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STORIA - il socialismo: breve excusus sull'ideologia e la storia del movimento operaio

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(1)

Il socialismo

Breve excursus sull’ideologia e la

storia del movimento operaio

(2)

Definizione

• Il socialismo è una dottrina politica che vuole il

riconoscimento di una sostanziale uguaglianza degli

uomini all’interno della società,

• insiste sul fattore economico come condizione per

rendere efficace tale uguaglianza,

• affida alle classi svantaggiate il compito di istituirla,

diffidando delle tradizionali forme di governo in

quanto legate agli interessi delle classi superiori e

quindi incapaci di provvedere al bene comune.

(3)

Socialismo e democrazia

• Per ottenere un’effettiva uguaglianza è necessario

un potere politico che deve dare un indirizzo alla

società, ma questo potere deve essere il più

condiviso possibile, soprattutto da coloro che

tradizionalmente ne sono stati esclusi, cioè i più

deboli e meno abbienti. Quindi i socialisti intendono

dar vita a un sistema di potere democratico – cioè

con la partecipazione di tutti - in cui, IN

PARTICOLARE i più deboli e i meno abbienti devono

poter orientare le decisioni politiche.

(4)

Socialismo e anarchismo

• Alcuni socialisti dicono che la presenza stessa di un

potere nella società implica che alcuni cittadini siano

DIVERSI dagli altri.

• Per garantire un’assoluta uguaglianza sociale è

necessario negare l’esistenza stessa di una struttura di

potere che non si limiti ad amministrare la produzione

economica mettendo in atto le procedure tecniche

necessarie. Tutto il resto è superfluo e dannoso.

• Quindi alcuni socialisti sono ANARCHICI (a- arché =

senza principio, senza guida o potere).

(5)

I socialisti prima di Marx: Henri de Saint Simon

(1760-1825): la scienza emancipa l’uomo

• Saint Simon ha grande fiducia nella possibilità emancipative della

scienza. Agli scienziati bisognerebbe affidare nella società il potere

spirituale (supremo) e agli industriali il potere politico (derivato). La scienza è infatti condizione per il progresso della tecnica e il miglioramento della produzione.

• La politica, condotta da scienziati e dai produttori, deve diventare

scienza della produzione. Tutti i problemi della società sono problemi

risolvibili perché sono questioni di ottimizzazione dell’organizzazione

e della produzione di beni affinché l’umanità sia emancipata dal

bisogno.

• La scienza, che giunge a verità da tutti condivisibili e per tutti uguali, fonda anche una fratellanza universale che sarà in grado di produrre il

(6)

I socialisti prima di Marx: Charles Fourier

(1772-1837). Liberare e coltivare le passioni

• La civiltà attuale accresce la miseria con i suoi meccanismi economici di sfruttamento – per es. nelle catene distributive in cui le merci passando di mano in mano, aumentano di prezzo ma non di valore – e reprime le passioni generando ipocrisia. • Bisogna riorganizzare la società sulla base di unità produttive: i

cosiddetti Falansteri in cui l’organizzazione ottimale della produzione e la libertà più ampia di ricercare il soddisfacimento delle proprie passioni, fondano la comunità degli uomini. Una comunità in cui ciascuno realizza i propri desideri attraverso i beni prodotti in comune e goduti secondo le inclinazioni di ciascuno.

(7)

I socialisti prima di Marx: Robert Owen

(1771-1858): l’intero frutto del lavoro

• Il lavoro che un operaio compie per produrre un bene deve essere

l’unico criterio per definire il valore del bene stesso. L’operaio non

deve essere pagato da altri, perché altri, guadagnando tenderanno o a pagarlo meno del dovuto o ad aumentare artatamente il prezzo del bene prodotto: all’operaio deve andare l’intero frutto del suo

lavoro. In particolare sarà la comunità di lavoro (un gruppo di

operai riuniti in un’azienda) ad incamerare l’intero frutto del lavoro, e sarà il luogo dove gli uomini imparano a lavorare assieme, a capire le esigenze degli altri e a soddisfare in modo giusto le proprie senza svantaggiare il prossimo. La società dovrà essere la

risultante dell’unione di diverse e molteplici comunità di lavoro

(8)

