Sommario
Sommario ... 1
1
INTRODUZIONE ... 2
2
IL GLIOBLASTOMA ... 3
2.1
EPIDEMIOLOGIA DEI TUMORI PRIMITIVI DEL SNC ... 3
2.2
EZIO-PATOGENESI DEI TUMORI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE ... 3
2.3
PRESENTAZIONE CLINICA E DIAGNOSI STRUMENTALE ... 5
2.4
CLASSIFICAZIONE WHO DEI TUMORI CEREBRALI ... 7
3
TERAPIA DEL GLIOBLASTOMA MULTIFORME ... 9
3.1
FATTORI PROGNOSTICI ... 9
3.2
CHIRURGIA, TERAPIA ADIUVANTE E TERAPIA DELLA RECIDIVA ... 12
4
LE MELANOCORTINE ... 19
4.1
FARMACOGENETICA E POLIMORFISMI ... 22
5
MATERIALI E METODI ... 24
5.1
CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI ... 24
5.2
ANALISI DEI CAMPIONI ... 30
5.3
ANALISI STATISTICA ... 33
6
RISULTATI ... 35
7
CONCLUSIONI ... 41
1 INTRODUZIONE
Il glioblastoma rappresenta il tumore maligno primitivo del sistema nervoso centrale più frequente, copre circa il 12%-15% di tutte le neoplasie intracraniche e rappresenta il 54% di tutti i gliomi. E’ caratterizzato da un tasso di mortalità molto elevato (solo 1/3 dei pazienti sopravvive ad un anno e solo il 5% sopravvive sino ai 5 anni dalla diagnosi) e da una spiccata tendenza alla recidiva locale dopo trattamento integrato chirurgico e radio-chemioterapico standard.
Per migliorare l'outcome dei pazienti sono state indagate diverse opzioni, dalla valutazione dei fattori prognostici e predittivi, ai nuovi farmaci biologici, a nuovi dosaggi di chemioterapici, a regimi di ipofrazionamento in corso di radioterapia.
Negli ultimi decenni uno degli ambiti su cui si è concentrata la ricerca in campo medico è quello dell'analisi della funzione delle melanocortine. Si tratta di molecole polipeptidiche che derivano dalla proteolisi di un precursore comune, la proopiomelanocortina (POMC), e rappresentate dalle diverse sottoclassi (α, β e ɣ) dell’ormone MSH e dall’ormone ACTH. Da studi recenti è emersa una loro funzione nel proteggere le cellule (sopratutto nel sistema nervoso centrale) da insulti di natura ischemica.
Scopo di questa tesi è quello di valutare l'impatto che possono avere determinate varianti genetiche (polimorfismi a singolo nucleotide) del recettore MC4 deputato a mediare l'azione centrale di questi ormoni nel determinare la resistenza dell'organismo al trattamento radio-chemioterapico.
2
IL GLIOBLASTOMA
2.1 EPIDEMIOLOGIA DEI TUMORI PRIMITIVI DEL SNC
Le Neoplasie primitive del sistema nervoso hanno un’incidenza di 5 casi/100000 abitanti/ anno e sono responsabili di circa il 2% delle morti per cancro (1). Fra queste i gliomi maligni sono più i frequenti fra la VI° e VIII° decade (3) e negli ultimi trent’anni è stato riscontrato un aumento progressivo dell’incidenza di questi tumori che pare più che raddoppiato nella fascia d’età dei 65 anni (1).
Il tumore della serie gliale più frequente è il glioblastoma (stadio IV° WHO), rappresenta infatti il 54% di tutti i gliomi ed il 12%-15% di tutte le neoplasie intracraniche, ed è caratterizzato da un tasso di mortalità elevato (solo 1/3 dei pazienti sopravvive ad un anno e meno del 5% a 5 anni) (2). L’incidenza aumenta nella fascia di età fra i 45 ed i 70 anni, l’età media è di 53 anni ed il rapporto maschi/femmine è di 1,5 :1 (5).
La recidiva di malattia è un evento frequente e si evidenziava dopo un numero mediano di mesi pari a 6,3 e nell’80% dei casi compare in prossimità del letto operatorio(44)
2.2 EZIO-PATOGENESI DEI TUMORI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Le neoplasie maligne del sistema nervoso centrale originano dalle cellule gliali. Tali cellule costituiscono circa la metà del volume del cervello umano ed inizialmente erano considerate come elementi cellulari con funzione esclusivamente di “supporto meccanico” per i neuroni veri e propri.
In realtà la glia è composta da tre tipi cellulari (gli astrociti, gli oligodendrociti e la microglia) con funzioni diverse e ben più articolate rispetto a quanto ritenuto inizialmente.
Gli astrociti possono essere distinti in due categorie principali: gli astrociti protoplasmatici e gli astrociti fibrillari. I primi sono più rappresentati all’interno delle sostanza grigia, mentre i secondi sono più frequentemente individuabili al livello della sostanza bianca (successivamente sono state individuate due ulteriori classi definite glia di Bergmann del cervelletto e glia di Muller retinica). Le funzioni di queste classi cellulari sono numerose: esse sono in grado di regolare l’ambiente extracellulare (ad esempio modulando la concentrazione di potassio ione e di neurotrasmettitore a livello delle sinapsi), regolano la funzione della barriera emato-encefalica e promuovono la formazione delle sinapsi; un ulteriore importante ruolo è rappresentato dalla risposta ad un qualsiasi danno, sia esso su base ischemica, traumatica o neurodegenerativa, con un fenomeno detto gliosi reattiva. Tale evento è caratterizzato da ipertrofia cellulare, proliferazione e modificazioni funzionali e talora può essere confuso, in corso di diagnosi, con l’astrocitoma diffuso. Questi due quadri possono essere distinti mediante l’analisi microscopica che evidenzia, in caso di gliosi reattiva, cellule con nucleo rotondo-ovalare, citoplasma scarso e debolmente evidenziabile mediante colorazione con ematossilina-eosina (reperti morfologici non evidenziabili in presenza di astrociti reattivi). Gli oligodendrociti avvolgono la propria membrana intorno agli assoni dei neuroni per dare origine alla mielina. La guaina mielinica è una membrana costituita prevalentemente da lipidi che, isolando le fibre
nervose, è in grado di aumentare la velocità di trasmissione dell’impulso nervoso consentendo la cosiddetta trasmissione saltatoria dell’onda di depolarizzazione. Oltre a questo hanno inoltre ruolo nel modificare il diametro assonico e nel fornire supporto trofico.
La microglia rappresenta circa il 10% delle cellule gliali. Derivano da un progenitore mieloide in grado, in culture in vitro, di differenziarsi sia verso cellule con morfologia tipica dell’attività fagocitaria che verso che verso cellule a morfologia dendritica. Non è tuttavia chiaro verso quale categoria vadano a differenziarsi a livello dell’ambiente cerebrale sebbene sembra che agiscano come sensori di danno (6).
La patogenesi delle neoplasie cerebrali vede un ruolo dell’alterazione di diversi geni deputati a promuovere i fenomeni di iniziazione, differenziazione e proliferazione delle cellule tumorali. Tali geni codificano per fattori di crescita e loro recettori, proteine ad attività di secondo messaggero (in grado di influenzare la progressione cellulare attraverso il ciclo cellulare, l’apoptosi), fattori di trascrizione e proteine che mediano l’angiogenesi. L’alterazione che risulta in una sovra-espressione di oncogeni o in una inattivazione di geni ad attività tumor-suppressor determinano modificazioni (rispettivamente aumento e riduzione) della loro normale funzionalità; questo a sua volta darà inizio al processo oncogenetico.
Le alterazioni genetiche a livello delle cellule progenitrici e delle cellule staminali gliomatose danno origine ad elementi in grado di replicarsi indefinitamente (a differenza delle cellule cerebrali normali, e proprio per questa loro capacità vengono anche definite cellule staminali neoplastiche del cervello o brain tumor stem cells). Queste stesse alterazioni sono in grado di determinare la resistenza alla terapia citotossica in quanto determinano la capacità di riparare il danno indotto sia dalla radioterapia che dalla chemioterapia (7). Analizzando più nel dettaglio vediamo che sono rappresentate sia da attivazione di oncogeni quali EGF/R (Epidermal Growth Factor/Receptor), MDM2 (Oncoproteina Mouse Double Minute che agisce inibendo il gene oncosoppressore tp53) e PDGFR (Plateled Derived Growth Factor/Receptor) che da soppressione dell’attività di geni oncosoppressori quali TP53 e p16 (Tumor Suppressor gene/protein), PTEN (Phosphatase and TENsin homolog), RB (Retinoblastoma Tumor Suppressor Gene)
Da un punto di vista dell’eziologia esistono una serie di sindromi ereditarie in grado di aumentare il rischio di sviluppare tumori del SNC (neurofibromatosi, S.me di Turcot, S.me di Li Fraumeni).
