 80 In su lin a IR (mU /L ) 20 -10 -5 60 120 180 Effetto delle incretine ridotto Nauck. Diabetologia. 1986;29:46.

Nauck M, et al. Diabetologia. 1986;29:46–52.

Figura 2

Il GLP-1 è un ormone prodotto dalle cellule L della mucosa di ileo distale e colon a partire dal proglucagone; il GIP è prodotto dalle cellule K del duodeno e del digiuno prossimale. La secrezione di GLP-1 è regolata da stimoli sia endocrini che neurali, oltre che dal contatto diretto dei nutrienti con le cellule entero-endocrine L. Il rilascio di GIP è stimolato prevalentemente dai grassi alimentari. GLP-1 e GIP svolgono un ruolo importante nell’elaborazione dei nutrienti introdotti nell’intestino; entrambi sono prodotti in risposta all’ingestione di alimenti, in particolare di carboidrati. I livelli plasmatici di GIP e GLP-1 sono infatti bassi a digiuno e aumentano dopo l’assunzione di cibo. Una

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delle principali azioni delle incretine è proprio l’aumento della insulinemia postprandiale: l’effetto incretinico infatti determina il 60-70% della secrezione insulinica in risposta a un pasto.

Il GLP-1 esplica differenti azioni a livello pancreatico: stimola la secrezione di insulina e di somatostatina, inibendo il release di glucagone in maniera glucosio dipendente, riducendo la produzione epatica di glucosio per inibizione della gluconeogenesi. Rallenta inoltre lo svuotamento gastrico inducendo senso di sazietà precoce, promuove la sopravvivenza, la crescita e la rigenerazione delle cellule beta pancreatiche, favorisce la proliferazione e la differenziazione delle cellule duttali pancreatiche in cellule beta (secernenti insulina) o alfa (secernenti glucagone) [32-36]. Figura 3

Il GLP-1 sembra avere inoltre numerosi effetti pleiotropici anche a livello extrapancreatico: di protezione sull’endotelio vascolare (vari studi sono ancora in corso al fine di valutare l’impatto sulla mortalità e morbilità cardiovascolare) [37-38], azione diuretica/natriuretica e capacità di ridurre i valori della pressione arteriosa sistemica. Recettori per il GLP-1 sono infatti presenti non solo a livello delle isole pancreatiche, ma anche del tessuto nervoso, di reni, surreni, polmoni, vasi, cuore, stomaco e duodeno. Il GIP invece possiede azione lipogenica e anabolica sull’osso.

Il GIP e il GLP-1 vengono tuttavia quasi immediatamente degradati da un enzima presente sia nel sangue sia sulla membrana di molti organi, la dipeptidil dipeptidasi IV (DPP-4). In condizioni fisiologiche il GLP-1 ha un’emivita di circa 1-2 min, il GIP di circa 4 min.

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Il GLP-1 ha un’ampia attività biologica

Baggio & Drucker. Gastroenterol. 2007;132:2131–57.

Cervello

Stomaco

Pancreas

Tessuti muscolari e adiposi Cuore Intestino ↑ Cardioprotezione ↑ Funzione cardiaca ↓ Svuotamento gastrico ↑ Secrezione insulinica ↓ Secrezione di glucagone ↑ Biosintesi dell’insulina ↑ Proliferazione delle cellule 

↓ Apoptosi delle cellule 

↑ Assorbimento di glucosio ↑ Deposito di glucosio ↓ Produzione di glucosio ↑ Neuroprotezione ↓ Appetito Fegato Sensibilità insulinica GLP-1 Figura 3

Nel diabetico tipo 2, oltre al deficit di secrezione insulinica con la perdita caratteristica della early phase secretion e alla concomitante resistenza periferica alle azioni dell’ormone, coesistono una aumentata secrezione di glucagone durante il digiuno, la sua mancata soppressione dopo carico orale di glucosio, e una iperglucagonemia dopo un pasto misto [39-42]. I diabetici tipo 2 presentano inoltre una ridotta secrezione di GLP-1 in risposta ai pasti ed un ridotto “effetto incretinico” rispetto ai non diabetici, cioè le curve insulinemiche dopo ingestione di glucosio per os e dopo somministrazione per via parenterale presentano un differenziale meno marcato rispetto ai soggetti normali. Tutte queste alterazioni concorrono sia alla ridotta secrezione insulinica, sia all’aumentata secrezione di glucagone [43].

