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Riflessi catulliani nella poetica di Fedro

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Academic year: 2021

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Estratto da

«Paideia»

LXXIII

- 2018

Pars secunda (II/III)

EDITRICE STILGRAF CESENA

PAIDEIA

rivista di filologia, ermeneutica e critica letteraria

FONDATA DA

(2)

NELLA POETICA DI FEDRO

Abstract

Phaedrus collection contains many catullian reflections both on the level of literary tought, on lexical choose and for some common themes. He inserts so in a new and original way the Esopic fable in callimachean poetic that he shares with Catullus.

Keywords: callimachean and catullian poetry; Esopic fable; Phaedrus poetic.

Premessa

La raccolta di favole di Fedro è un testo molto più complesso di quanto di solito si pensi, soprattutto perché il poeta opera una serie di innovazioni in un genere, la favola esopica, generalmente privo di spazi di intervento da parte dell’autore, sia in merito alla discussione delle scelte letterarie che ai risultati che si riprometteva di ottenere. Scopo di questo lavoro è indicare alcuni elementi comuni a Catullo e a Fedro: ri-prese tematiche (il racconto delle due bisacce e la polemica contro i cat-tivi poeti) e in particolare aspetti della poetica callimachea accolti dal favolista attraverso Catullo per presentare la sua raccolta come prodotto letterario raffinato e colto, fruibile dal pubblico romano del suo tempo. La poesia di Fedro è infatti accompagnata da una riflessione sulle mo-dalità di scrittura che rientra, per quanto era possibile, dati i limiti di que-sto genere, nei canoni di una poesia dotta e raffinata sul piano formale, presentata con una terminologia tecnica di ascendenza catulliana attra-verso cui il favolista rivendica la sua competenza e finezza compositiva.

Il tema delle due bisacce tra Catullo e Fedro.

Il carme 22 di Catullo rientra, come è noto, nella polemica contro la cattiva poesia: il tema è sviluppato sul contrasto tra la urbanitas del per-sonaggio Suffeno nella quotidianità e la sua totale mancanza di talento come scrittore, così come sulla differenza tra la bellezza della confezione

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e la rusticitas del contenuto1dei suoi libri di poesie. Il motivo

preponde-rante della critica è che longe plurimos facit versus (v. 3), un numero di versi spropositatamente elevato, che lo accomuna ad altri cattivi poeti come i Cesi e gli Aquini (c. 14,18-19), Volusio (c .36, con i suoi Annales, cacata

carta, pleni ruris et inficetiarum come Suffeno!) ed Ortensio (c. 95, a cui

viene preferito Cinna, perché autore di parva monimenta, v. 9) e mostra l’adesione del Veronese ai principi callimachei di una poesia brevis2:

Suffenus iste, Vare, quem probe nosti, homo est venustus et dicax et urbanus, idemque longe plurimos facit versus. puto esse ego illi milia aut decem aut plura

perscripta, nec sic ut fit in palimpsesto 5 relata: cartae regiae novae libri,

novi umbilici, lora rubra membranae, derecta plumbo et pumice omnia aequata. haec cum legas tu, bellus ille et urbanus

Suffenus unus caprimulgus aut fossor 10

rursus videtur: tantum abhorret ac mutat. hoc quid putemus esse? qui modo scurra aut siquid hac re scitius videbatur, idem inficeto est inficetior rure,

simul poemata attigit, neque idem umquam 15 aeque est beatus ac poema cum scribit:

tam gaudet in se tamque se ipse miratur.

nimirum idem omnes fallimur, neque est quisquam quem non in aliqua re videre Suffenum

possis. Suus cuique attributus est error; 20 sed non videmus manticae quod in tergo est. (Catull. 223)

Uno degli aspetti più difficili è l’interpretazione della parte finale del carme, quando l’invettiva contro il personaggio, reale o fittizio che sia, si stempera inaspettatamente in una sententia di sapore gnomico, che non appartiene generalmente all’atteggiamento del Veronese e che so-prattutto sembra portare ad un’autocritica: idem omnes fallimur (v. 18). Dunque tutti siamo un po’ Suffeno, anche perché oltre ad avere ciascuno un difetto, non siamo in grado di vederlo, perché il sacco dei nostri vizi

1 M.C.J. PUTNAM, Catullus 22,13, «Hermes» 96, 1968, pp. 552-558.

2 Su questa linea, di recente, le considerazioni di M. ONORATO, La seduzione del libellus. Metapoetica e intertestualità in Marziale, Napoli 2017, p. 42, che inserisce anche Marziale nell’orizzonte callimacheo del carme 22 di Catullo.

3 Il testo riportato è quello di D.F.S. THOMSON, Catullus: Edited with a Textual and Interpre-tative Commentary, Toronto 1997.

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è posto alle nostre spalle (suus cuique attributus est error / sed non

vide-mus manticae quod in tergo est, vv. 20-21). Tutti i commentatori di

Ca-tullo rilevano una difformità dalla consueta poesia dell’autore: il riferimento alla favola esopica delle due bisacce, ha fatto pensare alla vo-lontà del poeta «to soften (the poem’s) polemical severity»4e definirlo, per una volta, «a satirist»5.

Tra i vari tentativi di interpretazione di questo finale6, senza dubbio

vanno accolte alcune valide considerazioni: da un lato Catullo è spesso portato a descrivere i personaggi dei suoi carmi così da creare uno spec-chio in cui essi stessi possano riconoscere i propri tratti tipici e anche il lettore è allo stesso modo coinvolto in questo gioco di immagini7; d’altra

parte la critica “smorzata” del carme 22 è conforme ad un atteggiamento tipico anche della produzione giambica di Callimaco8e dunque si può

trattare di una chiusa fortemente callimachea se consideriamo anche il frequente collegamento operato dal poeta ellenistico tra la riflessione let-teraria e la tradizione della favola9.

