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I riflessi dell'introduzione dell'Euro nella strategia di creazione del valore

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I RIFLESSI DELL'INTRODUZIONE DELL'EURO NELLA STRATEGIA DI CREAZIONE DEL VALORE

Gerardo Metallo

Ordinario di Marketing - Facoltà di Economia - Università degli Studi di Salerno

Vittoria Marino

Associato di Marketing internazionale - Facoltà di Economia - Università degli Studi di Salerno

Sommario: 1. Premessa - 2. Le determinanti della creazione del valore - 3. Riflessi dell'eu-ro sui free cash flow - 4. Veudell'eu-ro ed il costo medio ponderato dei capitali - 5. Indirizzi di otti-mizzazione del processo di creazione del valore in un contesto allargato di moneta unica - 6. Note conclusive.

Premessa

L'attenzione di operatori e studiosi è sempre più concentrata, anche per effetto di una ridondanza giornalistica, sull'impatto che l'introduzio-ne della mol'introduzio-neta unica europea potrà provocare sui sistemi economici dei paesi che aderiscono all'unione. Indiscutibilmente tale evento rappresen-ta una delle innovazioni in assoluto più decisive per l'intera Europa e, contemporaneamente, una delle opportunità di crescita competitiva per le imprese coinvolte'. A ben vedere non è specificamente l'euro l'elemen-to che induce il cambiamenl'elemen-to ma, in realtà, sono i parametri comuni da rispettare i veri artefici di un processo in grado di determinare condizio-ni operative differenti più omogenee per tutti. La moneta, infatti, qualun-que essa sia, registra i fatti e gli scambi rilevanti dal punto di vista econo-mico; essa è uno strumento attraverso il quale poter regolare una serie di transazioni e di rapporti fra operatori che manifestano livelli più o meno elevati di complessità secondo i vincoli e le posizioni di forza delle parti.

L'avvio della moneta unica sancisce il riacquisito bene della stabilità monetaria, elemento fondamentale per un quadro macroeconomico equilibrato sul quale fondare una nuova fase di sviluppo, che accresca benessere ed occupazione.

L'introduzione dell'euro comporterà per le imprese il venir meno del rischio di cambio relativo ai rapporti intra UME e contemporaneamente una riduzione dei costi di transazione ed un parallelo aumento della pressione concorrenziale. Tale processo prevede la ridenominazione in euro, sin dall'inizio del periodo transitorio, di tutti gli strumenti finanzia-ri pfinanzia-rivati, nonché dell'unità di conto utilizzata nei mercati per regola-mentare lo scambio, la compensazione e la liquidazione dei pagamenti. Ovviamente l'adozione dell'euro avrà impatti diversi a seconda delle dimensioni dell'azienda e soprattutto del suo grado di internazionalizza-zione. Per le imprese che operano in Europa, l'adozione della moneta

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unica comporterà una visibile semplificazione dovuta principalmente

alla riduzione delle voci contabili, alla compensazione delle partite attive

e passive in precedenza espresse in monete diverse ed anche alla

elimina-zione dei costi connessi alla copertura del rischio di cambio2. L'unione

monetaria dovrebbe, in generale, ampliare le alternative per le imprese

sul fronte del funding e delle scelte di articolazione della struttura

finan-ziaria e consentire una riduzione significativa del costo medio reale di

raccolta dei capitali di rischio e di credito, effetto già in parte evidente

grazie all'abbassamento dei tassi di mercato derivati dalla convergenza

imposta da Maastricht3. L'arrivo della moneta unica rappresenta il punto

nodale per un cambiamento di rotta verso la transizione da un mercato

dominato dalle banche a uno dove le obbligazioni avranno un ruolo

sem-pre più ampio.

Con l'intensificarsi della concorrenza, l'intero sistema produttivo

dovrà accrescere l'efficienza, la capacità di innovare, di adeguarsi

all'e-volvere della tecnologia e della domanda. L'impegno delle imprese dovrà

esprimersi con una ripresa degli investimenti per sostenere lo sviluppo e

riassorbire la disoccupazione.

Appare evidente che la valutazione dei cambiamenti ipotizzabili, a

seguito dell'introduzione dell'euro, si allarga su ambiti di indagine molto

vasti. Nel prosieguo del lavoro l'attenzione sarà tuttavia concentrata, a

livello di impresa, sui cambiamenti che possono intervenire nel processo

di creazione del valore ed in particolare sulle variabili che sono coinvolte

nella produzione e nel mantenimento del valore quali i flussi di cassa

disponibili per l'azionista, il costo medio ponderato dei capitali ed il

sag-gio di redditività.

2. Le determinanti della creazione del valore

Il concetto di valore ha sempre attirato l'attenzione di operatori e

stu-diosi delle discipline economico-aziendali, assumendo un ruolo centrale

nei percorsi decisionali. Intorno a tale concetto, infatti, è nata la teoria

del valore che rappresenta il principio intono al quale si è sviluppato, e

ancora oggi si sviluppa, un dibattito scientifico molto vivace. Più

specifi-camente essa contribuisce a definire le finalità da assegnare al governo

ed alla gestione dell'impresa. "Creare valore significa accrescere la

dimensione del capitale economico, cioè in breve il valore dell'impresa

intesa come investimento"4. In realtà oggi la teoria di creazione del

valo-re può essevalo-re considerata una rielaborazione di tutti i principi legati alla

massimizzazione dei redditi futuri attesi, propri della scuola italiana di

Economia Aziendale, legata al nome di Zappa5. Le problematiche

colle-gate al capitale economico e quindi al valore complessivo di un'impresa

rappresentano il punto di partenza per la comprensione delle

componen-ti del valore azionario. Le posizioni assunte sono diverse: una prima

spie-gazione, che ha permeato a lungo gli studi di economia industriale e di

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management, si basa sul modello struttura-comportamento-risultati, secondo cui lo "stato" del settore ne condiziona il risultato economico complessivo. Pertanto, l'impresa, una volta individuate le caratteristiche strutturali del settore di appartenenza, seguendo una logica Lamarldana, dovrebbe conformarsi a queste per creare nuovo valore, o anche solo per non compromettere la propria esistenza6. Secondo questo approccio, il comportamento delle imprese dipenderebbe dalla struttura del proprio settore nel senso che le scelte gestionali subiscono un forte condiziona-mento a seconda della tipologia del contesto industriale. Il paradigma "struttura-performance" spiega quindi la creazione del valore attraverso la dominanza delle caratteristiche settoriali su quelle individuali. A causa di un'eccessiva semplificazione tale approccio non riesce, tuttavia, a spie-gare le motivazioni che sottendono alle sostanziali differenze di valore tra imprese che operano nello stesso settore. Per questo motivo è stata data maggiore importanza all'impresa nella sua individualità, al suo ruolo all'interno del settore ed ai possibili effetti condizionanti. Secondo i comportamentisti è proprio il comportamento dell'impresa a spiegare in parte la sua performance e quindi la creazione di nuovo valore. In quest'ottica si guarda con maggiore attenzione alle possibili alternative di sviluppo dell'impresa e, più in generale, alla sua condotta.

Uno degli studi più recenti in tema di determinanti del valore è il

resource-based approach, secondo cui il valore aziendale è funzione

diret-ta del tipo di risorse possedute dall'impresa, le quali poiché rare e non facilmente riproducibili, se prodotte dall'impresa rappresentano una sorta di rendita ricardiana, vale a dire quella che deriva dalla scarsità di un fattore produttivo rispetto alla domanda. Il valore non deriva dal posi-zionamento competitivo ma dal possesso di un input dotato di unicità. Mentre secondo l'approccio precedente le differenze esistenti tra le imprese sono di breve periodo poiché si innesca un meccanismo di rie-quilibrio tra le imprese che riescono a procurarsi sempre nuove risorse, secondo il resource-based approach le differenze sono di lungo periodo giacché le risorse non sono mobili. Pertanto, il valore di un'impresa non è determinato dal suo comportamento ma dalle risorse che l'impresa è capace di far entrare nei suoi processi economici. In particolare, gli studi in merito alla resource-based view sono indirizzati verso la considerazio-ne che il valore non dipende da tutte le risorse ma da quelle distintive, in grado di consentire una posizione di vantaggio competitivo solida e duratura nel tempo rispetto ai concorrenti.