Fra i fattori di rischio dobbiamo prendere in considerazione l’irradiazione cerebrale, in grado di aumentare la probabilità di sviluppare neoplasie della serie gliale. Possiamo poi menzionare l’associazione fra glioblastomi e esposizione professionale a cloruro di vinile, idrocarburi aromatici e composti con base fenolica.
2.3 PRESENTAZIONE CLINICA E DIAGNOSI STRUMENTALE
I glioblastomi multiformi insorgono più frequentemente a livello degli emisferi cerebrali, alla diagnosi sono spesso di grandi dimensioni sino ad arrivare ad occupare più di un lobo. Le sedi più frequentemente interessate sono il lobo temporale, parietale e frontale.
Clinicamente il glioblastoma si manifesta nel 50% dei casi con comparsa di cefalea. Tale sintomo presenta alcune caratteristiche cliniche che possono differenziarla dalla cefalea su base benigna. La cefalea dovuta alla presenza di neoplasia cerebrale è infatti un sintomo di nuova insorgenza in soggetto di età di circa 50 anni, ha una localizzazione unilaterale ed è progressivamente ingravescente (8); si manifesta tipicamente durante la notte od al risveglio ed è di tipo continuo e profondo. E’ da ricondursi all’aumento della pressione endocranica solo negli stadi più avanzati di malattia. Durante le prime fasi di malattia non è ancora stato definito con sicurezza quale possa esserne la causa, si ipotizza un ruolo svolto da parte del rigonfiamento edematoso dei tessuto o dalla dislocazione dei vasi sanguigni sia all’interno che alla periferia della neoplasia. Le alterazioni della personalità ed i disordini cognitivi (eccessiva irritabilità, labilità emotiva, rallentamento ideo-motorio, sonnolenza, apatia, astenia) sono un’altra possibile manifestazione dei tumori cerebrali; tale corteo sintomatologico il più delle volte si presenta in modo graduale, sviluppandosi progressivamente nell’arco di settimane o mesi ed è da ricondursi all’interessamento da parte della malattia di strutture profonde quali i meccanismi talamo corticali alla base dello stato di attenzione ed allerta o le fibre di associazione della sostanza bianca proveniente dai lobi frontali e temporali.
Il vomito è un segno che si presenta per lo più in associazione alla cefalea, non collegato all’assunzione di cibo e non preceduto da nausea (si parla infatti di vomito a getto). E’ più frequente nei tumori localizzati a livello della fossa posteriore.
Uno dei segni più frequentemente individuabili nei pazienti con glioblastoma è rappresentato dalla comparsa di crisi epilettiche (il più delle volte focali, possono anche essere generalizzate o comunque possono secondariamente generalizzarsi). Potrebbero essere ricondotte sia ad un eccessivo stimolo di circuiti eccitatori sia ad una interferenza dei tessuti patologici con i circuiti inibitori. Un’epilessia che si presenti per la prima volta in età adulta deve essere sempre indagata per valutare un’eventuale genesi neoplastica.
Segno della presenza di neoplasia del sistema nervoso centrale sono tutti quei quadri definiti come segni o sintomi focali: emiparesi, perdita di sensibilità o della vista. Sono dovuti alla compressione da parte della neoplasia stessa o dell’edema peri-lesionale delle fibre della sostanza grigia o bianca. Solitamente la loro presentazione clinica è influenzata dalla sede della malattia.
La presenza di papilledema è, al giorno d’oggi, un segno individuato di rado, grazie alle metodiche di imaging strumentale che consentono di ottenere diagnosi in fase più precoce rispetto al passato (8).
La RMN sia con che senza mezzo di contrasto (gadolinio) è la metodica di scelta da utilizzare qualora si sospetti un tumore cerebrale sia per la diagnosi di presumibile natura che per l’indirizzo della chirurgia. La TC
cranio-encefalo con mezzo di contrasto deve essere infatti riservata ai paziente che non possono essere sottoposti a risonanza.
Le sequenze necessarie sono la T1 pesata (utile per la valutazione di eventuali emorragie intra-tumorali), T1 con gadolinio (per evidenziare aree di alterazione della barriera emato-encefalica tipica delle lesioni neoplastiche di alto grado ed in particolare del glioblastoma), T2 pesata – FLAIR- e le sequenze funzionali DWI (o valutazione della diffusione, evidenzia una restrizione in aree di alta cellularità o in aree di ischemia), CBV (o valutazione della perfusione, in grado di mostrare il volume sanguigno all’interno della massa neoplastica) e l’analisi spettroscopica (evidenzia un aumento del rapporto colina N-acetil-aspartato indicativo di neoplasia).
Il glioblastoma alle immagini di risonanza si presenta come una massa con enhancement periferico dopo somministrazione di gadolinio con area di necrosi centrale. Il tutto è circondato da edema peri-lesionale (8). La sede della malattia è un parametro che deve essere descritto in modo accurato, andando a definire i rapporti con aree critiche od eloquenti. Dovranno poi essere valutati i segni di massa (da correlare sia alla dimensione che alle caratteristiche biologiche intrinseche della malattia), le caratteristiche macroscopiche della malattia (il glioblastoma è una malattia caratterizzata da un’angiogenesi irregolare, questo si traduce alle immagini di risonanza con una massa di forma irregolare, dotata di aree cistiche e necrotiche al suo interno associate a componente emorragica), le caratteristiche microscopiche, l’impregnazione contrastografica (il più delle volte aumentata nei glioblastomi), la presenza di effetto massa.
La RMN è fondamentale anche per la valutazione della risposta ai trattamenti oncologici. I due criteri utilizzati per valutare in maniera riproducibile la risposta ai trattamenti radio e chemioterapici sono i criteri RANO (che tengono conto sia del tempo intercorso dal termine del trattamento, per la valutazione della possibilità di pseudo-progressione, che della modalità di risposta di malattie non captanti il mezzo di contrasto in caso di pazienti sottoposti a terapia antiangiogenetica) e i criteri di McDonald (che si basavano esclusivamente su parametri di imaging e clinici distinguendo quadri di risposta parziale, completa, malattia stabile e progressione sulla base di variazione delle dimensioni della zona trattata, comparsa di nuove aree sospette, condizioni cliniche generali, utilizzo o meno di terapia steroidea) (15).
Figura 1: Criteri RANO di valutazione della risposta al trattamento combinato radio-chemioterapico.
2.4 CLASSIFICAZIONE WHO DEI TUMORI CEREBRALI
Il sistema di classificazione ad oggi utilizzato per raggruppare i gliomi maligni è la classificazione WHO (4) che li suddivide in 4 gradi in base a livelli diversi di anaplasia e aggressività.
I vantaggi forniti da questo tipo di classificazione sono rappresentati dal raggruppare le neoplasie in base al profilo istologico e dal differenziarne il grado di malignità in base ad un sistema di grading che prende in considerazione diversi aspetti quali le atipie nucleari e citoplasmatiche, la presenza di mitosi (fornisce indicazioni che possono essere utili per valutare decorso ed evoluzione), di neoangiogenesi tumorale e di necrosi (entrambi indicatori di rapida e crescita ed infiltrazione dei tessuti circostanti).
Secondo questa suddivisione dobbiamo distinguere i gliomi nei seguenti 4 gruppi:
GRADO I: Sono rappresentati principalmente dagli astrocitomi pilocitici. Si tratta di forme tipiche dell’età pediatrica caratterizzate da un basso indice di proliferazione. Vengono trattati esclusivamente con intervento chirurgico non seguita da terapia adiuvante (2)
GRADO II: Quali l’astrocitoma diffuso e l’oligodendroglioma. Si tratta di lesioni a carattere infiltrativo e con spiccata tendenza alla recidiva. Un’ulteriore caratteristica è rappresentata dalla possibilità di progressione verso forme più aggressive (astrocitoma ed oligodendrogliomi anaplastici) sino ad arrivare al glioblastoma.