Secondo Gamberale10, inoltre, si potrebbe individuare il luogo

pre-ciso della poesia di Callimaco a cui le parole di Catullo si possono rife-rire: nella contesa letteraria del primo giambo «si rovescia l’orgoglio e il senso di superiorità dei dotti con la storia dei sette saggi, saggi veramente

4 K. QUINN, Catullus: The poems, London 1970, ad loc., p. 156; sulla stessa linea R. HEINE,

Catull, Darmstadt 1975, p. 239 e G. LEE, Catullus, London 1983, p. 154. Ad uno studiato effetto

sorpresa per i lettori pensa C. NAPPA, Aspects of Catullus’ Social Fiction, Frankfurt am Main

2001, p. 142. Alcuni elementi per l’interpretazione anche in F. DELLACORTE(a c. di), Catullo,

le Poesie, Milano 1977, pp. 253-254 e H.P. SYNDIKUS, Catull, Eine Interpretation, Teil I,

Darmstadt 1984, pp. 160 ss.

5 THOMSON, Catullus, cit. n. 3, p. 219.

6 Piuttosto artificiosa mi sembra la lettura di T. ADAMIK, Catullus’ Urbanity: c. 22, «AAntHung» 36, 1995, pp. 77-86, che giunge ad identificare il personaggio di Suffeno con Cicerone.

7 Susan O. SHAPIRO, The Mirror of Catullus: Poems 12,22,39,41,42 and 84, «SyllClass» 22, 2011, pp. 21-37.

8 L’acuta riflessione è di L. WATSON, Rustic Suffenus (Catullus 22) and literary rusticity, «PLLS»

6, 1990, pp. 13-34 (F. CAIRNS, M. HEAT[ed. by], Roman poetry and Drama. Greek Epic,

Comedy, Rhetoric), a cui si associa sviluppando il tema anche S.J. HEYWORTH, Catullian Iambics,

Catullian Iambi, in A. CAVARZERE, A. ALONI, A. BARCHIESI(ed. by.), Iambic Ideas. Essays on a

Poetic Tradition from Archaic Greece to the Late Roman Empire, Oxford 2001, pp. 117-140. 9 Su questo tema rimando agli ampi studi di B. ACOSTA-HUGUES: Polyeideia: The Iambi of

Calli-machus and the Archaic Iambic Tradition, Berkeley 2002, pp. 152-204; B. ACOSTA-HUGUES, Ruth

SCODEL, Aesop Poeta: Aesop and the Fable in Callimachus’ Iambi, in Annette M. HARDER,

R.F. REGTUIT, G.C. WAKKER(ed. by), Callimachus II, Leuven 2004, pp. 1-21; B. ACOSTA-HUGUES, Susan A. STEPHENS, Rereading Callimachus’ ‘Aetia’ Fragment 1, «CPh» 97, 2002, pp. 238-255.

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perché ognuno vede i propri limiti e la superiorità di un altro; e la contesa viene probabilmente risolta con una ‘morale’: un’esortazione a non farsi giudici gli uni degli altri, se vanno intese in questo senso le lacunose righe della dieghesi 6,19-21» (p. 16711).

Questa lettura non esclude, anzi può confermare, l’ipotesi avanzata da Robson12, che vede nella critica a Suffeno, pseudonimo di un

poeta-stro, un riferimento diretto a Varo: dedicatario del carme, infatti, è da molti identificato con Quintilio Varo, il critico, di cui Catullo sembra riecheggiare i giudizi negativi verso i cattivi poeti e dunque il carme sa-rebbe un monito bonario verso i critici troppo severi. Sebbene si colgano delle affinità lessicali tra questo carme e gli altri di polemica contro la cattiva poesia, è evidente che il poeta è più dettagliato nel dare una valu-tazione del prodotto letterario13di Suffeno, quasi come se egli stesso si

facesse giudice di poesia e forse proprio questo può aver spinto Catullo ad un finale più “generale”14: il poeta non è un critico e non vuole esserlo,

dunque, dopo un voluto attacco piuttosto mirato, preferisce schermirsi dietro una considerazione universale sulla vita umana che gli consente di uscire dal ruolo di giudice che si era precedentemente attribuito.

In quest’ottica l’autocritica che coinvolge anche se stesso come poeta (idem omnes fallimur) va considerata come un mero espediente per ri-solvere il carme e non certo come presa di coscienza dei propri limiti di poeta15.

Un parallelo importante in questo senso è l’apologo di Fedro che ri-porta la favola esopica a cui Catullo fa riferimento:

11 L’interpretazione, che si fonda sulle integrazioni di KÖRTEaccolte nel testo stabilito da

R. PFEIFFER, Callimachus, I, Oxford 1949, p. 163, sembra condivisa anche da C.M. DAWSON

nella traduzione della sua edizione, The Iambi of Callimachus. A Hellenistic Poet’s Experimental Laboratory, «YClS», 11, 1950, p. 9. Sulla questione cfr. in particolare le note 114 e 115 di GAMBERALE, Libri, cit. n. 10, p. 167.

12 J. ROBSON, Catullus 22 -Suffenus iste- A Catullan riddle?,«C&M» 58, 2007, pp. 209-214.

13 WATSON, Rustic Suffenus, cit. n. 8, sottolinea i punti di contatto con i carmi 36 e 95, ma

evi-denzia in questo carme la rusticitas come valutazione estetico-letteraria, in contrasto con i prin-cipi di poesia callimachea.

14 Cfr. GAMBERALE, Libri, cit. n. 10, p. 167: «è la morale popolare di Esopo che viene messa in

campo per giudicare ed attenuare la polemica letteraria, per togliere asprezza all’attacco perso-nale e conferirgli un tono di urbana bonarietà».

15HEYWORTH, Catullian Iambics, cit. n. 8, p. 136. Legge invece come una vera e propria autocritica

la parte finale del carme 22 M. FERNANDELLI, Catullo e la rinascita dell’epos. Dal carme 64 all’Eneide, Hildesheim-Zürich-New York 2012, p. 454 e ss., (ipotesi poi sostenuta anche in Char-tae Laboriosae. Autore e lettore nei carmi maggiori di Catullo (c. 64 e 65), Cesena 2015, pp. VI, 25 e 211), estrapolando però gli ultimi versi dal senso globale del testo ed omettendo l’incipit (Suf-fenus iste Vare quem probe nosti), che certamente incide non poco sull’interpretazione del carme.