Il ridotto “effetto incretinico” del diabetico tipo 2 sembra riconducibile sia alla perdita totale dell’effetto insulinotropico del GIP (e in misura minore alla riduzione dei livelli

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circolanti di GIP) [43-44] sia alla riduzione dei livelli di GLP-1, che tuttavia manterrebbe una certa azione insulinotropica, anche se notevolmente ridotta, pari a circa il 20% di quella dei non diabetici.[45-46] Di qui la necessità di ripristinare i livelli fisiologici di GLP-1 mediante la somministrazione esogena di GLP-1 oppure bloccando l’enzima di degradazione (DPP-4). I farmaci incretinici sono rappresentati dalla famiglia dei GLP-1

analoghi, molecole che mimano l’azione del GLP-1 nativo ma che sono molto più

resistenti all’azione di degradazione della DPP-4, somministrabili per via sottocutanea e prodotti con tecnica di DNA ricombinante.

Attualmente, in Italia sono in commercio due GLP-1 analoghi ad azione “fast” (exenatide e lixisenatide), uno ad azione meno rapida (liraglutide), uno ad azione “protratta” o long-acting, la formulazione “once-week” di exenatide. Negli USA è stato approvato l’utilizzo di dulaglutide, altro GLP-1 analogo “long-acting”. Sono inoltre in preparazione da parte di più multinazionali del farmaco altre formulazioni di GLP-1 per lo più ad azione protratta. Più numerosa è la famiglia degli inibitori della DPP-4, che ritardano il catabolismo del GLP-1 nativo, destinati all’uso orale; in Italia sono ad oggi disponibili 5 molecole (sitagliptin, vildagliptin, saxagliptin, linagliptin, alogliptin) somministrabili da soli per la monoterapia oppure in associazione con insulinosensibilizzanti (metformina e pioglitazone) o sulfaniluree (glimepiride, gliclazide, glibenclamdide). Per alcuni di loro è prevista una formulazione a dosaggio ridotto per i pazienti con insufficienza renale (sitagliptin, saxagliptin, alogliptin). Tutti i farmaci incretinici, potenziando la secrezione di insulina mediata dal GLP-1 da parte del pancreas e riducendo la glucagonemia glucosio-mediata, consentono un miglioramento del controllo glicemico mediante una talora anche significativa riduzione del peso corporeo (GLP-1 analoghi) o mantenendo almeno una neutralità sul peso corporeo (inibitori della DPP-4). Contribuiscono anche

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possibili effetti collaterali si annoverano la nausea (spesso transitoria e infrequentemente di entità tale da indurre una sospensione del trattamento), vomito e in misura minore diarrea e rash cutanei [48].

Sebbene questi farmaci siano considerati sicuri, mancano ad oggi dati sulla loro efficacia a lungo termine e sui possibili effetti collaterali derivanti da un loro prolungato utilizzo. Recenti studi hanno avanzato l’ipotesi che il loro utilizzo favorisca un incremento del rischio di sviluppare pancreatite e/o eteroplasia pancreatica, suggerendo una relazione causa-effetto tra farmaci incretinici e malattia pancreatica [49-52]. La pancreatite acuta (emorragica o necrotizzante) è un evento gravato da importante mortalità e morbilità. Sebbene di recente sia stata con vigore argomentata l’associazione diretta tra le incretine e l’insorgenza di pancreatite o di lesioni precancerose pancreatiche, nel panorama scientifico attuale tale ipotesi risulta ancora molto dibattuta [53-54]. Che l’incidenza di pancreatite nei pazienti con diabete mellito tipo 2 sia più alta che nella popolazione non diabetica, indipendentemente dal trattamento ipoglicemizzante in atto, è un dato di fatto acquisito. Inoltre le condizioni spesso coesistenti con il diabete mellito tipo 2 possono favorire il rischio di eventi pancreatici: l’obesità, l’ipertrigliceridemia, la frequente presenza di litiasi della colecisti sono tutti fattori di rischio per lo sviluppo di pancreatite, soprattutto nei diabetici [55-56]. D’altra parte sono proprio gli obesi ad essere i principali candidati alla terapia con GLP-1 analoghi, considerato l’effetto di questi farmaci sul peso corporeo; nel Gennaio u.s. in Europa è stato approvato l’utilizzo di liraglutide nel paziente obeso, al dosaggio di 1.8 mcg/die. Per di più, i farmaci di comune impiego nel diabetico (ipoglicemizzanti, statine, ACE-inibitori) possono favorire la pancreatite. Insomma il rischio nel diabetico tipo 2 di sviluppare una pancreatite è già presente anche in assenza di terapia incretinica, rispetto al soggetto non diabetico [57-58]. Studi condotti su animali di laboratorio hanno evidenziato la presenza di variazioni istologiche

