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Brand crises e corporate reputation: il ruolo della congruenza e del coinvolgimento.

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Academic year: 2021

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INDICE

1. INTRODUZIONE ... 3

2. BRAND CRISES E CORPORATE REPUTATION ... 9

2.1 Situational Crisis Communication Theory ... 15

2.1.1 La Teoria dell’Attribuzione ... 15

2.1.2 Fattori che definiscono la minaccia reputazionale ... 16

2.1.3 Strategie di risposta alla crisi... 18

2.2 Le dimensioni più rilevanti della Corporate Reputation ... 25

2.3 Il coinvolgimento dei consumatori ... 28

2.4 La congruenza fra le dimensioni della corporate reputation ... 33

3. METODOLOGIA DELLA RICERCA ... 37

3.1 Relazioni causali ed esperimento... 37

3.1.1 Relazioni causali ... 37

3.1.2 L’esperimento ... 38

3.1.3 Disegno fattoriale ... 39

3.1.4 Vantaggi e limiti dell’esperimento ... 40

3.2 Informazioni sul campione ... 41

3.3 Struttura del questionario ... 42

4. INDAGINE EMPIRICA ... 51

4.1 Variabili manipolate e tecniche per l’analisi dei dati ... 51

4.2 Risultati della ricerca ... 54

5. CONCLUSIONI ... 85

5.1 Implicazioni per la ricerca ... 85

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5.3 Limiti della ricerca e sviluppi futuri ... 93 BIBLIOGRAFIA ... 95 APPENDICE ... 103

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CAPITOLO 1

INTRODUZIONE

Una crisi può essere definita come un evento improvviso e inaspettato che minaccia di interrompere le operazioni di un’organizzazione e costituisce una minaccia sia dal punto di vista finanziario sia da quello della reputazione (Coombs, 2007 pag. 164).

Non necessariamente la crisi riguarda i prodotti difettosi dell’azienda, che riducono immediatamente la capacità di soddisfare i benefici attesi, può, infatti, essere connessa anche a problemi etici o sociali, riguardanti le cause sposate dall’impresa (Dutta & Pullig, 2011 pag. 1281-1282). Indipendentemente dalla tipologia di crisi, l’azienda subirà una minaccia alla sua corporate reputation. La reputazione aziendale si può definire come una valutazione complessiva fatta dagli stakeholder su quanto bene un’organizzazione stia incontrando le loro aspettative, sulla base dei suoi comportamenti passati (Wartick, 1992).

La reputazione si sviluppa attraverso le informazioni che gli stakeholder ricevono sull’organizzazione dai vari canali, il più rilevante dei quali è sicuramente quello della stampa (Fombrun & Van Riel, 2004).

La maggior parte degli studi si è interessata ai diversi tipi di crisi che un’organizzazione si può trovare ad affrontare e sulla congruenza fra la tipologia di crisi e la strategia di comunicazione post-crisi. In questo filone di ricerca, noto come Situational Crisis Communication Theory, le crisi sono classificate in (Coombs, 2007 pag. 167-168):

 Cluster delle vittime, in cui l’azienda è essa stessa vittima della crisi.  Cluster accidentale, in cui la crisi è causata da azioni involontarie

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 Cluster intenzionale, in cui la crisi è causata volontariamente dall’azienda.

La SCCT sostiene che l’efficacia di ogni strategia di comunicazione post-crisi dipenda dalla tipologia di crisi che l’azienda si trova ad affrontare e fornisce una combinazione generale di connessioni.

Le strategie di negazione, il cui scopo è eliminare ogni connessione tra l’azienda e la crisi, sono più adatte per il cluster in cui l’azienda è essa stessa vittima della crisi, quelle di minimizzazione, che hanno l’obiettivo di sminuire la negatività della crisi o di far passare il messaggio che l’azienda non abbia nessun tipo di controllo sulla crisi, per il cluster accidentale e infine quelle di ricostruzione, in cui l’azienda si assume tutta la responsabilità per la crisi, per il cluster intenzionale (Grappi & Romani, 2015 pag. 24).

In letteratura, inoltre, sono presenti una molteplicità di studi che analizzano le crisi e le relative minacce alla corporate reputation.

Un filone di ricerca ipotizza che, nel lungo periodo, una buona reputazione precedente possa realmente trasformare una crisi in un’occasione per aumentare la corporate reputation (Tucker & Melewar, 2005) (Helm & Tolsdorf, 2013 pag. 145-146). Questo perché le organizzazioni accumulano nel tempo capitale reputazionale, che potrà essere danneggiato in caso di crisi. Perciò, un’azienda dotata di una buona reputazione pre-crisi può subire una perdita minore di capitale reputazionale, dato che avrà a disposizione un maggior capitale reputazionale da sfruttare rispetto a un’organizzazione con una reputazione pre-crisi neutrale o addirittura sfavorevole. Questo filone afferma che un’organizzazione con una reputazione pre-crisi favorevole soffrirà meno in caso di crisi e avrà una ripresa più rapida (Coombs, 2007 pag. 165).

Un altro filone sostiene che in caso di crisi, la reputazione precedente possa essere un ostacolo, dato che la violazione delle aspettative degli stakeholder colpisce più gravemente le aziende con una buona reputazione, mentre le imprese

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con una cattiva reputazione possono avere meno da perdere (Helm & Tolsdorf, 2013 pag. 145-146).

Esiste, infine, un terzo filone in cui si sostiene che, per la maggior parte dei consumatori, la reputazione delle aziende non è la leva più importante nella determinazione dei comportamenti d’acquisto. La reputazione aziendale è connessa alla brand equity e alle vendite, ma solo marginalmente. Perciò, mentre una debole reputazione ha gravi implicazioni per la percezione della marca, una buona reputazione crea solo l'opportunità di sviluppare marchi più forti, ma non ne è garanzia (Page & Fearn, 2005 pag. 311).

Secondo questi autori la corporate reputation si compone di tre dimensioni principali (Page & Fearn, 2005 pag. 309-310):

 La responsabilità sociale: vale a dire l’effettiva valenza sociale dell’azienda per la popolazione.

 La leadership di mercato e il successo dell’azienda: vale a dire la capacità dell’azienda di essere innovativa, di successo e all’avanguardia.

 La correttezza nei confronti dei consumatori: vale a dire il rispetto dei consumatori mediante, per esempio, la produzione di beni e servizi di qualità.

Il filone che va a studiare le possibili reazioni dei consumatori dovute alla dimensione della corporate reputation colpita dalla crisi non è ancora molto sviluppato, e per questo motivo di grande interesse.

Obiettivo primario del seguente studio è investigare le variazioni del comportamento del consumatore in termini di atteggiamento verso l’azienda, probabilità di compiere un passaparola negativo e intenzione d’acquisto in seguito a una crisi, considerando due fattori che potrebbero avere un ruolo cruciale: il coinvolgimento nella categoria di prodotto e la congruenza fra la

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dimensione principale della corporate reputation e la dimensione colpita dalla crisi.

Nel seguente studio viene ripresa la Teoria della dissonanza (Festinger, 1957). Questa teoria sostiene che un individuo si trova in una situazione emotiva soddisfacente (consonanza cognitiva) se attiva due idee o comportamenti tra loro coerenti; al contrario, si trova in una situazione di difficoltà discriminatoria ed elaborativa se le due rappresentazioni sono tra loro contrapposte o divergenti. Riprendendo questa teoria il seguente studio vuole dimostrare che se la crisi colpisce la dimensione della reputazione aziendale più rilevante, i soggetti sperimentano incongruenza, perché la crisi nega ciò che la reputazione afferma. I soggetti dovrebbero, quindi, cercare di risolvere la dissonanza o rafforzando la loro idea sulla reputazione della società, e definendo quindi la crisi come irrilevante o errata, o denigrando la reputazione dell'azienda, e dando perciò rilevanza alla crisi. La selezione di una o dell'altra strategia cognitiva per ridurre la dissonanza dipende dal coinvolgimento del soggetto nella categoria di prodotto. Un soggetto molto coinvolto nella categoria di prodotto che si trova ad affrontare una crisi che colpisce la dimensione principale della reputazione (rispetto al caso in cui la dimensione minacciata dalla crisi non sia quella principale della corporate reputation), ci si aspetta che non dia rilevanza alla crisi. Ci si aspetta, infatti, di trovare un valore medio più elevato alla variabile intenzione d’acquisto e alla variabile atteggiamento e più basso alla variabile passaparola negativo. In un soggetto non coinvolto nella categoria di prodotto, si ritiene che la crisi produca, al contrario, i suoi effetti e muti la percezione della reputazione.

