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Vulnerabilita' sismica di edifici storici: metodi di calcolo a confronto con applicazione a un caso studio

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Academic year: 2021

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“VULNERABILITÀ SISMICA DI EDIFICI STORICI:

METODI DI CALCOLO A CONFRONTO CON

APPLICAZIONE A UN CASO STUDIO”

Relatori:

Candidato:

Matilde Blandino

Dott. Ing. Anna De Falco

Ing. Benedetto Maggio Ing.

Francesco Pugi

SCUOLA DI INGEGNERIA

Corso di laurea magistrale in Ingegneria Edile e delle Costruzioni Civili

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Introduzione ... 1

1 Metodi di calcolo per le costruzioni in muratura ... 1.1 Comportamento sismico delle costruzioni in muratura ... 3

1.1.1 Il danneggiamento ... 5

1.2 Modellazione della muratura ... 8

1.2.1 Elementi finiti ... 8

1.2.2 Modelli a macroelementi ... 9

1.2.2.1 Il macroelemento muratura di Lagomarsino et al. ... 13

1.2.2.2 Metodo SAM ... 19

1.2.3 Criticita’ nella modellazione della muratura ... 26

1.3 Analisi ... 31

1.3.1 Analisi statica lineare ... 31

1.3.2 Analisi dinamica lineare ... 32

1.3.3 Analisi statica non lineare ... 34

1.3.3.1 Descrizione ... 35

1.3.3.2 Applicazione ... 40

1.3.3.3 Verifiche di sicurezza ... 41

1.3.4 Analisi dinamica non lineare ... 42

2 Programmi di calcolo ... 2.1 3muri ... 44 2.1.1 Modellazione ... 44 2.1.2 Analisi ... 48 2.2 PCM ... 48 2.2.1 Modellazione ... 48 2.2.2 Analisi ... 51 2.3 Esempi a confronto ... 52

2.3.1 Parete singola tipo 1 ... 52

2.3.2 Parete singola tipo 2 ... 56

2.3.3 Parete con singola apertura ... 59

2.3.4 Parete con doppia apertura ... 62

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ii

3 Caso studio – Procura di Pisa ...

3.1 Premessa ... 73

3.2 Descrizione ... 73

3.2.1 Cenni sulla storia ... 73

3.2.2 Presentazione dell’edificio ... 75

3.2.3 Descrizione degli spazi interni ... 80

3.2.4 Descrizione strutturale ... 84

3.2.5 Caratterizzazione meccanica dei materiali ... 88

3.2.6 Analisi dei carichi ... 91

3.3 Modellazione della struttura... 93

3.3.1 Modellazione in 3muri ... 93

3.3.2 Modellazione in PCM ... 97

3.4 Analisi modale ... 101

3.5 Analisi statica non lineare ... 104

3.5.1 Premessa ... 104

3.5.2 Validazione dei modelli ... 104

3.5.2.1 Stabilita’ dei modelli al variare del nodo di controllo ... 104

3.5.2.2 Conclusioni ... 120

3.5.3 Risultati dell’analisi globale ... 121

3.5.3.1 Stato di danneggiamento finale - analisi masse +x ... 126

3.5.3.2 Stato di danneggiamento finale – analisi masse +y ... 128

3.5.3.3 Stato di danneggiamento finale – analisi 1°modo +y ... 131

3.6 Valutazioni sulla vulnerabilita’ sismica ... 134

3.6.1 Analisi pushover parametriche ... 136

3.6.1.1 Influenza della rigidezza degli orizzontamenti ... 136

3.6.1.2 Influenza del livello di conoscenza ... 141

3.7 Valutazioni sulle verifiche statiche ... 145

Conclusioni ... 149

Bibliografia ... Riferimenti normativi ... 151

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INTRODUZIONE

Il patrimonio edilizio del nostro paese è in maggior parte costituito da edifici in muratura che non sono stati progettati utilizzando i principi della meccanica dei materiali e delle strutture, bensì con un approccio basato sull’intuizione e l’osservazione, utilizzando i principi dell’equilibrio dei corpi rigidi e sperimentando il comportamento delle costruzioni già realizzate; tutto ciò ha progressivamente portato ad affinare criteri esecutivi e di proporzionamento geometrico, configurabili come regole dell’arte.