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suggestive di danno pancreatico. Dopo somministrazione di GLP-1, nel pancreas degli animali di laboratorio, è stato possibile osservare una proliferazione delle cellule acinose (componente pancreatica esocrina) e delle cellule di rivestimento dei dotti pancreatici (cellule duttali). Questa proliferazione, risultante nell'iperplasia dell’organo ed innescata dal legame del GLP-1 ai recettori pancreatici, sarebbe in grado, secondo l’ipotesi sostenuta da questi studi, di favorire la proliferazione delle cellule duttali con conseguente occlusione dei dotti pancreatici ed incremento pressorio all’interno dell’organo. L’incremento pressorio, percepito dalle cellule acinose, funzionerebbe come trigger per il rilascio da parte delle cellule stesse di enzimi digestivi, agevolando così lo sviluppo di pancreatite. In alcuni animali sono stati documentati quadri di pancreatite cronica e lesioni precancerose, condizioni potenzialmente evolutive verso l'eteroplasia pancreatica [50]. Mentre non è possibile riprodurre le stesse variazioni in tutti gli studi animali, d’altra parte, queste modificazioni morfo-funzionali non sembrano manifestarsi con tutte le molecole appartenenti alla classe dei farmaci incretinici [50-59]. Alcuni studi riportano alterazioni istologiche a livello della componente esocrina del pancreas in corso di terapia con exenatide. Al contrario, uno studio in cui è stata impiegata la liraglutide, riporta casi di pancreatite occasionali. Questi differenti risultati ottenuti dopo somministrazione di exenatide e liraglutide sembrano suggerire una differenza intrinseca fra i due GLP-1 agonisti (exenatide vs liraglutide) che appare piuttosto dubbia [59]. Studi condotti sugli inibitori della DPP-4 non hanno infine rilevato quadri suggestivi di pancreatite iatrogena negli animali trattati con sitagliptin [60].

Questione dibattuta è anche la dose di farmaco somministrata agli animali e responsabile delle variazioni istologiche osservate [50]. In numerosi protocolli sono stati spesso deliberatamente utilizzate elevate dosi di farmaco, somministrate in brevi intervalli di

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a dosi cumulative del farmaco. Nello studio sopra menzionato condotto sui topi, la dose di sitagliptin somministrata è risultata pari a 200 mg/Kg per 12 settimane, che corrisponderebbe esporre un uomo di circa 70 Kg a 14 g/die di sitagliptin; questa dose, se somministrata per 12 settimane, potrebbe causare in un uomo le variazioni istologiche descritte nel topo. E’ ragionevole escludere che le stesse variazioni possano essere indotte nell’uomo utilizzando il dosaggio standard di 100 mg/die, dose consigliata e utilizzata abitualmente nella pratica clinica [61].

Recentemente uno studio condotto su donatori di organo ha analizzato il pancreas proveniente da 8 diabetici tipo 2 trattati con incretine, 12 tipo 2 non trattati con incretine e 14 pazienti non diabetici (controlli) [62]. I risultati hanno evidenziato nel pancreas di soggetti trattati con incretine la presenza di una marcata espansione della componente esocrina ed endocrina, associata a fenomeni di proliferazione e displasia; coesisteva una iperplasia delle cellule alfa pancreatiche con potenziale evolutività in tumore neuroendocrino. L’associazione con il tumore neuroendocrino sembra tuttavia essere piuttosto debole, poichè tali neoplasie sono già estremamente rare nell' uomo e un eventuale minimo incremento della loro incidenza nei pazienti in terapia incretinica sarebbe difficile da osservare [62]. Numerosi studi, tuttavia, come già riportato, non confermano l’associazione fra terapia incretinica e rischio di pancreatite [63-64], supportati peraltro da una recente metanalisi di trials clinici randomizzati [65]. La problematica, di non trascurabile rilievo, necessita di ulteriori accertamenti ed approfondimenti.