I socialisti prima di Marx: Pierre-Joseph

Proudhon (1809-1865): la proprietà è un furto

• Per Prodhon la proprietà è un furto in quanto è

incameramento e appropriazione del lavoro altrui:

infatti nell’organizzazione attuale il capitalista si

appropria del valore prodotto dalla cooperazione

degli operai, per poi rivenderlo. Siccome il valore di

mercato di un prodotto corrisponde alla quantità

di lavoro impiegata da un operaio a produrlo, il

capitalista per guadagnarci dovrà pagare l’operaio

meno di quanto egli meriti per il suo lavoro. Ciò

fonda una radicale ingiustizia.

(9)

Pierre-Joseph Proudhon: la proprietà è

libertà

• Per evitarla è necessario che la proprietà dei

prodotti sia ricondotta ai lavoratori, i quali devono

anche poter possedere i mezzi di cui fruiscono per

produrre. In questo senso la proprietà, come

strumento di lavoro di cui l’operaio fruisce e

appropriazione dei prodotti, è del tutto accettabile

(la proprietà è libertà).

• Dal punto di vista politico tende ad una concezione

che rifiuta il potere e inclina verso forme di

(10)

Marx: la base economica della società

• Per Karl Marx (1818-1883) la storia politica

degli uomini è determinata dallo sviluppo

dell’economia, nel senso che attorno ai modi

in cui l’uomo produce i beni con i quali

migliora la sua esistenza a questo mondo

(struttura della società) si costruisce la sua

intelaiatura politica, cioè la sua sovrastruttura.

(11)

Marx: la base economica della società,

esempio

• Per esempio quando la tecnica è assai poco

sviluppata, l’economia è prevalentemente agricola e

non è ancora subentrata la divisione del lavoro, la

società non ha bisogno di complesse strutture di

potere e quindi è abbastanza libera ed egalitaria;

• quando invece subentra la divisione del lavoro (in

lavoro intellettuale e manuale) e la necessità di opere

grandi in cui vi sia qualcuno che dirige e altri che

eseguono, allora nasce un potere, e con esso le prime

forme di accaparramento illecito e di sfruttamento.

(12)

Marx: lo sviluppo delle società

• La storia è lo sviluppo delle varie strutture in

relazione dialettica con le loro sovrastrutture. Cioè i

modi di produzione, evolvendo velocemente,

entrano in contraddizione con le relative strutture

politiche che tendono invece a stabilizzarsi e a

procrastinare se stesse (perché gli uomini

difficilmente

abbandonano

il

potere).

Tale

contraddizione genera hegelianamente una sintesi,

cioè una nuova forma di società, con una diversa

sovrastruttura di potere.

(13)

Marx: lo sviluppo delle società, esempio

• Per esempio il modo di produzione prevalentemente agricolo del medioevo e dell’inizio dell’età moderna, viene abbandonato a favore di una struttura industriale promossa da un nuovo gruppo umano, gli imprenditori borghesi. Questi agiscono all’interno di un sistema fondato sull’assolutismo monarchico, che però è legato a modi di produzioni antichi e agricoli (infatti la base economica dell’aristocrazia è essenzialmente fondiaria). Ora ben presto la borghesia, rappresentante del nuovo modo di produzione, entra in contrasto con l’aristocrazia. Da questa lotta, che si esprime storicamente nella Rivoluzione Francese, nasce la nuova società a guida liberale (monarchico costituzionale o repubblicano-parlamentare).

(14)

Quindi…

• Quindi l’evoluzione dei modi di produzione da

agricolo

a

industriale,

genera

la

contraddizione tra l’industrialismo della

società e l’arretratezza del potere monarchico

assoluto. Ciò genera un conflitto in cui le

nuove forze economiche si affermano dando

vita ad un loro modo di concepire e

organizzare la società (il costituzionalismo

liberale).

(15)

Un lotta di classi sociali

• Un determinato modo di produzione è sempre legato al dominio di una data classe sociale (gruppo di uomini che nella società hanno un ruolo simile e sono uniti da interessi economici convergenti). La contraddizione tra l’evoluzione dei modi di produzione e la sovrastruttura di potere è anche sempre un conflitto tra classi sociali, le une legate al modo di produzione emergente, le altre a

quello declinante, ma detentrici delle leve del potere.

