È costituita da campi elettrici e magnetici oscillanti nello spazio e nel tempo
che si propaga lunga una direzione.
Il campo elettrico e magnetico sono perpendicolari tra loro ed alla direzione
di propagazione dell’onda.
In fisica, un campo magnetico è un campo, in un certo spazio, che esercita una forza magnetica su cariche elettriche in movimento e su dipoli magnetici. Campi
magnetici circondano correnti elettriche, dipoli magnetici, e campi elettrici variabili. In fisica, lo spazio che circonda una carica elettrica, od in presenza di un campo magnetico si chiama CAMPO ELETTRICO. Esso esercita una forza su altri oggetti carichi. Forza di attrazione di carica elettrica per unità di carica.
Si dice lunghezza d’onda () la distanza spaziale tra due massimi dell’onda.
La frequenza () è il numero di onde in un secondo.
e
sono correlate dalla seguente relazione:
=c/
c è la velocità della luce ~ 3×10
8m/s.
•
L’ampiezza (A) rappresenta la distanza tra il massimo dell’onda e la
direzione di propagazione
h = costante di Planck = 6.626 · 10
-34J · s: è un numero piccolissimo!!!!
Maggiore è la lunghezza d’onda () di una radiazione elettromagnetiche e
minore è la sua energia.
Quindi l’energia e la lunghezza d’onda sono inversamente proporzionali!!!!
Maggiore è la frequenza (
) di una radiazione elettromagnetica e
maggiore è la sua energia.
Quindi l’energia e la frequenza sono direttamente proporzionali!
Esiste una relazione tra la frequenza di una radiazione elettromagnetica e la
sua energia:
?
Questo cosa comporta????
h
h
c
La luce visibile occupa solo una piccola porzione della
zona centrale dello spettro.
L’occhio umano è sensibile alle sole radiazioni
elettromagnetiche dello spettro comprese tra 380 e 780
nm
Tutte le onde elettromagnetiche sono classificate in base alle loro frequenze caratteristiche all'interno di quello che è noto come:
SPETTRO ELETTROMAGNETICO
Raggi X UV VIS IR RADIO AC Raggi RADAR-TV FM/SW/AM/LW
PER UN ATOMO
PER UNA MOLECOLA
ENERGIA INTERNA
E
a= E
0+ E
e+ E
tENERGIA INTERNA
E
m= E
0+ E
e+ E
t+ E
r+ E
vQuando la materia interagisce con la radiazione elettromagnetica si può avere una variazione del suo stato energetico.
L’energia totale di un atomo, e quindi di una molecola, è quantizzata, ovvero può assumere solo determinati valori. Tale energia risulta composta dalla seguente somma:
E
TOT=
E
E+
E
V+
E
R+
E
T+
E
NCOME LA RADIAZIONE INTERAGISCE CON LA MATERIA
Ogni atomo, e quindi ogni molecola, ha un set unico di stati energetici, ciascuno dei quali, a sua volta è quantizzato.
La spettroscopia UV è detta anche spettroscopia elettronica perché le transizioni coinvolte nell’assorbimento della radiazione UV-Visibile sono quelle
elettroniche.
Affinchè una radiazione generi una transizione elettronica è necessario che la sua energia sia uguale al dislivello energetico tra i due stati elettronici.
E
0E
1Stati
elettronici
V
0V
1Stati
vibrazionali
L’ASSORBIMENTO
Se una sostanza è irradiata con una radiazione elettromagnetica, le particelle di cui essa è costituita possono interagire con i fotoni della radiazione.
Se una particella ha livelli di energia elettronica E0, E1 ecc., ed i fotoni hanno una frequenza h = E1 – E0 un elettrone della particella può essere eccitato dal livello fondamentale E0 al livello eccitato E1. Il processo in cui il fotone promuove l'eccitazione dell'elettrone si chiama assorbimento.