Un soggetto meno coinvolto nella categoria di prodotto, si pensa che difficilmente difenda la reputazione dell’azienda che sta subendo una crisi della dimensione principale della reputazione (rispetto al caso in cui una crisi colpisca la dimensione meno rilevante). Perciò, una percezione negativa della reputazione, causata dalla crisi, potrebbe avere delle conseguenze negative come la riduzione dell’intenzione d’acquisto, il passaparola negativo e un peggiore atteggiamento verso l’azienda.

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Nei capitoli successivi è presente una rassegna della letteratura in materia di crisi e la spiegazione del metodo di ricerca utilizzato, un esperimento condotto con il metodo del disegno fattoriale, grazie al quale è stato possibile incrociare gli scenari iniziali, in cui viene enfatizzata una delle tre dimensioni della corporate reputation, con i vari tipi di crisi e, infine, l’analisi dei dati ottenuti. Nell’ultimo capitolo è presente una sintesi dei risultati principali e delle principali implicazioni derivanti dalla ricerca.

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CAPITOLO 2

BRAND CRISES E CORPORATE REPUTATION

Una crisi può essere definita come un evento improvviso e inaspettato che minaccia di interrompere le operazioni di un’organizzazione e costituisce una minaccia sia dal punto di vista finanziario sia da quello della reputazione (Coombs, 2007 pag. 164).

Una crisi di marca si può quindi definire come un evento inaspettato che minaccia la capacità di un brand di far ottenere ai consumatori i benefici attesi, andando a indebolire la brand equity. La brand equity, in altre parole il valore complessivo del marchio dell’azienda, è una delle variabili più rilevanti per la formazione della fiducia dei consumatori (Dutta & Pullig, 2011 pag. 1281). Le brand crises possono essere classificate in:

 Crisi collegate alla performance: sono connesse a prodotti difettosi, riducendo immediatamente la capacità del bene di fornire i benefici attesi dai consumatori (Dutta & Pullig, 2011 pag. 1281-1282). Un esempio potrebbe essere la crisi subita negli anni 80 dall’azienda Johnson & Johnson. Nel 1982, nell’area di Chicago, sette persone morirono, infatti, dopo aver ingerito delle capsule di Tylenol, un antidolorifico prodotto da McNail Labs, una divisione della Johnson & Johnson. Nelle capsule fu trovato del cianuro e per parecchie settimane non si seppe se la contaminazione fosse frutto di un sabotaggio o meno1.

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 Crisi collegate ai valori: non coinvolgono direttamente i prodotti; sono, infatti, connesse a problemi etici o sociali riguardanti le cause sposate dall’azienda (Dutta & Pullig, 2011 pag. 1281-1282). Un esempio potrebbe essere la crisi subita da Abercrombie & Fitch. Nel 2013, infatti, il famoso marchio di abbigliamento è stato subissato di polemiche a causa di una vecchia dichiarazione del proprio CEO, il quale avrebbe asserito che gli abiti Abercrombie & Fitch erano destinati soltanto a persone di bell’aspetto. A causa di questo scivolone, la compagnia si è attirata le critiche di tutti quelli che hanno visto in quella frase un pregiudizio nei confronti delle persone in sovrappeso o in generale non abbastanza cool. Da allora, l’azienda continua a collezionare risultati negativi, ma ha rinnovato la fiducia al proprio CEO2.

Un’azienda che sta attraversando un periodo di crisi, deve dunque essere consapevole del fatto che le reazioni negative messe in atto dai consumatori, danneggiati dalla crisi fisicamente, emotivamente o finanziariamente, possono rappresentare il maggior pericolo per la sua esistenza (Grappi & Romani, 2015). In proposito, è importante precisare che, in seguito alla crisi, potrebbero avere delle ripercussioni negative un’ampia schiera di stakeholder, tra cui gli appartenenti alla comunità, gli impiegati, i clienti, i fornitori e gli azionisti (Coombs, 2007), i quali, in seguito alla crisi, potrebbero decidere di effettuare un passaparola negativo, di non acquistare più prodotti dell’azienda o di sviluppare opinioni negative nei confronti dell’impresa (Claeys & Cauberghe, 2012). Questo potrebbe comportare per l’azienda un vero e proprio rischio finanziario, dovuto alla riduzione delle vendite e della quota di mercato, ma anche una minaccia per la reputazione aziendale (Coombs, 2007). La reputazione aziendale si può definire come una valutazione complessiva fatta dagli stakeholder su quanto bene un’organizzazione stia incontrando le loro aspettative, sulla base dei suoi comportamenti passati (Wartick, 1992).

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Il concetto di corporate reputation si afferma tra gli anni 70 e 80 nell’ambito della letteratura economica volta ad analizzare le decisioni assunte in contesti dinamici da una molteplicità di attori, detentori d’interessi economici e sociali nei confronti di un’impresa, in altre parole gli stakeholder, in condizioni d’incompleta o d’imperfetta informazione. La corporate reputation esprime la sintesi di un vasto insieme di segnali che l’impresa trasmette agli stakeholder nel corso del tempo con riferimento al suo agire strategico, in modo sia esplicito sia implicito. Gli interlocutori dell’impresa recepiscono e interpretano questi segnali, che per loro costituiscono rilevanti fonti d’informazione e di valutazione, e presumono razionalmente il comportamento futuro dell’impresa; maturano conseguentemente le proprie aspettative e giungono infine a formulare le proprie decisioni. La coerenza dei comportamenti dell’impresa con i segnali che ha inviato nel tempo e la conseguente risposta alle attese formulate dai suoi stakeholder, determina la formazione della reputazione aziendale (Nelli, 2012 pag. 96-97).

La reputazione è ampiamente riconosciuta come un prezioso bene immateriale (Coombs, 2007 pag. 163). Le risorse “reputazionali” possono attrarre i consumatori, generare interesse in investimenti, migliorare le performance finanziarie, attrarre i migliori dipendenti, aumentare il rendimento delle attività, creare un vantaggio competitivo e far guadagnare commenti positivi dagli analisti finanziari (Carmeli & Tishler, 2005; Davies et al., 2003; Fomrun & Gardberg, 2000; Fombrun & Van Riel, 2004).

Il modo in cui un’azienda è percepita può avere un enorme impatto sulle sue prestazioni. I consumatori sono interessati al comportamento delle aziende che producono le marche di cui poi acquistano i beni e i servizi; le imprese devono quindi essere consapevoli che i consumatori decideranno cosa acquistare anche in base alle loro opinioni sulle aziende. È perciò possibile che il comportamento dell’impresa influenzi i comportamenti d’acquisto, questo in parte è dovuto al valore che il comportamento può aggiungere al brand e alla brand equity. La crescita del Commercio Equo e Solidale, d’altra parte, sembrerebbe avvalorare la tesi che l’interesse da parte dei consumatori verso il comportamento delle

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aziende di cui andranno ad acquistare i prodotti è alto, e dimostrerebbe un generale desiderio di pratiche commerciali più eque (Page & Fearn, 2005 pag. 305).

Allo stesso tempo, in molti casi l’atteggiamento e il rispetto verso le grandi aziende sono peggiorati. Ciò suggerisce che molte aziende sono minacciate da un'erosione nella fiducia e perciò sono soggette a un aumento della probabilità di boicottaggio dei loro marchi da parte dei consumatori. In realtà solo pochi studi hanno confrontato la percezione dell’azienda con gli acquisti dei consumatori; bisogna poi tenere conto che non sempre le dichiarazioni rispecchiano i comportamenti della vita reale (Page & Fearn, 2005 pag. 306).

Una ricerca qualitativa di Boulstridge e Carrigan, risalente all’inizio del XXI secolo, sostiene ad esempio che per i consumatori il comportamento dell’azienda non è una delle variabili da prendere in considerazione nelle loro decisioni d’acquisto (Page & Fearn, 2005 pag. 306).