Nell’esempio di prima le classi sociali erano l’aristocrazia a base fondiaria e agricola e la borghesia a base industriale.

• Lo sviluppo della storia è anche dunque un succedersi di conflitti

(16)

L’ultimo capitolo

• Secondo Marx la storia a lui contemporanea

stava vivendo il penultimo capitolo di questa

continua lotta di classi sociali. Infatti il regime

borghese, cioè il modo di produzione

industriale dove la ricchezza si concentra nelle

mani di pochi grandi capitalisti che opprimono

una gran massa di proletari salariati, stava

vivendo il suo apogeo e al tempo stesso

l’inizio della sua decadenza.

(17)

Borghesi e proletari

• Il sistema capitalistico e borghese mette a lavorare

una gran massa di persone che condividono le

stesse condizioni di sofferenza. Oltre a ciò, esso

tende a ridurre sempre più, a causa della

concorrenza, il numero dei detentori dei mezzi di

produzione e del potere. Quando la gran massa di

proletari si renderà conto della debolezza dei

propri sfruttatori, essa si rivolterà e abbatterà il

sistema economico e politico vigente.

(18)

MARX: Il comunismo

• Il nuovo sistema sarà caratterizzato dalla proprietà comune

e non privata dei mezzi di produzione (comunismo) cioè da

un sistema economico più giusto dove i lavoratori si autoorganizzeranno per dirigere l’impresa economica con lo scopo di servire ai loro bisogni. Tale regime vedrà dunque il

potere della moltitudine nell’interesse della moltitudine, e

la progressiva scomparsa delle classi sociali, superate dalla stessa organizzazione del lavoro. La scomparsa delle classi

sociali renderà inutile il potere stesso e la sua sovrastruttura

statale che andrà progressivamente scomparendo assieme alle ingiustizie da lei perpetrate nel corso dei millenni.

(19)

Il movimento operaio

• Tutti gli intellettuali qui citati hanno contribuito a creare un

clima di fiducia nell’emancipazione dei lavoratori e talora

hanno partecipato attivamente a quei movimenti di rivolta

che sostenevano i diritti della classi sociali più deboli.

• Essi cioè hanno accompagnato lo sviluppo e l’affermazione

in diversi paesi europei, e poi anche extraeuropei di un

vasto movimento sociale e politico che ha puntato a

liberare i lavoratori dai loro sfruttatori, in alcuni casi

dentro le istituzioni rappresentative borghesi, in altri casi

con l’obiettivo di farle cadere e di sostituirle con istituzioni

diverse.

(20)

Condizione operaia e rivoluzione industriale

• Storicamente è la rivoluzione industriale ad aver segnato la

nascita di una vasta moltitudine di salariati caratterizzata da condizioni di vita al limite della sopravvivenza e dalla quasi totale assenza di diritti. La rivoluzione industriale si è sviluppata in tre tappe. La prima in Inghilterra nell’ultimo trentennio del Settecento ha visto il nascere della manifattura industriale meccanizzata, con strumenti come i filatoi idraulici nel tessile o la macchina a vapore di Watt. La seconda, dal 1830 in poi è stata caratterizzata dalla grande espansione della siderurgia e dell’industria ferroviaria, poi dalla seconda metà dell’Ottocento in poi dall’elettricità e dal motore a scoppio; la terza dal 1945 in poi contraddistinta dall’uso dell’energia nucleare, dall’aeronautica e infine dall’informatica.

(21)

La condizione operaia durante la prima

rivoluzione industriale

• A partire dall’Inghilterra, per poi estendersi nel nord Europa, negli USA, in Francia, in Germania e infine negli altri Stati europei, si diffonde tra fine Settecento e inizio Ottocento il nuovo modo di produzione industriale meccanizzato. Esso concentra un gran numero si lavoratori nella manifatture dove vengono installate macchine per la produzione seriale. L’industria funziona ottimizzando i tempi di produzione e rendendo sempre più semplici e ripetitive le mansioni dell’operaio attraverso un’esasperata divisione dei compiti

• Grandi masse di persone, tra le quali numerosi contadini che non hanno retto la concorrenza delle grandi fattorie, artigiani e piccoli proprietari gettati sul lastrico dalla concorrenza industriale sono attirati nelle fabbriche dove non possono rifiutare le condizioni imposte dal datore di lavoro.