E
0E
1h = E
1– E
0E
0E
1Elettroni n e p
Gli elettroni coinvolti nelle transizioni possono essere di tipo p (legami multipli) oppure n (non legame); gli elettroni di tipo s (legami semplici) hanno energie superiori all’UV
Teoria degli orbitali molecolari
E’ noto che i legami covalenti sono dovuti alla messa in comune di due elettroni spaiati e possono essere descritti in termini di sovrapposizione di coppie di orbitali atomici: dalla
combinazione lineare delle due funzioni d’onda, indicate con Ψa e Ψb si ottengono due orbitali molecolari, indicati con Ψ (psi), estesi cioè alla coppia di atomi interessata dal legame, secondo il metodo LCAO (Linear Combination of Atomic Orbitals):
-un orbitale legante a minore energia, in cui si ha addensamento di carica tra i due atomi: Ψ = Ψa + Ψb
- un orbitale antilegante a maggiore energia in cui si ha separazione di carica tra i due atomi: Ψ = Ψa - Ψb
La coppia di elettroni si dispone nell’orbitale legante ed in tal modo si realizza un guadagno energetico che giustifica la formazione del legame covalente. In generale dalla combinazione di 2n orbitali atomici si ottengono 2n orbitali molecolari: n orbitali leganti ed n antileganti. La
teoria dell’orbitale molecolare (MO) è quindi in grado di spiegare la natura e le proprietà dei legami covalenti.
A seconda del tipo di sovrapposizione si possono avere:
- orbitali σ derivanti dalla sovrapposizione frontale di orbitali atomici, ovvero orbitali molecolari in cui la massima densità di carica, cioè la sovrapposizione degli orbitali atomici, si trova lungo la congiungente i due nuclei atomici
Teoria degli orbitali molecolari
Nel caso di un atomo monoelettronico come l’H che forma la molecola H2 la
situazione è semplice:
I segni che compaiono nel disegno si riferiscono al segno della funzione d’onda Ψ e non hanno niente a che vedere con la carica elettrica, poiché gli orbitali contengono sempre gli elettroni che hanno ovviamente carica negativa. Nella molecola dell’idrogeno H2, si formano due orbitali σ, uno legante e l’altro antilegante in seguito alla sovrapposizione frontale dei due orbitali 1s degli atomi di idrogeno; gli elettroni di legame si dispongono entrambi nell’orbitale legante σ mentre quello antilegante σ*, a maggiore energia, rimane disponibile per transizioni elettroniche provocate dall’assorbimento di radiazioni aventi un’energia pari alla differenza di energia dei due orbitali: ΔE = h·ν. In tal modo si spiega la capacità di H2 di assorbire radiazioni elettromagnetiche
Teoria degli orbitali molecolari
Quando si legano atomi poliettronici la situazione è più complessa, in quanto vi sono non solo orbitali s ma anche orbitali p, che si possono sovrapporre frontalmente o lateralmente ed orbitali contenenti doppietti spaiati, che rimangono tali anche nella molecola; questi sono detti orbitali n (non leganti).
Frontale
Teoria degli orbitali molecolari
A fianco è riportato l’esempio della molecola biatomica O2 (diversa sarebbe la situazione per atomi a diversa elettronegatività, in cui gli orbitali atomici puri non avrebbero avuto la stessa energia).
L’O ha numero atomico pari a 8 ed ha la seguente configurazione atomica: 1s2 2s2 2p4.
Gli 8 elettroni di ciascun atomo di O si accoppiano con quelli dell’altro e si dispongono nei vari orbitali molecolari. Come si vede nel livello di valenza si trovano due doppietti che formano i due legami covalenti e due doppietti spaiati che si trovano in orbitali n non leganti. Anche in questo caso vi sono degli orbitali molecolari non leganti disponibili ad accettare elettroni promossi in quell’orbitale per effetto dell’assorbimento di una radiazione di adatta energia e ciò spiega la capacità di O2 di assorbire radiazioni elettromagnetiche di adatta energia
Transizioni elettroniche
Le transizioni elettroniche più comuni sono illustrare nella figura sottostante. Esse si verificano se nel campione sono presenti molecole aventi cromofori, cioè gruppi funzionali in grado di assorbire la luce, come il gruppo –NO2 (nitro), -N2- (azo)
Solo le transizioni di elettroni n e p hanno energie nel range 200-800 nm, quindi rivelabili con l’UV-visibile
La λ necessaria per la transizione è tanto maggiore quanto minore è il dislivello energetico
TIPO DI TRANSIZIONE
LUNGHEZZA D’ONDA DELLA RADIAZIONE NECESSARIA PER OTTENERE LA TRANSIZIONE
σ σ*
→
110 – 135 nm
π π*
→
n σ*
→
160 – 255 nm
n π*
→
> 285 nm
s s* p p* n E N E R G I AREGOLE DI SELEZIONE
Le transizioni σ σ* → sono quelle che cadono ad energia più elevata e corrispondono ad un processo di rottura dello scheletro molecolare organico costituito da legami sigma, che assorbono a lunghezza d’onda piuttosto basse (<135 nm) ovvero nel lontano UV. Poiché a queste λ assorbe anche l’ossigeno atmosferico, queste transizioni non sono utili. Un elettrone in un orbitale di legame s viene eccitato al corrispondente orbitale di non legame. L’energia richiesta è grande. Ad esempio il metano, che possiede solo legami s C-H, può dar luogo solo a questo tipo di transizione mostra un massimo di assorbanza a 125nm . Transizioni di questo tipo non sono quindi visibili con i normali spettrofotometri e bisogna far ricorso a tecniche di registrazione “in vuoto”.