Scopo dello studio

Valutare l’esistenza di una possibile associazione tra utilizzo di farmaci incretinici e incremento degli enzimi pancreatici.

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Materiali e metodi

Abbiamo preso in esame 204 diabetici, 104 maschi e 100 femmine, afferenti all’Ambulatorio di Diabetologia della Sezione Dipartimentale Universitaria di Dietologia in S. Chiara, ai quali era stata prescritta tra Febbraio 2010 e Febbraio 2014 una terapia incretinica (Incretin, analoghi del GLP-1 o inibitori della DPP-4) in aggiunta ai classici ipoglicemzzanti orali (IPO, vale a dire: insulino-sensibilizzanti (metformina e/o pioglitazone), secretagoghi (sulfaniluree, repaglinide), per lo più in associazione (vedi tabella 2B), insulina (basale: glargine, detemir, lispro-protamina) e/o pronte (lispro, aspart, glulisine), talora bifasiche. In diversi pazienti l’insulina, indipendentemente dal tipo, veniva utilizzata anche in associazione con gli IPO orali. Per confronto abbiamo studiato 65 diabetici tipo 2 in sola terapia dietetica o in terapia con qualsiasi altro farmaco antidiabetico diverso dalle incretine (Control). I diabetici incretino-trattati erano confrontabili con il gruppo di controllo non solo per età, ma anche per tipologia di farmaci utilizzati per la terapia ipoglicemizzante. Tabella 1 eTabella 2B

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Tabella 1. Parametri clinici e biochimici delle due popolazioni diabetiche esaminate: incretino-trattati (Incretin) e gruppo di controllo in terapia alternativa (Control).

Come si vede, i due gruppi erano simili per età e sesso, ma differivano per la durata di malattia. Il gruppo Control aveva una minore durata di malattia rispetto al gruppo Incretin e anche livelli significativamente inferiori di BMI, HbA1c e trigliceridi.

Parametro Incretin Control P

Maschi/Femmine 104/100 33/32 ns

Età (anni) 64±9 67±8 ns

Durata malattia (anni) 13±10 10±9 0.006

BMI (kg/m2) 30±5 28±5 0.003 HbA1c (%) 7.7±1.1 7.1±1.2 <0.001 Colesterolo totale (mg/dl) 167±32 172±24 ns Colesterolo HDL (mg/dl) 51±13 57±16 0.003 Colesterolo LDL (mg/dl) 92±27 92±23 ns Trigliceridi (mg/dl) 139±77 112±58 0.010 Creatinina (mg/dl) 0.91±0.28 0.94±0.51 ns AST (U/l) 19±8 21±10 ns ALT (U/l) 22±12 21±11 ns GGT (U/l) 28±24 25±20 ns

Amilasi totale (U/l) 76±40 69±34 ns

Amilasi pancreatica (U/l) 36±28 29±13 ns

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In tutti i pazienti appartenenti ai due gruppi abbiamo analizzato BMI (Kg/m2), HbA1c (%), colesterolemia totale, HDL e LDL, trigliceridemia (mg/dl), creatininemia (mg/dl) AST, ALT, GGT, amilasemia (totale e/o pancreatica) e lipasemia (U/L). Tutti i dosaggi furono effettuati presso il laboratorio di Analisi Chimico Cliniche della Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana. Per quanto concerne invece i dati riguardanti età dei pazienti, durata di malattia, tipo di terapia antidiabetica e terapia ipolipemizzante, abbiamo utilizzato come banca dati il software medicogestionale Eurotouch. Dei diabetici incretino-trattati abbiamo registrato i possibili effetti avversi incretino-correlati (nausea, vomito, diarrea).