GRADO III: I gliomi anaplastici includono gli astrocitomi anaplastici, gli oligoastrocitomi e gli oligodendrogliomi. Si tratta di lesioni che mostrano evidenza istologica di malignità quali presenza di atipie nucleari ed attività mitotica elevata
GRADO IV: o glioblastoma. E’ composto da un insieme di cellule astrocitarie scarsamente differenziate. Dobbiamo distinguere forme primarie e secondarie; le prime sono forme che si manifestano senza che si siano avuti riscontri precedenti di neoplasie a carico del sistema nervoso centrale. Le forme secondarie si sviluppano a partire da astrocitomi diffusi od anaplastici (5). Il glioblastoma è distinto, secondo questa classificazione, in due varianti istologiche: il glioblastoma a cellule giganti (rappresenta il 95% dei glioblastomi ed è caratterizzato dalla presenza di cellule di grosse dimensioni, plurinucleate) e il gliosarcoma (caratterizzato da aree tissutali che possono presentare zone a differenziazione gliale e mesenchimale alternate)
Un’ulteriore dicitura utilizzata in letteratura è quella che distingue i tumori cerebrali in gliomi di basso grado (gradi I e II) ed alto grado (grado III e IV).
I glioblastomi da un punto di vista anatomo-patologico si caratterizzano per essere lesioni di grosse dimensioni, poco definite che alla sezione di taglio presentano aree grigiastre di necrosi associate ad aree bruno-rossastre da ricondurre alla presenza di emorragie intra-lesionali. Da un punto di vista istologico sono caratterizzati da cellularità spiccata, atipie sia nucleari che cellulari, presenza di cellule giganti plurinucleate, neoangiogenesi e aree di necrosi con cellule periferiche con disposizione a pseudo-palizzata.
3 TERAPIA DEL GLIOBLASTOMA MULTIFORME
3.1 FATTORI PROGNOSTICI
L’approccio terapeutico standard al paziente con glioblastoma comprende la resezione chirurgica e la radio chemioterapia concomitante post-operatoria con temozolomide seguite da 6-12 cicli di chemioterapia. Un modico aumento della sopravvivenza dei pazienti è stato ottenuto nel 2005 in seguito all’introduzione della temozolomide come agente chemioterapico da utilizzare sia in concomitanza alla radioterapia sia come terapia di mantenimento al termine di questa. Per questo motivo, oltre che per il miglior quadro di tollerabilità, tale farmaco viene preferito alle nitrosuree nel trattamento dei pazienti affetti da glioblastoma. Negli ultimi anni sono poi stati introdotti nuovi approcci terapeutici, indirizzati soprattutto ai pazienti con recidiva di malattia (ad esempio l’utilizzo di anticorpi monoclonali o la re-irradiazione con tecnica stereotassica).
L’overall survival nel glioblastoma è compresa fra 12 e 15 mesi ed una sopravvivenza a lungo termine è un evento che si registra in meno del 10% dei pazienti (9). Nonostante l’evoluzione dell’approccio terapeutico registrato negli ultimi 10 anni, l’aspettativa di vita dei pazienti con questa neoplasia rimane ancora del tutto insoddisfacente e solo una parte dei pazienti sottoposti ai trattamenti oncologici ne trae un effettivo beneficio.
Gli elementi che possono aiutarci a raggruppare pazienti affetti da glioblastoma in classi prognostiche sono(10):
ETA’: L’età del paziente è associata significativamente con la sopravvivenza. Un’età inferiore ai 60 anni è associata a una prognosi più favorevole, sia secondo analisi univariate che multivariate.
KARNOFSKY PERFORMANCES STATUS (KPS): Si tratta di una scala di valutazione del paziente che tiene conto della qualità di vita attraverso la valutazione di limitazione dell’attività e cura di se stessi. L’associazione statisticamente significativa è stata individuata con il KPS preoperatorio del paziente. Questo score dovrebbe essere almeno di 70 per avere una migliore aspettativa di vita.
DEFICIT NEUROLOGICI: Stark et al. nel 2012, nel corso di uno studio che ha analizzato 492 pazienti affetti da glioblastoma trattati fra il 1990 e il 2007, ha individuato un’associazione fra presenza di emiparesi, afasia e deficit neurofisiologici con una prognosi peggiore, così come un’associazione fra aumento della pressione intracranica e crisi convulsive con un impatto prognostico favorevole. I motivi di tali associazioni sono spiegate dagli autori considerando che i deficit neurologici determinano un peggioramento del Karnofsky performances status del paziente mentre l’aumentata pressione intracranica (legata all’effetto massa) e le crisi convulsive (senza deficit neurologici permanenti) portano ad una diagnosi precoce della malattia rispetto ai pazienti che non presentano i suddetti sintomi.
MULTICENTRICITA’/MULTIFOCALITA’: Sia l’analisi multivariata che l’univariata condotta sui dati ottenuti da Stark hanno dimostrato una prognosi migliore nei pazienti con lesioni singole rispetto a quelli con lesioni multiple.
RESEZIONE CHIRURGICA: Diversi autori concordano che la prognosi di pazienti sottoposti a resezione chirurgica è superiore a quella di pazienti sottoposti a una semplice biopsia. Un argomento ancora dibattuto tuttavia rimane l’estensione ottimale della resezione chirurgica per poter incidere sulla sopravvivenza del paziente (la necessità di una radicalità chirurgica va infatti ponderata con la necessità di ridurre il più possibile il rischio di disfunzioni neurologiche conseguente ad un intervento chirurgico eccessivamente esteso). Ad oggi non esiste un consenso circa la definizione di resezione completa. Secondo Stark et al la resezione chirurgica dovrebbe comprendere tutta l’area di enhancement contrastografico evidenziato alla RMN pre-chirurgica. Alcuni autori invece parlano di resezione ottimale quando questa comprende almeno il 98% della massa neoplastica (28). Altri considerano una resezione di almeno il 78% come ottimale per garantire una buona sopravvivenza (38).
RADIOTERAPIA: E’ stata riscontrata significativa associazione fra miglior prognosi e una dose totale di almeno 54 Gy (10)
CHEMIOTERAPIA: I pazienti che possono essere trattati con chemioterapia, indipendentemente dal regime utilizzato, hanno una prognosi migliore rispetto a quelli che non sono candidabili ad un trattamento sistemico (10).
Questi fattori prognostici clinico strumentali sono stati raccolti da Curran in diverse classi prognostiche schematizzate nella tabella seguente:
QUADRO BIOMOLECOLARE: Il principale marcatore predittivo la risposta ai trattamenti radio e chemioterapici con temozolomide è rappresentato da una alterazione epigenetica, lo stato di metilazione del gene codificante la proteina O6-Metilguanina-DNA metiltranferasi (MGMT) localizzato sul cromosoma 10q. Quando non metilato è in grado di rimuovere i legami crociati fra filamenti adiacenti di DNA. La proteina MGMT svolge quindi una duplice azione: protegge il DNA dall’azione di agenti mutageni e determina una forma di resistenza agli agenti alchilanti. La metilazione del suo promoter determina la soppressione del gene deputato alla sintesi di questa proteina e quindi un potenziale miglioramento della sopravvivenza (11).
Altri fattori prognostici biomolecolari sono la mutazione del gene codificante per la proteina p53 (proteina coinvolta nella regolazione del ciclo cellulare, progressione attraverso il ciclo stesso ed apoptosi, risposta al danno del DNA) (11), la mutazione dei geni IDH1 ed IDH2 (o isocitrato deidrogenasi 1 e 2, presente nell’ 85% dei glioblastomi secondari) (12) e l’amplificazione del gene codificante per EGFR (porta ad attivazione costitutiva del recettore con conseguente aumento dell’indice mitotico, inibizione dell’apoptosi e capacità di invasione) (11, 13).
Fra questi i principali marcatori utilizzati in pratica clinica sono MGMT e IDH1.
Figura 3: Elenco e rispettive frequenze delle mutazioni che portano alla comparsa di glioblastomi primari e secondari.
3.2 CHIRURGIA, TERAPIA ADIUVANTE E TERAPIA DELLA RECIDIVA
Nei pazienti affetti da glioblastoma l’obiettivo principale di un intervento chirurgico è quello di ridurre quanto più possibile il volume della massa tumorale e di ottenere il materiale patologico necessario per la diagnosi e caratterizzazione della malattia.