Oltre alla conformità alle regole dell’arte, un ulteriore elemento di valutazione può essere il “collaudo” della storia, di cui l’esistenza stessa della costruzione ci fornisce testimonianza. Tale collaudo, tuttavia, risulta spesso insufficiente nei riguardi della prevenzione del rischio sismico, in quanto una costruzione potrebbe non essere ancora stata colpita da un terremoto di intensità pari a quella adottata dalle norme per valutare la sicurezza nei riguardi dello stato limite di salvaguardia della vita.

Risulta pertanto evidente che, per valutare oggi la sicurezza di una costruzione esistente, è necessaria un’adeguata conoscenza del manufatto, non solo geometrica ma tecnologico – costruttiva, e che non si possa in ogni caso prescindere dall’analisi strutturale finalizzata a tradurre in termini meccanici e quantitativi il comportamento della costruzione.

Nel presente lavoro di tesi è stato svolto un confronto tra metodi semplificati per il calcolo delle strutture murarie.

Nella prima parte sono brevemente descritti alcuni metodi di modellazione delle strutture in muratura, e particolare attenzione viene data ai modelli a telaio equivalente. Successivamente sono elencate le analisi previste dalla normativa vigente e le relazioni tra i meccanismi di collasso osservati nella realtà e i relativi criteri di rottura per gli elementi strutturali.

Nel secondo capitolo vengono introdotti i metodi di calcolo considerati, implementati nei software commerciali 3Muri e PCM. Se ne fa un primo confronto critico attraverso l’utilizzo di semplici esempi di complessità crescente.

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Il lavoro viene approfondito facendo riferimento ad un caso studio reale. L’edificio scelto, precedentemente ex Corte d’Assise, poi sede dell’istituto d’arte e attualmente sede della Procura di Pisa, risale alla seconda metà del XIX secolo.

Anche per la sua irregolarità altimetrica presenta diversi spunti per confrontare due codici di calcolo diversi, utili strumenti per le analisi di vulnerabilità da svolgere in ottemperanza alle Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del

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1 METODI DI CALCOLO PER LE

COSTRUZIONI IN MURATURA

1.1 COMPORTAMENTO SISMICO DELLE COSTRUZIONI IN

MURATURA

Anche se le strutture in muratura hanno un ottima capacità di far fronte ad azioni verticali, derivanti dai pesi propri e dai carichi variabili, la stessa cosa non si può dire per quanto riguarda le azioni orizzontali.

L’entità delle forze di inerzia che sorgono su una struttura per effetto di un azione sismica sono funzione, tra le altre cose, anche del periodo di oscillazione proprio della struttura. Gli edifici in muratura risultano essere per la loro natura molto rigidi, sia per le caratteristiche proprie degli elementi murari, sia perché tali strutture hanno in genere un ridotto numero di piani e quindi una modesta altezza. All’elevata rigidezza si associa un basso periodo di oscillazione della struttura a cui consegue una grande amplificazione dell’azione sismica.

La muratura non si comporta in modo elastico in maniera indefinita ma, al crescere della azioni a cui è soggetta, si comporta in modo elasto - plastico. Ne consegue che sotto l’azione sismica si instaurano dei fenomeni di plasticizzazione caratterizzati dalla formazione di fessure tali da abbattere la rigidezza dei vari elementi strutturali e quindi complessivamente dell’intera struttura. Questa riduzione di rigidezza fa assumere alla struttura un più elevato periodo di oscillazione a cui consegue una riduzione dell’amplificazione dell’azione sismica. I fenomeni di plasticizzazione riescono inoltre a dissipare un’elevata quantità di energia smorzando così l’azione sismica.

Alla base di un adeguato comportamento delle strutture in muratura durante un evento sismico, come del resto per tutte le tipologie costruttive, c’è un attento studio della concezione strutturale e dei dettagli costruttivi.

Gli elementi che compongono gli edifici in muratura, possono essere suddivisi in tre categorie, ognuna con una precisa funzione statica:

i muri portanti, che svolgono la funzione di portare i carichi verticali;

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i solai, che trasmettono le azioni alle murature sottostanti.

E’ chiaro che i muri portanti sono anche muri di controvento nel caso in cui le azioni orizzontali agiscano parallelamente ad essi. La loro resistenza nei confronti dei carichi orizzontali è influenzata positivamente dalla presenza del carico verticale. Considerando una parete muraria isolata, essa ha una buona capacità di far fronte ad azioni orizzontali agenti nel proprio piano e quindi idonea a esplicare la funzione di parete di controvento. Tutt’altro si può dire per il comportamento di una parete in cui le azioni orizzontali sono dirette ortogonalmente al proprio piano, nei confronti delle quali le pareti risultano essere molto deboli.