Si può quindi affermare che i consumatori s’interessano della corporate reputation, anche se è raro che questa vada a influenzare le loro decisioni d’acquisto.

La reputazione si sviluppa attraverso le informazioni che gli stakeholder ricevono sull’organizzazione dai vari canali, il più rilevante dei quali è sicuramente quello della stampa (Fombrun & Van Riel, 2004). Questo è il motivo per cui il servizio d’informazione è un’importante caratteristica della gestione della reputazione (Carroll, 2004; Carroll & McCombs, 2003; Meijer, 2004).

Analizzando il rapporto tra reputazione e crisi (Helm & Tolsdorf, 2013 pag. 145-146), si può notare che la reputazione è spesso interpretata come la variabile dipendente colpita da una crisi (Gaultier-Gaillard & Louisot, 2006; Coombs, 2007). La reputazione è danneggiata dalle crisi che violano le aspettative degli stakeholder (Coombs, 2012). Tuttavia, spesso, una buona reputazione rafforza la probabilità che l’impresa superi la crisi. Per questo motivo, la reputazione serve come una sorta di “baluardo”, di “tampone” o di “rete di sicurezza” che salva l'azienda dalle conseguenze più disastrose di una crisi (Fombrun, Gardberg, & Barnett, 2000; Jones et al., 2000; Coombs & Holladay, 2001).

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Un certo numero di studiosi sostiene che le imprese con una reputazione favorevole possono resistere meglio alle crisi, incorrendo in una minore perdita economica rispetto a quelle con una cattiva reputazione (Schnietz & Epstein, 2005). Ciò significa che una buona reputazione funge da bene immateriale che protegge l'azienda in momenti critici (Siomkos & Kurzbard, 1994); infatti, una buona reputazione aziendale attenua il calo del valore delle azioni in tempi d’incertezza e di crisi economica (Jones et al., 2000). Altri ricercatori ipotizzano che, nel lungo periodo, una buona reputazione precedente possa realmente trasformare una crisi in un’occasione per aumentare la corporate reputation (Tucker & Melewar, 2005) (Helm & Tolsdorf, 2013 pag. 145-146).

Le organizzazioni accumulano nel tempo capitale reputazionale, che potrà essere danneggiato in caso di crisi. Un’azienda dotata di una buona reputazione prima della crisi può subire una perdita minore di capitale reputazionale; questo perché avrà a disposizione un maggior capitale reputazionale da sfruttare rispetto a un’organizzazione con una reputazione pre-crisi neutrale o addirittura sfavorevole. Si può quindi affermare che un’organizzazione con una reputazione pre-crisi favorevole soffrirà meno in caso di crisi e avrà una ripresa più rapida (Coombs, 2007 pag. 165).

Tuttavia, perdendo una quota sostanziale di clienti a causa di una crisi, il futuro di un’azienda può essere in grave pericolo. La reazione dei clienti fedeli a una crisi dipenderà anche dalla tipologia di risposta alla crisi (Benoit, 1995) che può servire ad aumentare realmente la reputazione aziendale e la fedeltà se le strategie di riparazione dell’immagine superano le aspettative delle parti interessate. La fedeltà dei clienti può essere migliorata aumentando la reputazione aziendale, il che implica un nesso indiretto tra la reputazione e una maggiore redditività delle imprese (Bontis et al., 2007) (Helm & Tolsdorf, 2013 pag. 145-146).

In caso di crisi, la reputazione precedente può però anche essere un ostacolo, dato che la violazione delle aspettative degli stakeholder colpisce più gravemente le aziende con una buona reputazione, mentre le imprese con una cattiva

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reputazione possono avere meno da perdere (Helm & Tolsdorf, 2013 pag. 145-146).

Nel commentare i loro risultati simili per quanto riguarda la reputazione per la qualità del prodotto, Rhee e Haunschild (2006, pag. 115) sottolineano che i manager delle aziende con una buona reputazione devono essere particolarmente vigili nei loro processi di apprendimento rilevando e correggendo gli errori. In realtà, i mass media hanno maggiori probabilità di attirare l'attenzione sui difetti delle imprese con una buona reputazione piuttosto che di quelle con una cattiva reputazione, il che implica che la buona reputazione aumenta la probabilità di rilevazione della crisi e della sua diffusione nei media. Gli autori concludono che la reputazione è un’arma a doppio taglio; essa può avere un lato negativo significativo (Helm & Tolsdorf, 2013 pag. 145-146).

Indipendentemente dalla strategia di risposta, i gestori della crisi dovrebbero riconoscere che, avere un’ottima reputazione pre-crisi, non attutisce necessariamente la minaccia per l'azienda, ma può effettivamente rafforzare le risposte immediate delle parti interessate a una crisi, alzando il livello per una gestione efficace della crisi stessa (Helm & Tolsdorf, 2013 pag. 145-146).

La comunicazione post-crisi della società (e degli stakeholder) inciderà sulle conseguenze a lungo termine di una crisi (Coombs, 2007; 2012; Schultz, Utz & Göritz, 2011). Fare in modo che i consumatori tornino ad avere fiducia nell’azienda è un obiettivo principale del management (Robert & Lajtha, 2002), per questo è importante per i manager riconoscere il ruolo che la reputazione gioca durante e dopo una crisi (Helm & Tolsdorf, 2013 pag. 145-146).

Sembra generalmente accettato che le imprese dovrebbero mirare a costruire e a migliorare la loro reputazione, poiché un’azienda con una buona reputazione subisce una grave perdita di fiducia a seguito di una crisi, ma un’impresa con una cattiva reputation riporterà delle perdite maggiori (Helm & Tolsdorf, 2013 pag. 145-146).

A tal proposito, gli studi empirici della cosiddetta “Situational Crisis Communication Theory” forniscono una serie di linee guida, che possono essere

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sfruttate dalle aziende per proteggere la corporate reputation dai danni provocati da una crisi.

2.1 Situational Crisis Communication Theory

La Situational Crisis Communication Theory (SCCT) di Coombs, ampliando la Teoria dell’Attribuzione, formulata da Weiner nel 1995, e le sue assunzioni sul comportamento e sull’attribuzione di responsabilità dei consumatori, fornisce uno schema elaborato, basandosi su prove concrete per analizzare le caratteristiche delle varie tipologie di crisi e le strategie di risposta che le aziende possono mettere in atto per proteggersi dalle minacce poste in essere dalla crisi (Grappi & Romani, 2015 pag. 23). Di seguito viene quindi, dapprima, approfondita la teoria dell’attribuzione.

2.1.1 La Teoria dell’Attribuzione

La Teoria dell’Attribuzione di Weiner fornisce il fondamento logico per la relazione tra molte variabili utilizzate dalla SCCT (Coombs, 2007).

Essa postula che le persone siano sempre alla ricerca delle cause degli eventi, specialmente se negativi o inaspettati (Weiner, 1985).

Un individuo attribuisce una determinata responsabilità a un evento e, in base a questa, sperimenta una differente reazione emotiva; rabbia e compassione sono i sentimenti che vanno a formare il nucleo centrale di questa teoria, secondo la quale le attribuzioni di responsabilità e i sentimenti possono servire da motivazioni per il compimento di determinate azioni. Nel caso in cui una persona sia considerata responsabile, le reazioni saranno negative e il sentimento prevalente sarà di conseguenza la rabbia. Se, al contrario, la persona non è giudicata responsabile, le reazioni saranno positive e sarà la compassione a prevalere (Weiner, 2006).

Ampliando questa teoria e considerando la crisi come l’evento negativo che porta gli stakeholder a valutare l’azienda responsabile, la SCCT arriva a prevedere le

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possibili minacce per la reputazione aziendale, dovute alla crisi, e a definire quindi la migliore strategia di risposta (Coombs, 2007 pag. 165).