Secondo l'approccio sistemico, poi, il valore dipende dalla capacità dell'impresa di generare continuamente nuove risorse in sintonia con i sovra-sistemi di riferimento ed in particolare con quelli rilevanti sotto l'a-spetto della criticità delle risorse detenute e del grado di influenza eserci-tata7. In base a quanto esposto l'esistenza dell'impresa è possibile solo a condizione che vi sia una continua produzione, accumulazione e ripro-duzione di valore economico. In tal senso, la creazione del valore diventa il meccanismo fisiologico che consente alle risorse di attivare nuove

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risorse, grazie ad una spirale virtuosa8.

Nella moderna finanza "per valore si intende un'attività che apprezza

o stima un oggetto o un concetto, vuoi in termini etici (come

conseguen-za dei suoi attributi morali) vuoi in termini economici (sotto forma di

scelte, preferenze o di predisposizione al sacrificio)"9. Gli Studiosi

hanno, dunque, assegnato al valore il ruolo di misuratore di ricchezza. In

tale ottica, tutto ciò che è definibile in termini di ricchezza è certamente

misurabile in termini di valore.

Al fine di accrescere il valore economico 1° il management può

provve-dere attraverso:

• miglioramenti esterni, ottenuti sia acquisendo dall'esterno nuove

capacità e potenzialità che, unite a quelle esistenti, migliorino le

prospet-tive reddituali e riducano i rischi, sia cedendo alcune attività a prezzi

superiori al valore di cui esse sono generatrici nell'ambito dell'impresa

che li detiene;

• miglioramenti interni, legati alla ricerca e selezione di opportunità

strategiche e operative nell'ambito dell'esistente;

• miglioramenti conseguenti alle politiche di ristrutturazione

finan-ziaria, riconducibili ad un miglior sfruttamento dell'effetto leva.

Il valore potenzialmente ottenibile con miglioramenti esterni deriva

dallo sfruttamento delle sinergie (di mercato, di efficienza, operative e

finanziarie) che possono realizzarsi attraverso il compimento delle

ope-razioni menzionate. Così come la riduzione del rischio comporta una

diminuzione del tasso di capitalizzazione e quindi un aumento del valore

del capitale economico.

Riguardo ai miglioramenti interni, l'incremento di valore del capitale

economico trova la sua ragione nello sviluppo delle vendite, delle attività

investite e del capitale netto: in generale, nella crescita delle dimensioni

dell'impresa. E opportuno osservare, però, che lo sviluppo dimensionale

non significa necessariamente accrescimento del capitale economico. Ciò

si verifica solo se la differenza

ROT

-i 6 positiva 1 1; diversamente la crescita

comporterà distruzione e non crescita di valore.

In definitiva si può affermare che 6 necessario un certo grado di

svi-luppo per conservare il valore del capitale economico e, quindi, che il

mancato raggiungimento di una certa soglia dimensionale 6 causa di

forti rischi di perdita di valore. D'altronde, però, lo sviluppo deve essere

selettivo in quanto non sempre si associa ad esso creazione di valore.

Il terzo aspetto, ovverosia la creazione di valore legata alle

ristruttura-zioni finanziarie, fa ricorso al concetto di leva finanziaria, cioè al

rappor-to tra indebitamenrappor-to e capitale proprio ed alla composizione del capitale

di terzi.

La teoria finanziaria, in particolare, pone da tempo l'accento sul

con-cetto di leva finanziaria in quanto fattore di impatto immediato sul

valo-re dell'impvalo-resa e sul costo medio del capitale proprio e dei debiti12. Si 6

dimostrato che all'aumentare dei capitali presi a prestito da terzi, il

valo-re dell'impvalo-resa tende ad aumentavalo-re in virtù dello scudo fiscale sugli inte-

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ressi passivi. Questa crescita, però, trova un limite nei costi per lo

squili-brio finanziario. Infatti, il rischio dell'impresa di non poter fronteggiare

tali debiti, fa aumentare il tasso

i,

e quindi il costo medio ponderato dei

mezzi finanziari°. Pertanto, superato un certo livello ottimale, al

cresce-re del rapporto di leva, il valocresce-re dell'impcresce-resa tende a diminuicresce-re per effetto

dei costi dello squilibrio finanziario. Inoltre, la composizione

dell'indebi-tamento, appare fortemente condizionata dalla tipologia del fabbisogno

finanziario dell'impresa, dalle caratteristiche strutturali della stessa,

dal-l'esigenza di assicurare un'adeguata riserva di liquidità intesa come

riser-va di linea di credito, nonché dalla situazione del mercato finanziario di

riferimento.

Il valore in finanza, quindi, dipende non solo dai benefici attesi nel

tempo futuro ma anche dal grado di rischio con il quale tali flussi

posso-no generarsi. I benefici soposso-no influenzati dai futuri flussi di cassa la cui

misura varia a seconda del tipo di bene, mentre il valore finanziario del

tempo ed il rischio trovano espressione nel tasso di attualizzazione, nella

sua forma di costo opportunità del capitale, la cui misurazione deve

esse-re coeesse-rente con la natura del flusso di cassa da attualizzaesse-re. Tale tasso

(costo opportunità del capitale) misura il rendimento a cui si deve

rinun-ciare investendo il proprio denaro in un'attività piuttosto che in un'altra

avente analoghe caratteristiche di rischiosità. D'altronde la stessa scelta

delle fonti di finanziamento appare fortemente condizionata dalla

tipolo-gia del fabbisogno finanziario dell'impresa, dalle caratteristiche

struttu-rali dell'impresa stessa, dall'esigenza di assicurare un'adeguata riserva di

liquidità intesa come riserva di linea di credito, nonché dalla situazione

del mercato finanziario di riferimento.

C

reazione dp valore

Cash-flow ) Tasso di onerativo attualizzazione

Indebitamento

Durata del periodo di creazione del valore

Costo del capitale

Crescita delle

vendite/marvine operativo

Investimenti in attività fisse e circolanti

Fonte: A. Rappaport, La strategia di creazione del valore, Franco Angeli, Milano 1990, pag. 92.

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Le possibilità di creare nuovo valore sono, in sintesi, legate a tre

variabili: al tasso di profitto ROI-i (al crescere di questa differenza

aumenta il valore del capitale economico); alla durata n del profitto (se il

valore ROI-i è positivo, all'aumentare della sua durata prospettica cresce

il valore del capitale economico); al volume delle future possibilità di

investimento, espresso dal tasso di crescita degli utili annuali (g)14.

Anche per questa variabile la relazione diretta con il valore del capitale

economico sussiste solo se la differenza ROI-i è positiva15.

Ciò premesso, appare immediatamente percepibile che l'introduzione

dell'euro potrà determinare, su ognuna di tali variabili, una serie di

effet-ti di qualche rilievo che impatta in maniera posieffet-tiva o negaeffet-tiva sul

pro-cesso di creazione del valore.

3. Riflessi dell'euro sui

free cash flow

Alla base di quasi tutte le valutazioni finanziarie che mirano alla

determinazione del valore creato da un'impresa viene ormai posto il

complesso dei futuri flussi di utilità, comunemente intesi come dividendi

o flussi di cassa disponibili per l'azionista16. Il valore può essere quindi

stimato attualizzando il flusso dei dividendi attesi oppure dei futuri flussi

di cassa disponibili" ed esprime il valore del capitale economico in

ter-mini di flussi di cassa disponibili per il detentore del capitale di rischio

(levered cash flow)18. Da ciò l'esigenza di distinguere il flusso di cassa

operativo relativo ad un progetto di investimento o all'impresa nella sua

totalità (intesa appunto come portafoglio di investimenti) per il quale si

stimano i flussi di cassa generati, sia in termini di maggiori ricavi che di

minori costi, legati alla realizzazione dell'investimento/attività, senza

tener conto dei movimenti monetari riconducibili ad operazioni di

finan-ziamento (unlevered cash flow)19.