Da questo è facilmente intuibile che per un corretto funzionamento di una struttura in muratura durante un evento sismico, gli elementi che la compongono (muri portanti, di controvento e solai) devono essere ben collegati tra di loro in modo da precludere i possibili meccanismi di crisi fuori piano degli elementi murari, facendo così in modo che le pareti che compongono la struttura facciano fronte alle azioni sismiche solo grazie al loro funzionamento nel piano. Gli elementi verticali resistenti e i solai devono quindi dar luogo ad un comportamento detto scatolare.

Figura 1-1: Comportamento della muratura

Garantendo quindi un buon grado di ammorsamento tra le pareti, la singola parete investita dall’azione sismica, nella risposta chiama in collaborazione i muri ad essa ortogonali, trasferendo loro un azione nel proprio piano e attivando quindi il meccanismo resistente nel quale essi esplicano la loro naturale resistenza a taglio. L’ammorsamento garantisce inoltre una maggiore ridistribuzione dei carichi verticali tra le pareti disposte nelle due direzioni anche in caso di solai orditi prevalentemente in una.

La funzione di collegamento tra gli orizzontamenti e le pareti può essere garantita dalla presenza di un cordolo continuo in cemento armato realizzato in corrispondenza dei solai di piano e della copertura. La funzione del cordolo è quella di offrire alla

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parete un vincolo al possibile ribaltamento fuori piano. Contribuisce inoltre ad irrigidire il solaio.

Negli edifici storici, la funzione del cordolo è solitamente svolta da catene in acciaio realizzate sempre a livello dei solai. Al contrario dei cordoli, che sono continui su tutta la parete e hanno una rigidezza sia assiale che flessionale, le catene offrono un collegamento puntuale e hanno solo rigidezza estensionale.

Un ruolo importante per quel che riguarda la risposta sismica di un edificio in muratura è svolto dalla regolarità strutturale, sia in pianta che in altezza. Un edificio compatto ha rigidezze paragonabili nelle due direzioni con un miglior comportamento d’insieme. E’ opportuno che la pianta sia il più possibile simmetrica per limitare gli effetti torsionali dovuti all’eccentricità tra il centro di massa e quello di rigidezza. L’utilizzo di forme in pianta non semplici (a “L” o a “C”) e con rientranze generano pericolose concentrazioni di sforzi negli angoli.

Gli edifici irregolari in altezza presentano gli stessi problemi di concentrazione degli sforzi nella zona di connessione tra due parti dell’edificio aventi altezza diversa. Da evitare sono le configurazioni che portino ad un aumento della massa verso l’alto e la disposizione irregolare delle aperture all’interno di una stessa parete.

Il comportamento più o meno duttile di un edificio è quindi legato al modo di collasso, che risulta a sua volta associato alla tipologia di muratura, alla presenza di cordoli, architravi, ammorsamenti, strutture spingenti etc…

Tutte queste variabili sono di difficile determinazione, soprattutto negli edifici esistenti, dove l’estrema variabilità degli elementi costituenti la muratura, i deterioramenti, le tipologie di posa (murature irregolari, a sacco, …), rende complessa la definizione delle caratteristiche meccaniche degli elementi resistenti.

1.1.1 IL DANNEGGIAMENTO

Dall’osservazione dei danni avvenuti su edifici in muratura durante un evento sismico, per le varie tipologie costruttive, si possono definire tre principali categorie di danneggiamento:

 disgregazione della tessitura muraria;

meccanismo di collasso della parete al di fuori del proprio piano (meccanismi

di 1° modo);

meccanismo di collasso della parete nel proprio piano (meccanismi di 2°

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La disgregazione della tessitura muraria si manifesta sulle murature quando siamo in presenza di un legante di scarsa qualità ovvero quando i paramenti che formano il pannello murario non sono ben ammorsati tra di loro. Tale danneggiamento comporta lo sganciamento del paramento esterno seguito dall’espulsione dello stesso.

I danneggiamenti dovuti a meccanismi che coinvolgono i pannelli murari al di fuori del loro piano si distinguono in base al tipo di deformazione che coinvolge il complesso strutturale il quale può esser soggetto a fenomeni di estensione, flessione e scorrimento.

I fenomeni di estensione della cella muraria si presentano quando le pareti non sono efficacemente collegate tra loro o grazie alle travi o per mezzo di altri dispositivi quali catene. Questo tipo di deformazione comporta il distacco e il ribaltamento delle pareti di facciata e lo sfilamento delle travi ortogonali alla facciata stessa.