Nei due gruppi si sono dosati gli enzimi pancreatici per valutare la eventuale correlazione con la terapia incretinica. Come vedremo nei Risultati, in 21 diabetici (10 maschi, 11 femmine) abbiamo sospeso la terapia incretinica per l’aumento degli enzimi pancreatici, indipendentemente dallo sviluppo di un quadro clinico di pancreatite. In questi pazienti è stata ricercata, anche anamnesticamente, la concomitanza eventuale di possibili fattori di confondimento quali: litiasi della colecisti, grave obesità, neoplasie, interventi chirurgici/procedure sul tratto bilio-pancreatico, eccessivo consumo di alcool, malattie infiammatorie croniche intestinali, utilizzo ricorrente fino all’abuso di FANS, farmaci antiepilettici, statine, fibrati. Tutti i pazienti incretino-trattati con rialzo di amilasi e lipasi effettuarono a completamento diagnostico un'ecografia addominale, peraltro eseguita anche in 50 soggetti appartenenti al gruppo di controllo.

L'ecografia addominale è stata effettuata utilizzando come ecografo il modello Technos di Esaote.

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Analisi statistica

Per l’analisi statistica è stato utilizzato il software Aabel 3 (Gigawiz, Oklahoma City, Oklahoma, USA). I risultati sono espressi come media ± deviazione standard. Per il confronto statistico dei due gruppi di pazienti sono stati impiegati: test del chi-quadrato, t test di Student per dati non appaiati o Mann-Whitney U-test con la correzione di Bonferroni. La soglia di significatività statistica a due code è stata fissata a p <0.05. La correlazione tra variabili è stata valutata mediante il coefficiente di Pearson o mediante l’indice rho per ranghi di Spearman.

Risultati

I 204 pazienti in trattamento incretinico (Incretin) includevano 191 diabetici tipo 2 e 13 tipo 1; la durata della terapia incretinica era 54±41 settimane (range 1-248 settimane). I 65 diabetici di controllo erano tutti tipo 2 (Control).

I dettagli delle terapie ipoglicemizzanti (IPO orali e/o insulina) ed ipolipemizzante, e il tipo di molecole incretiniche somministrate sono riportati in Tabella 2A.

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Tabella 2 A. Terapia associata (IPO orali e/o insulinica e ipolipemizzante) e tipo di

molecola incretinica somministrata nei due gruppi di pazienti

Terapia Incretin Control P

IPO orali/ insulina 153/51 44/21 0.033

Statina (No/Sì) 61/143 29/36 0.029 Fibrato (No/Sì) 199/5 61/4 ns Analoghi GLP-1 65 Inibitori DPP-4 139 Exenatide 45 Liraglutide 20 Sitagliptin 82 Vildagliptin 15 Saxagliptin 37 Linagliptin 4 Alogliptin 1

Il 25% degli Incretin erano in terapia anche insulinica, rispetto al 48% dei Control (p<0.05). Il 70% degli Incretin assumeva terapia statinica rispetto al 55% dei Control (p<0.05). I fibrati erano utilizzati in pochissimi soggetti. Dei 204 pazienti in terapia incretinica, la maggior parte (139 pazienti) assumeva inibitori della DPP-4; i pazienti in terapia con GLP-1 analoghi erano in numero inferiore (65 pazienti). Tabella 2A

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Tabella 2B Dettagli delle terapie ipoglicemizzanti già in atto per i diabetici

incretino-trattati e per i diabetici di controllo.

Incretin (n =204) Incretina aggiunta Control (n=65)

Solo metformina (90/204) 44% Exe 20, Lira 17, Sita 20, Saxa 23, Lina 2, Vilda 6, Alo 1

Solo metformina (28/65) 43%

Metf+Secr e/o Pio(41/204) 20% Exe 17, Lira 1, Sita 13, Saxa 5, Vilda 4

Metf+Sulfa (6/65) 9.2%

Ins e/o IPO (51/204) 25% Exe 2, Sita 48, Vilda 1 Solo Dieta (11/65) 17% Ins e/o Metf (19/65) 29%

Incretine in monoterapia (5/204)

2.5%

Exe 2, Sita 1, Vilda 1, Saxa 1

Dalla tabella 2B si evince chiaramente che a) circa il 90% dei pazienti incretino-trattati faceva terapia associata con altri IPO: 90 solo metformina, 41 insulino-sensibilizzanti (metformina o pioglitazone anche associati) con sulfanilurea, 51 anche con insulina, mentre solo 5 pazienti facevano incretina in monoterapia ( 2 GLP-1 analoghi, 3 inibitori di DPP-4).