REGOLE DI SELEZIONE
Transizioni tipiche degli
Le transizioni n π* ed n σ * si hanno ogni qualvolta un eteroatomo con un doppietto elettronico inerte sia incorporato in un sistema π o in un sistema σ. Le bande relative a queste transizioni non sono intense. Composti saturi contenenti atomi con “lone pair” (coppie elettroniche non condivise) (O, N, S) sono capaci di dare questo tipo di transizione. Queste transizioni generalmente richiedono meno energia rispetto alla σ-σ* e vengono promosse da radiazioni comprese tra i 150-250 nm. Solo gli ioduri arrivano a 255-260 nm e pertanto sono visibili con i normali spettrometri. I composti organici che possono dar luogo a queste transizioni sono: AMMINE, ALCOLI, TIOALCOLI, ETERI, TIOETERI, ALOGENODERIVATI.
Gruppi funzionali contenenti legami π possono dare assorbimento nella regione 160-255 nm grazie alle transizioni π π* e π σ * Prendendo in considerazione un’olefina semplice, la transizione più importante (minore energia) sarà quella tra gli orbitali HOMO e LUMO (π - π* ). In sistemi semplici essa avviene a 170-200 nm per cui non ènormalmente rilevabile. Diverso è invece il discorso quando si ha un diene coniugato, poiché le diolefine assorbono in una regione accessibile all’UV. (Es. Butadiene 210 nm). Aumentando il numero dei doppi legami coniugati, la transizione π π* diviene sempre più importante.
Parallelamente, all’aumento della lunghezza d’onda si osserva l’aumento dell’intensità del segnale prodotto da sistemi che presentano una coniugazione sempre più estesa. Questo aumento di intensità è funzione di un parametro, caratteristico per ciascuna molecola, e che viene indicato con il termine di coefficiente di estinzione molare e. Tale parametro è legato alle caratteristiche strutturali della molecola dalla seguente equazione:
in cui P rappresenta la probabilità di transizione (compresa tra 0 ed 1) ed a è invece l’area del
sistema molecolare colpito dalla radiazione elettromagnetica ed in grado di assorbire
quest’ultima. P è una quantità che dipende dalla simmetria molecolare degli stati elettronici tra i quali avviene la transizione, è piuttosto difficile da calcolare ma per i polieni è sempre uguale ad 1.
Poiché al crescere del numero dei doppi legami P non cambia, mentre diventa via via maggiore l’area colpita dalla radiazione (a) dobbiamo attenderci un aumento del coefficiente di estinzione molare parallelamente all’aumentare delle dimensioni del sistema coniugato.
Gruppi cromofori
Alcuni esempi di gruppi cromofori con i relativi coefficienti di estinzione molare o assorbività molare (e)
Cromoforo Esempio Transizione max, nm e Solvente
C=C Etene p p* 171 15,000 esano CC 1-Esino p p* 180 10,000 esano C=O Etanale n p*p p* 290 180 15 10,000 esano N=O Nitrometano n p*p p* 275 200 17 5,000 etanolo C-X X=Br X=I Metil bromuro o ioduro n s* n s* 205 255 200 360 esano
EFFETTO DEI SOSTITUENTI
Il comportamento di un cromoforo, che interagisce con la radiazione incidente assorbendola se questa ha una energia adatta, può essere modificato dall’interazione con i sostituenti, cioè con l’intorno del cromoforo (auxocromi): si può modificare sia la λ che il coefficiente molare di assorbimento ε.