• La giornata lavorativa può durare 16-18 ore nella Manchester di fine Settecento (capitale dell’industria cotoniera). L’età lavorativa inizia dopo i 6 anni e la manodopera minorile costituisce il 61% degli impiegati nel settore cotoniero nel 1835 in Inghilterra. Gli ambienti

di lavoro sono malsani e l’operaio diviene un appendice della macchina che detta i ritmi di

lavoro. Fuori dal lavoro vi è solo miseria: gli operai vivono in scantinati o in soffitte arrivando a stiparsi in 15 persone per ogni alloggio.

(22)

Condizione operaia e rivoluzione industriale

(2)

• Nessuno difende il posto di lavoro dell’operaio, che a

discrezione dell’imprenditore può essere lasciato a casa.

La disponibilità di un alto numero di pretendenti rispetto

ai posti disponibili contribuisce infine a tenere

estremamente basso il livello della retribuzione.

Si genera così, in epoca diversa e con strumenti di

asservimento diversi, una nuova forma di feudalità e di

servitù della gleba, più spietata perché seriale,

impersonale e senza l’ombra di quei sistemi di mutuo

soccorso sociale che erano le Chiese.

(23)

Le prime rivolte

• Nel 1779 un operaio di nome Ned Ludd spezzò un telaio in segno di protesta contro la macchina che gli avrebbe sottratto il lavoro. Non si sa se realmente Ludd sia esistito, ma sicuramente lo sono gli operai del Nottinghamshire che, sotto il peso della crisi dovuta al blocco continentale di Napoleone, tra 1810 e 1812 si ribellarono distruggendo i macchinari delle industrie (questi gesti furono chiamati atti di luddismo proprio in riferimento Ludd). Per loro, come per il loro antesignano, fu decretato che la pena dovesse essere la morte. In questo periodo ogni attività di associazione tra operai a scopo di promozione dei propri diritti era severamente vietata.

(24)

Trade unions

• Una prima attività sindacale si ha in Inghilterra con la trasformazione in

senso appunto sindacale di società di mutuo soccorso operaio, ammesse

per legge nel 1793.

• Tuttavia il loro agire non può mai essere alla luce del sole, visto che il

divieto di un associazionismo diretto esplicitamente costruire

un’autodifesa operaia rimane espressamente vietato dalle Combination

Acts del 1799-1800 promulgate da Pitt il Giovane.

• Nondimeno queste prime esperienze costituiscono l’ossatura delle future Trade Unions che cominciano a essere attive tra il primo e il secondo decennio dell’Ottocento e nel 1824 vengono parzialmente legalizzate anche sull’onda del massacro di St. Peter Field a Manchester dove, durante un comizio per chiedere al governo una riforma elettorale, la folla viene caricata dalla forza pubblica e muoiono 11 persone.

(25)

Gran National Consolidated Trades Union

• È il primo sindacato nazionale alla cui fondazione

partecipa Robert Owen, saldando la riflessione teorica e

l’azione sindacale. Un iniziale sciopero generale per la

riduzione dell’orario di lavoro fallisce negli anni Trenta, ma

tra il 1850 e il 1868 il sindacato si espande fino a diventare

un importante gruppo di pressione. Culmine di questo

processo, dopo la fondazione della prima Associazione

internazionale dei lavoratori a Londra nel 1864, è la

fondazione del Trades union congress (TUC) nel 1868. Nel

quadriennio 1871-75 il sindacato verrà completamente

legalizzato. Nel 1906 nascerà il Partito laburista.

(26)

Cartismo

• Nel 1838 si assiste allo sviluppo di un grande movimento di lavoratori che presenta la Carta del popolo (da qui cartismo) con allegate un milione di firme. Si tratta di un documento che rivendica

• Il suffragio universale;

• Elezioni annuali a scrutinio segreto;

• La revisione delle circoscrizioni elettorali;

• Una rappresentanza operaia in parlamento con l’abolizione dei limiti di censo per l’elettorato attivo;

• Un’indennità parlamentare per gli eletti.