I recenti progressi registrati nel campo della neuroradiologia e la loro applicazione durante gli interventi di neurochirurgia hanno reso possibile ottenere exeresi sempre più radicali nel rispetti delle aree critiche del paziente. Una exeresi radicale ha un valore prognostico favorevole soprattutto se confrontata con la sola biopsia (il volume residuo di malattia e l’estensione della resezione tumorale sono indipendentemente correlate ad un aumento della sopravvivenza e ad un ritardo nella recidiva di malattia); tipicamente la recidiva di malattia compare entro i due cm dell’originale area di enhancement contrastografico (26). Al fine di determinare il grado di radicalità raggiunto durante l’intervento inizialmente i margini della malattia erano identificati analizzando parametri anatomici quali colore, consistenza e vascolarizzazione della lesione; in alcuni Centri al giorno d’oggi viene utilizzata la RMN intra-operatoria (l’area da sottoporre a resezione è identificata come l’area di impregnazione contrastografica evidenziata alla risonanza magnetica), metodica risultata più attendibile nell’individuare la maggior parte del residuo tumorale (24). Un’altra metodica utilizzata per individuare i margini della malattia utilizza la fluorescenza indotta dall’acido 5-aminolevulinico, maggiormente indicata nell’analisi di eventuali residui microscopici di malattia. Le due metodiche possono inoltre essere associate al fine di aumentare l’estensione della resezione chirurgica e garantire il minor residuo di malattia possibile (25). Nei pazienti non candidabili a una exeresi radicale o parziale ottenere un campione di tessuto mediante biopsia stereotassica è fondamentale per avere informazioni in merito all’istologia. In fase intra-operatoria il chirurgo deve attentamente valutare, oltre alla dimensione di malattia, anche la sede di quest’ultima. Per lesioni neoplastiche collocate in aree non eloquenti è consentita una chirurgia più demolitiva rispetto a quella ottenibile per neoplasie collocate in prossimità di distretti critici (27). Lacroix et al. hanno valutato l’outcome di 416 pazienti sottoposti a exeresi di gliomi di alto grado, il 92% delle lesioni asportate si trovava in prossimità di aree critiche. Nel 98% dei pazienti sottoposti a resezione radicali è stato registrato un vantaggio in termini di sopravvivenza rispetto a quelli non sottoposti a intervento radicale (28).
Dal 2005 ad oggi lo standard nel trattamento postoperatorio è stato implementato con l’aggiunta della temozolomide al trattamento radiante.
La radioterapia prevede l’erogazione di 60 Gy in 30 frazioni giornaliere da 200 cGy. Per delineare il volume di interesse clinico (CTV) si deve tener conto della RM eseguita prima dell’exeresi chirurgica e di quella eseguita successivamente. Il CTV comprende la sede della malattia prima dell’intervento chirurgico, il residuo evidenziato dalla RM postoperatoria, il letto chirurgico e un margine di 2 cm per includere la eventuale malattia microscopica. La definizione dei volumi di trattamento parte dai presupposti, confermati da diverse
esperienze (35,36), che nel 78% e 56% dei casi la malattia recidiva rispettivamente entro i 2 ed 1 cm dal margine chirurgico.
Figura 4: Volumi di trattamento e distribuzione di dose
I volumi vengono pertanto così definiti:
GTV (Gross Tumor Volume): Rappresenta la malattia macroscopica dimostrabile e può essere rappresentato (in ambito radioterapico) dal tumore primitivo T), dai linfonodi metastatici (GTV-N) o da metastasi a distanza (GTV-M). Nel caso dei glioblastomi cerebrali è la lesione captante il mezzo di contrasto nella sequenza pre-operatoria T1-flair. L’edema peri-lesionale non deve essere compreso in quanto è stato evidenziato che l’inclusione di questo volume all’interno del GTV non modifica il pattern di recidiva determinando, invece, un aumento della quota di encefalo sano compresa entro i campi di trattamento (che quindi riceverà alte dosi di radiazioni ionizzanti). (37)
MARGINE GTV-CTV (Clinical Target Volume): E’ il volume che comprende la sede macroscopica di malattia più la zona di diffusione microscopica. Il margine attualmente considerato standard è di 2 cm. Sono in corso analisi volte a dimostrare la possibilità di una riduzione di questo sino a valori di 1 cm od inferiori.
MARGINE CTV-PTV (Planning Target Volume) Va a identificare l’incremento di volume da dare al Clinical target Volume necessario al fine di compensare i fattori di variabilità inter-frazione ed
intra-frazione (errori di posizionamento, variazioni di volume e forma fisiologiche) rispetto all’isocentro. Deve essere calcolato considerando l’utilizzo di sistemi di immobilizzazione (maschera termoplastica) e verifica del trattamento (CBCT) e può variare da 5 a 2-3 mm
Nella fase di planning è consigliabile utilizzare tecniche che consentano, al contempo, una irradiazione con dosi terapeutiche del volume di interesse associata ad una caduta rapida della dose alla periferia del target in modo da ridurre quanto più possibile l’irradiazione d encefalo sano. Lo standard, in mancanza di studi clinici randomizzati volti a confrontare (in corso di trattamento radio-chemioterapico di prima linea) le tecniche 3DCRT, IMRT e RTS, è rappresentato dall’irradiazione con tecnica 3DCRT. L’IMRT viene riservata a casi selezionati quali lesioni in prossimità di zone critiche (organi a rischio), pazienti con scarso performance status, grandi volumi.
L’ efficacia della radioterapia nell’aumentare la sopravvivenza dei pazienti è dimostrata da due studi risalenti all’inizio degli anni ottanta (17,18) che hanno evidenziato un aumento della sopravvivenza mediana che viene portata dalle 14-22 settimane a 36-47 settimane.
La temozolomide è un agente alchilante (8) utilizzato sia in concomitanza al trattamento radiante (alla dose di 75 mg/mq giornalieri per 42/49 giorni consecutivi) che successivamente alla dose di 150-200 mg/mq per cinque giorni consecutivi ogni 28 giorni per un totale di 6/12 cicli o comunque sino a dimostrata progressione di malattia. L’associazione con temozolomide è in grado di aumentare la sopravvivenza mediana dei pazienti da 12 mesi a 15 mesi. Il tasso di sopravvivenza a 2 anni si porta dal 10% dei pazienti trattati con sola radioterapia a 27% dei pazienti trattati con radioterapia in concomitanza a temozolomide (19).
Un ulteriore agente chemioterapico utilizzato (soprattutto in passato) durante il trattamento di prima linea del glioblastoma è la carmustina inserita in polimeri biodegradabili. Questi polimeri sono impiantati all’interno del letto chirurgico dopo l’asportazione della neoplasia. Uno studio di fase 3 (20) suggerisce un modesto beneficio in termini di sopravvivenza associata però ad importanti quadri di tossicità quali edema cerebrale ed infezione. Non esistono, inoltre studi randomizzati che confrontino (sopravvivenza globale, tempo a progressione e tossicità) il protocollo radio chemioterapia con temozolomide versus trattamento con carmustina
I pazienti trattati con un radio-chemioterapia vanno incontro a progressione in media dopo 7-10 mesi (PFS) (22). Dopo progressione di malattia non ci sono linee guida (dettate da studi prospettici di fase III) che possano orientare la scelta terapeutica. Le principali opzioni terapeutiche sono rappresentate da una seconda chirurgia, una re-irradiazione e una terapia sistemica di salvataggio. La fattibilità di una seconda chirurgia va ponderata caso per caso, a fronte di una difficoltà a ottenere l’exeresi completa della recidiva e della mancata validazione di un vantaggio in termini di sopravvivenza per il paziente si deve tener conto delle possibili sequele e della qualità di vita dei pazienti dopo l’intervento. Oggi viene presa in considerazione dopo un periodo di almeno 6 mesi dalla prima exeresi, in pazienti con un buon PS e nei casi in cui a una exeresi potrebbe essere associato un miglioramento di sintomi compressivi. Park et al hanno condotto
un’analisi retrospettiva volta a valutare il ruolo della seconda chirurgia dopo recidiva (23). Gli autori hanno condotto tale studio analizzando 98 pazienti in totale, di questi 58 sono andati incontro a una chirurgia solo al momento della diagnosi di glioma, 40 hanno subito un secondo intervento chirurgico al momento della progressione. Dall’analisi è emersa un’associazione statisticamente significativa fra seconda chirurgia ed età al momento della diagnosi. Gli altri fattori analizzati (Karnofsky Performance Status, Volume Tumorale e Tempo a progressione) non mostravano associazione.