Gli effetti dei sostituenti sono:
- effetto batocromico: diminuisce il ΔE della transizione aumentando la relativa λ assorbita (vedi equazione di Plank); può essere causato da sostituenti che aumentano l’E dell’orbitale legante o diminuisce quella dell’orbitale antilegante o entrambe
- effetto ipsocromico: è opposto al batocromico; aumenta il ΔE della transizione e quindi si riduce la λ richiesta per la transizione elettronica
- effetto ipercromico: si ha quando viene aumentato il coefficiente ε sia per un aumento della probabilità della transizione che per un aumento della superficie del cromoforo; aumenta quindi l’assorbanza ma rimane costante λ assorbita
- effetto ipocromico: è opposto all’ipercromico e provoca una diminuzione di ε ed una corrispondente diminuzione dell’assorbanza
APPLICAZIONI DELLA SPETTROFOTOMETRIA
• Analisi quantitatitiva: Misura della concentrazione di molecole che assorbono la radiazione UV
Misura della concentrazione di molecole che non assorbono la luce, dopo derivatizzazione con un cromoforo o conversione chimica in un composto che assorbe la radiazione UV
Studio delle interazioni delle macromolecole (DNA o proteine) con ligandi o altre macromolecole
Studio delle cinetiche di reazione (cinetica enzimatica)
•Analisi qualitativa: identificazione di classi di composti, sia in forma pura che in preparati biologici. Identificazione di intermedi di reazione.
APPLICAZIONI DELLA SPETTROFOTOMETRIA
Analisi qualitativa
Ogni sostanza ha un suo spettro caratteristico: è proprio individuando la posizione dei massimi caratteristici che si realizza l’analisi qualitativa nella spettrofotometria UV-VIS, mediante confronto manuale o computerizzato con una serie di spettri campione.
L’analisi quantitativa in UV-VIS viene fatta costruendo una retta di taratura, secondo la legge di Lambert-Beer, utilizzando una ben precisa λ, detta lunghezza d’onda analitica, scelta in
modo che corrisponda di solito al massimo di assorbimento più intenso:
Infatti in tal modo si hanno i seguenti vantaggi:
- aumenta la sensibilità dell’analisi in quanto si lavora in corrispondenza di un valore di a elevato, per cui a parità di C si ottiene un segnale più intenso
- si riducono gli errori di lettura di A a causa di una non perfetta monocromatizzazione delle luce incidente. Infatti dal grafico si vede che, a parità di errore sulla monocromatizzazione della luce Δλ, lavorando in
corrispondenza di un massimo si rende minimo l’errore di lettura ΔA compiuto su A.
APPLICAZIONI DELLA SPETTROFOTOMETRIA
Analisi qualitativa
E’ spesso difficile ricavare molte informazioni da uno spettro UV. Tale spettroscopia diviene più utile quando si ha già un idea della struttura in modo da poter utilizzare le varie regole empiriche appena presentate. Tuttavia alcune generalizzazioni possono essere di aiuto nell’interpretazione di uno spettro UV che in assenza di altri dati ( infrarosso o NMR) possono essere prese solo come linea guida.
1. Una singola banda di media intensità (e = 100 a 10,000) a lunghezze d’onda inferiori ai 220 nm indica generalmente una transizione n ->s*. Sono possibili Ammine, alcoli, eteri e tioli a patto che gli elettroni di non legame non siano inclusi in un sistema coniugato. Una eccezione a questa generalizzazione è la transizione n ->p* dei nitrili che assorbe in questa regione.
2. Una singola banda di debole intensità (e = 10 a 100) nella regione compresa tra 250 e 360 nm, senza maggiori assorbimenti a lunghezze inferiori (200 - 250 nm), indica di solito una transizione n-> p*. Questo può indicare la presenza di un cromoforo semplice o non coniugato nel quale è contenuto O, N, o S. Alcuni esempi: C=O, C=N, N=N, -NO2, -CO2R, -CO2H, or -CONH2.
APPLICAZIONI DELLA SPETTROFOTOMETRIA
Analisi qualitativa
3. Due bande di media intensità (e = 1,000 -10,000), entrambe con un max oltre 200 nm, indica in genere la presenza di un gruppo aromatico.
4. Bande di alta intensità (e = 10,000 - 20,000) intorno a 210 nm possono indicare sia la presenza di un chetone a,b-insaturo un diene così o un poliene.