Al fine di giungere alla determinazione del flusso di cassa disponibile

si è soliti partire dal risultato di esercizio e procedere a rettificare tale

valore dalle manifestazioni di costo e di ricavo che non danno luogo a

variazioni monetarie. Più in particolare il valore del flusso in questione

risulta determinato nel modo seguente:

Flusso di cassa disponibile per l'azionista (Levered cash flow)

EBIT (1-t)

+ Costi non monetari

- Ricavi non monetari

± Variazione del Capitale circolante netto

± Disinvestimenti/Investimenti in Capitale fisso

- Interessi passivi

± Accensioni/rimborsi debiti finanziari

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In effetti è possibile distinguere idealmente il processo di aggregazio-ne sopra evidenziato in un primo risultato parziale che evidenzia un flus-so di cassa operativo netto come flus-somma del flusflus-so monetario prodotto dalla gestione corrente e di quello connesso ad attività di investimento o disinvestimento di capitale fisso ed un flusso di cassa finanziario deri-vante dai movimenti monetari collegati all'accensione ed al rimborso di prestiti di finanziamento compresa la loro remunerazione al netto del risparmio fiscale20.

Rimandando ai numerosi contributi presenti in letteratura eventuali ulteriori approfondimenti sui flussi di cassa vogliamo ora concentrare la nostra attenzione sui riflessi che l'introduzione dell'euro potrebbe avere sulla determinazione dei flussi

levered.

Più in particolare ci si vuole con-centrare sugli elementi di natura contabile ed economica che, a seguito dell'introduzione della moneta unica, possono subire modifiche sostan-ziali e, conseguentemente, influenzare il livello dei flussi disponibili per l'azionista. Naturalmente è il caso di ricordare che l'introduzione dell'Euro, oltre ad un significato prettamente finanziario avvia processi di cambiamenti significativi sotto diversi aspetti: sociali, comportamen-tali, di apertura dei mercati, di semplificazione e sviluppo dei processi di scambio intra UE e conseguentemente riflette e influenza le variabili micro e macro economiche.

Il primo elemento determinante per il

levered cash flow

è il reddito

lordo comprensivo degli oneri finanziari e tributari che indichiamo con EBIT che viene influenzato dal livello dei ricavi e dei costi operativi. In particolare, i ricavi operativi, a seguito dell'introduzione dell'euro, potranno subire l'impatto del probabile livellamento dei prezzi dovuto all'accentuarsi della concorrenza. Il prodotto/servizio offerto sconterà una forte competizione non solo entro i confini nazionali ma anche a livello comunitario entrando così nella logica della globalizzazione e del recupero di margini di efficienza. Per questo motivo si può ipotizzare che all'aumentare della concorrenza per la conquista di quote di merca-to, più ampie in termini geografici ma maggiormente controllate dalle imprese con più potere di mercato, il livello generale dei prezzi vari, assestandosi tendenzialmente su posizioni più basse rispetto a quelle precedenti. A seguire può essere ipotizzata anche una maggiore traspa-renza nel sistema di formazione dei prezzi grazie ad una allocazione più efficiente delle risorse 21 .

Anche per i costi operativi possiamo prevedere alcune variazioni ten-denzialmente omogenee. Certamente i costi relativi alle materie prime subiranno la concorrenza di fonti di approvvigionamento alternative soprattutto per quanto riguarda la localizzazione; si accentuerà la ten-denza già in atto verso la ricerca di mercati di fornitura più lontani ma economicamente e strategicamente più convenienti.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro si rilevano alcune trasfor-mazioni in atto che, pur nella salvaguardia di una adeguata protezione sociale, vengono a caratterizzarsi per politiche salariali in grado di

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rafforzare il legame tra produttività e dinamica delle retribuzioni22. Oltre ad una rivoluzione concettuale sulla configurazione che assume il lavoro, dal punto di vista dei costi si può ipotizzare una tendenziale omogeneizzazione dei salari e degli stipendi a livello comunitario e quindi, se prendiamo come riferimento l'Italia, un innalzamento del livello medio del costo complessivo del lavoro (salvo possibili gabbie salariali).

Le variazioni dei ricavi e dei costi operativi individuati, ovviamente solo a titolo di prima approssimazione, influenzano certamente l'EBIT senza tuttavia tener conto degli effetti fiscali e finanziari. Alla luce di quanto appena considerato la variabile di sintesi, rappresentata dall'utile operativo, si muove in modo differenziato in relazione alla diversa inci-denza che le variabili esaminate hanno sul risultato operativo delle varie imprese (labor intensive/capital intensive). Altra componente del levered

cash flow è rappresentata dai costi non monetari, tra cui trovano

colloca-zione in misura spesso rilevante gli ammortamenti. Nella conversione dei valori di bilancio da lire ad euro sarà necessario affrontare alcune pro-blematiche. Le norme per la conversione dei bilanci in euro imporranno la contabilizzazione dei cespiti in euro, quali appunto le immobilizzazio-ni, dando origine, così, a delle differenze di conversione che richiederan-no una precisa e tempestiva regolamentazione. Infatti, l'impatto con l'eu-ro potrebbe far scaturire dai bilanci italiani significative rivalutazioni da cui la realizzazione di riserve non distribuibili e tassabili come plusvalen-ze solo a seguito della cessione del cespite cui si riferiscono in quanto non assimilabili ad accantonamenti di utili effettivamente conseguiti. La rivalutazione pone all'attenzione degli operatori anche il problema degli ammortamenti sia pregressi sia futuri. I primi dovranno essere ricalcola-ti sulla base dei singoli valori, tradotricalcola-ti annualmente al cambio allora esi-stente. Per gli ammortamenti futuri si otterrà una maggior quota calcola-ta sul valore rivalucalcola-tato che solo in parte potrà contribuire a ridurre la rivalutazione e la riserva di conversione lira/euro23. Il valore delle quote di ammortamento avrà così un impatto significativo sulla determinazio-ne dei flussi di cassa disponibili in quanto questi ultimi verranno ad esse-re incesse-rementati dell'importo corrispondente al maggior valoesse-re delle quote conseguente alla rivalutazione dei cespiti ammortizzabili24. Inoltre, occorre considerare il riflesso di un mercato più aperto, sui costi di sostituzione-ammodernamento di macchinari, impianti e più in gene-rale immobilizzi obsoleti.

Per ciò che riguarda _le variazioni relative alla gestione finanziaria, cioè oneri finanziari e nuovi finanziamenti, appare utile qualche approfondimento. Il costo del denaro potrà subire sostanziali modifiche dovute alle differenti regole del gioco del mercato dei capitali. La struttu-ra poco concentstruttu-rata del sistema industriale italiano e, quindi, l'elevato numero di piccole e medie imprese operanti sul territorio ha sempre ini-bito, per cause ovviamente imputabili non solo alle imprese ma anche ai mercati finanziari, l'accesso a nuove tipologie di finanziamenti. La chia-

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rezza e la comprensione delle condizioni attraverso le quali si accede al credito rappresentano, infatti, elementi importanti per aumentare la pro-pensione di banche ed investitori a fornire strumenti creditizi necessari per sostenere lo sviluppo e la sopravvivenza delle imprese. Ciò compor-terà una maggiore facilità di accesso ai mercati finanziari dimensional-mente più vasti e quindi tendenzialdimensional-mente più efficienti, nei quali le ban-che svolgeranno un ruolo sempre più consulenziale, ponendosi non tanto come erogatore di fondi ma soprattutto quale operatore consulenziale. L'obiettivo delle imprese si focalizzerà, infatti, sulla riduzione dei costi di provvista cercando di reperire fondi direttamente sui mercati. Per questa serie di motivazioni l'Italia è uno di quei paesi che si potrà trovare a beneficiare del cambiamento prospettato a seguito dell'introduzione dell'Euro in quanto da anni condizionata da un mercato dei capitali, scarsamente competitivo, che stenta a divenire volano diffuso anche per i livelli più bassi del sistema imprenditoriale25.