Figura 5: p-value delle diverse variabili esaminate nel corso dell’analisi retrospettiva condotta Park et al volta a valutare il ruolo di una seconda chirurgia nel trattamento della recidiva (23)
La terapia sistemica delle recidive di glioblastoma può avvalersi di diversi farmaci quali, temozolomide secondo schedula metronomica, nitrosuree e bevacizumab
Bevacizumab è un anticorpo monoclonale diretto verso VEGF, un fattore pro-angiogenetico che entra in gioco durante la progressione neoplastica e nel favorire la permeabilità vascolare. Grazie a questa sua ultima caratteristica bevacizumab può essere utilizzato nei pazienti sintomatici per ridurre la presenza di edema cerebrale. La temozolomide viene utilizzata con schedula metronomica (50 mg/mq/giornaliero; 75 mg/mq/giornalieri 21/28 giorni, 150 mg/mq/ giornalieri 7/14 giorni) nei pazienti che vanno incontro a recidiva poco dopo il termine della radioterapia o nei pazienti che hanno completato i cicli adiuvanti e presentano progressione dopo il termine di queste.
Kim et al hanno analizzato l’outcome di diversi trattamenti di salvataggio in pazienti affetti da recidiva di glioblastoma dopo radio-chemioterapica di prima linea (29). In totale sono stati valutati, mediante analisi retrospettiva,144 pazienti che hanno ricevuto trattamento di salvataggio con un follow up medio di 18,2 mesi. Questi sono stati suddivisi in 5 gruppi in base alla modalità di terapia di salvataggio come schematizzati nella flow chart seguente.
Figura 6: Disegno dello studio di Kim et al (29) volto a confrontare diverse modalità di trattamento di seconda linea.
Gli autori, per condurre la loro analisi, sono partiti analizzando studi precedenti condotti per valutare i risultati di diverse opzioni terapeutiche: Berker et al. riportano una sopravvivenza media dopo seconda chirurgia di 9 mesi (30), Perry et al analizzarono il ruolo della temozolomide nel trattamento di salvataggio individuando un buon quadro di tossicità ed una 6 Progression Free Survival del 36-57% (analisi su 14 pazienti recidivati trattati con temozolomide somministrato con schedula metronomica alla dose di 50 mg/mq/die) (31), il ruolo della radiochirurgia è stato valutato da Combs et al, gli autori hanno analizzato l’Overall Survival e la Progression Free Survival dopo radiochirurgia riportando valori rispettivamente di 10 e 7 mesi (32). Il ruolo dell’associazione fra radioterapia con metodica stereotassica e temozolomide risulta meno definito. Conti et al riportano, dopo trattamento mediante CyberKnife associato a temozolomide (range di dose 75-100 mg/mq) hanno un guadagno di sopravvivenza di 12 mesi ed una 6-PFS del 66,7 % (33). Combs et al. riscontrano una Overall Survival mediana di 8 mesi, una Progression Free Survival di 5 mesi ed un tasso di 6-Progression Free Survival del 48% in 25 pazienti (34). I risultati riportati dagli autori mostrano un beneficio in termini di sopravvivenza simile a quello di Conti et al. ed indicano un vantaggio della radioterapia condotta con tecnica stereotassica associata a temozolomide, se confrontata con le altre metodiche di trattamento precedentemente elencate, sia in termine di PFS che di OS (come evidenziato dalle curve di sopravvivenza).
Secondo linee guida nazionali le scelte terapeutiche per recidiva sono condizionate da diversi fattori, quali dimensioni della recidiva, tempo intercorso dal primo trattamento e performance status del paziente. Riconoscono come standard in seconda linea il trattamento sistemico con fotemustina.
Figura 7: Curve di Kaplan-Meier che confrontano, rispettivamente, la progression free serviva e overall survival nei diversi trattamenti di seconda linea (Gamma Knife e temozolomide, Gamma knife, temozolomide, seconda chirurgia)
Figura 8: Flow Chart diagnostico-terapeutica, il trattamento combinato radio-chemioterapico è riservato ai pazienti affetti da glioblastoma con età inferiore ai 70 anni. I pazienti con età superiore (o con scarso performance status),
4 LE MELANOCORTINE
Con il termine melanocortine indichiamo alcuni peptidi (ACTH o ormone adrenocorticotropo, α-, β- e γ-MSH o ormone melanocito-stimolante) prodotti dal metabolismo, operato mediante un enzima pro-convertasi, della pro-opio-melanocortina (POMC) a livello della ghiandola pituitaria.
Figura 9: Proteolisi della pro-opio-melanocortina
L’ormone adrenocorticotropo (o corticotropina), un ormone proteico prodotto dalla porzione anteriore dell’ipofisi, entra in gioco nel processo di formazione dei glucocorticoidi (cortisolo in primis) e nella sintesi di androgeni.
L’ormone melanotropo (MSH) è prodotto dalla porzione intermedia dell’ipofisi ed ha un ruolo in numerosi processi, il più noto dei quali è la stimolazione alla produzione di melanina da parte dei melanociti. Altri processi guidati da questo polipeptide, sia periferici che centrali, sono l’assunzione di cibo, l’attività sessuale, la sensibilità al dolore, i processi memoria ed apprendimento. Importante, soprattutto ai fini di questa tesi, è l’azione protettiva svolta in risposta ad eventi ipossici.
Entrambe queste molecole sono individuabili sia a livello del sistema nervoso centrale che in tessuti periferici. I primi studi volti ad approfondire le diverse funzioni, operate sopratutto da MSH, risalgono agli inizi degli anni ’50 del secolo scorso. Questi risultati sono poi stati ulteriormente confermati da altri autori negli anni successivi.
L’azione ormonale si esplica attraverso diversi recettori transmembrana collegati a proteine G noti con le sigle MC1, MC2, MC3, MC4 ed MC5. Ogni recettore attiva una via di trasduzione del segnale principale, collegata ad una adenilato-ciclasi, ed una seconda via non AMP ciclico dipendente.
Figura 10: Distribuzione dei principali recettori per le melanocortine e loro attività biologica
I recettori sono presenti, come evidenziato nella Fig. 10, sia a livello centrale che in diversi tessuti periferici (cute, cellule del sistema immunitario, cellule endoteliali, tessuto adiposo, cuore, reni). Più nel dettaglio MC1 è maggiormente rappresentato a livello dei melanociti e di cellule tumorali del melanoma, MC2 a livello delle ghiandole surrenaliche, MC3 è espresso in quota maggiore a livello dell’encefalo e della placenta, MC4 a livello del sistema nervoso centrale. I principali sottotipi recettoriali individuabili a livello del sistema centrale nervoso sono quindi MC3 e MC4.
Oltre agli effetti mediati da queste molecole precedentemente citati, negli ultimi anni sta riscuotendo enorme interesse in campo medico la loro azione nell’ambito della risposta a particolari noxae patogene (shock circolatorio, ischemia-riperfusione miocardica e nei fenomeni neuro protettivi e di neurogenesi in seguito a danno cerebrale (39)).
La funzione neuroprotettiva operata dalle melanocortine è stata confermata da diversi autori. Il gruppo di Lipton ha evidenziato un miglioramento, mediato da α-MSH, nel recupero dei potenziali evocati uditivi in modello animale (40). Huang et al, valutando la risposta ad un evento ischemico cerebrale nel topo, hanno riscontrato una riduzione dei livelli di TNF-α mediata sempre da α-MSH (41). Questi dati sono poi stati ulteriormente confermati da altri autori come ad esempio il gruppo di Giuliani (42). In questi modelli il recupero funzionale si associa ad una riduzione dell’estensione dell’area ischemica e delle alterazioni morfologiche nelle aree indagate (si ha infatti una riduzione delle aree demielinizzante, dell’attività dei fagociti ed un aumento del numero dei piccoli vasi). Sembra inoltre che la terapia con melanocortine stimoli la generazione di nuovi elementi cellulari che svilupperanno proprietà dei neuroni maturi nelle aree danneggiate (39).
I meccanismi attraverso i quali si esplicano gli effetti neuroprotettivi e di stimolo alla neurogenesi partono principalmente dall’attivazione dei recettori MC4 ed, in misura
Figura 11: Meccanismo d’azione centrale e sistemico delle melanocortine
minore dall’attivazione dei recettori MC3. Questo porta a modificazioni dei livelli di marcatori ematologici della risposta infiammatoria (aumento di IL-1 e proteinchinasi, riduzione dei livelli circolanti di TNF α, IL-1 β, IL-6, inibizione dell’attività della caspasi 3) responsabili della funzione neuroprotettiva mediata delle melanocortine. La neurogenesi è legata sia all’azione del gene Zif628 che a quella della via di trasmissione del segnale denominata Wtn-3. Anche l’attivazione di queste due vie sembra mediata, come per i fenomeni neuroprotettivi, all’azione di mediatori della risposta infiammatoria (aumento dei livelli di IL-10). Da notare che lo stimolo dei due recettori MC3 ed MC4 sembra essere conseguente anche ad eventi ischemici periferici (ad esempio ischemia miocardica) che determinerebbero la mobilizzazione di cellule immunitarie dalla periferia al sistema nervoso centrale con conseguente sovra espressione e /o sovra attivazione dei medesimi marcatori della risposta infiammatoria, apoptoica e citotossica. E’ stato inoltre ipotizzato (sebbene il meccanismo preciso attraverso cui opera non sia ancora stato chiarito) un ruolo operato da parte del nervo vago. E’ stato infatti dimostrato su modelli animali che procedure volte ad inattivarlo, quali la vagotomia o la somministrazione di molecole che bloccano i recettori colinergici, sono in grado di bloccare l’azione melanocortinica sia centrale che periferica (43).