La petizione per due volte viene respinta (1838-1842) con un seguito di disordini e verrà pian piano accolta solo a partire dal 1872. Il movimento cartista sarà già a quel tempo confluito nella più vasta corrente socialista e laburista.

(27)

In Francia

• Già alla fine del Settecento si assiste al nascere delle prime associazioni operaie, subito confinate nella clandestinità. Nella prima metà dell’Ottocento diversi moti insurrezionali vengono ispirati da Saint Simon, Fourier, Proudhon e dal nascente pensiero socialista (Parigi 1832, Lione 1834, di nuovo Parigi 1832). Dopo le sollevazioni del 1848, gli operai francesi ottengono nel 1864 il riconoscimento del diritto di sciopero. Grande tappa di presa di coscienza della forza del movimento operaio è la

Comune di Parigi (dal marzo al maggio 1871), primo esperimento di

assunzione di responsabilità di governo, all’interno di un processo rivoluzionario, da parte di élites operaie. Nel 1879 nasce il primo partito

operaio francese di tendenza marxista e nel 1886 la Fédération Nationale des Syndicats Ouvriers, la prima grande federazione di

sindacati che ambisce a rappresentare gli interessi di tutti i lavoratori salariati.

(28)

In Germania

• La Germania è la patria del più grande teorico del

socialismo, Karl Marx. Ma egli non fu l’unico

protagonista dell’organizzazione del movimento

operaio tedesco. I suoi primi passi sono dati dalla

costruzione di società segrete a carattere

socialista, come la Società dei proscrit del 1834

o Lega dei giusti del 1836. Fino al 1869 in

Germania tuttavia è vigente il divieto di

associazione per gli operai.

(29)

Germania (2)

• Ciò non impedisce il costituirsi, dietro l’impulso del socialista tedesco Fedinand Lassalle, dell’ Associazione nazionale degli

operai tedeschi nel 1863 e, a partire da un’impostazione

marxista, del Partito socialdemocratico nel 1869 di August

Bebel e Wilhelm Liebknecht (nel 1875 si fonderà al congresso

di Gotha con altre formazioni operaie dando luogo al Partito

socialista dei lavoratori che, a sua volta, nel 1890 prenderà il

nome di Partito socialdemocratico tedesco). Legati a questi partiti vi sono le rispettive associazioni sindacali. Il tutto subisce una battuta d’arresto con Bismarck, che dal 1878 al 1888 vieta per legge i partiti e le associazioni operai, per poi riprendersi negli anni Novanta e all’inizio del Novecento.

(30)

In ITALIA: le società di mutuo soccorso

• Già a metà Ottocento, le società di mutuo soccorso - in

cui gli operai, versando periodicamente una quota di

denaro, collaboravano alla costituzione di un fondo per

aiutare in caso di malattia o vecchiaia - erano presenti

negli Stati italiani come Piemonte, Lombardia e Toscana.

• Dopo l’unità queste società si collegano su scala

nazionale e promuovono congressi in cui si scontrano

due tendenze, quelle alla politicizzazione promossa da

Mazzini, e quella invece favorevole al disimpegno

politico.

(31)

Prime agitazioni (1870-80)

• Nel decennio 1870-80 cominciano le prime agitazioni e i

primi scioperi che si prefiggono la riduzione dell’orario di

lavoro e il mantenimento di un dato livello salariale

ritenuto ragionevole anche da parte operaia. Lentamente

penetrano tra gli operai anche le idee dell’anarchico

Bakunin che è favorevole all’insurrezione contro il potere

dei capitalisti e al tempo stesso contro quello dello Stato

che è sempre fonte di oppressione economica e civile, in

solido con i ceti ricchi e dominanti.

• Nel 1863 iniziano le pubblicazioni, a cura di E. Bignami, del

periodico rivoluzionario, La plebe.

(32)

Prime organizzazioni politiche

• Nel 1882 viene fondato da A. Gnocchi Viani il Partito

operaio italiano prima importante organizzazione

politica del movimento. Contemporaneamente

penetrano in Italia, per opera all’opera dell’ex

anarchico Cafiero le idee di Marx, grazie alla sua

traduzione (e compendio) della più importante opera

del pensatore di Treviri, Il Capitale.