5. Chetoni semplici, acidi, esteri ed altri sistemi contenenti elettroni p mostrano due
assorbimenti uno a lunghezze d’onda maggiori (>300 nm, debole intensità) ed uno inferiori (<250 nm, alta intensità). Con la coniugazione si spostano a lunghezze d’onda maggiori
comepredetto anche dalle regole di Woodward.
6. I composti che sono colorati, assorbono nel visibile. Per assorbire in questa regione devono essere caratterizzati da sistemi coniugati molto estesi o possedere sistemi policiclici aromatici condensati.
APPLICAZIONI DELLA SPETTROFOTOMETRIA
Analisi quantitativa
P
+ L P
•
L
• Esempio di studio delle interazioni
tra una macromolecola (P) ed un ligando (L)
PUNTI ISOSBESTICI
CH3-CH2-OH CH3-CHO
NAD NADH • Esempio di studio di una cinetica di reazione
APPLICAZIONI DELLA SPETTROFOTOMETRIA
APPLICAZIONI DELLA SPETTROFOTOMETRIA
Analisi quantitativa
• Esempio di derivatizzazione N H O O O O O O OH Acatone dry Dmap S N O O Cl N H O O O O O O O S N O OSTRUMENTAZIONE
Sorgenti di energia
Lampade tungsteno: sono utilizzate nel a filamento dicampo VIS sia nei colorimetri che negli spettrofotometri; coprono l’intero campo spettrale da 300 a 930 nm circa. Lavorano a una temperatura di circa 3000 K e richiedono l’uso di stabilizzatori di tensione per emettere energia in modo costante. Contengono un filamento di W che viene riscaldato ad elevata temperatura mediante il passaggio di corrente elettrica (effetto Joule).
Il filamento si riscalda fino all’incandescenza ed emette nel VIS. Migliori prestazioni si
ottengono con le lampade W-alogeno, che forniscono energie più elevate nella zona 300-400 nm grazie alle superiori temperature di esercizio. Queste lampade emettono uno spettro continuo solo nel VS, mentre non sono adatte per l’UV dove producono un’emissione e righe
STRUMENTAZIONE
Sorgenti di energia
Lampada a deuterio: si tratta di una lampada ad arco in cui il cui bulbo di quarzo è riempito di deuterio (D2) a bassa pressione
I due elettrodi contenuti all’interno della lampada vengono sottoposti ad un’elevata differenza di potenziale, fino a che avviene la scarica. L’arco così prodotto ionizza il D2 e lo eccita, provocando un’intensa emissione quasi continua nella regione UV dello spettro (inferiore a 400 nm).
Oggi vengono prodotte lampade allo Xe in grado di emettere sia nel VIS che nell’UV in modo continuo e quindi i moderni apparecchi sono dotati di un’unica sorgente
STRUMENTAZIONE
Monocromatori
Ogni monocromatore è abbinato ad una fenditura, di ampiezza regolabile (dell’ordine di qualche nm), che permette di selezionare l’intervallo di radiazioni desiderato. Si dividono in tre categorie:
Filtri
Prisma
Riflessione Trasmissione
STRUMENTAZIONE
Monocromatori
Ogni monocromatore è caratterizzato da alcuni parametri tipici, tra cui:
- lunghezza d’onda nominale (λn): è la λ corrispondente al massimo di intensità di luce trasmessa, cioè in corrispondenza di Imax (coincide approssimativamente con il colore del
filtro nel caso di filtri colorati per il VIS)
- ampiezza della banda passante (SBW = Spectral Band Width), definita come l’intervallo di lunghezze d’onda che emerge dalla fenditura con un’energia superiore al 50% della radiazione nominale; è quindi la larghezza della banda di trasmissione del monocromatore misurata a Imax/2
Monocromatori a filtro: sono utilizzati soprattutto nel VIS e sono costituiti la lastrine di
vetro colorato, oppure gelatina colorata racchiusa tra due lastrine di plastica trasparente. Trasmettono la luce corrispondente al colore che li caratterizza: per esempio un filtro
verde trasmette appunto luce verde. Filtri di questo genere hanno una SBW di 150-250 nm e quindi sono usati solo in colorimetri impiegati per analisi di routine, in cui non sia
richiesta un’elevata precisione. Si possono utilizzare più filtri in serie, riducendo in tal
modo l’SBW a 35-60 nm ma con forte attenuazione dell’energia trasmessa e quindi perdita di sensibilità.