Attualmente l’attenzione verso queste molecole ed i loro effetti è dovuta ai potenziali utilizzi in ambito clinico, quali recupero da eventi ischemici cerebrali o miocardici, al fine di ridurre le conseguenze cliniche di un approccio terapeutico tardivo.
Scopo di questa tesi è quello di valutare una possibile influenza operata da particolari variazioni genetiche (polimorfismi) del recettore MC4 nel mediare la resistenza al danno da radiazioni ionizzanti ed agenti chemioterapici in pazienti affetti da tumore cerebrale tipo IV secondo la classificazione WHO.
4.1 FARMACOGENETICA E POLIMORFISMI
La farmacogenetica è una disciplina il cui obiettivo è identificare le differenze genetiche interindividuali responsabili della variabilità nella risposta ai farmaci (47). La risposta ai farmaci è infatti per lo più determinata da fattori ereditari che possono influenzare diverse fasi dell’interazione fra molecola ed organismo (ad esempio espressione dei recettori).
Diversi studi hanno confermato questa ipotesi. I primi furono condotti da Vessel e Page già negli anni ‘70 (48). Gli autori analizzarono la risposta alla somministrazione di farmaci sia in gemelli omozigoti che eterozigoti dimostrando un identico metabolismo nei soggetti omozigoti.
La disponibilità di informazioni sull'assetto genetico ottenute grazie alla realizzazione del progetto Genoma Umano ha dato nuova spinta a questa disciplina il cui scopo è quello di analizzare le relazioni esistenti tra il polimorfismo dei geni e variazioni fenotipiche che possono alterare la risposta farmacologica.
Con il termine polimorfismo genetico viene definita una variazione nella normale sequenza genetica. In particolare i polimorfismi a singolo nucleotide sono modificazioni di un singolo elemento nucleotidico all’interno di una determinata popolazione presente in una percentuale di soggetti superiore all’ 1% (al di sotto di questo valore si parla di mutazione genetica) (45). Possiamo ad esempio (Vedi Fig. 12) trovare in
determinati soggetti, in un determinato locus genetico, una coppia Citosina-Guanina sostituita dalla coppia Timidina-Adenina. Tali zone di variabilità genetica originano da mutazioni puntiformi (per lo più transizioni ma possono comprendere anche piccole inserzioni o delezioni).
Figura 12: Vediamo che in questa immagine la squenza di DNA differisce esclusivamente per una coppia di basi (C-G vs T-A).
Si tratta di polimorfismi estremamente numerosi se confrontati con altre forme come (ad esempio gli Short Tandem repeat la cui frequenza è di circa 1 ogni 15 Kb) all’interno del genoma umano (si calcola che ammontino a circa 1 ogni Kb) e la maggior parte è rappresentata all’interno del database dello Human Genome Mapping Project (HGMP). Possono trovarsi sia all’interno di un gene (in questo caso non determinano un cambiamento della sequenza amminoacidica risultante dalla trascrizione del gene in questione), all’interno di una sequenza intronica o all’interno di una sequenza intergenica.
Si tratta di elementi stabili all’interno del genoma umano e che quindi non risultano modicati di generazione in generazione.
5 MATERIALI E METODI
5.1 CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI
Il nostro studio ha previsto l’arruolamento di un totale di 56 pazienti affetti da glioblastoma trattati con radio-chemioterapia con temozolomide o sola chemioterapia.
Figura 13: istogramma per classi di età
I pazienti presenti nel nostro campione presentavano età comprese fra 24 anni ed 80 anni .
In Figura 13 viene descritta graficamente la distribuzione secondo fasce d'età del nostro campione. Possiamo notare una asimmetria verso le fasce d'età superiori. La distribuzione è centrata sulla media di 57 anni e mediana di 59 anni. Notiamo inoltre una distribuzione univariata.
In figura 14 riportiamo la distribuzione del performance status dei pazienti. Anche in questo caso notiamo una distribuzione univariata con leggera asimmetria sinistra, media di 79 e mediana di 80.
Figura 14: Istogramma relativo alla distribuzione del Performance Status dei pazienti.
Tutti i pazienti sono stati trattati presso la Divisione di Radioterapia Universitaria dell’Azienda Ospedaliero Universitaria pisana. I pazienti arruolati presentavano tutti una diagnosi patologica di Glioblastoma ottenuta nel periodo di tempo dal 2005 al 2014 mediante: biopsia (3 pazienti), exeresi parziale (10 pazienti) e radicale (40 pazienti). Mancano i dati relativi al tipo di approccio relativi a 3 pazienti.
Figura 15: Diagramma a barre del tipo di approccio chirurgico
In figura 16 mostriamo la distribuzione dell'età dei pazienti suddivisa per la tipologia di approccio. Osserviamo che per la biopsia il numero esiguo dei pazienti non consente di avere dati sufficientemente descrittivi. Il range di età dei pazienti sottoposti a chirurgia radicale è maggiore rispetto a quello dei soggetti
trattati con exeresi parziale. La mediana dell'età dei pazienti sottoposti a chirurgia è maggiore rispetto a quella dei pazienti trattati con exeresi parziale.
Figura 16: Box plot dell'età dei pazienti suddivisa per tipo di intervento
I dati relativi al trattamento neoadiuvante (temozolomide 200-250 mg/mq per 5 giorni consecutivi) sono stati acquisiti per 51 pazienti: 33 hanno assunto il farmaco 30 giorni prima di iniziare la radio-chemioterapia concomitante mentre 18 non hanno assunto il farmaco (vedi figura 17).
Figura 17: Approccio neo-adiuvante
50 pazienti sono stati sottoposti a radioterapia mentre i pazienti non sottoposti a trattamento radiante sono in totale 6. Tale scelta è da ricondursi a progressione di malattia (comparsa nel periodo di tempo intercorso
fra intervento chirurgico o biopsia e centraggio TC) e conseguente peggioramento del performance status tale da rendere impossibile l’esecuzione delle 30 sedute previste. Questi pazienti hanno ricevuto trattamento sintomatico o sistemico di seconda linea.
Figura 18: Diagramma a barre relativo all'esecuzione della radioterapia
I pazienti trattati con radioterapia hanno un'età compresa fra 24 ed 80 anni con una mediana di 57 anni. I soggetti non trattati presentano un range d'età compreso fra 60 e 70 anni con mediana di 64 anni. Il performance status dei pazienti sottoposti a radioterapia risulta essere fra 30 e 100 con mediana di 85 e media di 81,9. Viceversa i soggetti non sottoposti a radioterapia presentano un performance status fra 40 e 70 con mediana di 60 e media di 56. La distribuzione del perfomance status per i soggetti trattati con radioterapia è asimmetrica
Figura 19: Età dei pazienti suddivisi per trattamento radioterapico
Figura 21: PS dei pazienti trattati con Radioterapia
46 pazienti hanno assunto chemioterapia concomitante alla radioterapia con temozolomide mentre 1 solo paziente non ha assunto alcuna terapia sistemica in aggiunta alla radioterapia
.
Figura 22: PS dei pazienti trattati suddiviso per tipo di approccio chirurgico
In figura 22 è riportato il PS dei pazienti suddiviso per approccio chirurgico. I pazienti sottoposti a chirurgia radicale ed exeresi parziale presentano media e mediana superiore a quella dei pazienti sottoposti a biopsia. Il gruppo di pazienti trattati con chirurgia radicale presenta un range di valori più ampio rispetto agli altri due gruppi. Si nota inoltre una modesta asimmetria verso i valori di PS maggiori.
Per la radioterapia dosi e volumi trattati sono quelli descritti dalle linee guida della Società Italiana di Radioterapia (2).
Terminato il trattamento post operatorio i pazienti sono stati seguiti a follow up mediante visita clinica periodica e RMN con mezzo di contrasto ogni tre mesi.