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Peras imposuit Iuppiter nobis duas: propriis repletam vitiis post tergum dedit, alienis ante pectus suspendit gravem. Hac re videre nostra mala non possumus;

alii simul delinquunt, censores sumus. (Phaedr. 4,1016)

Il testo di Fedro, in conformità al genere letterario cui appartiene la raccolta, ripropone una favola esopica (229 Hausrath) che tuttavia nella versione originale offre una morale che non presenta la prima persona dell’autore in alcun modo coinvolta nella riflessione perché fa riferi-mento genericamente agli uomini e muove una critica a coloro che non si fanno gli affari loro:

Ἐξ οὖ δὴ συνέβη τοὺς ἀνθρώπους τὰ μὲν ἀλλότρια κακὰ ἐξ ἀπόπτου κατοπτάζεσθαι, τὰ δὲ ἴδια μὴ προσορᾶσθαι.

τούτῳ τῷ λόγῳ χρήσαιτο ἄν τις πρὸς ἄνδρα πολυπράγμονα ὃς ἐν τοῖς ἑαυτοῦ πράγμασι τυφλώττων τῶν μηδὲν προσηκόντων κήδεται.

Rispetto al racconto impersonale del testo greco, accompagnato da una morale che devia in un’altra direzione, Fedro introduce una impor-tante novità17: il poeta inserisce anche se stesso in questa riflessione

ge-nerale, caso unico nella raccolta del favolista, discostandosi totalmente dalla morale della tradizione esopica, e riecheggiando chiaramente la chiusa di Catullo.

Fedro infatti tende ad inserire la sua persona solo quando può rap-presentare sé stesso come poeta e discutere le proprie scelte letterarie18;

in questo testo, invece, egli si inserisce tra quanti tendono a giudicare gli altri appena commettono degli errori. In una prospettiva rovesciata l’operazione di Fedro sembra analoga a quella di Catullo: il poeta inse-risce se stesso, in qualità di giudice morale, in linea con la scelta poetica che ha fatto, in una prospettiva più ampia e generale coinvolgendo tutti in una riflessione latamente filosofica. Questa operazione ottiene gli stessi effetti di quella del Veronese: attutire il ruolo del poeta / giudice

16 I passi di Fedro sono citati dall’edizione di B.E. Perry, Babrius and Phaedrus, London-Cam-bridge, Mass. 1965.

17 Per il rapporto tra Fedro e il modello esopico, cfr. M. SWOBODA, De Phaedro Aesopi

aemu-latore, «Eos» 52, 1962, pp. 323-336; Giordana PISI, Fedro traduttore di Esopo, Firenze 1977.

18 Per uno sguardo complessivo sull’opera di Fedro, cfr. l’introduzione di A. LAPENNA

all’edi-zione della raccolta di A. RICHELMY, Fedro, Favole, Torino 1974; Chiara RENDA, Illitteratum plausum nec desidero. Fedro, la favola e la poesia, Napoli 2012; per una discussione sui passi dedicati alle scelte letterarie di Fedro, cfr. G. BERNARDIPERINI, Cui reddidi iam pridem quidquid

debui. Il debito di Fedro con Esopo secondo Fedro, in La storia, la letteratura e l’arte da Tiberio a Domiziano, Atti del Convegno di Mantova 4-7 ottobre 1990, Mantova 1992, pp. 43-59.

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inserendolo in una prospettiva condivisa. Anche nel caso di Fedro si tratta di un atteggiamento bonario che in nessun modo intende invali-dare il ruolo e gli scopi della raccolta favolistica che si compone di favole per riflettere sulla società romana del suo tempo19; il testo offre uno

sguardo più ampio che concorre in fondo al conseguimento dello stesso scopo: la riflessione morale.

Considerando, in conclusione, che non abbiamo altre attestazioni oltre il carme catulliano dell’uso dell’immagine delle bisacce prima di Fedro20 e che la strategia adottata dai due poeti appare analoga, non

escluderei che il favolista abbia tenuto presente il testo di Catullo; d’al-tronde è una prova ulteriore di tale collegamento il fatto che esistono di-versi luoghi greci e latini che riportano una morale analoga a quella che chiude i due carmi slegata dalla favola esopica e forse connessa ad un’al-tra un’al-tradizione21, mentre nei due testi presi in esame è profondamente

le-gata al racconto esopico ed esemplificativa del pensiero dei due poeti.

Riflessioni di poetica

È opinione già di altri studiosi che Catullo potesse essere noto a Fedro, che orienta le proprie scelte di stile in un orizzonte di tipo calli-macheo senza dubbio condiviso con il Veronese. Già Postgate22aveva

sottolineato una corrispondenza interessante tra i due: in 4,22, un passo programmatico importante, Fedro discute il cattivo giudizio che pesa sulla sua opera da parte del livor di critici pronti a considerare di pregio solo quanto deriva direttamente da Esopo: quidquid putabit esse dignum

19 Cfr. Phaedr. 1, prol. 3-4: Duplex libelli dos est: quod risum movet / et quod prudenti vitam consilio monet.

20 Tra i luoghi che fanno riferimento a questo racconto i commentatori citano anche un verso di Orazio, sat. 2,3,299: respicere ignoto discet pendentia tergo. Porfirione nel suo commento ri-chiama la favola delle due bisacce (cfr. P. FEDELIa c. di, Q. Orazio Flacco, Le Opere. Le Satire, II, 2, Roma 1994, p. 643), ma l’interpretazione è messa in discussione da M. LABATE(a c. di), Quinto Orazio Flacco, Satire, Milano 1981, p. 265, che pensa ad un riferimento allo scherzo della coda attaccata alla schiena cui si accenna anche al v. 52 della stessa satira. Se anche si può leggere il riferimento alle due bisacce, il rapporto stretto del testo di Fedro e quello di Catullo non mi sembra da porre in dubbio.

21 Di diverso parere sembra GAMBERALE, Libri, cit. n. 9, p. 165 e ss., che dedica a Fedro solo un

breve accenno. Il forte legame tra i due testi mi sembra ulteriormente dimostrato dal fatto che la massima, presente già in Menandro (521 Körte-Thierf.) e in Euripide (1042 N2) è attribuita ad Esopo in una Vita Aesopi, in cui non appare connessa all’apologo cui fanno riferimento i testi di Catullo e Fedro, ed ha dunque una tradizione indipendente (n. 112).