• Sempre nel 1882 A. Costa, abbandonato

l’anarchismo, viene eletto alla Camera, nelle fila del

Partito Socialista Rivoluzionario dell’Emilia.

(33)

Camere del lavoro e CGL

A partire dalla Camera del lavoro di Milano del 1891, si sviluppano iniziative di solidarietà operaia che organizzano i lavoratori in un dato territorio, unendo le varie leghe professionali in un unico organismo che si occupa di questioni contrattuali ma, assieme, anche di iniziative di cooperazione economica, di ricreazione ed educazione rivolta ai ceti operai. Inizialmente le camere del lavoro si mantengono politicamente distanti dai partiti socialisti anche se via via questa distanza va attenuandosi.

Dall’unione delle Camere del lavoro sparse in tutta Italia (340.000 iscritti nel 1904) e di altre associazioni operaie, nasce a Milano nel 1906 la CGL ossia la Confederazione Generale del Lavoro, che si sarebbe presentata subito come il maggiore e più organizzato sindacato italiano (apolitico ma in realtà vicino al socialismo riformista).

(34)

PSI

• Il primo nucleo del più importante partito del movimento operaio italiano, almeno fino al 1921, viene fondato a Genova nel 1892 con il nome di Partito dei lavoratori italiani. L’anno successivo cambia nome in Partito socialista dei

lavoratori italiani per poi diventare nel 1895 Partito socialista italiano. E’ Filippo Turati a promuovere l’iniziativa

genovese distinguendo la prospettiva socialista ad impronta marxista da quella anarchica, di grande rilevanza in tutte le iniziative operaie del periodo. Nonostante le persecuzioni sotto i governi Crispi e Di Rudinì, ottiene discreti risultati elettorali passando dai 5 deputati del 1892 ai 33 del 1900.

(35)

Riformisti e rivoluzionari

• Finalità del Psi è la conquista del potere con mezzi legali. Marx aveva però sottolineato che il rispetto della legalità borghese non può

divenire un dogma fra i lavoratori, poiché a forza di rispettare le leggi

promulgate dallo Stato borghese a proprio vantaggio si finisce con il fare il gioco del nemico di classe. Per tale motivo la strategia

revisionista che intende instaurare gradualmente il socialismo

attraverso una serie di riforme da attuarsi dentro lo Stato borghese viene combattuta dai marxisti più ortodossi e rivoluzionari come Labriola e Ferri. La dialettica tra riformisti e rivoluzionari caratterizzerà sempre la vita del partito, provocando anche la scissione del 1921 in cui al congresso del Psi di Livorno i rivoluzionari di Gramsci, Bordiga, Tasca, Terrracina, Bombacci e Togliatti fonderanno il PCd’I poi PCI (Partito comunista d’Italia, poi Partito comunista italiano). Organo storico del PSI è l’ AVANTI, quello del PCI è l’UNITA’.

(36)

L’internazionale

• Una fase importantissima della storia del

movimento operaio è rappresentata dalle

successive associazioni internazionali di

lavoratori (in breve: «Internazionale»), in cui

le élites del movimento di vari paesi europei

ed extraeuropei si riuniscono per dare una

strategia e un indirizzo comune alle

organizzazioni locali.

(37)

La Prima internazionale

• Il primo esperimento di un’associazione rivoluzionaria internazionale nasce a Londra nel 1864 per iniziativa di alcuni operai cui immediatamente si associa Marx. Assieme ai seguaci del filosofo, partecipano al progetto mazziniani italiani, seguaci francesi di Blanqui e Proudhon, anarchici dei più diversi paesi e sindacalisti inglesi. Lo statuto dell’associazione, redatto da Marx, riflette la sua impostazione favorevole all’organizzazione nei singoli paesi di partiti rivoluzionari capaci di mettere in moto processi di presa anche violenta del potere, opponendosi al

contempo in tutti i modi alle guerre tradizionali che, secondo

l’opinione dei socialisti, erano guerre fratricide tra masse di lavoratori mossi dai loro padroni gli uni contro gli altri per servire ancora gli interessi dei capitalisti.