STRUMENTAZIONE
Monocromatori a prisma: sfruttano il fenomeno fisico della rifrazione, che permette la
separazione angolare delle varie radiazioni che compongono la luce policromatica. Un raggio di luce monocromatica, quando cambia il mezzo di propagazione incidendo sulla superficie di separazione con un angolo i, subisce una rifrazione, cioè una deviazione, a causa della leggera differenza di velocità di propagazione delle luce nei due mezzi; l’angolo di rifrazione viene detto r, è diverso da i e dipende dalla λ incidente. La dispersione di un prisma non è costante in funzione di λ, cioè non è lineare ma aumenta progressivamente dal rosso al violetto: le radiazioni rosse vengono cioè separate meno di quelle violette; ciò costituisce un problema in quanto sarebbe necessario variare l’apertura della fenditura di uscita, restringendola, verso la zona rossa della spettro VIS, per isolare le radiazioni monocromatiche e mantenere all’incirca costante l’ampiezza di banda passante; ciò comporta però una perdita di energia della radiazione incidente, proprio per le radiazioni di per sé meno energetiche
STRUMENTAZIONE
Monocromatori a reticolo: sono oggi i più usati perché producono luce fortemente
monocromatica, hanno una dispersione lineare, sono utilizzabili in qualsiasi zona dello spettro. Sfruttano i fenomeni della diffrazione e dell’interferenza.
STRUMENTAZIONE
Monocromatori
RETICOLO PIANO IN TRASMISSIONE: E’costituito da una pellicola
opaca, depositata su di un supporto rigido trasparente; sulla pellicola vengono tracciate delle incisioni molto sottili e vicine (da 600 a 2000 per mm). La luce policromatica incidente attraversa il sistema in corrispondenza delle incisioni e quindi si producono i fenomeni di diffrazione ed interferenza che sono responsabili della monocromatizzazione della luce emergente dal dispositivo. Una fenditura permette di selezionare una singola lunghezza d’onda.
Ruotando il reticolo, è possibile selezionare le diverse lunghezze d’onda in uscita dalla fenditura realizzare la scansione necessaria per la registrazione di uno spettro.
Reticolo piano in riflessione: si ottiene depositando sotto vuoto su di un supporto
rigido avente un profilo a dente di sega (per es. vetro) una pellicola opaca di alluminio; in seguito si tracciano una serie di incisioni sulla superficie di alluminio, che perde le sue proprietà riflettenti in corrispondenza delle incisioni, che diventano quindi in grado di provocare il fenomeno della diffrazione.
STRUMENTAZIONE
Monocromatori
In questo caso la figura di diffrazione si forma dalla stessa parte della radiazione bianca incidente. La consueta fenditura
permette di isolare una singola radiazione. Da notare che a parità di altre condizioni, le dimensioni complessive risultano inferiori. Anche in questo caso, la selezione delle singole
lunghezze d’onda può avvenire mediante semplice rotazione del reticolo.
STRUMENTAZIONE
Cuvette
Contengono la soluzione in cui è sciolto l’analita ed il “bianco” di riferimento, che serve per eliminare gli assorbimenti della matrice.
Possono avere varie forme (parallelepipedo, cilindro) e vari spessori (normalmente 1 cm, ma anche spessori maggiori, fino a 3-4 cm per soluzioni molto diluite o spessori minori, fino 1-5 mm, per soluzioni molto concentrate). Per il campo VIS-UV si usano i seguenti materiali: polietilene (celle monouso), vetro (solo per il VIS) e quarzo (anche nell’UV).
Le due celle necessarie in uno spettrofotometro a doppio raggio dovrebbero essere perfettamente identiche; per tale motivo andrebbero sempre usate a coppie: in caso di rottura di una di esse, occorrerebbe sostituire anche l’altra. Le celle (di vetro o di quarzo) devono essere sottoposte ad accurata manutenzione: devono essere sempre perfettamente pulite e trasparenti, per cui è bene evitare di toccare le facce non smerigliate con le dita, in quanto si possono lasciare tracce di grasso. Se necessario si immergono una notte in HNO3 diluito 1:1 oppure in H2SO4 diluito con qualche cristallo di K2Cr2O7; usualmente è sufficiente per la loro pulizia acqua distillata, acetone o etanolo.