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memoria / Aesopi dicet; si quid minus adriserit / a me contendet fictum quovis pignore (4,22,3-5). Anche Catullo fa riferimento ai suoi nemici

con un’espressione analoga: nam te (scil. fundum) esse Tiburtem

autu-mant, quibus non est / cordi Catullum laedere; at quibus cordi est / quovis Sabinum pignore esse contendunt (44,2-4), che non ha altre attestazioni23.

Ma forse merita una considerazione più puntuale la presenza di “spie” lessicali volutamente introdotte dal favolista per ribadire che la sua poesia docta si ispira a quei principi di brevitas e di labor limae che informano la poetica di Catullo, richiamandosi in alcuni casi anche al modello comune Callimaco. Se consideriamo il primo prologo, infatti, Fedro chiarisce subito:

Aesopus auctor quam materiam repperit Hanc ego polivi versibus senariis. Duplex libelli dos est: quod risum movet Et quod prudenti vitam consilio monet.

Egli intende rielaborare artisticamente la materia favolistica (ego

po-livi versibus senariis), e adopera un termine tecnico che richiama il li-bellus expolitus di Catull. 1,1o24, connesso allo stesso lemma libellus per

indicare la sua opera.

È significativo proprio il fatto che, nell’evoluzione della terminologia adottata da Catullo e poi confluita nella poesia di età augustea, il termine

expolitus non è più usato da Orazio, mentre polire compare due volte

nell’ultimo Ovidio25, ed è invece recuperato e valorizzato in un contesto

analogo a quello catulliano proprio da Fedro, che segnala così una scelta determinata e un collegamento diretto con il Veronese.

Anche libellus, nello stesso contesto proemiale, conserva nell’uso di Fedro la stessa polisemia riconosciuta al diminutivo catulliano: oltre a

23 Anche A. CAVARZERE, La trama allusiva di Fedro IV 7, «AAPat» 86, 1973-1974, pp. 99-119,

evidenzia un importante influsso catulliano in un passo molto significativo della raccolta: una vera e propria prova di doctrina del poeta che mostra al critico nasutus le sue doti di poeta tra-gico proponendo l’incipit di un testo di sua creazione in cui si può cogliere la contaminazione di elementi enniani, catulliani ed ovidiani.

24 Cfr. per tutti e due i passi il noto riferimento di Cic. Orat. 185: in verbis inest quasi materia quaedam, in numero autem expolitio. Sul termine e sul doppio significato nell’opera catulliana di rifinitura dell’oggetto-libro e del suo contenuto, cfr. W.W. BATSTONE, Dry Pumice and the

Programmatic Language of Catullus 1, «CPh» 93, 1998, pp. 125-135; Ph. LEVINE, Catullus

c. 1: A Prayerful Dedication, «CSCA» 2, 1969, pp. 209-216; J.P. ELDER, Catullus I, His Poetic

Creed and Nepos, «CPh» 71, 1967, pp. 143-149; F.O. COPLEY, Catullus c. 1, «TAPhA» 82, 1951,

pp. 200-206.

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presupporre la brevitas di un libro “piccolo”, infatti, sembra conservare da un lato il “tono faceto” del Veronese, dall’altro confermare, attraverso l’orgogliosa rivendicazione dell’utilità del liber, il carattere positivo e af-fettivo di qualcosa che «sta particolarmente caro al poeta»26.

Come nel c. 1 di Catullo sono espressi tutti i principi fondamentali della poetica neoterica (doctrina / labor27), così è possibile riconoscere

fin dai primi versi l’adesione di Fedro ad una poesia la cui brevità può essere ottenuta solo grazie ad una particolare rifinitura stilistico-formale che presuppone una sostenuta competenza: labor e doctus labor sono i termini con cui definisce la sua opera in 2,9,8 e 15 (cfr. per Catullo

stu-dioso animo e il labor di c. 116, dove il riferimento diretto è a Callimaco),

costituita da fabulae arte fictae (v. 13), grazie al talento del poeta (nostra

perfecit manus, 4,22,8), nell’intento di conseguire il successo presso

per-sone in grado di cogliere la sua doctrina (inlitteratum plausum nec

desi-dero, 4, prol., 2028). Può essere in quest’ottica interessante considerare i

passi che egli dedica alla brevitas, che annovera tra i maggiori pregi della raccolta, non tanto come elemento costitutivo del genere favolistico, ma come espressione del suo personale talento poetico:

sed si libuerit aliquid interponere, dictorum sensus ut delectet varietas, bonas in partes, lector, accipias velim ita, si rependet illi brevitas gratiam.

cuius verbosa ne sit commendatio... (2, prol., 9-13).

Fedro richiama in questo passo tre elementi di poetica callimachea: il piacere che può derivare dalla lettura (cfr. il lepos catulliano), la varietas dei temi trattati, che costituisce la vera novità in una raccolta di favole, e la brevitas, veicolo privilegiato per un’operazione letteraria che il poeta configura come innovativa proprio perché inserita nel solco della poetica del Battiade.

26 L’espressione è di P. SANTINI, Il termine libellus nei carmi di Catullo, «BStudLat» 22, 2002,

pp. 385-394.

27 Su questi temi, che sono stati oggetto di tanti studi, rimandiamo alla bibliografia citata da SANTINI, Il termine, cit. n. 26, p. 386 (n. 6) e a P.E. KNOX, Catullus and Callimachus, in

Marylin B. SKINNER(ed. by), A Companion to Catullus, Oxford 2007, pp. 151-171, con la

bibliografia relativa.

28 Naturalmente non possiamo dimenticare il filtro che per Fedro può essere stato Orazio, con la sua teorizzazione dei canoni poetici dell’età augustea (su questo tema, che andrebbe senza dubbio approfondito, rimando a R. GALLI, Fedro e Orazio, «Paideia» 38, 1983, pp. 195-199 e ad alcune osservazioni in RENDA, Illitteratum, cit. n. 18, pp. 13-49 e 199-258). Ciò non toglie tuttavia che Fedro sembra applicare in molti contesti il lessico catulliano con finalità analoghe.