(38)

I contrasti interni

• All’interno dello schieramento della Prima Internazionale sorgono quasi subito contrasti tra marxisti e proudhoniani su questioni organizzative e sulla valorizzazione dell’elemento contadino che i marxisti ritenevano secondario rispetto al proletariato industriale (i proudhoniani escono al congresso di Basilea del 1871). Dopo la comune di Parigi e il suo fallimento nel maggio 1871, si acuiscono i contrasti tra marxisti e anarchici seguaci di Bakunin, che già si erano scontrati con i mazziniani. In questo secondo caso hanno la meglio i marxisti, per i quali il potere va conquistato tramite il partito rivoluzionario che deve assumere la dittatura in nome del proletariato, e non subito negato come vorrebbero gli anarchici, i quali combattono più lo Stato che non il capitalismo. Nel 1872 vengono espulsi gli anarchici dopo che già i sindacalisti inglesi, per motivi opposti, e cioè la contrarietà all’idea insurrezionale e violenta, hanno abbandonato il campo. Indebolita da tutte queste scissioni, dopo il trasferimento della sua sede da Londra a New York, l’associazione si scioglie con il congresso di Filadelfia del 1876.

(39)

La Seconda internazionale

Dopo la fine del primo esperimento associativo

trasnazionale, gli esponenti principali del Partito

operaio francese (Guesde e Lafargue) promuovono a

Parigi nel 1889 un congresso di partiti socialisti per

fondarne una federazione che possa stabilire indirizzi

di massima, discutere le migliori strategie per la

conquista del potere e aiutarsi reciprocamente.

Nasce dunque la Seconda internazionale, con una

struttura federalistica più snella.

(40)

I dibattiti nella seconda internazionale

• Ruolo di spicco nell’associazione è detenuto dal Partito

socialdemocratico tedesco all’interno del quale si sviluppa un

serrato dibattito che coinvolgerà tutti gli altri componenti.

• Si tratta della presa di coscienza da parte di un gruppo di intellettuali che lo sviluppo del capitalismo ha portato, rispetto ai tempi di Marx, ad un suo consolidamento invece che alla sua fine. Ciò rende necessario un cambio di strategia:

• si mantiene la prospettiva rivoluzionaria, dilazionando però la meta, proponendo la distinzione tra un programma minimo e uno massimo.

(41)

Programma minimo e programma massimo (congresso

di Erfurt del Partito socialdemocratico tedesco del

1891)

• Il programma massimo del movimento proletario riguarda il suo fine ultimo cioè la società senza classi e il regno dove ciascuno darà secondo le sue capacità e prenderà secondo i suoi bisogni. Il programma minimo attiene agli obiettivi immediati della lotta, cioè le finalità che in quel dato momento storico era possibile raggiungere all’interno del sistema capitalistico per migliorare le condizioni del proletariato: il

suffragio universale, la giornata lavorativa di 8 ore etc. Coloro

che mantenevano una prospettiva rivoluzionaria (Karl Kautsky) adottano ambedue le prospettive che permettono loro di alimentare la lotta nel presente con obiettivi raggiungibili senza perdere la finalità ultima.

(42)

Revisionismo

• Altri membri del Partito socialdemocratico tedesco e dell’Internazionale, guidati da Eduard Bernstein, intendono invece rivedere la teoria marxiana, visto che il crollo del capitalismo previsto dai testi del filosofo di Treviri non è avvenuto. Nello scritto I presupposti del socialismo e i compiti della

socialdemocrazia (1899), Bernstein sosteneva una via al socialismo che

doveva compiersi attraverso riforme per rendere il capitalismo più giusto e redistribuire le ricchezze prodotte dal sistema della proprietà. Questo sarebbe stato possibile grazie ad una progressiva democratizzazione del

capitalismo da attuarsi anzitutto attraverso il suffragio universale. Così

DENTRO il sistema capitalistico si sarebbe prodotto un movimento di riforme capace di ovviare alle ingiustizie denunciate da parte socialista. Tale dottrina che modificava su un punto importante il pensiero politico di Marx fu chiamata REVISIONISTA e fortemente avversata dall’ala rivoluzionaria del movimento operaio.