La situazione finanziaria delle PMI italiane vede attualmente un tasso di indebitamento maggiore rispetto agli altri paesi europei con conse-guenti oneri finanziari più elevati. Ciò che è auspicabile all'indomani del-l'introduzione dell'euro è il rafforzamento della struttura finanziaria delle imprese attraverso una migliore e più efficiente composizione delle fonti di finanziamento e quindi un contenimento dei relativi costi. L'ampliamento del mercato finanziario, le modifiche nel sistema banca-rio e la maggiore concorrenza potrebbero infatti mutare le forme di finanziamento utilizzate dalle imprese attraverso una differenziazione maggiore degli strumenti di credito a disposizione degli operatori26. Inoltre la contrazione degli oneri finanziari, prevista almeno in termini percentuali, sarà possibile grazie al finanziamento che avverrà diretta-mente in euro, all'ampliamento delle dimensioni economiche ed alla scomparsa del rischio di cambio.

In via di prima conclusione l'introduzione della nuova moneta sembra possa influenzare positivamente il flusso di cassa disponibile per l'azioni-sta a seconda naturalmente, del peso che le componenti più sensibili all'introduzione dell'euro hanno sulla specifica impresa.

4. L'euro ed il costo medio ponderato dei capitali

Come è noto il costo del capitale può essere generalmente definito come il tasso di rendimento minimo che un investimento deve generare a parità di condizioni di operatività; in effetti si parla di un costo opportu-nità uguale al rendimento complessivo che un investitore potrebbe aspet-tarsi di ottenere investendo in un portafoglio di azioni ed obbligazioni con un rischio comparabile con quello dell'azienda stessa. La valutazione del costo opportunità è legata alla valutazione del rischio dell'investimen-to. Operatori e studiosi sono ormai concordi nel ritenere che quanto maggiore è il rischio che un'azienda chiede di sopportare ai propri inve-

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stitori tanto più alto deve essere il suo tasso di rendimento e tanto mag-giore deve essere il costo del capitale27.

Il costo del capitale viene differentemente rappresentato in funzione della finalità della valutazione e della natura del flusso di cassa da attua-lizzare. Se la valutazione riguarda un titolo azionario, e quindi il flusso in questione è un flusso di dividendi, il tasso di riferimento è il costo opportunità del capitale proprio, se invece si tratta di un progetto di investimento di cui si valutano i relativi flussi di cassa operativi, indipen-dentemente dal fatto che siano remunerati a titolo di capitali propri o di rischio, dovranno essere attualizzati con il costo opportunità del capitale investito o costo medio ponderato dei capitali. Infine nel caso in cui è necessario attualizzare un flusso monetario costituito da interessi passivi al fine di ottenere il valore economico del capitale di debito, il tasso da utilizzare corrisponde al costo opportunità dei debiti di finanziamento, cioè al tasso di interesse che si dovrebbe corrispondere per ottenere un prestito di importo e rischio pari a quelle del debito oggetto di valutazio-ne28.

Il costo medio ponderato dei capitali è quindi il tasso al quale sconta-re i flussi di cassa di un investimento per ottenesconta-re il loro valosconta-re attuale, classificare i progetti di investimento in base alla loro convenienza eco-nomica e valutare i rendimenti sul capitale complessivamente impiegato. Esso può essere opportunamente definito come una media ponderata del capitale di debito e del capitale proprio. Da un punto di vista operativo il costo medio ponderato dei capitali rappresenta il costo del capitale di rischio di business al netto di uno sconto per il beneficio fiscale dei debi-ti contratdebi-ti dall'azienda29. Ciò implica l'influenza diretta di due variabili: il tasso di rendimento atteso per il rischio di business ed il benefici() fiscale dovuto alla presenza di debiti nella struttura finanziaria dell'im-presa; appare quindi necessario valutare le caratteristiche operative che influenzano il rischio di business e tenere in debito conto il beneficio derivante dalla specifica politica finanziaria dell'impresa.

Va sottolineato che uno degli effetti più attesi dell'introduzione del-l'euro riguarda proprio il costo del debito, rappresentato genericamente dal tasso corrente di interesse al netto delle imposte sul reddito della società. L'auspicato livellamento del costo del denaro agli standard euro-pei dovrebbe influire in maniera significativa sulla possibile riduzione anche nel nostro paese del costo del capitale di credito30. Ovviamente la possibilità di ricorrere al debito dipende dal livello di leva finanziaria ottimale, infatti fino a quando il mercato non comincia a percepire un livello maggiore di rischiosità appare sempre conveniente utilizzare capi-tale di credito. La percezione di elementi di rischio dipende da fattori dif-ferenti tra i quali possiamo elencare: il rapporto tra il Roi ed il Costo medio ponderato del capitale in quanto Roi molto elevati possono con-sentire, per un certo periodo, il mantenimento di elevati rapporti di inde-bitamento con livelli ottimali di costo del capitale. Il tasso di inflazione può mantenere elevati i tassi di interesse nominali e reali che aumenta-

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no, così, la percezione di rischiosità dell'azienda indebitata. I valori medi di settore, come quelli capital intensive, possono essere, dal punto di vista della leva finanziaria, più elevati rispetto ad altri in quanto la sostituzio-ne del lavoro con il capitale offre la possibilità di operare con economie di scala riducendo i costi di produzione. Il capitale circolante, se mante-nuto a livelli bassi e stabili rispetto alla concorrenza, finisce per indicare una migliore capacità di pianificazione e controllo segno quindi di un più ridotto livello di rischiosità. L'età degli impianti influenza il livello di rischiosità in quanto tanto più sono recenti tanto più diminuisce il rischio complessivo; di conseguenza viene valutata la vita economica utile degli impianti in quanto un eventuale sostituzione frequente, muo-vendo risorse finanziarie a volte ingenti, espone l'azienda ad un rischio maggiore. Naturalmente la sensazione di un grado di rischio complessivo minore comporta per le imprese la possibilità di aumentare il rapporto di leva finanziaria senza tuttavia incorrere in aumenti del costo del capitale; è possibile, infatti, l'utilizzo più intenso dell'indebitamento, a fronte di progetti di investimento ovviamente redditizi, senza che il giudizio di rischiosità del mercato subisca variazioni in negativo.

Data la relativa semplicità di calcolo del costo del debito la maggiore attenzione viene dedicata al costo del capitale proprio, la cui indicazione passa attraverso la determinazione del trade off tra rischio e rendimento ed il conseguente calcolo del premio per il rischio di mercato sopportato per l'investimento. Poiché, infatti, gli investitori hanno a loro disposizio-ne un'ampia gamma di alternative d'investimento con classi di rischio differenti, la remunerazione da loro attesa sarà progressivamente cre-scente all'aumentare della classe di rischio dell'investimento ed il rendi-mento richiesto per sopportare tale rischio è proprio il costo del capitale proprio. Il problema che si pone è di conoscere quale remunerazione richiedono gli investitori, oltre il rendimento offerto dai titoli a reddito fisso, per sopportare il maggiore rischio del mercato azionario. Tale mag-gior valore è un differenziale conosciuto come premio per il rischio di mercato che esprime quanto gli investitori vengono compensati per il fatto di sopportare un rischio maggiore. Ovviamente il premio si riduce o aumenta proporzionalmente riflettendo il particolare rischio dell'impresa31. Esso può essere considerato funzione: del grado di volati-lità del sistema economico, ossia dell'andamento generale dell'economia; del rischio politico del paese in quanto l'instabilità politica ha un'influen-za diretta anche su quella economica; del grado di rischiosità del merca-to, rappresentato dal livello di efficienza del suo funzionamento.

Dal punto di vista dell'impresa il rendimento atteso è proprio uguale al costo del capitale azionario è viene individuato, utilizzando il Capital Asset Pricing Model, come linearmente e positivamente dipendente dal beta del titolo32. Più specificamente il rendimento atteso di un titolo è uguale al tasso privo di rischio più il prodotto tra il beta del titolo e la differenza tra il rendimento atteso del mercato ed il tasso privo di rischio. Per la stima del costo del capitale di un'impresa entrano quindi

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in gioco: il tasso privo di rischio, il beta della società ed infine il premio per il rischio di mercato. Tali elementi possono variare a seguito dell'in-troduzione dell'euro ed incidere così sul livello complessivo del costo medio ponderato del capitale.