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Egli si aspetta proprio per questo il giusto riconoscimento per il suo talento: Brevitatis nostrae praemium ut reddas peto / quod es pollicitus (3, epil., 8-9); si non ingenium, certe brevitatem adproba (4, epil., 7). Na-turalmente il favolista si muove in un orizzonte diverso sul piano del ge-nere letterario, che gli poneva non pochi vincoli poiché le sue ambizioni di innovazione si scontravano con la garanzia offerta dall’auctor Esopo, necessario e prestigioso per la sua opera.

La brevitas di Fedro

Gli intenti del poeta e gli interventi sul genere, d’altronde, determi-nano una prima “tensione” tra novitas e caratteri tipici della favola29,

che spinge il favolista a giustificare e spiegare le sue scelte ribadendo il carattere originale della sua poesia. Proprio per questo egli sostiene l’idea di un perfezionamento formale legato all’uso del senario e ad una scru-polosa variatio sul piano lessicale e sintattico30: muovendosi in un

mu-tato gusto letterario, ormai condizionato dalle recitationes del tempo di Tiberio e dunque più incline ad apprezzare una composizione forbita e altisonante, Fedro coniuga in modo efficace la brevitas come principio retorico di una narrazione priva di “espansioni” non necessarie (corre-data dall’uso delle sententiae adatte al contenuto moralistico delle favole) con una ricchezza del lessico, che, insieme alla ricerca dell’aptum e del

decorum, supera il mero esercizio e sfoggio retorico perché acquista una

sua vivida naturalezza e sembra necessariamente scaturire dal movi-mento del racconto31.

29 Aesopus auctor quam materiam repperit / Hanc ego polivi versibus senariis (1, prol., 1-2);

equidem omni cura morem servabo senis. / sed si libuerit aliquid interponere, / dictorum sensus ut delectet varietas, / bonas in partes, lector, accipias velim / ita, si rependet illi brevitas gratiam (2, prol., 8-12); quoniam occuparat alter ut primus foret, / ne solus esset, studui, quod superfuit. (2,9,5-6); Quare, Particulo, quoniam caperis fabulis, / (quas Aesopias, non Aesopi, nomino, / quia paucas ille ostendit, ego plures sero, / usus vetusto genere sed rebus novis) (4, prol., 10-13); Quicquid putabit esse dignum memoria, / Aesopi dicet; si quid minus adriserit, / a me contendet fictum quovis pignore (4,22,3-5); Aesopi nomen sic ubi interposuero, / cui reddidi iam pridem quicquid debui, / auctoritatis esse scito gratia; (5, prol., 1-3).

30 Sulla scelta del senario cfr. A. GUAGLIANONE, Fedro e il suo senario, «RSC» 45, 1968, pp. 91-104; A. CAVARZERE, Ego polivi versibus senariis: Phaedrus and Iambic Poetry, in CAVARZERE, ALONI, BARCHIESI, Iambic Idea, cit. n. 8, pp. 205-217. Sulla cura del lessico e

gli esiti formali della brevitas di Fedro, cfr. M. MASSARO, Variatio e sinonimia in Fedro, «InvLuc» 1, 1979, pp. 89-142; C. CHAPARRO-GOMEZ, Aportación a la estética de la fábula greco-latina: análisis y valoración de la brevitas fedriana, «Emerita» 53, 1986, pp. 123-150.

31 Cfr. Massaro, Variatio, cit. n. 30, che riconosce una serie di esempi di arte allusiva e ripercorre alcuni luoghi individuati da altri studiosi per sostenere appunto la lettura diretta dei “classici” da parte del poeta; pur non riportando esempi, sostiene che tra i modelli di Fedro ci sia anche Catullo (p. 140, n. 150).

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Ad uno dei testi meno “esopici” e più lunghi della raccolta è affidato il compito di rinnovare ed evolvere la sua poesia: nel racconto di un omicidio involontario del figlio da parte del padre, nel quale si coglie fortemente l’in-flusso delle declamazioni32, il favolista afferma: haec exsecutus sum

propte-rea pluribus / brevitate nimia quoniam quosdam offendimus (3,10,59-60).

La brevitas come criterio poetico fondante deve infatti fare i conti con il nuovo gusto del pubblico, affascinato da una poesia più adatta ad una

performance orale e si scontra anche con l’esigenza personale del poeta di

continuare a scrivere e di inserire testi nuovi: a proposito del genere favo-listico, come mezzo di espressione della servitus obnoxia, Fedro aggiunge:

Ego illius (scil. Aesopi) pro semita feci viam / et cogitavi plura quam reli-querat / in calamitatem deligens quaedam meam (3, prol., 38-40).

Il passo, che si colloca nell’autodifesa del poeta esposta al prologo terzo, ha suggerito agli studiosi la volontà dell’autore di rinnegare la poe-tica callimachea a cui il contrasto tra sentiero ed ampia strada allude33;

mi sembra tuttavia che l’uso dell’immagine sia in questo caso non tanto legata all’aspetto estetico-letterario della poesia di Fedro, quanto alle im-plicazioni ideologiche legate alla scelta del genere: il poeta afferma che lo schermo necessario per la denuncia morale da parte dei deboli è di-ventato nelle sue mani uno strumento più ampio ed efficace, tanto da spingerlo a creare nuovi racconti che meglio definissero il complesso spettro dei comportamenti della società del suo tempo, anche se questa scelta gli ha creato problemi personali. Dobbiamo inoltre sottolineare che tutto il discorso è ironicamente introdotto dalla citazione del men-zognero Sinone di Aen. 2,77 e ss. (sed iam quocumque fuerit, ut dixit

Sinon, 3, prol., 27), che rende sospette le argomentazioni di tale difesa, e

dunque anche l’artificioso ed ironico capovolgimento degli ideali calli-machei, che non doveva sfuggire ad un lettore non illitteratus.

32 Cfr. Chiara Renda, Fedro e la calumnia: il lessico giuridico per l’interpretazione del messaggio al lettore, «GIF» n.s. 1, 2010, pp. 139-171.