La presenza di coperture di tipo spingente favorisce tale meccanismo di crisi. Il ribaltamento può interessare l’intera facciata o solo una parte di essa e, in funzione del grado di ammorsamento delle facciata stessa con le pareti ad essa ortogonali, il ribaltamento può coinvolgere anche porzioni di quest’ultime.

Figura 1-2: Esempi di meccanismi del primo modo

Nel caso in cui il collegamento tra le pareti sia efficace si potranno instaurare fenomeni di flessione o scorrimento della cella muraria.

I meccanismi di collasso di una parete nel proprio piano sono dovute a crisi per taglio o a crisi per pressoflessione.

I meccanismi dovuti al raggiungimento del taglio massimo prevedono l’instaurarsi di un quadro fessurativo degli elementi murari che varia a seconda che l’azione tagliante provochi nei pannelli murari delle lesioni inclinate diagonalmente, che nel caso di azioni cicliche assumono una configurazione ad X, o che, per lo scorrimento di un

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setto murario sull’altro, si ha la formazione di fessure orizzontali solitamente nei letti di malta.

Le fessure diagonali possono anch’esse interessare prevalentemente i letti di malta, assumendo la tipica configurazione a “scaletta” oppure possono coinvolgere i blocchi che costituiscono la muratura. Esse possono interessare sia i maschi murari che le fasce.

Figura 1-3: Rottura per taglio a sinistra e rottura per pressoflessione a destra

La rottura per pressoflessione provoca lo schiacciamento della muratura nella zona compressa delle sezioni. Nel caso in cui lo sforzo di compressione assiale sia elevato, la zona compressa risulta ampia mentre, nel caso di sforzo normale modesto, l’estensione della zona compressa alla base si riduce e si formano ampie fessure di tipo flessionale fino all’instaurarsi di un cinematismo simile a quello di un blocco rigido, (meccanismo di ribaltamento).

Figura 1-4: a) meccanismo per pressoflessione b) meccanismo per taglio scorrimento c) meccanismo per taglio diagonale "a scaletta" d) meccanismo per taglio diagonale dei blocchi

Le varie tipologie di danneggiamento elencate possono instaurarsi sia per gli effetti del sisma sui singoli elementi danneggiati, che per interazione tra diversi elementi strutturali dello stesso edificio o per interazione tra edifici adiacenti.

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1.2 MODELLAZIONE DELLA MURATURA

Il modello strutturale è rappresentato da uno schema geometrico ‐ matematico in cui la struttura e le azioni agenti su di essa interagiscono. Questo schema deve riuscire ad essere il più aderente possibile alla realtà così da simulare il comportamento della struttura, sia in termini di sollecitazioni che di deformazione.

A partire dagli anni '70 sono nati diversi metodi di calcolo basati, da un lato, sull'analisi limite, dall'altro sull'analisi elastica e post‐elastica. I secondi sono presi in considerazione in questa sede e, tra loro, si distinguono i modelli a macroelementi e quelli agli elementi finiti. I metodi a macroelementi, di per sé più o meno semplificati, si distinguono da quelli agli elementi finiti per un minore onere di calcolo e, prescindendo da valutazioni puntuali, forniscono una migliore previsione del comportamento globale delle strutture.

1.2.1 ELEMENTI FINITI

Questo metodo si basa sulla schematizzazione del continuo attraverso elementi finiti monodimensionali, piani o solidi ai quali sono associati legami costitutivi con diverso comportamento a trazione e a compressione. Generalmente le leggi costitutive sono caratterizzate da una resistenza a trazione molto limitata o nulla, caratteristica peculiare questa del materiale muratura. Il comportamento non lineare consente di seguire il corretto degrado della muratura, al crescere del carico, con la riduzione della rigidezza degli elementi che vanno via via danneggiandosi.

Possono essere utilizzati principalmente due tipologie di modello:

 Modelli di continuo equivalente, in cui l’elemento finito rappresenta il comportamento della muratura considerata come solido omogeneo;

 Micromodelli, in cui sono discretizzati gli elementi costituenti la muratura, quindi i blocchi e i giunti di malta.

La prima tipologia di modello deve avvalersi di tecniche di omogeneizzazione per poter definire un continuo aderente alla tessitura muraria. Essendo la muratura costituita da elementi con differenti caratteristiche meccaniche, si devono stabilire dei moduli ricorrenti nella tessitura, e di questi stabilire le caratteristiche equivalenti che saranno quindi adottate dal continuo.