STRUMENTAZIONE
STRUMENTAZIONE
Rivelatori
Fotocella a vuoto (fototubo): sfrutta l’effetto fotoelettrico,
consistente nell’emissione di elettroni da parte di superfici metalliche colpite da fotoni, che quindi convertono l’energia luminosa in energia elettrica. Si utilizzano metalli con bassi potenziali di ionizzazione (energia necessaria per strappare un elettrone). Per i metalli di transizione il potenziale di ionizzazione è elevato e cade nel campo del UV o addirittura dei raggi X; i metalli alcalini e alcune loro leghe, al contrario, hanno un potenziale di ionizzazione che cade nel campo del VS. Un fototubo è costituito da un tubo a vuoto di vetro (con una finestrella di quarzo per consentire il passaggio sia delle radiazioni VIS sia delle radiazioni UV), contenente un catodo ricoperto di una sostanza fotosensibile (di solito una lega Cs-Sb) e per tale motivo detto anche fotocatodo e da un anodo a griglia, che permette il passaggio delle radiazioni luminose.
Fotomoltiplicatore: sfrutta sempre l’effetto fotoelettrico ma è in
grado di amplificare il segnale prodotto, riuscendo quindi ad essere sensibili ad intensità luminose molto più basse rispetto ai comuni fototubi. In un fototubo, la luce che colpisce il catodo fotosensibile ionizza il materiale del catodo e produce una corrente dell’ordine di 50 μA per lumen mediante emissione primaria; si tratta di un valore molto basso di difficile manipolazione.
STRUMENTAZIONE
Rivelatori
Nei fotomoltiplicatori, vi sono diverse coppie di elettrodi, dette dinodi, tutti ricoperti di materiale fotosensibile, sottoposti a tensioni progressivamente crescenti: in questo modo ogni elettrone espulso da un dinodo viene accelerato dalla crescente tensione elettrica e produce una emissione secondaria di più elettroni sul dinodo successivo. Aumentando il numero dei dinodi e sottoponendoli a tensioni sempre crescenti, si ha la produzione di una “cascata” di elettroni secondari, con amplificazione del segnale anche dell’ordine di 106 volte.
STRUMENTAZIONE
Apparecchi a serie di diodi (DIODE ARRAY)
La luce policromatica prodotta dalla sorgente (lampada a W per il VIS, lampada a D2 per l’UV) dopo aver attraversato il campione incide su di un reticolo in riflessione che disperde la luce; le singole radiazioni monocromatiche vanno su un microchip sul quale sono presenti diverse centinaia di fotodiodi. I fotodiodi sono rivelatori allo stato solido microscopici (qualche nm) incisi con tecniche particolari sul microchip: quando i fotoni li colpiscono generano una microcorrente elettrica che, dopo amplificazione, produce un segnale elettrico con il quale si costruisce lo spettro del campione. Poiché ogni singola radiazione monocromatica eccita un singolo fotodiodo è possibile registrare istantaneamente lo spettro del campione oppure effettuare singole misure di assorbanza a determinate lunghezze d’onda.
APPLICAZIONI PRATICHE
Titolazioni
max 270 nm e = 1450 OH O max 287 nm e = 2600 maxe = 1480 269 nm OMe OH (shift batocromico) max 280 nm e = 1430 NH2 NH3+ max 254 nm e = 160 H+ (shift ipsocromico)APPLICAZIONI PRATICHE
Titolazioni
La spettroscopia UV si presta bene ad analizzare sistemi chimici in trasformazione principalmente se una delle due specie che si interconvertono non da luogo ad assorbimenti. Quindi la spettroscopia UV trova un interessante impiego in studi cinetici e nello studio di titolazioni acido-base. Consideriamo una generica reazione A+B ---> C che può schematizzare la titolazione di A con B, che porta alla formazione di C
Possiamo distingure tre casi:
1. alla frequenza scelta assorbe solo il titolante B
2. alla frequenza scelta assorbe solo la sostanza A
3. alla frequenza scelta assorbe solo il sale
APPLICAZIONI PRATICHE
Calcolo K di equilibrio
La spettroscopia UV può essere utilizzata anche per determinare il valore delle costanti di equilibrio chimico. Si consideri come esempio il seguente equilibrio acido base:
Poiché le due specie A- e AH hanno massimi di assorbimento differenti, il sistema viene trattato come una miscela di due composti. Eseguendo la misura in un sistema tampone, per cui è nota la concentrazione di H+, basta calcolare spettrofotometricamente le concentrazioni di AH ed A- per ricavare la Ka e quindi pKa = -log Ka.