33 In particolare J. HANDERSON, Telling Tales on Caesar: Roman Stories from Phaedrus, Oxford

2001, pp. 81-84; Ulriche GÄRTNER, Levi calamo ludimus. Zum poetologischen Spiel bei

Phae-drus, «Hermes» 135, 2007, pp. 429-459 e P. GLAUTHIER, Phaedrus, Callimachus and the

recu-satio to Success, «CA» 28, 2009. Il notissimo passo di Callimaco è il frammento 1,25-28 degli Aitia, in cui il poeta afferma che non si devono seguire le impronte degli altri (poeti) e che si deve spingere il cocchio non per la via più larga, ma per sentieri nuovi, anche se più angusti. Il capovolgimento ironico mi sembra evidente già nell’affermazione iniziale di Fedro, che dichiara di seguire il tracciato esopico, contro l’affermazione di originalità sostenuta da Callimaco. Sul testo di Callimaco, oggetto di tantissimi studi, rimandiamo al commento di G. MASSIMILLA, Callimaco, Aitia, libri primo e secondo: Introduzione, testo critico, traduzione e commento, Pisa 1996, ad loc. e a G. D’ALESSIO, Callimaco. Aitia, Giambi ed altri frammenti, Milano 1996, ad loc.

(12)

La scelta di un genere “minore” e le aspettative di successo di Fedro lo spingono a difendere la sua opera da possibili detrattori in più luoghi della raccolta ed è significativo che egli scelga di difendersi richiamando proprio dei contesti callimachei34che costituiscono una prova della sua

doctrina, garanzia del suo talento poetico.

Se infatti consideriamo i passi legati al livor con cui la sua opera potrà essere accolta, troviamo un Fedro dubbioso: si Livor obtrectare curam

voluerit, / non tamen eripiet laudis conscientiam / si nostrum studium ad aures cultas pervenit / [...] omnem querelam submovet felicitas. / Sin autem rabulis doctus occurrit labor / sinistra quos in lucem natura extulit

[...] fatale exilium corde durato feram, / donec Fortunam criminis pudeat

sui (2,9); hunc obtrectare si volet malignitas / imitari dum non possit, ob-trectet licet (4, prol., 15-16).

Anche in 4,22 egli teme che alla sua opera verrà attribuito un merito solo dove si riconoscerà la mano di Esopo: Quid iudicare cogitas, Livor,

modo? / Licet dissimulet, pulchre tamen intellego / Quicquid putabit esse dignum memoria / Aesopi dicet. Ma rispetto a tale rischio la risposta di

Fedro è netta e consapevole: Quem volo refelli iam nunc responso meo: /

sive hoc ineptum sive laudandum est opus, / invenit ille, nostra perfecit manus. Come nell’Inno ad Apollo di Callimaco, del resto, anche la

con-tesa con il livor sembra concludersi nel segno di un’orgogliosa vittoria del poeta: nel primo caso infatti Callimaco esclama: χαῖρε ἄναξ ὁ δὲ Μῶμος ἴν’ὁ φθόνος ἔνθα νέοιτο, così come Fedro, in analoga direzione, afferma: Ergo hinc abesto, Livor, ne frustra gemas, / quom iam mihi

sol-lemnis dabitur gloria (3, prol., 60-6135).

34 Rispetto ad una più antica e consolidata linea di studi, oggi diversi studiosi tendono ad una rilettura delle dichiarazioni programmatiche di Fedro, che, cogliendo l’inappropriatezza delle ambizioni del poeta e anche individuando i riferimenti dotti ad una letteratura “alta”, giungono ad attribuire a questi testi una chiave ironica che in molti casi rovescerebbe il senso stesso delle riflessioni di Fedro. Sebbene il dettato a volte ambiguo del favolista, legato naturalmente all’in-tento moralistico della sua opera e alla difesa delle sue ragioni, possa in alcuni casi rivelare un atteggiamento ironico, non credo che lo si possa attribuire alle sue scelte di poetica, sostenute con veemenza e tutto sommato non destinate al fallimento perché volutamente sconfessate, ma per il mutato orizzonte in cui l’opera si inserisce. Sulla linea (a mio parere eccessiva) di S. KOSTER, Phädrus: Skizze seiner Selbstauffassung, in P. Neukam (Hrsg.), Die Antike im Brennpunkt (Klassische Sprachen und Literaturen 25), München 1991, pp. 59-87, cfr. anche GÄRTNER, Levi, cit. n. 33, pp. 429-459 e, proprio in riferimento a Callimaco, GLAUTHIER, Phae-drus, cit. n. 33, pp. 248-278, le cui interessanti premesse sfociano secondo me in conclusioni difficilmente condivisibili.

(13)

Il cattivo poeta di Fedro: un altro Suffeno.

La decisione di scrivere ancora, forse legata alla condizione non agiata dell’autore, resta accompagnata alla preoccupazione di non diventare un cattivo poeta che scrive “troppo” come il Suffeno di Catullo, lontano dal callimachismo a cui si ispira36: il libro quarto si chiude infatti con

Adhuc supersunt multa quae possim loqui, / et copiosa abundat rerum va-rietas; / sed temperatae suaves sunt argutiae, / immodicae offendunt [...] certe brevitatem adproba; / quae commendari tanto debet iustius, / quanto cantores sunt molesti validius (4, epil. 1-4; 7-9).

Il riferimento ai poetastri richiama la nota riflessione di Orazio, epist. 2,2,106-108: Ridentur mala qui componunt carmina; verum / gaudent

scribentes et se venerantur et ultro, / si taceas, laudant quicquid scripsere beati. Nel passo oraziano compaiono alcuni motivi propri del Suffeno

catulliano: la condizione di felicità che li caratterizza (beatus / beati), il piacere nello scrivere versi (tam gaudet / verum gaudent) e naturalmente l’autocompiacimento ingiustificato per il proprio talento (se ipse

mira-tur / se veneranmira-tur37). Proprio quest’ultimo motivo e il si taceas sembra

offrire lo spunto a Fedro per presentare un “altro Suffeno”: Aesopo quidam scripta recitarat mala,

in quis inepte multum se iactaverat. Scire ergo cupiens quidnam sentiret senex, “Num quid tibi” inquit “visus sum superbior?” Haud vana nobis ingeni fiducia est."