L’attribuzione di responsabilità da parte degli stakeholder comporta per l’azienda conseguenze dal punto di vista emotivo e comportamentale (Coombs & Holladay, 2005; McDonald & Härtel, 2000). Se l’azienda è ritenuta responsabile, la

reputazione ne soffrirà e gli stakeholder proveranno rabbia; di conseguenza potranno essere motivati a ridurre i loro rapporti con l’azienda, riducendo quindi i loro acquisti, potranno essere spinti a effettuare un passaparola negativo oppure potrà mutare il loro atteggiamento nei confronti dell’azienda (Coombs, 2007 pag. 165).

2.1.2 Fattori che definiscono la minaccia reputazionale

La SCCT (Coombs, 2007 pag. 166-167) postula che, comprendendo la tipologia di crisi, i dirigenti possono determinare la migliore strategia di risposta, in altre parole quella che massimizzerà la protezione della reputazione aziendale. Compito dei manager è di esaminare la situazione di crisi per valutare il livello di minaccia reputazionale. Con minaccia s’intende l’ammontare di danni che una crisi potrebbe infliggere alla reputazione di un’azienda se non si attua nessun tipo di strategia di risposta. I fattori che definiscono la minaccia reputazionale sono:

 La responsabilità iniziale della crisi: quanto gli stakeholder ritengono che la causa scatenante la crisi derivi dalle azioni dell’azienda (Coombs, 1995). È stato dimostrato che più gli stakeholder ritengono un’azienda responsabile, più la minaccia alla corporate reputation aumenta (Coombs, 1998; Coombs & Holladay, 1996, 2002, 2004).

 La storia delle crisi: consiste nel vedere se l’azienda ha già avuto in passato una crisi simile. In caso affermativo, l’azienda dovrà andare

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alla ricerca della causa scatenante la crisi e dovrà poi affrontare il problema (Kelley & Michela, 1980; Martinko et al., 2004).

 La precedente reputazione: ci informa sulla qualità del trattamento riservato agli stakeholder. È sfavorevole se nel tempo gli stakeholder non siano stati trattati nel migliore dei modi (Porritt, 2005).

Per stimare la minaccia alla reputazione aziendale (Coombs, 2007 pag. 166-167), i manager devono come prima cosa determinare la responsabilità iniziale connessa alla crisi; in un secondo momento devono poi considerare gli altri due fattori (storia della crisi e precedente reputazione relazionale). Questo perché, se l’azienda ha già subito una crisi simile e ha una reputazione sfavorevole, la valutazione iniziale della minaccia alla corporate reputation aumenterà.

La SCCT sostiene che ogni tipologia di crisi genera specifici e prevedibili livelli di attribuzione della responsabilità aziendale; questa teoria, per sostenere ciò, ha individuato tre cluster di tipologie di crisi (Coombs, 2007 pag. 167-168):

 Il cluster delle vittime: l’azienda è essa stessa vittima della crisi; per questo motivo non è ritenuta responsabile e, di conseguenza, la minaccia per la corporate reputation è scarsa. Ne fanno parte le crisi dovute a: disastri naturali, pettegolezzi, violenze sul luogo di lavoro e prodotti manomessi.

 Il cluster accidentale: le azioni dell’azienda che l’hanno portata alla crisi sono del tutto involontarie; l’attribuzione di responsabilità nei confronti dell’azienda è quindi minima e la minaccia alla reputazione aziendale è modesta. Ne fanno parte le crisi dovute a errori tecnici che causano incidenti o prodotti difettosi.

 Il cluster intenzionale: l’azienda, violando le leggi e mettendo in atto azioni inappropriate, mette consapevolmente in pericolo la vita

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delle persone; si ha quindi una forte attribuzione di responsabilità e una conseguente grave minaccia alla corporate reputation. Ne fanno parte le crisi dovute a incidenti o prodotti difettosi dovuti a errori umani e a misfatti dell’azienda che possono causare danni agli stakeholder.

Identificando la tipologia di crisi, il manager può prevedere quanta responsabilità della crisi ricadrà, secondo gli stakeholder, all’azienda, così da stabilire il livello iniziale di responsabilità per la crisi. Se gli stakeholder attribuiscono una maggiore responsabilità per la crisi all’azienda, la loro percezione della corporate reputation peggiorerà (Coombs, 2007).

2.1.3 Strategie di risposta alla crisi

Dopo una crisi, un’azienda ha il dovere di comunicare con gli stakeholder. Come prima cosa, deve informarli sulla natura della crisi, in modo che si possano proteggere e possano quindi limitare i danni (instructing information); deve poi dare loro il supporto psicologico necessario (adjusting information). Solo successivamente può concentrarsi sulla minaccia alla reputazione (Coombs & Holladay, 2008 pag. 252). Questo perché la protezione degli stakeholder è più importante rispetto alla protezione della reputazione (Coombs, 2007).

Una volta che i livelli di responsabilità della crisi e della minaccia alla corporate reputation sono stati determinati, la SCCT fornisce, basandosi sul modello di Benoit, una prima serie di strategie in risposta alla crisi.

Benoit e Drew (1997) propongono una serie di strategie che vanno dalla completa smentita da parte dell’azienda della responsabilità iniziale al rimedio completo, in cui l’azienda propone misure preventive e correttive (Dutta & Pullig, 2011 pag. 1282).

Benoit nella sua “Image restoration theory” propone cinque strategie di risposta alla crisi (Dutta & Pullig, 2011 pag. 1282) (Tabella 1):

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 Negare: l’azienda mette in dubbio la veridicità di un evento negativo o il fatto che sia stata essa stessa a provocarlo.

 Sottrarsi alla responsabilità: Questa strategia generale di riparazione dell’immagine ha quattro versioni. Un’azienda può dire che il suo comportamento può essere visto come una reazione ragionevole alla provocazione subita. Un'altra forma specifica di elusione della responsabilità è la defettibilità, con cui l'azienda sostiene la mancanza d’informazioni o il controllo su importanti elementi della situazione. Una terza opzione è quella di sostenere che l'azione offensiva è avvenuta per caso, cercando di convincere il pubblico che l'atto in questione è accaduto accidentalmente. Infine, l'azienda può suggerire che il comportamento offensivo è stato eseguito con buone intenzioni.

 Sminuire l’accusa: l’azienda cerca di ridurre il grado di esperienza negativa provata dai consumatori. Questa strategia generale di riparazione dell’immagine ha sei modalità. Innanzitutto, una società può cercare di rafforzare i sentimenti positivi del pubblico verso la stessa, al fine di compensare i sentimenti negativi connessi con l'atto illecito. Le aziende possono descrivere le caratteristiche positive che hanno o gli atti positivi fatti in passato. Una seconda possibilità consiste nel cercare di minimizzare i sentimenti negativi associati con l'illecito. Poi, una società può utilizzare la differenziazione per distinguere la sua azione da altre simili ma più offensive. Un quarto modo per sminuire l’accusa consiste nel tentare di mettere l'azione in un contesto più favorevole. Altrimenti può decidere di attaccare i suoi accusatori. La compensazione, infine, è la forma finale per ridurre l’offensività.

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 Attuare azioni correttive: l’azienda che segue questa strategia comunicativa dichiara che risolverà il problema riportando la situazione allo stato iniziale oppure promettendo di modificare i suoi comportamenti in modo da non incorrere più nella crisi.

 Chiedere il perdono: l’azienda ammette la sua responsabilità e chiede ai consumatori di essere perdonata.

STRATEGIE DI RISPOSTA ALLA CRISI

1. NEGARE

2. SOTTRARSI ALLA RESPONSABILITÀ  Trovando un capro espiatorio

 Defettibilità

 Trovando una scusa basata su un incidente  Sostenendo che l’azienda aveva buone intenzioni 3. SMINUIRE L’ACCUSA  Supportando  Minimizzando  Differenziando  Trascendendo  Attaccando l’accusa  Compensando

4. ATTUARE AZIONI CORRETTIVE

5. CHIEDERE IL PERDONO

Tabella 1

La SCCT, partendo da questa classificazione, suddivide le strategie di comunicazione post-crisi in primarie e secondarie; le primarie sono a loro volta suddivise in tre gruppi (Coombs, 2007 pag. 171-172):

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 Negazione: include tutte le strategie di comunicazione post-crisi volte a eliminare ogni connessione tra l’azienda e la crisi. Questo perché un’azienda non coinvolta nella crisi non riporta alcun danno. I manager devono quindi riuscire a far credere che le voci sulla crisi dell’azienda siano false, solo così la corporate reputation sarà salva.