Per essere sicuri che stiamo osservando un equilibrio acido base è opportuno eseguire le misure di Ka in soluzioni tamponate a diversi valori di pH e contenenti la stessa quantità di acido (dissociato + indissociato). Oltre ad ottenere sempre lo stesso valore di di Ka dovremmo osservare, come ogni volta che si hanno in soluzione due specie chimiche in equilibrio, un punto in cui tutte le curve di assorbimento si intersecano (PUNTO
ISOSBESTICO). La presenza di questo punto in cui l’assorbanza resta costante al variare del
pH, costituisce la prova che il nostro sistema è costituito da due soli componenti in rapido scambio tra di loro.
Con il metodo colorimetrico si determina l’ammoniaca totale presente in soluzione (NH3 + NH4+).
La tossicità, però, viene attribuita solo a NH3, la cui presenza in un’acqua dipende dal pH, dalla temperatura e dalla forza ionica.
Nelle acque naturali il pH ha sempre valori tali per cui lo ione ammonio è la forma predominante all’equilibrio. Tuttavia, in acque molto alcaline, NH3 può raggiungere livelli tossici. Il livello di tossicità relativo all’ammoniaca indissociata per gli organismi acquatici è di soli 20 µg/Litro. I risultati più attendibili nel dosaggio dell’ammoniaca si ottengono solo da campioni prelevati di fresco perché l’eventuale flora batterica presente nell’acqua può farne variare rapidamente il contenuto, per ossidazione. Se l’analisi non viene fatta subito è opportuno conservare il campione a temperatura di 4°C dopo averlo acidificato con acido solforico, allo scopo di inibire l’attività biologica dei microrganismi eventualmente presenti nell’acqua.
APPLICAZIONI PRATICHE
DETERMINAZIONE DELLO IONE AMMONIO
(Acque)
Si tratta di un’analisi in assorbimento nel visibile, che deve essere effettuata sul campione (incolore) dopo averlo trattato con un reagente in grado di formare un complesso colorato, la cui λ di massimo assorbimento cade a 420nm. In ambiente alcalino il reattivo di Nessler forma, in presenza di piccole concentrazioni di NH3, una colorazione gialla. Le probabili reazioni sono le seguenti:
APPLICAZIONI PRATICHE
DETERMINAZIONE DELLO IONE AMMONIO
Procedura
2(HgI2·KI) + 2NH3 → 2NH3HgI2 + 2KI 2NH3HgI2 → NH2HgI3 + NH4I
Con il tempo, il complesso NH2HgI3 tende a flocculare; la determinazione colorimetrica, però, non può essere eseguita immediatamente dopo l’aggiunta del reattivo perchè lo sviluppo del colore avviene gradualmente. Calcio, Magnesio, Ferro e Solfuri possono provocare, in presenza del reattivo di Nessler, un intorbidamento della soluzione. L’ inconveniente può essere eliminato facendo precedere all’aggiunta del reattivo di Nessler un pretrattamento con una soluzione Na2CO3 e NaOH, anche se spesso è sufficiente la semplice aggiunta di un tartrato. Inoltre, alcune sostanze organiche causano una leggera alterazione del colore o la formazione di un precipitato. Se ciò dovesse accadere o se la soluzione in esame non risultasse perfettamente limpida e incolore, conviene distillare il campione.
APPLICAZIONI PRATICHE
DETERMINAZIONE DELLO IONE AMMONIO
Procedura
Versare in un matraccio da 100 mL, 1 mL di tartrato, 2 mL di reattivo di Nessler e portare a volume con acqua distillata. Utilizzare la soluzione come bianco.
Trasferire in matracci tarati da 100 mL volumi variabili da 1 a 20 mL (pari a concentrazioni
da 0,1 a 2,0 mg/l di NH3) della soluzione standard diluita. Aggiungere 50 mL circa di acqua distillata e 1 mL di tartrato; agitare bene. Aggiungere 2 mL di reattivo di Nessler e portare a volume con acqua distillata.
Dopo 15 minuti esatti dall’ aggiunta del reattivo di Nessler leggere l’assorbanza (Ast) delle soluzioni a 420 nm.
Aggiungere 1 mL di soluzione di tartrato e 2 mL di reattivo di Nessler ad un’aliquota di campione. Portare a volume con acqua distillata e leggere l’assorbanza a 420 nm nelle stesse condizioni usate per la retta di taratura.