Confectus ille pessimo volumine,

“Ego” inquit “quod te laudas vehementer probo; namque hoc ab alio numquam contiget tibi.” (app. 9)

Il riferimento ai cantores molesti di 4, epil., 7-9 e il divertente apologo sul cattivo poeta rivelano una posizione di Fedro molto vicina al giudizio negativo di Catullo sull’abbondanza di versi di Suffeno, e sembra richia-mare anche la riflessione di Orazio, che si allinea sulle posizioni catul-liane e fa da cerniera tra il carme 22 di Catullo e il testo di Fedro:

36 Il topos, di ascendenza oraziana (epist. 2,1,3) del ricorso del poeta alla brevitas per non tediare il pubblico con l’eccessiva scrittura verrà assunto e declinato da Marziale, che, sebbene nessuno lo segnali, sembra aver presente il precedente di Fedro, e non sarebbe una sorpresa, visto che è l’unico autore latino a citarlo nei suoi versi. Sui proemi di Marziale e alcune dichiarazioni di poetica cfr. Antonella BORGO, La Praefatio del II libro di Marziale, «BStudLat» 31 2, 2001,

pp. 497-506; Antonella BORGO, Retorica e poetica nei proemi di Marziale, Napoli 2003,

pp. 41-75.

37 L’accostamento tra il carme di Catullo e il passo di Orazio è suggerito da FEDELI(a c. di), Q. Orazio Flacco, cit. n. 20, II, 4, pp. 1425-1426.

(14)

nell’apologo del favolista ritroviamo i temi catulliani e oraziani declinati nella forma del contrasto verbale, tipica di Fedro, da cui scaturiscono il vano compiacimento del poeta e probabilmente la lungaggine degli

scripta mala (rintracciabile in confectus), cui si aggiunge una sapida

ri-flessione finale che sembra chiudere il cerchio della riri-flessione del Vero-nese aperta con il carme 22: è meglio che il poeta non sia in grado di giudicare sé stesso e si lodi da solo, perché non troverà nessun altro di-sposto a farlo.

Università degli Studi di Napoli “Federico II” Dipartimento di Studi Umanistici

Via Porta di Massa, 1 80133 Napoli

CHIARARENDA

(15)

(PARS PRIMA– Paideia 83 [I/III])

GIUSEPPINA ALLEGRI, Ai lettori 5

CATULLIANA

Catullo: modelli, tradizione manoscritta, Fortleben

TAMÁSADAMIK

The Structure and the Function

of Similes in Catullus’ Poetry 9

ANTONELLABORGO

Villette, ipoteche e debiti: a proposito di un tema poetico

(Furio Bibaculo frr. 2 e 3 Tr.; Catullo 26) 31

ALBERTOCANOBBIO

Rileggendo il carme 10 di Catullo:

una proposta esegetico-testuale per i versi 9-13 43

GREGSON DAVIS

The text of Catullus Carm. 4,19:

the case for conjectural emendation 57 RITADEGL’INNOCENTIPIERINI

Per una storia della fortuna catulliana in età imperiale:

(16)

SIMONEGIBERTINI

Integrazioni alla bibliografia critica del Codex Traguriensis

(Paris, B. N. F., Latin 7989): 1961-1999 81 ROBERTDREW GRIFFITH

The Clueless Cuckold and the She-Mule’s Shoe

(Catullus 17,23-26) 93

BORISHOGENMÜLLER

Bemerkungen zur Intra- und Intertextualität

von Cat. c. 68,1-10 103

WOLFGANG HÜBNER

„Katulla“ – Geschlechtsumwandlung bei Catull 117

KONRADKOKOSZKIEWICZ

A Note on Catullus 68b,157-158 139 DAVID KONSTAN

Two Trips to Bithynia? A Note on Catullus’ Phaselus 147

LEAHKRONENBERG

Catullus 34 and Valerius Cato’s Diana 157

ALFREDO MARIO MORELLI

“Il disunito filo che ci unisce”.

La traduzione catulliana di Enzo Mazza 175 CAMILLONERI

“Fiamme gemelle”.

Storia di un (possibile) rapporto intertestuale 203

JOHNKEVINNEWMAN

Catullus and Love Poetry 221

MARIANTONIETTAPALADINI

Ancora sul carme 17 di Catullo:

(17)

PAOLAPAOLUCCI

L’imbarcazione, il mulattiere ed il fungo 269 MARIACHIARA SCAPPATICCIO

Sopionibus scribam (Catull. 37,10).

Sacerdote, Petronio, Syneros, Catullo: una nota esegetica 279 MARIATERESASCHETTINO

Catullo e i suoi sodales:

una generazione sospesa tra le guerre civili 295 ÉTIENNEWOLFF

Catulle (ou son absence) dans la poésie

de Janus Pannonius (1434-1472) 325

ARTICOLI E NOTE

LUIGIBELLONI

La parola ‘eschilea’ di Ildebrando Pizzetti

in Assassinio nella Cattedrale 335

PAOLOCUGUSI

Osservazioni testuali su carmi epigrafici latini 361

PIERRE-JACQUESDEHON

Priape et les quatre saisons:

un élément pour la chronologie des Priapea? 391

ROBERTAFRANCHI

In bonam et in malam partem:

la simbologia del corvo dalla Bibbia a Boccaccio 407 FABIOGASTI

(18)

SIMONEGIBERTINI

Properzio 1,1,1 nel ms. Paris, B. N. F., Latin 7989 451 MARIARITAGRAZIANO

Abstracta e personificazioni in Lucano 463

VINCENZOLOMIENTO

Il discorso di Anchise (Aen. 6,724-751):

l’intreccio e le maglie del testo 489

MASSIMOMAGNANI

L’Eolo di Euripide e le genealogie degli Eoli 511 GRAZIAMARIAMASSELLI

Clizia in fiore: metamorfosi per amore 529 CLAUDIOMICAELLI

Osservazioni sull’Inno VIII

del Cathemerinon di Prudenzio 547

ALESSIAMORIGI

Fuori porta.