L’amilasemia totale è stata dosata in 148 Incretin e 46 Control; quella pancreatica in 64 Incretin e 27 Control; la lipasemia in 195 Incretin e 65 Control. Il confronto fra i due gruppi non evidenziava differenze significative dei livelli plasmatici degli enzimi pancreatici dosati .

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Dei 21 pazienti (10 maschi,11 femmine) nei quali è stata sospesa l’incretino-terapia, 8 erano trattati con GLP-1 analoghi (6 exenatide, 2 liraglutide), 11 con DPP-4 inibitori (7 saxa, 3 sita, 2 vilda, 1 alo). Il rialzo enzimatico più frequente riguardò la lipasi, più caratteristico nei saxagliptin- trattati, in uno dei quali peraltro si registrò la lipasemia più elevata. In una sola paziente trattata con exenatide l’incretina fu sospesa per diarrea eccessiva senza rialzo enzimatico.

I livelli plasmatici dell’amilasi totale erano stati dosati in 17 pazienti del gruppo Stop e 131 del gruppo Non-Stop; quelli dell’amilasi pancreatica in 4 Stop e 60 Non-Stop; quelli della lipasi in 20 Stop e 175 Non-Stop.

Nella Tabella 3 sono riportati parametri clinici e biochimici dei pazienti incretino-trattati che hanno sospeso la terapia (Stop) e quelli che l’hanno proseguita (Non-Stop).

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Tabella 3. Parametri clinici e biochimici dei due gruppi di pazienti incretino-trattati che hanno sospeso la terapia (Stop) e quelli che l’hanno proseguita (Non-Stop).

I soggetti che hanno sospeso la terapia per l’incremento degli enzimi pancreatici differivano dagli altri solo per la trigliceridemia (p<0.05); la loro creatininemia era lievemente superiore rispetto a quella dei Non-Stop senza però raggiungere la significatività statistica.

Parametro Stop Non-Stop P

Maschi/Femmine 10/11 94/89 ns

Età (anni) 65±8 64±9 ns

Durata malattia (anni) 16±8 13±10 ns

BMI (kg/m2) 31±6 30±5 ns HbA1c (%) 7.8±1.1 7.7±1.1 ns Colesterolo totale (mg/dl) 168±38 167±32 ns Colesterolo HDL (mg/dl) 51±14 51±14 ns Colesterolo LDL (mg/dl) 94±29 92±26 ns Trigliceridi (mg/dl) 163±94 137±74 0.049 Creatinina (mg/dl) 1.00±0.39 0.90±0.26 0.082 AST (U/l) 18±7 19±8 ns ALT (U/l) 22±11 21±12 ns GGT (U/l) 23±10 28±25 ns

Amilasi totale (U/l) 144±59 59±26 <0.001

Amilasi pancreatica (U/l) 103±41 32±20 <0.001

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La presenza di terapia associata, insulinica e/o ipolipemizzante, e il tipo di molecole incretiniche somministrate nei due gruppi di pazienti sono riportati in Tabella 4.

Tabella 4. Terapia IPO già in atto, e tipo di molecola incretinica somministrata nei due

gruppi di pazienti che hanno (Stop) o non hanno (Non-Stop) sospeso la terapia incretinica.

Terapia Stop (n=21) Non-Stop (n=183) P

Tp IPO in atto (M13, M+S 4, M+S+Ins 3, MonoIncr 1) 143 IPO/ 40 Ins) Statina (No/Sì) 6/15 179/4 ns Fibrato (No/Sì) 20/1 61/4 ns Analoghi GLP-1/ Inibitori DPP-4 8/13 57/126 ns Durata terapia incretinica (sett) 69±53 53±39 0.091

Dei soggetti che hanno sospeso la terapia, 13 assumevano inibitori della DPP-4 e 8 assumevano analoghi del GLP-1. La maggior parte dei pazienti assumeva terapia ipolipemizzante con statine e solo cinque pazienti assumevano terapia con fibrati. Non sono state osservate differenze significative fra i due gruppi per quanto riguarda l’assunzione di insulina, statine, fibrato e tipo di terapia ipoglicemizzante. Dal confronto tra coloro che hanno sospeso e coloro che non hanno sospeso la terapia incretinica, è

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superiore, senza raggiungere la significatività statistica. Il coefficiente di correlazione per ranghi di Spearman confermava l’associazione tra concentrazione plasmatica di lipasi e quella dei trigliceridi (rs 0.16, P = 0.09).