43 pazienti sono andati incontro a chemioterapia dopo il trattamento integrato radio-chemioterapico. 20 pazienti risultano ancora in vita al momento dell’ultimo controllo.
5.2 ANALISI DEI CAMPIONI
Da tutti i pazienti è stato raccolto un campione ematico (3 ml) ottenuto mediante prelievo venoso al momento del primo accesso presso la nostra struttura, i campioni sono stati poi trattati mediante l’aggiunta di EDTA e conservati in ambiente refrigerato alla temperatura di – 80°C.
Per l’estrazione del DNA è stato utilizzato il QIAamp DNA Blood Mini Kit (Qiagen, Valencia, CA, USA). I campioni sono stati trattati ponendo, sul fondo di una provetta da micro centrifuga, 20 µl di QIAGEN Proteasi (Proteinasi K). A questo sono stati aggiunti 200 µl di sangue intero e 200 µl di buffer presente all’interno del kit Quiagen utilizzato. Il campione è stato poi sottoposto a centrifugazione (15 secondi) e successivamente incubato a 56°C per 10 minuti. A questo punto al campione così trattato sono stati aggiunti 200 µl di etanolo al 100% e quindi nuovamente centrifugato per 15 secondi. Il campione è stato a questo punto portato su una colonna per la separazione del DNA (QIAamp Spin Column) e centrifugato ad 8000 giri/minuto per 1 minuto. E’ stato poi scartato l’eluato e la procedura di centrifugazione ripetuta dopo aver aggiunto al campione prima 500 μl di buffer AW1 e successivamente, dopo eliminazione del filtrato, 500 μl di buffer AW2. Il campione è stato quindi nuovamente sottoposto a centrifugazione (14000 giri/minuto per 3 minuti). Eliminato l’eluato si incuba il campione con in 200 μl buffer AE a temperatura ambiente per 1 minuto. A questo punto è possibile eluire il DNA adsorbito sulla resina in una nuova provetta da 1.5 ml mediante centrifugazione a 8000 giri/min per 1 minuto.
Sui campioni così trattati sono stati ricercati ed amplificate le sequenze genetiche relative alle varianti alleliche del recettore MC4 denominate rs17782313, rs489693, rs8087522 ed rs17700633. L’analisi PCR RealTime (Polymerase Chain Reaction quantitativa) necessaria a discriminare i polimorfismi è stata ottenuta mediante sequenziamento con il sistema ABI PRISM 7900 SDS (Applied Biosystems, Carlsbad, CA, USA) e successivamente confermata con TaqMan® SNP genotyping assays (Applied Biosystems). La PCR Real Time, a differenza della PCR, permette di monitorare la quantità di materiale genetico presente prima e durante la
fase esponenziale di crescita per poter risalire alla quantità inizialmente presente. Si ha quindi in simultanea sia l’amplificazione del materiale genetico che una sua quantificazione. Questo metodo parte da una normale reazione PCR (denaturazione dei filamenti di DNA con conseguente loro separazione, annealing del primer ed estensione del filamento con la formazione di nuove molecole) nella quale ai primer sono aggiunte 2 molecole fluorescenti: R o Reporter (fluoroforo ad alta energia) e Q o Quencher (fluorocromo a bassa energia), quest’ultimo ha il compito di spengere la fluorescenza di R (poiché i fotoni di R sono assorbiti da Q)in un fenomeno che può realizzarsi esclusivamente se le due molecole sono vicine. Nel saggio TaqMan (Fluorogenic 5' Nuclease Assay), una speciale sonda fluorogenica complementare alla sequenza del DNA bersaglio viene aggiunta alla miscela di PCR. Durante l'amplificazione, sia i primer che la sonda si legano al templato. La sonda, essendo bloccata al 3' non può essere estesa dalla polimerasi. Durante l'estensione del primer, la Taq-polimerasi incontra la sonda ibridata che le sbarra la strada e quindi la taglia mediante la sua attività 5'-3' esonucleasica, liberandosi la strada e portando così a termine la copiatura del frammento. Se la sonda è intatta Q azzera la fluorescenza di R (la loro distanza è molto ravvicinata) se invece la sonda è frammentata la distanza tra Q ed R è maggiore e di conseguenza Q non riuscirà ad annullare l'attività di R. Per ogni copia di prodotto PCR portata a termine, e quindi ogni qualvolta una sonda viene degradata, si libera una molecola fluorescente che genera un segnale rilevabile. La fluorescenza dei campioni ottenuta viene confrontata rispetto ad uno standard e grazie a questo si può risalire al numero di copie di DNA di partenza. Per ogni campione si otterrà un grafico con la sua curva di crescita, e tale curva salirà tanto prima quanto maggiore è la quantità di templato di partenza.
Figura 15: Curve di discriminazione allelica ottenute mediante Real Time PCR
Lo scopo principale della Real Time PCR, a differenza della PCR standard, non è dunque solo la semplice amplificazione del DNA, ma ottenere anche una sua quantificazione.
In questo modo saremo in grado sia di differenziare la quantità delle diverse varianti alleliche presenti nel campione esaminato che di quantificarle. Nel caso della nostra analisi ricercheremo le quattro varianti alleliche, mediante apposite sonde, del recettore MC4 denominate rs17782313, rs489693, rs8087522 ed rs17700633:
Sequenza rs17782313
GTTTAAAGCAGGAGAGATTGTATCC
[C/T]
GATGGAAATGACAAGAAAAGCT
TCA
Sequenza rs489693
TCTTAATTCTGTTGTCATTAGTTCC
[A/C]
GTTTGTTAAATGTTTACAGCGTGG
C
Allele ancestrale A, Allele mutato C
Sequenza rs8087522
TAAGAACCCAGCCAGTAGTGGTTCA
[A/G]
TTAAAATACCTGAAAAACAGAG
AGG
Allele ancestrale A, Allele mutato G
Sequenza rs17700633
GTTTCACTGTGTGGCAAGACAGAAT
[A/G]
TTGTGGTACCCGGTCGCTGCTA
AGG
Allele ancestrale A, Allele mutato G
5.3 ANALISI STATISTICA
I risultati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi utilizzando il software GraphPad Prism (versione 5.0; GraphPad Prism Software Inc., San Diego, CA, USA). Il livello di significatività dei dati è stato fissato per valori di 0.0125 (secondo correzione di Bonferroni).
Sono state calcolate overall survival e prograssion free survival per ogni variante allelica del recettore MC4 mediante il metodo di Kaplan Meier.
Per confrontare le frequenze alleliche e genotipiche è stato utilizzato il software GraphPad Prism (versione 5.0; GraphPad Prism Software Inc., San Diego, CA, USA). L’equilibrio di Hardy-Weinberg è stato calcolato usando PHASE 100,101,102 e Arlequin version 3.1; lo stesso programma è stato utilizzato per calcolare le frequenze degli aplotipi.
Per ognuno dei quattro reference SNP (17782313, 489693, 8087522 e 17700633), una volta valutato il numero di soggetti portatori di una determinata combinazione allelica, sono state calcolate la frequenza allelica (misura della frequenza relativa di ciascun allele localizzato su un particolare locus genetico nella popolazione) e la frequenza genica (proporzione di un allele sul totale degli alleli di un determinato gene).
CASI GBM N=61
SNP GENOTIPO FREQUENZA GENICA% FREQUENZA ALLELICA% CHI-QUADRO EQUILIBRIO DI HARDY-WEINBERG MC4R C/T (rs17782313) 4CC 27CT 30TT CC=6.56% CT=44.26% TT=49.18% 35C=28.69% 87T=71.31% א2=0.408 P=0.523 MC4R A/C (rs489693) 9AA 24AC 28CC AA=14.75% AC=39.34% CC=45.91% 42A=34.43% 80C=65.57% א2=1.008 P=0.315 MC4R A/G (rs8087522) 6AA 21AG 34GG AA=9.84% AG=34.43% GG=55.73% 33A=27.05% 89G=72.95% א2=0.994 P=0.319 MC4R A/G (rs17700633) 3AA 22AG 36GG AA=4.92% AG=36.06% GG=59.02% 28A=22.95% 94G=77.05% א2=0.024 P=0.877If P < 0.05 - not consistent with HWE
Michael H. Court (2005-2008)
La popolazione esaminata risulta seguire l’equilibrio di Hardy-Weinberg (il principio di Hardy-Weinberg afferma che le frequenze alleliche in una grande popolazione rimangono costanti di generazione in generazione a meno che non insorgano fenomeni come mutazioni o migrazione di geni che possano alterarne la distribuzione). Il grado di rappresentatività (accordo fra frequenze osservate e frequenze attese) del nostro campione rispetto alla popolazione generale è stato confermato mediante analisi della varianza con test del chi-quadro.