Il tasso privo di rischio è attualmente stabile su posizioni più basse rispetto agli anni precedenti anche se in tendenziale diminuzione nel lungo periodo per l'accentuarsi della concorrenza a livello di ampliamen-to delle possibilità di scelta di investimenampliamen-to. Il beta, che rappresenta il rischio del mercato, potrebbe diminuire in quanto si incrementa la possi-bilità di diversificazione, grazie al processo di consolidamento dell'euro, aumentando il numero e la tipologia dei titoli presenti in portafoglio. La riduzione del rischio di mercato ha effetti diretti anche sul premio per il rischio di mercato, dato dalla differenza tra il rendimento atteso del por-tafoglio di mercato ed il tasso privo di rischio (rendimento eccedente del mercato) che tende a subire una contrazione significativa così come illu-strato nella figura 1.

Figura 1 — Possibile variazione del rischio di mercato e del rendimento

atteso a seguito dell'introduzione dell'euro nello schema del CAPM

Rendimento atteso dagli investitori

Rn,

Rn,,

Premio per il rischio

Ro

>

Rischio degli

investitori

dove Rm = Rendimento atteso dal mercato Ro = Tasso free risk

13 = Rischio di mercato sistematico

Da quanto appena evidenziato sembra plausibile, in via generale, ipo-tizzare una diminuzione del costo medio ponderato del capitale poiché varia sostanzialmente la "sensazione di rischiosità" degli investimenti sia

A

(13)

in titoli a reddito fisso sia azionari. In effetti, l'impatto dell'euro sul valo-re delle impvalo-rese italiane può essevalo-re più specificamente considerato come impatto sul tasso

risk free

e sul premio per il rischio. In particolare la riduzione dei tassi di interesse ha portato e porterà ancora ad una ridu-zione del costo complessivo del capitale, incidendo sia sulla componente relativa ai mezzi propri sia su quella relativa ai mezzi di terzi. La riduzio-ne del rischio Paese Italia implica poi minori condizioni di rischiosità delle imprese italiane; viene infatti ad assottigliarsi il premio per il rischio incluso nel costo dei mezzi propri ed inoltre l'assenza del costo legato al rischio di cambio sui cash flow derivanti dagli altri paesi dovrebbe ridurre il premio di circa lo 0,5%33.

5. Indirizzi di ottimizzazione del processo di creazione del valore in un contesto allargato di moneta unica

Per quanto si sta evidenziando, appare verosimile che l'introduzione dell'euro accentuerà la concorrenza basata sulle capacità delle imprese di ricercare fonti di valore e di massimizzare la ricchezza degli azionisti. Tale obiettivo, se pur di ispirazione prettamente finanziaria, rappresenta la concretizzazione della finalità superiore dell'impresa, quella della sopravvivenza, che riesce a trovare una valida e concreta espressione nella complessa attività di governo dell'impresa in un sistema economico di mercato che guarda con sempre maggiore attenzione all'efficienza dei singoli operatori. Eventuali obiettivi alternativi, più che altro interpretati come vincoli all'operare dell'impresa, rispondono alle esigenze economi-co-sociali dell'impresa stessa e vanno rispettati coerentemente con la massimizzazione del valore del capitale e, per effetto indotto, con la con-tinuazione nel tempo dell'impresa34.

Tale filosofia di fondo si sostanzia nella ricerca sistematica di oppor-tunità di investimento in grado di incrementare il valore del capitale ed è espressa da un indicatore di sintesi che va sotto il nome di EVA

(Economic Value Added)35.

Dal punto di vista applicativo l'EVA viene determinato sottraendo al risultato operativo normalizzato e rettificato, al netto degli oneri fiscali (NOPAT), il prodotto tra costo medio pondera-to del capitale (WACC) e capitale investipondera-to rettificapondera-to, costituipondera-to dalle grandezze contabili del patrimonio netto, del debito e da accantonamenti assimilabili a risorse proprie ( I )36.

EVA = NOPAT — (WACC • I)

Pertanto, l'EVA misura il valore prodotto da un'impresa nel periodo di tempo considerato, confrontando la redditività operativa con il costo medio del capitale investito37. Se la redditività operativa, espressa in ter-mini di utile operativo netto, da cui vengono detratte figurativamente le

(14)

imposte, è superiore al costo del capitale investito netto avremo che l'a-zienda ha creato valore, non così nel caso contrario. In effetti tale indica-tore è in grado di evidenziare quanto residua agli azionisti dopo aver sot-tratto dal reddito contabile gestionale la remunerazione di tutto il capita-le che finanzia l'attivo patrimoniacapita-le netto (debiti + mezzi propri) ed inol-tre, riesce a sintetizzare due dimensioni della performance aziendale quali la redditività e la crescita dimensionale. Quest'ultima, in particola-re, rappresenta una modalità per la creazione del valore solo se il tasso di rendimento è superiore al costo medio ponderato del capitale. L'indicatore di periodo EVA prende le mosse dallo

spread

tra il ROI ed il

CPMC che rappresenta di quanto il ritorno di un investimento eccede il suo costo. Tale grandezza differenziale viene poi moltiplicata per il capi-tale investito che, in effetti, rappresenta il valore dell'opportunità di inve-stimento ad un particolare tasso di rendimento ed in un certo intervallo temporale. In questo modo si vuole stimare il valore economico così pro-dotto nel periodo considerato38.

La creazione di valore si può avere in presenza di un aumento dei ritorni operativi rettificati e, al netto dell'imposizione fiscale, a parità di capitale investito; di una riduzione del capitale investito a parità dei sud-detti ritorni; di una riduzione, per quanto possibile, del costo medio pon-derato dei capitali; di un aumento dei nuovi investimenti caratterizzati da rendimenti superiori al costo del capitale necessario per finanziarli. In tale nuova visione, quindi, l'aumento del valore economico dipende non solo dai ritorni soddisfacenti (ROI-CMPC) ma anche dalla possibilità di sfruttare nuove opportunità di investimento parimenti profittevoli39.

Il vantaggio principale dell'EVA risiede nella circostanza che si tratta dell'unica misura di performance ad essere direttamente collegata al valore di mercato dell'impresa. E il principale riferimento nella definizio-ne del premio durante la valutaziodefinizio-ne di mercato dei titoli dell'impresa. Quindi l'obiettivo della massimizzazione dell'EVA e del suo tasso di cre-scita conduce alla manifestazione esterna di rappresentare un'impresa valutata positivamente dal mercato.

Per questo motivo è stata anche proposta una ulteriore articolazione del modello in questione che pone l'attenzione al valore che le imprese hanno aggiunto o sottratto alle risorse investite dai loro azionisti. Il valo-re di mercato aggiunto, o MVA (market

value added),

è la differenza tra

un equo valore di mercato, riflesso nel prezzo di mercato delle azioni delle società ed il valore economico contabile del capitale investito°. Il MVA pub essere interpretato come l'espressione del giudizio di merito del mercato circa l'efficacia con cui un'impresa gestisce il proprio portafo-glio di attività. Indica, in effetti, il risultato degli investimenti passati e le aspettative degli investitori sui progetti futuri alla luce del grado di rischio percepito dal mercato. Per la maggior parte delle imprese l'EVA può essere calcolato attraverso il risultato del prodotto tra numero delle azioni emesse e la differenza tra il valore di mercato ed il valore econo-mico contabile di ogni azione'''.