In tutti i 21 pazienti, i livelli circolanti degli enzimi pancreatici si sono normalizzati entro 1-4 mesi dalla sospensione della terapia incretinica. Tutti questi 21 soggetti hanno inoltre effettuato un’ecografia addominale: la colelitiasi è stata riscontrata in un solo caso, peraltro asintomatico. Solo due pazienti su 21 erano stati precedentemente sottoposti a colecistectomia. In questi tre casi l’ecografia non ha mostrato segni di colecistite (primo caso) o di alterazioni dell’albero biliare e/o della struttura pancreatica acute ecopercepibili; i valori di GGT, AST e ALT sono risultati entro i limiti della norma. Nessuno dei pazienti ha riferito storia di potus, ed è stato possibile escludere con ragionevole certezza l’assunzione di quantitativi alcolici superiori alla norma (2 bicchieri vino/die). Nessun paziente ha inoltre riferito storia di eteroplasia o di malattia infiammatoria cronica intestinale, uso smodato di FANS/steroidi o terapia con azatioprina. Un solo paziente presentava insufficienza renale cronica di grado moderato (creatininemia 1.9-2.1 mg/dl).

Discussione

Se la terapia incretinica possa o meno essere un fattore determinante l'insorgenza di eventi pancreatici è un problema ancora molto dibattuto. I risultati presenti ad oggi in letteratura sono conflittuali, non esaustivi.

Pregressi studi tossicologici effettuati su animali non hanno evidenziato un chiaro effetto tossico pancreatico da parte di questi farmaci, anche se la maggior parte di questi studi è stata condotta in animali non diabetici [60-65]. Recenti trials hanno riportato che il

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trattamento con exenatide non solo non determinerebbe insorgenza di pancreatite in topi diabetici e non [66], anzi risulterebbe avere effetto protettivo in caso di pancreatite indotta da sostanze chimiche, e che il trattamento prolungato con GLP-1 analoghi non indurrebbe modificazioni pancreatiche nè a livello biochimico, né a livello istopatologico [67]. In contrasto, due ulteriori trials hanno riportato come l’exendina-4 (polipeptide estratto dalla saliva della lucertola dell’Arizona, Gila Monster, strutturalmente molto simile all’exenatide che è di sintesi) aumenti il rischio di pancreatite scatenando infiammazione degli acini pancreatici [68] ed esacerbando quadri di pancreatite cronica [69] e come il sitagliptin, incrementando il turnover delle cellule duttali, determini metaplasia duttale e, successivamente, pancreatite in topi con diabete tipo 2 [61].

Singh et al, in uno studio caso controllo, hanno rilevato un significativo incremento del rischio di ospedalizzazione per pancreatite associato all’utilizzo di sitagliptin ed exenatide, anche se in questo studio sono stati indagati gli effetti di solo due tipi di incretine (exenatide e sitagliptin) [70]. Comunque, i dati attualmente disponibili in letteratura sono conflittuali e non è ancora possibile escludere con ragionevole certezza una possibile relazione fra terapia incretinica e potenziale rischio di eventi pancreatici [50].