6 RISULTATI
I paziente clinicamente valutati sono in totale 57.
La nostra analisi ha dimostrato, all’interno della popolazione esaminata, una OS mediana di 23 mesi e un tempo mediano di PFS di 13.29 mesi. La PFS è stata calcolata considerando come tempo zero diversi istanti: oltre che dalla data di diagnosi istologica è stata calcolata partendo anche dalla data di inizio del trattamento radioterapico (in modo da poter ricercare una eventuale associazione fra determinate varianti alleliche del recettore MC4 e risposta al trattamento), e dalla data di inizio della terapia adiuvante. Abbiamo quindi ottenuto tre grandi categorie di curve che descrivono questo parametro: Diagnosi Istologica – PD; Inizio della Radioterapia – PD ed Inizio Terapia adiuvante – PD.
Diagnosi istologica-PD
0
10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
0
25
50
75
100
Median PFS 13.29 months
PFS(months)
P
e
rc
e
n
t
s
u
rv
iv
a
l
E’ stata quindi condotta un’analisi per valutare la relazione fra i diversi genotipi del recettore in esame e PFS (calcolata nei tre diversi intervalli temporali) ed OS. Per ogni SNP il confronto è stato condotto fra i soggetti omozigoti (Wild Type o Mutati) ed i soggetti omozigoti (Mutati o Wild Type) più i soggetti eterozigoti.
OS
0
25
50
75
100
125
0
25
50
75
100
Median OS 23 months
OS(months)
P
e
rc
e
n
t
s
u
rv
iv
a
l
PFS inizio RT-PD
0
10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
0
25
50
75
100
Median PFS 10.82 months
PFS(months)
P
e
rc
e
n
t
s
u
rv
iv
a
l
L’analisi non ha dimostrato significatività statistica nelle diverse varianti alleliche analizzate. La PFS e l’OS del nostro campione non si discostano da quella della popolazione generale.
Unica eccezione è rappresentata dall’analisi della PFS (calcolata a partire dalla data di inizio della radioterapia e dalla diagnosi istologica) dei soggetti omozigoti per l’allele ancestrale del rs 489693. I pazienti in questione presentavano PFS mediana di 2,99 mesi (calcolata a partire dalla data di inizio della radioterapia) e di 8.37 mesi (calcolata a partire dalla data di diagnosi istologica) contro dei valori di 13,68 e 13,35 della coorte rappresentata dai soggetti omozigoti mutati e eterozigoti.
(p value rispettivamente di 0.0088 e 0.0194).
Lo stesso gruppo di pazienti (omozigoti AA) presentava un valore di Overall Survival inferiore rispetto ai soggetti AC/CC sebbene la differenza fra i due gruppi non possa essere considerata statisticamente significativa (p value 0.274)
PFS MC4R rs489693 AA vs AC/CC INIZIO RT-PD
0
10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
0
25
50
75
100
AA Median PFS 2.99 months
AC/CC Median PFS 13.68 months
P=0.0088
PFS(months)
P
e
rc
e
n
t
s
u
rv
iv
a
l
PFS MC4R rs489693 AA vs AC/CC D.I.-PD
0
10 20 30 40 50 60 70 80 90 100
0
25
50
75
100
AA Median PFS 8.37 months
AC/CC Median PFS 13.35 months
P=0.0194
PFS(months)
P
e
rc
e
n
t
s
u
rv
iv
a
l
E’ stata quindi analizzata l’Overall Survival delle diverse varianti alleliche. Dato degno di menzione è rappresentato da una OS mediana di 25,77 mesi dei soggetti omozigoti mutati per il rs 17700633 (p value 0.066).
I soggetti omozigoti Wild Type per il rs 177823 presentavano una OS mediana di 29.54 mesi rispetto ad un valore di 17.76 rispetto ai soggetti omozigoti Mutati ed eterozigoti (p value 0.0529).
OS MC4R rs17700633 GG vs AG/AA
0
25
50
75
100
125
0
25
50
75
100
GG Median OS 25.77 months
AG/AA Median OS 16.58 months
P=0.066
OS(months)
P
e
rc
e
n
t
s
u
rv
iv
a
l
OS MC4R rs489693 AA vs AC/CC
0
25
50
75
100
125
0
25
50
75
100
AA Median OS 15.64 months
AC/CC Median OS 24.61 months
OS(months)
P
e
rc
e
n
t
s
u
rv
iv
a
l
Al momento non abbiamo eseguito una stratificazione del campione in esame secondo tutti i possibili confounders.
L’unica valutazione eseguita è stata una stratificazione dei pazienti secondo l’esecuzione o meno di radioterapia. I risultati ottenuti sono stati valutati mediante Log-Rank Test che ha dimostrato una dipendenza della OS all’esecuzione di un trattamento radiante.
OS MC4R rs17782313 TT vs CT/CC
0
25
50
75
100
125
0
25
50
75
100
TT Median OS 29.54 months
CT/CC Median OS 17.76 months
P=0.0529
OS(months)
P
e
rc
e
n
t
s
u
rv
iv
a
l
7 CONCLUSIONI
La terapia dei glioblastomi ha rappresentato una sfida nel campo della ricerca medica. Si tratta di una malattia caratterizzata da un tasso di mortalità elevato, solo 1/3 dei pazienti infatti sopravvive ad un anno e meno del 5% a 5 anni (2). La recidiva è un evento frequente e si evidenziava dopo un numero mediano di mesi pari a 6,3 e nell’80% dei casi compare in prossimità del letto operatorio (44).
I pazienti possono essere suddivisi in categorie prognostiche sulla base di parametri clinici (età del paziente, performance status), molecolari (stato MGMT) e terapeutici (tipo di chirurgia, radioterapia e chemioterapia con temozolomide).
Un grande vantaggio in termini di prognosi è stato raggiunto nel 2005 con l’utilizzo della temozolomide sia in associazione alla radioterapia che durante la terapia di mantenimento (46). Gli autori ottennero valori di Overall Survival del 27,2% a 5 anni nei pazienti trattati con radioterapia e temozolomide contro valori di 10.9% dei soggetti sottoposti a radioterapia esclusiva.
La valutazione dello status (metilato/non metilato) del gene codificante per MGMT è fondamentale per determinare la resistenza agli agenti alchilanti. La metilazione del suo promoter determina infatti la soppressione del gene portando un potenziale miglioramento della sopravvivenza nei pazienti trattati con radioterapia e temozolomide (11).
Andando a valutare lo stato dell’arte nella tecnica radioterapica si nota che ad oggi, dopo l’introduzione della 3DCRT e della modulazione di intensità, non esistono ancora studi clinici randomizzati volti a confrontare (in corso di trattamento radio chemioterapico di prima linea) le tecniche 3DCRT, IMRT ed RTS, lo standard è l’irradiazione con tecnica 3DCRT. L’IMRT viene riservata a casi selezionati (lesioni in prossimità di zone critiche, pazienti con scarso performance status, grandi volumi e nella recidiva locale).
La nostra analisi ha preso origine dalla ricerca di nuovi marcatori biomolecolari che fossero sia in grado di fornire informazioni utili ai fini prognostici e predittivi sia facilmente ottenibili. La valutazione dei marcatori ad oggi conosciuti (MGMT, IDH) viene condotta su materiale ottenuto in corso di intervento chirurgico o biopsia. Si tratta quindi di analisi che richiedono un tempo chirurgico e una buona qualità del materiale sul quale eseguire l’analisi. Quest’ultima caratteristica risulta a volte mancare a causa della vascolarizzazione anarchica tipica di questa forma tumorale che porta alla presenza di ampie aree di necrosi associate ad aree emorragiche e cistiche.
L’analisi retrospettiva condotta nel nostro studi ha previsto la valutazione dei polimorfismi di geni deputati alla sintesi per il recettore MC4 delle melanocortine da prelievo di sangue venoso periferico. L’azione di queste molecole sembra, da studi recenti, collegata alla mediazione della risposta infiammatoria a stimoli patogeni (ad esempio insulti ischemici). Lo scopo della nostra analisi era ricondurre una o più di queste varianti alleliche sia ad un diverso outcome (valutata in termini di OS e PFS) che ad una alterata risposta nei confronti del trattamento radio-chemioterapico. La nostra ipotesi è che questi recettori possano mediare anche la risposta flogistica alle radiazioni ionizzanti e ad agenti alchilanti.