(15)

Per molte imprese l'euro potrebbe essere una reale opportunità per ottimizzare le proprie scelte in tema di creazione del valore. Si può ipo-tizzare, alla luce di quanto esposto, che gli elementi direttamente coin-volti in tale processo vengano in qualche modo ad essere significativa-mente influenzati dall'introduzione della moneta unica. Certasignificativa-mente, per i motivi evidenziati nel paragrafo precedente, il costo medio ponderato dei capitali potrà subire una variazione in negativo in quanto per una serie di condizioni esogene viene a ridursi di qualche punto percentuale. Già tale variazione, fermo restando gli altri elementi, consente il poten-ziale perseguimento della crescita del valore. Tuttavia, possiamo ritenere che in conseguenza di ciò, vengano favoriti gli investimenti utilizzando, ovviamente nella composizione più conveniente, fonti di finanziamento sia di terzi sia proprie. L'incremento del debito provoca, nel caso in cui esso è rilevato, una corrispondente più elevata incidenza dell'imposizione fiscale che, in questo specifico caso, può contribuire ad incrementare il livello del NOPAT42 e quindi ad amplificare il processo di incremento di valore. Inoltre l'aumento del NOPAT può dipendere non solo dall'incre-mento del capitale complessivamente investito ma anche dall'audall'incre-mento dell'efficienza operativa e, contemporaneamente, dalla diminuzione delle spese generali ed amministrative in una visione allargata di allocazione ottimale dei fattori produttivi e di maggiore razionalizzazione delle risor-se. Senza contare che, in via generale, l'investimento in progetti che con-sentono un rendimento di ritorno sul capitale investito superiore al costo medio ponderato, viene avvantaggiato da una maggiore offerta competi-tiva anche a livello di progetti di investimento. E sempre in quest'ottica le attività che non garantiscono un rendimento superiore al WACC vengono più facilmente dismesse perché ostacolano fortemente il processo di creazione del valore.

Tutto ciò potrà determinare una spirale evolutiva che coinvolge anche il capitale investito rettificato. Quest'ultimo, costituito essenzialmente dalle grandezze contabili del patrimonio netto e del debito, viene a subire un aumento direttamente proporzionale al NOPAT e al WACC. Quanto appena proposto resta ovviamente un'ipotesi teorica, ancora in attesa di una completa e reale validazione, ma che tuttavia è ancorata a segnali che già oggi spingono verso questa direzione ed inoltre va ponderata con i riflessi che un mercato più omogeneo e competitivo avrà sui prezzi di vendita e quindi sui reali margini operativi.

In conclusione, quindi, l'euro potrebbe accentuare la misurazione della performance esterna e la conseguente massimizzazione del MVA in quanto il mercato riconosce, in modo preponderante, le imprese che rie-scono meglio di altre a raggiungere un'elevata ricchezza per i propri azionisti, accentuando fenomeni di controllo e di ottimizzazione dell'effi-cienza. Proprio in un mercato allargato come quello europeo sembra essere sempre più importante il consenso del mercato sulle attitudini delle imprese a creare valore ed, in tal senso, l'euro contribuisce in misu-ra determinante ad omogeneizzare le condizioni ambientali, le variabili

(16)

competitive ed il metro di misura per la creazione e la misurazione del

valore. La strada intrapresa sembra essere quella di una maggiore

atten-zione ad espressioni coerenti di ricchezza riconosciute ed apprezzate

dagli azionisti e, quindi, dal mercato.

6. Note conclusive

Il lavoro appena presentato vuole essere un contributo alla

rappresen-tazione dello scenario che potrebbe delinearsi all'indomani

dell'introdu-zione dell'euro con particolare riferimento alle problematiche relative

alla creazione e misurazione del valore. La tendenza in atto in questi

ulti-mi anni, infatti, porta a considerare con particolare attenzione tutte le

problematiche legate alla creazione del valore d'impresa. Si è voluto

con-siderare anche l'euro, all'interno di un panorama di riferimento più

ampio, come una delle tante opportunità per le imprese di indirizzare ed

armonizzare le proprie scelte gestionali in una visione strategica di

crea-zione del valore.

Tirando le somme dell'analisi presentata possiamo in via di principio

affermare che l'impatto dell'euro sui processi di creazione del valore può

senza dubbio essere foriero di aspetti positivi per le seguenti valutazioni

di sintesi:

- il costo del debito è consolidato su standard europei ed, in un futuro

prossimo, si potranno prevedere ulteriori aggiustamenti verso il basso;

- le imprese potranno far ricorso in misura maggiore, rispetto al

pas-sato, al capitale di credito sia per il suo minor costo sia per la arricchita

varietà di strumenti di finanziamento a sua disposizione;

- il rischio specifico degli investimenti potrà più facilmente essere

ridotto grazie alla maggiore possibilità di diversificare il portafoglio degli

investimenti;

- il rischio sistematico, dipendente in misura stretta dall'andamento

della situazione economica generale, nel lungo periodo si potrà fermare

su posizioni più favorevoli grazie alla modificata e più benevola

percezio-ne degli investitori, soprattutto stranieri, di un minor rischio paese legato

agli investimenti in considerazione;

- il trade off tra rischio e rendimento potrà diminuire a favore di un

premio per il rischio richiesto dal mercato inferiore rispetto a quello

degli ultimi anni. Ciò in quanto sia il rendimento atteso dal mercato sia il

rischio di mercato procedono verso valori più bassi, ipotizzando

ovvia-mente che il tasso free risk non subisca variazioni almeno di breve

perio-do;

- l'indicatore di performance, rappresentato dall'EVA, che sintetizza il

processo di creazione del valore attraverso le variabili appena analizzate,

esprime il possibile incremento che il valore subisce, rispetto alla

situa-zione precedente l'introdusitua-zione dell'euro, se si verificano tutte le

varia-zioni ipotizzate.

(17)

Naturalmente il tutto dovrà esse opportunamente valutato con i rifles-si che tale circostanza potrà provocare sui prezzi di vendita. In ultima analisi, quindi, come spesso accade, anche l'introduzione dell'euro potrà rappresentare una ghiotta opportunità per quelle imprese meglio gover-nate e capaci di approfittare delle indubbie opportunità che si potranno presentare ma, di riflesso, potrà causare non pochi problemi per quelle imprese marginali arroccate su ipotesi speculative di breve periodo che mal si conciliano con lo spirito di sopravvivenza e creazione di valore.

NOTE

i Le principali leve del cambiamento legate all'introduzione dell'euro possono essere analizzate a livello macro-economico, a livello di mercati ed a livello della singola impresa. In quest'ultimo caso una maggiore attenzione sarà concentrata sugli aspetti di natura più prettamente finanziaria. Infatti tutte le attività di pianificazione saranno maggiormente strutturate ed integrate con gli investimenti e le politiche fiscali; contemporaneamente si assisterà ad un incremento degli investitori istituzionali con una conseguente maggiore attenzione da parte degli azionisti allo share holder value. Cfr. R. CARRADORI, F. ARVEDI,

"Euro: acceleratore per trasformare la finanza aziendale", in Amministrazione &

Finanza-oro, n.3/1998. Ovviamente tutti i risultati previsti non sono scontati. l'Italia, infatti, non

potrà più disporre di quella sovranità monetaria che le consentiva di "riaggiustare" i conti e recuperare con la svalutazione della lira la competitività di prezzo perduta per la difficoltà di riportare sotto controllo la dinamica dei costi interni. Cfr. A. MARTELLI, Teuro e la corn-petitività delle imprese italiane" in Sviluppo & Organizzazione, n.170 novembre-dicembre 1998.

2 In particolare per quelle imprese orientate all'esportazione il venir meno dell'esposi-zione nei confronti delle monete europee comporterà una consistente ridudell'esposi-zione delle ope-razioni di copertura e delle commissioni valutarie con un effetto complessivo stimato nello 0,3-0,4% del prodotto nazionale lordo dei paesi membri per un controvalore approssimati-vamente pari a 20-25 miliardi di ECU. Cfr. S. SALVATORI, M. DI MICELI, "Euro al via: gli effet-ti sull'area finanza" in Amministrazione & Finanza, n. 10/98.

3 La maggiore trasparenza sui mercati sarà comunque assicurata dall'unicità del tasso interbancario EURORIBOR, calcolato sulla base di congiunte comunicazioni da parte di alcune banche nazionali di riferimento, al quale saranno agganciate molte emissioni a ren-dimento variabile.

Cfr. L. GUATIU, La teoria di creazione del valore. Una via europea, Egea, Milano, 1991,

pag.6.