Il nostro studio ha preso in considerazione sostanzialmente tutte le molecole incretiniche disponibili in commercio in Italia fra il 2010 e il 2014. Tra i 204 pazienti incretino-trattati abbiamo identificato 21 soggetti diabetici che in corso di terapia incretinica hanno manifestato incremento degli enzimi pancreatici, senza tuttavia sviluppare mai quadri conclamati di pancreatite. Il rialzo degli enzimi pancreatici, che ha determinato la sospensione della terapia incretinica, si è normalizzato a distanza di circa 1-4 mesi dalla sospensione del farmaco. Tutti i 21 soggetti hanno effettuato un’ecografia addominale per

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pregressa colecistectomia e/o chirurgia su pancreas e vie biliari: la colelitiasi è stata riscontrata in un solo caso, e solo due pazienti su 21 erano stati precedentemente sottoposti a colecistectomia. Abbiamo anche escluso la presenza di eventuali altri fattori che potessero predisporre a sofferenza pancreatica. L’ecografia non ha mostrato segni di colecistite o di alterazioni dell’albero biliare e/o della struttura pancreatica acute ecopercepibili; i valori di GGT, AST e ALT erano entro i limiti della norma. Nessuno dei pazienti riferiva storia di potus, di eteroplasia o di malattia infiammatoria cronica intestinale, uso smodato di FANS/steroidi o terapia con azatioprina, tutti possibili cause di incremento dei valori di enzimi pancreatici. Un solo paziente presentava insufficienza renale cronica di grado moderato (1.9-2.1 mg/dl). La maggior parte dei pazienti era obesa, con epatosteatosi ecograficamente rilevata, assumeva terapia con statine e solo in pochi casi con fibrati. Non si è osservata alcuna correlazione fra incremento dei valori di amilasi e lipasi e terapia con statine.

Dal confronto diretto fra diabetici che hanno sospeso la terapia incretinica per incremento dei valori degli enzimi pancreatici e diabetici che non hanno manifestato incremento enzimatico abbiamo identificato come possibile fattore correlato al rialzo enzimatico una concentrazione maggiore dei trigliceridi plasmatici, mentre una più lunga durata della terapia incretinica e valori più elevati di creatininemia non raggiungevano la significatività. Questi ultimi due parametri dovrebbero essere riesaminati in una casistica più ampia e con un follow-up più lungo per definire meglio il loro ruolo. In effetti, le incretine trovano indicazione proprio nel paziente con BMI più elevato, e quindi con più frequente ipertrigliceridemia correlata alla condizione di sovrappeso/obesità. Valori elevati di trigliceridemia, già di per sè fattore di rischio per sviluppo di pancreatite, potrebbero pertanto rendere i soggetti più proni a sviluppare incremento degli enzimi

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pancreatici, senza poi necessariamente sfociare in un quadro conclamato di pancreatite acuta.

Nel nostro studio si conferma che la terapia con GLP-1 agonisti o DPP-4 inibitori può indurre nel 10% dei diabetici incretino-trattati un rialzo della lipasemia, e/o anche un rialzo della amilasemia totale e/o pancreatica. Questo incremento enzimatico sembra completamente reversibile in tempi brevi (1-4 mesi), dopo la sospensione delle incretine ed apparentemente non connota un quadro clinico, documentato anche ecograficamente, di pancreatite acuta.

Tuttavia, la terapia incretinica potrebbe essere ipotizzata come eventuale fattore scatenante nel lungo tempo di pancreatopatia low-grade, per lo più asintomatica, dal momento che l'infiammazione cronica è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di neoplasia pancreatica [71]. La possibilità di sviluppare una neoplasia pancreatica infatti aumenta con l'aumentare della durata della pancreatite cronica [72]. Poichè i farmaci per la terapia del diabete tipo 2 vengono assunti per molti anni (10,20,30 anni), la sussistenza di un rischio anche relativamente basso (tuttora non adeguatamente quantificabile) di sviluppo di infiammazione pancreatica cronica in corso di terapia incretinica necessita di ulteriori approfondite indagini nel follow-up dei pazienti

Conclusioni

Le evidenze scientifiche presenti ad oggi in letteratura sono ancora conflittuali e inadeguate per stabilire se la terapia incretinica possa o meno influenzare l'insorgenza di pancreatite e/o di neoplasia pancreatica nel lungo periodo.

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Ringraziamenti

Un grazie particolare alla Dr.ssa Elena Matteucci che mi ha seguito nella

stesura della tesi

Un ringraziamento al Sig. Antonio Troilo, alla Sig.ra Sabrina Franconi e alla

Dr.ssa Cristina Consani per avermi aiutato nella raccolta dei dati.

Un sentito grazie a tutti i pazienti che hanno partecipato con entusiasmo,

dedizione e grande disponibilità alla ricerca.

Riferimenti

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