Nei modelli discontinui invece, ogni componente viene modellato separatamente, ed a ciascuno sono quindi attribuite le proprie caratteristiche meccaniche. Questo ultimo modello è perfettamente coerente dal punto di vista teorico, ma l’onere

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computazionale è decisamente elevato, tanto che in alcuni casi è praticamente inapplicabile.

Figura 1-5: Modellazione agli elementi finiti, macro e micro - modelli

Il metodo agli elementi finiti consente di approfondire l’analisi in zone particolari del modello, dove sono presenti gradienti di tensione e deformazione, e di riprodurre qualsivoglia geometria.

I risultati di un’analisi agli elementi finiti di una muratura devono essere elaborati criticamente in quanto, fornendo valori puntuali, potrebbero avere scarso significato.

1.2.2 MODELLI A MACROELEMENTI

I modelli semplificati, sono concepiti per ridurre l’onere computazionale dell’analisi rispetto a quella FEM, cercando di mantenere comunque un sufficiente grado di accuratezza e precisione. La struttura viene ottenuta attraverso l’assemblaggio di macro‐elementi che rappresentano intere parti di muratura come maschi, fasce, nodi. In questo modo i gradi di libertà dell’intero modello sono molto più limitati rispetto ad un equivalente modello FEM.

I legami costitutivi degli elementi sono generalmente definiti in ambito mono‐dimensionale.

Tutti i parametri che caratterizzano un macro‐elemento sono da intendersi come grandezze medie, e le informazioni relative a ciò che avviene localmente nella porzione di struttura sono grandezze generalizzate.

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L’utilizzo di questi modelli presuppone una taratura dei parametri che spesso avviene tramite modelli FEM più evoluti, in quanto alcuni parametri che governano il loro funzionamento non hanno un significato fisico immediato.

Di seguito si riportano alcuni dei principali metodi proposti in letteratura.

Il concetto che la muratura possiede una notevole riserva di capacità in campo non lineare fornita da deformazioni anelastiche e alti livelli di energia dissipata è stato teorizzato da Turnšek e Čačovič attraverso il metodo POR che, originariamente, prevedeva l’esclusiva rottura a taglio diagonale del maschio.

Il metodo POR considera un meccanismo di rottura piano, in cui la risposta globale di ciascun piano in termini di taglio alla base viene calcolata come la somma della risposta individuale di ciascuna parete. Contrariamente alle ipotesi del metodo, gli edifici danneggiati dai terremoti e i risultati di test sperimentali dimostrano altri possibili meccanismi di rottura, già analizzati nel capitolo precedente.

Ai fini di una migliore simulazione dei meccanismi di rottura sono stati ideati diversi metodi a macromodelli a partire dal 1980, soprattutto in Italia, di cui si riporta una breve descrizione nel seguito. Verranno invece approfonditi i metodi che sono alla base dei codici di calcolo utilizzati nel seguente lavoro di tesi.

Alcuni dei principali metodi a macroelementi proposti in letteratura sono rappresentati nella figura 1-6.

Questi modelli si basavano inizialmente su macromodelli bidimensionali (Fig.1-6 (a) e (b)). I modelli piani considerano una rappresentazione piana dell’elemento murario che viene modellato attraverso uno schema discreto equivalente, oppure mediante elementi piani suscettibili di una variazione geometrica per tener conto della non linearità del materiale.

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Figura 1-6: macroelementi a (a) geometria variabile, (b) multi-cuneo, (c) “sandwich”, (d) di tipo beam, (e) molle non lineari, (f) tirante-puntone

Tuttavia, la necessità di considerare una risposta globale degli edifici ha portato molti ricercatori a idealizzare modelli a elementi monodimensionali per simulare una risposta simile a quella di strutture intelaiate e per applicare i metodi convenzionali della meccanica strutturale.

Codici di calcolo come TreMuri e SAM II (Fig.1-6 (c) e (d)) forniscono esempi di questo tipo di macromodelli, motivati dall’introduzione del nuovo codice OPCM 3274/2003 e la sua revisione OPCM 3431/2005.

Entrambi i programmi utilizzano un modello di telaio equivalente in modo che ogni parete dell' edificio è suddivisa in maschi e fasce modellati attraverso macroelementi, che vengono poi collegati da nodi rigidi. La Fig.1-7 illustra esempi dei componenti strutturali utilizzando il metodo del telaio equivalente.