 Minimizzazione: include tutte le strategie di comunicazione post-crisi basate sull’idea che la crisi non è poi così negativa come credono i consumatori o sul fatto che l’azienda non ha nessun tipo di controllo sulla crisi. Per fare ciò i manager hanno bisogno di prove solide e a volte nemmeno queste sono sufficienti a evitare delle ripercussioni alla reputazione aziendale.

 Ricostruzione: include tutte le strategie di comunicazione post-crisi in cui l’azienda si assume tutta la responsabilità per la crisi e, per cercare di limitare i danni, offre aiuto o materiali ai consumatori danneggiati. I manager devono cercare di offrire dei benefici ai consumatori in modo da compensarli dei danni subiti dalla crisi: esempi potrebbero essere l’elargizione di compensi o assumersi la piena responsabilità della crisi chiedendo quindi ai consumatori di perdonare l’impresa. Questa tipologia di strategia è utilizzata per le crisi che presentano una grave minaccia per la corporate reputation, come ad esempio una crisi accidentale o intenzionale che, o non è la prima volta che si presenta, oppure va a minacciare una reputazione aziendale già bassa.

Nelle secondarie vi fanno invece parte esclusivamente le strategie di rinforzo, che hanno la funzione di ricordare agli stakeholder del buon lavoro svolto dall’organizzazione o di ricordare loro che è essa stessa vittima (Tabella 2). Solitamente sono utilizzate insieme alle strategie primarie.

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STRATEGIE DI COMUNICAZIONE POST-CRISI

1. PRINCIPALI  NEGARE o Attaccare l’accusa o Negazione o Capro espiatorio  MINIMIZZARE o Spiegazioni o Giustificazioni  RICOSTRUIRE o Compenso o Scuse 2. SECONDARIE  RINFORZARE o Liquidare o Ingraziarsi i consumatori o Passare da vittime Tabella 2

La SCCT sostiene che l’efficacia di ogni strategia di comunicazione post-crisi dipenda dalla tipologia di crisi che l’azienda si trova ad affrontare e fornisce una combinazione generale di connessioni: le strategie di negazione sono più adatte per il cluster in cui l’azienda è essa stessa vittima della crisi, quelle di minimizzazione per il cluster accidentale e infine quelle di ricostruzione per il cluster intenzionale (Tabella 3) (Grappi & Romani, 2015 pag. 24).

STRATEGIA POST-CRISI CLUSTER

Negazione Vittime

Minimizzazione Accidentale

Ricostruzione Intenzionale

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Bisogna precisare che, nella realtà, ci sono alcune strategie maggiormente utilizzate dai portavoce dell’azienda in crisi; tra queste bisogna ricordare: il negare la responsabilità, il fornire delle giustificazioni e il confessare le proprie colpe.

Una crisi creerà dei sentimenti negativi, specialmente nel cluster intenzionale: l’azienda in questo specifico caso, se decide di negare la propria responsabilità o dichiarare come false le voci sulla crisi, deve essere consapevole che ciò potrebbe non essere apprezzato dagli stakeholder, con conseguenze negative per la reputazione. Un esempio potrebbe essere il seguente: lo scorso luglio, McDonald’s Japan ha subìto una grave crisi, poiché è pubblicamente emerso che un fornitore cinese avesse inviato alimenti scaduti e gestito in modo improprio la carne di pollo utilizzata per i Chicken McNuggets e altri prodotti. In un Paese come il Giappone, molto sensibile al problema della qualità e della sicurezza dei cibi, per McDonald’s le conseguenze sono state pesanti, anche se la società ha fatto subito sapere di aver troncato i rapporti con i fornitori cinesi servendosi di altri provenienti dalla Thailandia. Purtroppo, lo scandalo alimentare aveva già acquisito dimensioni globali. A peggiorare la situazione è stata la reazione della responsabile di McDonald’s Japan, che contro ogni forma di eticità orientale, ha utilizzato la strategia di negazione e ha dato tutta la responsabilità al fornitore. Un passo falso culturale enorme: la cultura nipponica prevede l’assunzione pubblica delle responsabilità e, preferibilmente, predilige il risarcimento o la pena pagati in prima persona. La responsabilità sociale d’impresa, in questi Paesi, impone che essa sia portatrice di doveri morali nei confronti dei propri stakeholder per garantire l’armonia della società nella sua interezza3. Fornendo, invece, delle giustificazioni, attribuendo parte della responsabilità della crisi a fattori esterni o interni e minimizzando le ripercussioni che la crisi potrebbe portare agli stakeholder, i manager potrebbero riuscire a limitare i danni alla corporate reputation. Molti studi dimostrano che, per quanto riguarda il cluster intenzionale, confessare le proprie colpe è una strategia efficace giacché

3 http://www.ninjamarketing.it/2014/10/22/mcdonalds-japan-la-brand-reputation-puo-mettere-in-crisi-un-colosso/

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riduce gli effetti negativi e le reazioni indesiderate, sebbene aumenti il sentimento di compassione. A crescere non è quindi, come sosteneva Weiner, la rabbia verso l’azienda che si dichiara colpevole (Grappi & Romani, 2015 pag. 25-26). Un altro ottimo modo per provocare questo sentimento è l’utilizzo della strategia di comunicazione secondaria di rinforzo.

Gli stakeholder, se si trovano a dover affrontare una crisi intenzionale, si arrabbieranno e in alcuni casi potranno pure divertirsi nel vedere l’azienda soffrire. La negazione della crisi da parte dei manager, comunque, elimina ogni possibile effetto negativo per la reputazione solo se gli stakeholder sono disposti a credere che effettivamente l’azienda non stia subendo nessuna crisi (Coombs, 2007 pag. 172).

Il miglior modo per ridurre gli effetti negativi per la corporate reputation si ottiene peraltro con l’utilizzo di strategie di ricostruzione, come ad esempio il porgere le proprie scuse (apology), o con la dimostrazione d’interesse per i propri stakeholder, vittime della crisi (adjusting information). Dimostrando, infatti, preoccupazione nei confronti degli stakeholder e/o rinforzando la comprensione verso di essi attraverso un compenso economico o dimostrando di assumersi tutte le responsabilità, è possibile smussare la rabbia degli stakeholder (Coombs, 2007, pag. 172).

Un caso esemplare, è quello di Barilla, che nel 2013, a causa delle dichiarazioni omofobe fatte durante un programma radiofonico dal suo presidente, ha subìto la sua più grande crisi di reputazione aziendale. L'intervista causò una pioggia di polemiche da parte delle associazioni gay friendly e di esponenti del mondo politico e dello spettacolo, mentre i clienti più affezionati minacciavano di non comprare più la pasta. Nei mesi successivi, con un'operazione a 360 gradi, il brand italiano è diventato un modello da seguire, accogliendo e tutelando i dipendenti transgender e le loro famiglie. Il primo passo però fu il "mea culpa" di Guido Barilla, che dopo le critiche ricevute da tutto il mondo, stampa estera e social network in primis, ha chiesto scusa per i suoi commenti, giudicati omofobi. Nei mesi successivi furono messe in atto anche altre strategie di comunicazione post-crisi che sono riuscite a far uscire il brand dalla crisi, come

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ad esempio l’estensione della copertura sanitaria anche alle famiglie dei dipendenti transgender4.

Gli studi empirici hanno dimostrato che lo scusarsi, facendosi carico di tutte le responsabilità, rappresenta la migliore strategia di comunicazione post-crisi. Questo comporta però per l’azienda l’assunzione di elevati costi dovuti alle possibili cause che gli stakeholder possono intentare contro l’impresa e alle perdite finanziarie (Coombs & Holladay, 2008). Altre ottime strategie post-crisi, meno costose rispetto alla precedente, sono il risarcimento e la compassione, poiché si focalizzano sui bisogni delle vittime, gli stakeholder danneggiati. Nello studio di Coombs e Holladay del 2008 si può vedere che le tre strategie appena descritte, producono effetti simili nei soggetti che non sono vittime della crisi. Nel caso in cui il responsabile della crisi non sia certo o sia sconosciuto, dati gli elevati costi associati al porgere le proprie scuse, i manager possono negare la loro responsabilità, offrendo quindi compensi o facendo provare compassione per l’azienda (Coombs & Holladay, 2008 pag. 255-256).