5 Uno dei suoi allievi, Giannessi, in un lavoro del 1981, così scriveva: "L'azienda,

essen-do un fenomeno unitario, deve avere un solo fine e questo è la produzione della ricchezza. Qualunque sia il regime politico al potere, oligopolistico (cosiddetto occidentale) o sociali-sta (cosiddetto orientale) e le forme particolari che ambedue assumono in concreto, nes-sun soggetto .... Sarebbe disposto ad investire una determinata quantità di ricchezza per ricavarne un'altra minore. Il problema non è solo economico, come volgarmente si crede ma anche sociale. La ricchezza per venire distribuita, deve essere prima prodotta". Cfr. E.

GIANNESSI, Possibilità e limiti della programmazione, Opera Universitaria, 1981, Pisa,

pagg.4-5.

6 Secondo tale approccio, l'individuo impara dall'interazione con l'ambiente, si modi-fica ed è in grado di trasmettere geneticamente queste modifiche alle generazioni successi-ve. Tale approccio fu poi seguito da quello della selezione naturale di Darwin (1859) in base al quale non esiste nessuna trasmissione genetica tra generazioni. E l'ambiente che

(18)

seleziona tra gli individui di una popolazione, che sono tra loro diversi. Vanno avanti colo-ro che meglio si adattano alle condizioni ambientali. In tale ottica, il settore si modifica in quanto sopravvivono solo le imprese più efficienti cioè quelle che conseguono profitti positivi.

7 Sull'argomento vedasi ampiamente: G. M. GOLINELLI, L'approccio sistemico al governo dell'impresa, vol. I, Cedam, Padova 2000, pag. 191 e segg.

8 Cfr. S. VICARI, "Note sul concetto di valore", Finanza, marketing e produzione, n.3/95.

9 Cfr. T.E.LEE, Reddito e valore, Egea, Milano, 1994, pag.15.

10 Il valore economico è il massimo valore attribuibile ad un complesso funzionante, in quanto è espressione di un coordinamento economico di fattori produttivi impiegati in azienda. Infatti, una gestione si dice economica quando è condotta nel rispetto dei principi di efficienza ed efficacia. Laddove l'efficienza esprime la capacità dell'imprenditore di utiliz-zare in modo ottimale i fattori impiegati e l'efficacia la capacità dell'impresa di raggiungere i propri obiettivi. Pertanto, i fattori produttivi impiegati, oltre ad essere recuperati nel loro costo, sono anche recuperati per l'apporto che, congiuntamente agli altri fattori, hanno pre-stato all'azienda. Ecco perché, in sede di valutazione, si ottiene una prospettiva reddituale maggiore scaturente anche da una valutazione di stima oggettiva, non riscontrabile nelle altre due ipotesi di valutazione del capitale economico (funzionamento e liquidazione). Infatti, in fase di liquidazione, l'impresa è destinata a morire e quindi ogni suo elemento valutato in base al suo valore intrinseco, vale a dire che ciascuna stima riflette il valore di ogni singolo elemento. In ipotesi di funzionamento, invece, il valutatore adotterà quei crite-ri prudenziali, tipicamente utilizzati in sede di redazione del bilancio ordinacrite-rio di esercizio.

1111 ROI è un tasso che esprime "la redditività operativa dell'impresa", vale a dire il tasso remunerativo del capitale investito; mentre i esprime il costo medio ponderato del capitale lordo-lordo. Sull'argomento vedasi G. METALLO , "L'analisi dei flussi di cassa nei modelli decisionali: aspetti critici e limiti interpretativi " 11 Risparmio, n. 3-4, 1999.

12 Per ulteriori approfondimenti sull'effetto leva finanziaria e sulla natura delle

varia-zioni del costo del capitale di credito si veda G. GOLINELLI, Struttura e governo dell'impresa,

Cedam, Padova 1991.

13 Sulle problematiche di natura finanziaria e sugli strumenti tipici della funzione finanziaria si veda G. METALLO, Tipici strumenti di analisi finanziaria, Cedam, Padova 1992,

pag. 98. "... quanto più l'impresa è indebitata, tanto più può approfittare nelle condizioni positive indicate (ROI > i), dell'effetto leva positivo ma tanto più si accresce il rischio finan-ziario. Infatti, il ROI può abbassarsi per diversi motivi, primo fra tutti l'incremento dei costi tipici e/o una riduzione dei ricavi di vendita a parità di Ci e/o anche in presenza di una crescita del Ci senza un proporzionale aumento dei ricavi. In tale circostanza non è diffici-le che i superi il ROI e quindi il rischio di subire l'effetto negativo della diffici-leva diventa reale....".

14Il tasso g esprime il tasso di crescita dell'impresa dato dal prodotto fra grado di riten-zione degli utili e rendimento sugli utili accantonati. "E difficile per un analista finanziario determinare il rendimento atteso sugli utili appena accantonati poiché i dettagli sui proget-ti futuri non sono generalmente informazioni di pubblico dominio. Si assume tuttavia con una certa frequenza che i progetti selezionati nell'anno in corso abbiano un rendimento atteso equivalente a quello dei progetti passati. Il rendimento atteso sugli utili accantonati può essere stimato attraverso l'evoluzione storica del ROE (return of equity), il rendimento dell'intero capitale proprio dell'impresa, che dà l'idea della somma del rendimento dei pro-getti già in essere dell'azienda". Cfr. S.A. Ross, R.W. WESTWRFIELD, J.F. JAFFE, Finanza azien-dale, Il Mulino, Bologna 1997, pag.139.

15 Sull'argomento si rimanda a L. GUATRI, La teoria di creazione del valore. Una via euro-pea, Egea, Milano 1991; A. RAPPAPORT, La strategia del valore, Franco Angeli, Milano 1990.

16 Nel tempo i metodi che fanno riferimento a grandezze contabili (metodo

patrimonia-le, patrimoniale-reddituale misto) hanno lasciato spazio a metodi che fanno riferimento a grandezze finanziarie prospettiche quali il discounted cash-flow method: esso valuta un pro-getto o un'azienda attualizzando i flussi di cassa attesi a un tasso che riflette la rischiosità di tali flussi. Cfr. E. FACILE, Euro e finanza aziendale - La rivoluzione della moneta unica nella gestione finanziaria d'impresa, Il Sole 24-ore, Milano 1998, pag. 89. "... gli utili sono una

(19)

costruzione artificiale. Gli utili sono importanti nel contesto dell'informativa contabile, ma non dovrebbero essere utilizzati nel capital budgeting, in quanto non rappresentano dena-ro". Cfr. S.A. Ross, R.W. WESTWRFIELD, J.F. JAFFE, Finanza aziendale, Il Mulino, Bologna

1997, pag.174.

17 Quest'ultima soluzione viene spesso considerata preferibile sotto il profilo

applicati-vo; il tasso di attualizzazione è rappresentato dal costo opportunità del capitale proprio, cioè dal rendimento atteso da impieghi alternativi confrontabili sul piano del rischio. Cfr. L.

BRUSA, L. ZAMPROGNA, Finanza d'impresa - Logiche e strumenti di gestione finanziaria:

model-lo contabile e modelmodel-lo del vamodel-lore, Etaslibri, Milano 1995, pag.162.

18 Alcuni Autori identificano questi flussi come Free cash flow to equity (FCFE) e sottoli-neano che essi dipendono, oltre che dalle voci riferibili alla remunerazione dei debiti netti e dalle imposte sull'utile netto, anche dalla variazione programmata dell'indebitamento netto. Significa cioè che ai fini della stima di FCFE deve essere dunque precisato un vincolo (o un obiettivo) di struttura finanziaria coerente con i parametri di indebitamento. Cfr. M.

MASSARI, Valutazione, McGraw- Milano, 1998, pag.19.

19 Si giunge alla determinazione del flusso operativo di cassa (Debt-free o Unlevered

cash-flow) partendo dai conti economici preventivi sulla base dei quali si stimano gli

incre-menti di redditi generati dal progetto di investimento, nonché le variazioni nei costi non monetari, quali gli ammortamenti e gli accantonamenti, e quindi, si misura la variazione dei flussi di cassa generata dall'investimento. Cfr. G. METALLO, "L'analisi dei flussi di cassa nei modelli decisionali: aspetti critici e limiti interpretativi" in E Risparmio, n.3-4, maggio-agosto, 1999.