(43)

La fine della Seconda internazionale

• La Seconda internazionale entra in crisi allo scoppio del primo conflitto mondiale (1914-18). Infatti il presupposto dell’internazionalismo socialista era che le guerre degli Stati non erano altro che scontri a difesa o a promozione degli interessi delle élites dominanti presenti negli Stati stessi. Il proletariato era considerato carne da cannone e l’esito del conflitto era quello di consolidare al potere i suoi oppressori. Viceversa in molti settori del Partito socialdemocratico tedesco e all’interno di altri partiti socialisti europei si era giunti alla conclusione che nel conflitto la collaborazione con lo sforzo bellico del proprio paese dovesse avere il primato sulla prospettiva internazionalista. Alcuni sostenevano infatti che fosse proprio la guerra con i suoi sconvolgimenti a poter decretare la fine del sistema capitalistico (guerra

rivoluzionaria) e dunque che alla guerra bisognasse partecipare. Di qui un

conflitto che dilania profondamente le varie componenti dell’internazionale e ne decreta lo scioglimento ufficiale nel 1916.

(44)

La Terza internazionale a guida sovietica

• Nel 1919 con sede a Mosca nasce una federazione dei partiti comunisti mondiali (sono 37 i partiti coinvolti) che promuove sotto l’egemonia del

Partito comunista russo (PCUS) l’idea di una rivoluzione che doveva avere

come baricentro espansivo l’Unione sovietica. Il progetto era quella di

estendere l’esperienza dei soviet (assemblee di operai che costituivano

l’ossatura del sistema di dittatura del proletariato instaurato in Russia attraverso il partito comunista) a tutti i paesi. Di fronte all’evoluzione della

situazione internazionale, il successore di Lenin al potere in Russia (Stalin)

promuove l’idea del «socialismo in un solo paese», secondo la quale i partiti comunisti mondiali dovevano sottostare ad una strategia che

alimentava l’influenza dell’URSS come grande potenza, perché questo

era il modo di difendere gli interessi del proletariato di tutti i paesi. Contrariamente a quanto aveva affermato Marx, si trattava dunque di un politica di potenza tradizionale, sostenuta da ragioni apparentemente socialiste.

(45)

La Terza internazionale e i fascismi

La Terza internazionale deve affrontare il problema dei fascismi, i più formidabili avversari dell’avanzata bolscevica in Europa. Infatti il fascismo nasce come costola dell’ala massimalista e rivoluzionaria del movimento operaio (Benito Mussolini era il personaggio di spicco di questa corrente) e intende dare soddisfazione alle esigenze

del proletariato, non negando, bensì esaltando le componenti nazionali. Queste

ultime dovevano portare all’emancipazione del proletariato il contributo della specifica cultura e tradizione di ogni singolo paese, evitando ogni irrealistica e antieconomica collettivizzazione della produzione, ma ponendo il lavoratore al centro del processo produttivo con un protagonismo che doveva essere riconosciuto ed esaltato da tutta la nazione (in prospettiva interclassista). Il dinamismo politico dei fascismi, il loro puntare sul quell’esperienza intensamente democratica che era stata il cameratismo delle trincee, mette in crisi le organizzazioni ufficiali del socialismo sul loro stesso terreno. Dentro questa crisi nasce l’interpretazione difensiva secondo la quale il fascismo sarebbe stato il regime che afferma in modo violento gli interessi delle classi imprenditoriali, ossia la punta di diamante del capitalismo internazionale, impaurito dall’avanzata del movimento operaio e quindi disposto a rinunciare al regime parlamentare per affidarsi a una dittatura.

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La fine del COMINTERN

• La Terza internazionale chiamata anche Comintern come

sigla

di

abbreviazione

del

suo

nome

tedesco

(Kommunistiche Internationale), sprofonda in una grave

crisi a causa dell’ondivaga strategia dell’URSS nei

confronti della Germania di Hitler (già precedentemente

avversata e stigamtizzata).

• Dopo il 1943 e il decisivo passaggio dell’Unione Sovietica

al fronte alleato, si dispone il suo scioglimento come atto

di buona volontà e di conciliazione con le potenze

capitaliste al fianco delle quali l’Unione sovietica si era

schierata dopo le fine del patto Molotov-Ribbentrop.

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