Dati inediti sulle ville extraurbane di Parma dagli scavi

e dalle prospezioni in via Forlanini e in via De Chirico 567

RENATOONIGA

Il latino nella formazione intellettuale europea

in età moderna e contemporanea 593 TIBERIUPOPA

Virgil’s Eclogues and the Aesthetics of Symmetry 613

GUALTIEROROTA

L’Irrisio Gentilium Philosophorum:

“neurospaston” da Clemente al... Pinoculus di Maffacini

(Herm. Irris. 12,4) 631

GUALTIEROROTA

Michele Psello e un esempio di “risemantizzazione cristiana”:

(19)

ARIANNASACERDOTI

A proposito di Antigone

e di “disambientazioni” del personaggio 665

RICCARDOVILLICICH

Teatri di età ellenistica nell’Epiro e nell’Illiria meridionale: alcune riflessioni 681

LORIANOZURLI

Alcestis Barcinonensis ed Aegritudo Perdicae.

(20)

(PARS SECUNDA – Paideia 83 [II/III])

GIUSEPPINA ALLEGRI, Ai lettori 721

CATULLIANA

Catullo: modelli, tradizione manoscritta, Fortleben

NEIL ADKIN

Cunni(ng) cacemphaton in Catullus 725

EMANUELAANDREONIFONTECEDRO

Una “citazione” nascosta di Catullo in Cicerone? 733 KRYSTYNABARTOL

Catullo, 64,19-21: una reminiscenza alcaica? 739

ALESSIABONADEO

Pranzo al sacco o tenzone poetica?

Una rilettura di Catull. 13 749

GABRIELE BURZACCHINI

Memoria saffica in Catullo: un nuovo caso? 775

MALCOLM DAVIES

Catullus 61: cletic and encomiastic conventions 795

ROSALBADIMUNDO

(21)

PAOLOGATTI

Nonio Marcello e Catullo 829

JOHNGODWIN

The Ironic Epicurean in Poems 23, 114, 115 837 STEPHEN HARRISON

Further notes on the text and interpretation of Catullus 853 FREDERICKJONES

Catullus’ libellus and Catullan aesthetics 867 BORISKAYACHEV

Catullus 64,71: a textual note 891 SEVERIN KOSTER

22: Ein anderer Catull? 895

DAVID KUTZKO

Isolation and Venustas

in Catullus 13 and the Catullan Corpus 903

MIRYAM LIBRÁNMORENO

El ave daulíade: Catul. 65,12-14 y sus precedentes griegos 925

GIANCARLO MAZZOLI

Iam: una particella molto catulliana 937

LUIGIPIACENTE

Catullo a casa Guarini 955

BRUNAPIERI

Nimio Veneris odio: Catullo ‘tragico’ in Seneca ‘lirico’ 967

RÉMYPOIGNAULT

Catulle chez Marguerite Yourcenar 989 GIOVANNIPOLARA

(22)

CHIARARENDA

Riflessi catulliani nella poetica di Fedro 1025 MARCOSRUIZ SÁNCHEZ

Catulo ante la encrucijada de los géneros 1039 STEFANIASANTELIA

‘Riusi’ di Orienzio:

saggio di commento a Comm. 1,1-42; 2,1-12 e 407-418 1063 ALDOSETAIOLI

La dedica di Catullo a Cornelio Nepote 1091 GIUSEPPESOLARO

Cesare, Clodia e quell'eterno tormento 1107 RENZOTOSI

Osservazioni in margine al carme 86 di Catullo 1115 TIMOTHYPETER WISEMAN

Why is Ariadne Naked? Liberior iocus in Catullus 64 1123

ARTICOLI E NOTE

RENATOBADALÌ

Medici poeti 1169

MARIAANTONIETTA BARBÀRA

L’esegesi di Cantico dei cantici 2,6 e 8,3

di Cirillo di Alessandria 1177

FRANCISCAIRNS

(23)

GIOVANNICIPRIANI- GRAZIAMARIAMASSELLI

Come debellare la febbre malarica in Roma antica:

i magi, i medici e il “buon” uso della parola 1229 PAULCLAES

Allegory in Horace’s Soracte ode 1261

EDOARDOD’ANGELO

Il motivo della ‘fanciulla perseguitata’

nell’agiografia latina 1269

FRANCESCODEMARTINO

Filologia e Folklore:

Giorgio Pasquali e le vestigia della “covata” 1285 PAOLOFEDELI

‘Si licet exemplis in parvo grandibus uti’.

Ovidio, all’ombra dei mitici esempi 1307

CRESCENZOFORMICOLA

Vergilium vidi tantum:

intertestualità virgiliana nella poesia ovidiana dell’esilio 1321 ALFREDOGHISELLI

Inno a Roma 1343

GIANNIGUASTELLA

L’Agamennone di Evangelista Fossa

e i primi volgarizzamenti delle tragedie senecane 1353 DAVID PAYNEKUBIAK

The Muses in the Prologue of Cicero’s Aratea 1373

CLAUDIOMORESCHINI

La formazione di un platonico: dalla Difesa della Comedia di Dante

(24)

ANTONIOVINCENZO NAZZARO

L’immagine salmica delle cetre appese ai salici

nella poesia italiana 1405

MARIAROSARIAPETRINGA

A proposito di due passi della parafrasi del libro di Giosuè

nel poema dell’Heptateuchos 1423

GIANNA PETRONE

Il volto della maschera.

Su alcuni effetti drammaturgici del teatro senecano 1429

ANTONIOSTRAMAGLIA

Si può mentire sotto tortura? Nota a Ps. Quint. decl. 7,6 1455

ANDREATESSIER

(25)
(26)

Registrazione presso il Tribunale di Parma del 25-11-2004

ISSN: 0030-9435

Stampa

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Hans-Christian Günther, Stephen J. Harrison, Andrés Pociña Pérez, Wolfgang Rösler COMITATO SCIENTIFICO INTERNAZIONALE DI CATULLIANA:

Paolo Fedeli, Julia Haig Gaisser,

Antonio Ramírez de Verger, Ulrich Schmitzer SEGRETERIA DI REDAZIONE: Susanna Bertone, Giovanni Grandi

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