20 Cfr. L. BRUSA, L. ZAMPROGNA, Finanza d'impresa - Logiche e strumenti di gestione finanziaria: modello contabile e modello del valore, Etaslibri, Milano 1995, pag.167.

21 Cfr. V. DESARIO, "La transazione alla moneta unica europea", in Rivista Italiana di

Ragioneria e di Economia aziendale, n. 1 e 2, gennaio-febbraio 1999.

22 Cfr. V. DESARIO, "La transazione alla moneta unica europea", in Rivista Italiana di

Ragioneria e di Economia aziendale, n. 1 e 2, gennaio-febbraio 1999.

23 Cfr. G. BIANCHI, "Bilanci in euro: il trattamento fiscale delle differenze di conversione" in Amministrazione & Finanza, n.14/97.

24 Va comunque tenuto presente che potrebbe verificarsi l'ipotesi di una sottostima

delle attività di bilancio delle imprese italiane in conseguenza dei rapporti di conversione e quindi una contabilizzazione di minori costi per ammortamenti e scorte nel breve periodo, nel medio-lungo periodo si potranno accumulare condizioni di relativa sottocapitalizzazio-ne, avendo computato ammortamenti e valori storici di dimensione monetaria sottostima-ta. Cfr. G. BIANCHI, "Bilanci in euro: il trattamento fiscale delle differenze di conversione" in

Amministrazione & Finanza, n.14/97.

25 Cfr. R. CARRADORI, F. ARVEDI, "Euro: acceleratore per trasformare la finanza

azienda-le", in Amministrazione & Finanza-oro, n.3/1998.

26 II rating sarà il parametro discriminante per la determinazione dei rendimenti richie-sti dal mercato sulle nuove emissioni e per le decisioni di asset allocation. Il peso del rating nel processo di selezione delle alternative posto in essere dagli investitori, istituzionali e non, è destinato a crescere a causa della scomparsa del rischio di cambio.

27 Cfr. G.BENNETT STEWART III, La ricerca del valore - Una guida per il management e per

gli azionisti, Egea, Milano 1998, pag. 369.

28 Ovviamente nella determinazione del tasso di attualizzazione e quindi del costo

opportunità, indipendentemente dalla tipologia di capitale cui si riferisce, domina il valore finanziario del tempo ed il rischio. Cfr. BRUSA L., ZAMPROGNA L., Finanza d'impresa - Logiche

e strumenti di gestione finanziaria: modello contabile e modello del valore, Etaslibri, Milano

1995, pgg. 93-94.

29 il costo del debito è la variabile più semplice da calcolare in quanto si tratta di indi-viduare quel tasso che l'impresa deve pagare sul mercato dei capitali per ottenere nuovi fondi a medio e lungo termine. Spesso il termine di riferimento è il rendimento alla sca-denza dei debiti a medio e lungo termine emessi dall'impresa e pubblicamente scambiati o, in mancanza, il tasso corrente pagato da un campione di aziende con lo stesso rating dell'azienda in questione. Il costo del capitale proprio è una grandezza più astratta perché

(20)

non immediatamente osservabile in termini monetari. Si tratta, in effetti, di un costo opportunità pari al rendimento complessivo che un investitore potrebbe aspettarsi di otte-nere da investimenti alternativi della stessa classe di rischio. Cfr. G.BENNETT STEWART III,

La ricerca del valore - Una guida per il management e per gli azionisti, Egea, Milano 1998,

pag. 371 e ss.

30 In parte tali effetti si sono già manifestati durante la fase di convergenza economica imposta dai criteri di Maastricht come condizione di ingresso nel gruppo dei Paesi Urne. L'impatto dell'euro si è manifestato attraverso la diminuzione del costo del capitale a segui-to della generalizzata discesa dei tassi di interesse. Il cossegui-to medio ponderasegui-to del capitale delle aziende industriali quotate a Milano è diminuito nel 1997 di quasi il 3% rispetto a quello del 1995 ed il NOPAT (utile operativo netto dopo le imposte) è diventato positivo solo dal 1997. La riduzione del costo del capitale pub significare un aumento del valore di tali aziende del 20-30% circa. Cfr. E. FACILE , Euro e finanza aziendale - La rivoluzione della moneta unica nella gestione finanziaria d'impresa, Il Sole 24-ore, Milano 1998, pag. 96.

31 La misura del rischio di un titolo in un ampio portafoglio viene ormai comunemente espressa da un indicatore di rischiosità - il coefficiente beta - calcolato attraverso un rap-porto dove al numeratore troviamo la covarianza tra il rendimento dell'attività i ed il rendi-mento del portafoglio di mercato ed al denominatore la varianza del mercato. L'intuizione di fondo è che il beta misuri la reattività del rendimento di un singolo titolo rispetto alla variazione del rendimento del portafoglio di mercato. Un beta uguale ad 1 significa che il rendimento del titoli in questione corrisponde esattamente all'ampiezza dei movimenti del mercato e quindi ne ha lo stesso grado di rischiosità. Un beta maggiore di 1 sta a significare che i titoli hanno movimenti più ampi di quelli del mercato e pertanto sono giudicati più rischiosi rispetto all'investimento in un paniere di titoli rappresentativo del mercato nel suo complesso. Un beta minore di I indica che i titoli sono meno rischiosi rispetto al mercato. Statisticamente può essere dimostrato che, aumentando nel portafoglio il numero dei titoli, nella matrice N x N che viene utilizzata per il calcolo della formula della varianza ci sono molte più covarianze che varianze. Infatti, in un ampio portafoglio, le varianze (espressione del rischio specifico) vengono annullate dall'effetto diversificazione, ma non così le cova-rianze (espressione del rischio sistematico). Quindi un portafoglio diversificato può elimi-nare il rischio dei singoli titoli solo in parte, non del tutto. Cfr. S.A. Ross, R.W.

WESTWRFIELD, J.F. JAFFE, Finanza aziendale, Il Mulino, Bologna 1997, pag.361.

32 Spesso gli economisti finanziari sostengono che il rendimento atteso dal mercato può essere considerato come risultante della somma tra il tasso privo di rischio ed una qualche remunerazione per il rischio caratteristico del portafoglio di mercato. Poiché gli investitori vogliono essere compensati per il rischio che corrono, il premio per il rischio è presumibil-mente positivo e, generalpresumibil-mente, si assume come miglior stima del premio per il rischio futuro il premio per il rischio medio del passato. Cfr. S.A. Ross, R.W. WESTWRFIELD, J.F.

JAFFE, Finanza aziendale, Il Mulino, Bologna 1997, pag.357.

33 Cfr. E. FACILE , Euro e finanza aziendale - La rivoluzione della moneta unica nella gestione finanziaria d'impresa, Il Sole 24-ore, Milano 1998, pag. 99.

34 Si fa riferimento ad esempio alle esigenze indotte dalla proprietà pubblica dell'impre-sa, alla necessità di tutelare l'ambiente, ecc.. Cfr. A. REINOLDI, Valore d'impresa, creazione di valore e struttura del capitale, Egea, 1997, pag.9.

35 La convinzione che l'EVA sia più attendibile rispetto ad altri indicatori ai fini della

misurazione del valore risiede nella considerazione che per quanto importanti possano essere misure alternative del valore, come ad esempio i flussi di cassa, esse sono piuttosto insoddisfacenti nel momento in cui vogliono misurare le prestazioni aziendali. Infatti, fino a quando l'impresa investirà in progetti remunerativi, quanto maggiore sarà il capitale investito (e quindi minore il flusso di cassa generato dalla gestione) tanto maggiore sarà l'incremento di valore. Le stesse considerazioni possono farsi anche per gli utili, i dividendi, i prezzi di mercato, il tasso di crescita e per il tasso di rendimento. Per una trattazione più approfondita sulle motivazioni a favore dell'EVA rispetto agli altri parametri comunemente utilizzati si rimanda a G.BENNETT STEWART III, La ricerca del valore - Una guida per il

mana-gement e per gli azionisti, Egea, Milano 1998; A. SAGONE, "L'EVA: concetti base e riflessioni sul suo utilizzo ai fini della valutazione del capitale economico dell'impresa", in Rivista

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