Nel paragrafo successivo saranno illustrate le dimensioni della reputazione aziendale che i consumatori considerano più rilevanti.

2.2 Le dimensioni più rilevanti della Corporate Reputation

La corporate reputation (Page & Fearn, 2005 pag. 309-310) è composta da 3 dimensioni principali (Figura 1):

 La responsabilità sociale

 La leadership di mercato e il successo dell’azienda  La correttezza nei confronti dei consumatori

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Con responsabilità sociale, s’intende l’effettiva valenza sociale dell’azienda per la popolazione, mediante azioni caritatevoli, supporto alle comunità locali e rispetto dell’ambiente (Page & Fearn, 2005 pag. 309).

Con leadership di mercato, s’intende il possesso da parte dell’azienda di almeno il 50% delle quote di mercato; con successo dell’azienda s’intende, invece, l’aver successo e l’essere innovativa e all’avanguardia (Page & Fearn, 2005 pag. 309). Con correttezza nei confronti dei consumatori, s’intende che l’azienda debba riuscire a fornire prodotti o servizi di qualità e che debba essere in grado di trattare con rispetto i consumatori (Page & Fearn, 2005 pag. 309).

Figura 1

Dallo studio di Page e Fearn del 2005 è emerso che la dimensione della corporate reputation ad avere la relazione più stretta con la brand equity è quella relativa alla Leadership e al successo dell’azienda; poco meno correlata è la dimensione

Dimensioni della Corporate Reputation

Prezzi equi Fiducia Pubblicità Prodotti Consumatori Successo CEO Innovazione Leadership Buone cause Diversità Responsabilità sociale Ambiente Dipendenti

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relativa alla correttezza nei confronti dei consumatori. La responsabilità sociale ha invece la correlazione più bassa (Figura 2).

Figura 2

Questo risultato (Page & Fearn, 2005 pag. 309-310) è consolidato dalle motivazioni che spingono i consumatori a boicottare un’azienda, in altre parole servizi scadenti, prezzi alti e prodotti di bassa qualità. Le ragioni addotte in percentuale più bassa sono invece: le discriminazioni come il razzismo o sessismo, i test dei prodotti sugli animali e lo sfruttamento dei bambini o delle popolazioni del terzo mondo. Un motivo potrebbe essere che i consumatori non siano a conoscenza della partecipazione delle aziende a queste pratiche, in realtà è più probabile che queste abitudini negative non condizionino il consumatore a tal punto da influenzare i suoi comportamenti d’acquisto.

I consumatori, ritenendo fondamentali la qualità dei prodotti e dei servizi e la correttezza del trattamento riservato loro dall’azienda, dimostrano di essere più propensi a preoccuparsi dell’effetto che l'acquisto dei beni potrà avere su di loro, piuttosto che su qualcuno o su qualcos’altro (Page & Fearn, 2005 pag. 311). L'impatto sulla reputazione varia in base all’azienda, sia la natura della corporate reputation di un’azienda sia il rapporto con la percezione del marchio possono

0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 0,3 0,35 Responsabilità sociale

Leadership e successo dell’azienda Correttezza nei confronti dei

consumatori

Correlazione con la Reputazione Aziendale

Responsabilità sociale Leadership e successo dell’azienda

Correttezza nei confronti dei consumatori

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avere importanti implicazioni per le strategie delle imprese. Dato che la reputazione non ha la stessa rilevanza per tutte le aziende, è importante che ogni impresa riesca a capire l’impatto che la sua corporate reputation ha sui consumatori (Page & Fearn, 2005 pag. 311).

Tuttavia, per la maggior parte dei consumatori la reputazione delle aziende non è la leva più importante nella determinazione dei comportamenti d’acquisto. La reputazione aziendale è connessa alla brand equity e alle vendite, ma solo marginalmente. Mentre una debole reputazione ha gravi implicazioni per la percezione della marca, una buona reputazione crea solo l'opportunità di sviluppare marchi più forti, non ne è perciò garanzia (Page & Fearn, 2005 pag. 311).

La minaccia alla corporate reputation varia quindi in base alla dimensione colpita, ma è importante considerare anche un altro fattore: il coinvolgimento del consumatore.

2.3 Il coinvolgimento dei consumatori

Il coinvolgimento (Dalli & Romani, 2013 pag. 55) consiste nell’importanza che il consumatore attribuisce a un oggetto, a un’azione o a un’attività. I consumatori che percepiscono il prodotto come rilevante in termini di conseguenze e valori o di motivazioni si dicono coinvolti con il prodotto e si ritiene abbiano sviluppato una stretta relazione con esso (Celsi & Olson, 1988).

Il coinvolgimento può avere una dimensione cognitiva e una affettiva. In entrambe le circostanze, spesso strettamente correlate, il consumatore manifesta una particolare attenzione per il prodotto in questione, che si concretizza in processi cognitivi e in comportamenti del tutto particolari (Dalli & Romani, 2013 pag. 55).

Le spiegazioni del grado di coinvolgimento che il consumatore manifesta nei confronti di prodotti e servizi possono essere di due tipi (Dalli & Romani, 2013 pag. 55):

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 Quanto più un prodotto o una situazione sono collegati ai valori o al concetto di sé del consumatore, tanto maggiore è il coinvolgimento rispetto a essi.

 Sotto un’altra prospettiva, si può sostenere che il coinvolgimento emerge in risposta a un elevato livello di spinta dovuto alla motivazione: quanto più elevata è l’energia messa in moto da una determinata motivazione5, tanto più il consumatore si sente coinvolto con il prodotto o la situazione nella cui direzione tale spinta è rivolta. In sintesi, il consumatore si trova coinvolto con certi beni se le loro caratteristiche rispondono a valori importanti e/o se essi rappresentano alternative soddisfacenti per dare sfogo a un’intensa motivazione (Dalli & Romani, 2013 pag. 55).

Se gli individui non hanno abbastanza informazioni su un prodotto o su una società, ad esempio, quando ricevono informazioni su un’azienda che non conoscono, si basano sulla corporate reputation per valutare i prodotti della società (Schinietz & Epstein, 2005). Pertanto, una percezione negativa della reputazione aziendale a causa della crisi avrebbe effetti negativi, quali una ridotta intenzione a comprare un passaparola negativo e un atteggiamento peggiorato. Gli effetti per i soggetti con un alto coinvolgimento nella categoria di prodotto sarebbero, invece, opposti; poiché il coinvolgimento del prodotto (Zaichkowsky, 1985) implica l'elaborazione di un’informazione più raffinata da parte dei soggetti. Gli individui con un alto coinvolgimento per una categoria di prodotto ricercano, perciò, altre informazioni su tale categoria, impegnandosi in un processo cognitivo più profondo e adottando un esteso processo decisionale (Celsi e Olson, 1988).

5 La motivazione può essere definita come la spinta in base alla quale il consumatore, riconosciuto un bisogno non adeguatamente soddisfatto, si comporta in modo da soddisfarlo.

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Recenti studi (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 182-183) hanno evidenziato l’importanza del coinvolgimento dei consumatori durante una crisi (Arpan & Roskos-Ewoldsen, 2005; Choi & Lin, 2009; Coombs & Holladay, 2005).

Gli individui con un alto coinvolgimento nella crisi (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 182-183) analizzano le informazioni che la riguardano in modo più attento rispetto ai consumatori con un coinvolgimento basso (Choi & Lin, 2009). Tutto ciò è in linea con gli studi che affermano che il coinvolgimento degli individui verso i prodotti delle aziende, influenza il modo in cui analizzano le informazioni (Petty, Cacioppo & Schumann, 1983).

Sono questi i motivi per cui il contenuto del messaggio nella strategia di comunicazione post-crisi riveste una grande importanza e differisce in base al tipo di coinvolgimento (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 182-183).

Le ricerche sperimentali meno recenti sul ruolo del coinvolgimento dei consumatori durante le crisi (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 182-183) si sono concentrate sull'importanza del coinvolgimento o con l’azienda in crisi o con i suoi prodotti, mostrando che, se il consumatore ha un alto coinvolgimento nei confronti dell’azienda o dei suoi prodotti, percepisce la crisi come poco grave (Arpan & Roskos-Ewoldsen, 2005).

Recentemente, gli studi sulla comunicazione post-crisi hanno iniziato a porre l’accento sull'importanza del coinvolgimento dei consumatori con la crisi (Choi & Lin, 2009a; Coombs & Holladay, 2005); introducendo il coinvolgimento con la crisi come potenziale variabile moderatrice dell’efficacia delle linee guida della SCCT, per la combinazione delle strategie di risposta alla crisi con i vari tipi di crisi, in modo da ridurre al minimo la minaccia per la corporate reputation (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 183).

Un esempio potrebbe essere lo studio condotto da Choi e Lin (2009a), che ha analizzato le diverse reazioni alla crisi subita dalla Mattel, riportate dai genitori, vale a dire consumatori con un alto coinvolgimento, e dai giornalisti, individui con un coinvolgimento basso. I risultati mostrano che entrambe le parti si differenziano fortemente per le loro percezioni sulla crisi. Una differenza che gli autori spiegano sostenendo che i consumatori con un alto coinvolgimento nella

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crisi ricercano informazioni più attivamente. Lo studio però non confronta la valutazione della crisi da parte dei consumatori con un alto coinvolgimento e di quelli con un basso coinvolgimento (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 183). Diversi tipi di comunicazione (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 183) sono più o meno efficaci nell’influenzare gli atteggiamenti dei consumatori a seconda del loro livello di coinvolgimento (Petty et al., 1983).

Il coinvolgimento (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 183) potrebbe avere un’influenza moderata sugli effetti persuasivi dello struttura del messaggio (Gallagher, Updegraff, Rothman, e Sims, 2011; Maheswaran & Meyers-Levy, 1990). Quando il coinvolgimento con la crisi è basso, i consumatori basano il loro atteggiamento su inferenze semplici (Maheswaran & Meyers-Levy, 1990). Gli individui con un basso coinvolgimento nella crisi si sforzano poco a pensare a delle informazioni rilevanti riguardanti il problema (cioè, le strategie di risposta alle crisi) (Petty et al., 1983). Si concentrano invece su altri elementi come lo schema affettivo del messaggio (Petty et al., 1983; Yoo & MacInnis, 2005). Negli individui molto coinvolti, il contenuto del messaggio determina persuasione (Petty & Cacioppo, 1981) e quindi i messaggi con uno schema cognitivo convincono di più, poiché essi si concentrano sul contenuto (Stafford & Day, 1995; Yoo & MacInnis, 2005).

I consumatori con un alto coinvolgimento generano delle contro-argomentazioni quando un messaggio persuasivo è poco convincente (Petty & Cacioppo, 1979). Se, tuttavia, i consumatori con un alto coinvolgimento nella crisi considerano convincente la risposta a una crisi, la strategia di comunicazione determina atteggiamenti positivi verso l'organizzazione (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 184-185).

Il moderato impatto del coinvolgimento nella crisi sullo schema organizzativo del messaggio dipende, però, dalla corrispondenza fra strategia di comunicazione e tipologia di crisi (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 183).

Quando la strategia di risposta alla crisi si abbina con il tipo di crisi, i consumatori reagiscono diversamente allo schema del messaggio, secondo il loro livello di coinvolgimento. Per i consumatori con coinvolgimento basso,

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l'atteggiamento post-crisi verso l'azienda, molto probabilmente non cambierà a seconda del messaggio utilizzato. Lo schema del messaggio affettivo riuscirà a fare appello alle loro emozioni (Petty et al., 1983; Yoo & MacInnis, 2005). Lo schema del messaggio cognitivo attirerà, invece, l'attenzione sul contenuto (Stafford & Day, 1995; Yoo & MacInnis, 2005), facendo capire loro che la risposta corrisponde al tipo di crisi (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 183).

La persuasione dei consumatori con un elevato coinvolgimento dipende invece dal contenuto del messaggio (Petty & Cacioppo, 1981). Poiché lo schema del messaggio cognitivo si concentra su questo contenuto, i consumatori con un alto coinvolgimento nella crisi hanno un migliore atteggiamento post-crisi verso l'azienda, se l’impresa utilizza un messaggio cognitivo al posto di uno affettivo. Le affermazioni cognitive si concentrano sul contenuto e quindi chiaramente rispondono alla necessità d’informazioni espresse dai consumatori con un alto coinvolgimento nella crisi (Yoo & MacInnis, 2005). Inoltre, un messaggio cognitivo rende ovvia la corrispondenza tra il tipo di crisi e la strategia di risposta per questi consumatori, con conseguente aumento dell’atteggiamento positivo verso l'organizzazione in crisi, rispetto all’utilizzo del messaggio affettivo (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 184-185).

Quando, invece, la strategia non corrisponde con il tipo di crisi, i consumatori con un basso coinvolgimento avranno un atteggiamento post-crisi più favorevole verso l'organizzazione in caso di utilizzo dello schema affettivo. I consumatori con un alto coinvolgimento, tuttavia, tendendo a concentrarsi maggiormente sul contenuto, preferiranno un messaggio di risposta alla crisi di tipo cognitivo, perché maggiormente incentrato sul contenuto del messaggio (Stafford & Day, 1995; Yoo & MacInnis, 2005). Tuttavia, quando lo schema cognitivo del messaggio comporta una mancata corrispondenza, i consumatori con un alto coinvolgimento si accorgono che la risposta non si adatta al tipo di crisi. Di conseguenza, essi saranno propensi, probabilmente, a formarsi delle contro-argomentazioni; tutto questo si tradurrà in un atteggiamento negativo nei confronti dell’azienda (Petty & Cacioppo, 1979) (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 184-185).

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Riassumendo, una strategia di risposta alla crisi abbinata alla tipologia di crisi, influenza positivamente gli atteggiamenti post-crisi verso l'organizzazione dei consumatori con un alto coinvolgimento nella crisi, rispetto a una strategia di risposta alla crisi non abbinata. La corrispondenza o la mancata corrispondenza tra le strategie di risposta alla crisi e il tipo di crisi non pregiudicano, invece, l'atteggiamento post-crisi verso l'organizzazione dei consumatori con un basso coinvolgimento (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 184-185).

Il moderato impatto del coinvolgimento nella crisi e dello schema del messaggio sull'efficacia delle linee guida della SCCT è degno di nota (Claeys & Cauberghe, 2012 pag. 184-185), perché questa scoperta può spiegare perché alcuni studi precedenti hanno creduto che una strategia di risposta alle crisi combinata, ripristini la reputazione aziendale meglio di una strategia di risposta alla crisi non combinata (Coombs & Holladay, 1996; Huang, 2006) mentre altri studi hanno ottenuto risultati diversi (Claeys et al., 2010).

2.4 La congruenza fra le dimensioni della corporate reputation

La multi-dimensionalità della reputazione aziendale è particolarmente importante quando si verifica una crisi. Di solito un evento critico si limita a colpire un ambito ristretto e inizialmente tocca una dimensione specifica di reputazione aziendale, anche se poi i suoi effetti vanno a minacciare la reputazione complessiva della società.

Un esempio potrebbe essere la crisi subìta recentemente da Dolce & Gabbana a causa delle esternazionidegli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana a favore della famiglia tradizionale e contro i "figli sintetici", nati grazie alla fecondazione assistita. Questa crisi va a colpire esclusivamente la dimensione della responsabilità sociale dell’azienda. In realtà, a causa di queste dichiarazioni, è iniziata una campagna di boicottaggio a livello mondiale dei prodotti dell’azienda; quindi gli effetti della crisi si sono diffusi anche alle altre dimensioni.

Si può tuttavia ritenere che le reazioni dei soggetti verso una crisi dipendano soprattutto dalla dimensione colpita: se una società ha una buona reputazione per

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l’ottimo rapporto qualità prezzo dei suoi prodotti (ad esempio, la correttezza nei confronti dei consumatori), ci si può aspettare che, se la crisi colpisce esattamente quella dimensione (per esempio, una crisi causata da un caso di manomissione del prodotto), potrebbe provocare effetti peggiori rispetto a una crisi che colpisca un'altra dimensione .

La Teoria della dissonanza sostiene le suddette aspettative (Festinger, 1957). Questa teoria è stata già applicata in vari studi in materia di reputazione, ma con finalità diverse (Helm & Tolsdorf, 2013). Secondo questa teoria, un individuo che attiva due idee o comportamenti che sono tra loro coerenti, si trova in una situazione emotiva soddisfacente (consonanza cognitiva); al contrario, si verrà a trovare in difficoltà discriminatoria ed elaborativa se le due rappresentazioni sono tra loro contrapposte o divergenti. Questa incoerenza produce appunto una dissonanza cognitiva, che l'individuo cerca automaticamente di eliminare o ridurre a causa del marcato disagio psicologico che essa comporta; questo può portare all'attivazione di vari processi elaborativi, che permettono di compensare la dissonanza6.

Se la crisi colpisce la dimensione della reputazione aziendale più rilevante, d’altra parte, i soggetti sperimentano incongruenza, perché la crisi nega ciò che la reputazione afferma. Un esempio potrebbe essere un’azienda nota per le sue opere caritatevoli che si scopre avere compiuto tutte le iniziative non perché responsabile socialmente, ma per ottenere dei benefici fiscali. Queste due informazioni sono opposte tra loro e si crea quindi uno stato di dissonanza. I soggetti dovrebbero cercare di risolvere la dissonanza o rafforzando la loro idea sulla reputazione della società, e definendo quindi la crisi come irrilevante o errata, o denigrando la reputazione dell'azienda, e dando perciò rilevanza alla crisi. La selezione di una o dell'altra strategia cognitiva per ridurre la dissonanza dipende dal coinvolgimento del soggetto nella categoria di prodotto.

Se un soggetto non è coinvolto nella categoria di prodotto, la crisi produce i suoi effetti e muta la percezione della reputazione. Un soggetto meno coinvolto nella categoria di prodotto, è difficile che difenda la reputazione dell’azienda; è, invece,

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più probabile che dia rilevanza alla crisi, peggiorando la percezione della corporate reputation. Una percezione negativa della reputazione, causata dalla crisi, potrebbe avere delle conseguenze negative come la riduzione dell’intenzione d’acquisto, il passaparola negativo e un peggiore atteggiamento verso l’azienda.

Possiamo formalizzare le precedenti supposizioni con l’ipotesi successiva.

H1a [b] {c}: Se una crisi colpisce la dimensione più rilevante della reputazione aziendale (confrontata con una crisi che colpisce le dimensioni meno rilevanti della reputazione), nei soggetti con un basso coinvolgimento nella categoria di prodotto la crisi diminuisce l’intenzione d’acquisto [aumenta il passaparola negativo] {peggiora l’atteggiamento nei confronti dell’azienda}

Nei soggetti molto coinvolti nella categoria di prodotto, la crisi che colpisce la dimensione per cui l’azienda è nota non modifica la percezione dell’azienda, dato che la crisi colpisce una sola dimensione. Inoltre sentono molta meno dissonanza e di conseguenza la reputazione rimane positiva e resiste alla crisi. L’ipotesi seguente sintetizza le seguenti riflessioni.

H2a [b] {c}: Se una crisi colpisce la dimensione più rilevante della reputazione aziendale (confrontata con una crisi che colpisce le dimensioni meno rilevanti della reputazione), nei soggetti con un alto coinvolgimento nella categoria di prodotto la crisi aumenta l’intenzione d’acquisto [diminuisce il passaparola negativo] {migliora l’atteggiamento nei confronti dell’azienda}

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CAPITOLO 3

METODOLOGIA DELLA RICERCA

3.1 Relazioni causali ed esperimento

Per studiare la relazione fra reputazione aziendale, tipologie di crisi e relative implicazioni in termini d’impatto sui consumatori è stato eseguito un esperimento utilizzando un disegno fattoriale. Di seguito, sono pertanto riprese le logiche sottostanti a tale metodologia. Dopodiché sarà presentato più in dettaglio lo studio eseguito.

3.1.1 Relazioni causali

Per corroborare empiricamente l’esistenza di una relazione causale fra due variabili è necessario disporre di tre elementi empirici (Corbetta, 2003 pag. 72-74):

 La covariazione fra variabile indipendente e variabile dipendente. Si deve innanzitutto poter osservare una variazione della variabile indipendente, di quella cioè che sul piano teorico ipotizziamo essere la causa. Inoltre, contemporaneamente al variare della variabile indipendente, deve essere possibile osservare una variazione della variabile dipendente. Ci deve cioè essere una covariazione fra le due variabili.

 La direzione della causalità. Si deve poter osservare che al variare della variabile indipendente varia anche la dipendente, e il contrario non deve essere vero. Ciò può essere stabilito empiricamente mediante la manipolazione della variabile indipendente, strada percorribile solo

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nel caso dell’esperimento, o mediante il criterio della successione temporale.

 Il controllo sulle variabili estranee. È necessario escludere la variazione, simultanea al variare della variabile indipendente, di altre variabili a essa correlata che potrebbero essere loro stesse la causa della variazione della variabile dipendente.

Esistono due diverse tecniche per sottoporre a test empirico le affermazioni causali (Corbetta, 2003 pag. 75-80):

 Analisi di covariazione: in cui il ricercatore osserva e analizza come le variazioni di X sono connesse alle variazioni di Y in un ambiente naturale, escludendo l’influenza delle variabili estranee attraverso il confronto fra gruppi o il controllo statistico.

 Esperimento: in cui il ricercatore produce artificialmente una variazione di X in una situazione controllata (l’assegnazione causale dei soggetti ai gruppi permette di controllare le altre variabili), e misura la conseguente variazione di Y.

3.1.2 L’esperimento

Si può definire l’esperimento come “una forma di esperienza su fatti naturali che si realizza a seguito di un deliberato intervento modificativo da parte dell’uomo, e quindi come tale si contrappone alla forma di esperienza che deriva dall’osservazione dei fatti nel loro svolgersi naturale”. Le prime applicazioni scientifiche dell’esperimento risalgono al XVII secolo grazie al contributo di Bacone, che opera per primo una distinzione fra l’esperienza osservativa e l’esperienza provocata dall’intervento manipolativo dell’uomo e di Galileo, che

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pone l’esperimento a fondamento della conoscenza scientifica moderna (Corbetta, 2003 pag. 80-81).

Nell’esperimento, assegnando per sorteggio i soggetti al gruppo sperimentale e al gruppo di controllo, il ricercatore riesce a tenere sotto controllo tutte le possibili variabili di disturbo, anche quelle non rilevate o addirittura sconosciute. Per questo motivo i gruppi confrontati si differenziano solo in merito alla variabile sperimentale. Lo stesso non si può affermare per le procedure di controllo statistico dell’analisi della covariazione, che sono applicabili solo a un numero finito ed esplicitamente rilevato di variabili prestabilite dal ricercatore e rilevate nella fase di raccolta dei dati (Corbetta, 2003 pag. 85-87).

Un esperimento, per potersi definire tale, deve presentare due caratteristiche (Corbetta, 2003 pag. 96-99):

 La manipolazione della variabile indipendente: spesso questa è nominale e la sua variazione fra i gruppi sperimentali consiste nel fatto che ogni gruppo presenta una diversa modalità di tale variabile.

 L’assegnazione causale dei soggetti ai gruppi (randomizzazione): questa è la via più sicura per ottenere dei gruppi che differiscano, su tutte le variabili, solo per piccole variazioni accidentali.

Se la prima caratteristica è assente, si deve parlare di studio fondato sull’analisi della covariazione e non di esperimento. Se a mancare è la seconda, invece, ci si trova di fronte a dei quasi-esperimenti.

3.1.3 Disegno fattoriale

Il disegno fattoriale è uno dei vari tipi di disegni sperimentali utilizzabili dai ricercatori, si differenzia dagli altri metodi per la presenza di più variabili indipendenti (ovvero più fattori).

Riferimenti

Documenti correlati

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