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Figura 1-7: Modellazione a macroelementi di una parete i muratura in (a) TreMuri e di una struttura (b) in SAM II

Recentemente, Caliò et al. e Vanin e Foraboschi hanno individuato alcune limitazioni nell’uso di macroelementi di tipo beam, in particolare sulla simulazione inesatta dell’interazione tra macroelementi e sulla debole modellazione delle condizioni di rottura dei pannelli. Questi autori hanno proposto di tornare all’uso di macroelementi bidimensionali, rispettivamente mediante un insieme di molle non lineari (Fig. 1-6 (e)) e un modello puntone e tirante (Fig. 1-6 (f)).

Il macroelemento presentato da Caliò et al. è costituito da un quadrilatero articolato i cui lati sono infinitamente rigidi e i cui vertici, incernierati, sono collegati da molle diagonali e da un insieme discreto di molle distribuite lungo il perimetro del quadrilatero che simulano i meccanismi di rottura tipici di un pannello murario. Di seguito si vede come la composizione del macroelemento approssimi le tre possibili rotture: per pressoflessione, per taglio diagonale e per taglio scorrimento.

Figura 1-8: Simulazione dei meccanismi di rottura nel piano di un pannello murario

La rottura per pressoflessione può avvenire in due modalità: progressiva fessurazione che porta alla parzializzazione della sezione e quindi alla rotazione intorno ad un estremo; possibile schiacciamento della muratura in prossimità del bordo compresso.

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Il modello è in grado di riprodurre ambedue i modi mediante le molle di interfaccia disposte ortogonalmente alla stessa. Ad esse viene assegnato un legame costitutivo con limitata resistenza a compressione e comportamento elasto ‐ fragile a trazione. La prima modalità di rottura a pressoflessione verrà associata quindi alla rottura delle molle a trazione, mentre la seconda verrà associata alla plasticizzazione a compressione delle molle stesse. In questo modo la dipendenza dallo sforzo normale dei meccanismi è implicita.

Il collasso a taglio per fessurazione diagonale è caratterizzato dalla tipica “X” formata dalle due fessure incrociate che si formano nella porzione centrale del pannello murario, seguendo le isostatiche di compressione. E’ il più diffuso meccanismo di collasso delle murature.

Nel caso del modello questo è simulato attraverso le due molle diagonali che uniscono gli spigoli opposti del quadrilatero articolato ed hanno un legame costitutivo non lineare.

Il meccanismo di rottura per scorrimento è più inusuale perché di solito è caratterizzato da bassi sforzi normali sul pannello in muratura, oppure da grandi parzializzazioni della sezione.

Il macroelemento, e in particolare l’interfaccia, è provvisto di molle parallele al lato del quadrilatero dove sono collegate, a cui sono associati domini di scorrimento Mohr‐Coulomb.

Anche l’instaurarsi di eventuali meccanismi combinati è consentita dal macroelemento di Caliò.

La flessibilità di questo macroelemento è data dal fatto che è interagente lungo ciascuno dei suoi lati e può quindi essere utilizzato per modellare pareti di muratura attraverso una mesh di macroelementi.

1.2.2.1 IL MACROELEMENTO MURATURA DI LAGOMARSINO ET AL. Il macroelemento fenomenologico proposto dal Prof. Lagomarsino et al. permette di cogliere i meccanismi di collasso tipici dell’elemento murario, con una formulazione non lineare, danneggiamento del legame costitutivo, degrado di resistenza softening e degrado di rigidezza.

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Figura 1-9: Modello cinematico del macroelemento

Considerato un pannello di larghezza b, spessore s ed altezza h, si identificano tre parti: le parti 1 e 3, di larghezza b, spessore s ed altezza infinitesima Δ sono poste alle estremità e sono caratterizzate da deformabilità assiale e infinita rigidezza rispetto alle azioni taglianti; nella parte centrale, la 2, è concentrata la deformabilità tangenziale mentre la rigidezza assiale è infinita. La larghezza e lo spessore della parte 2 sono uguali a quelli delle parti 1 e 3, mentre l’altezza è h.

Cinematicamente il macroelemento consente i tre gradi di libertà dei nodi i e j e quelli per i nodi di interfaccia 1 e 2. Però i gradi di libertà non sono la somma di quelli appena elencati a causa delle relazioni di congruenza all’interno delle singole parti. Indicando con w gli spostamenti lungo l’asse, con u quelli trasversali e con φ le rotazioni, si può affermare che:

𝑢1= 𝑢𝑖 𝑢2= 𝑢𝑗

𝑤1= 𝑤2= 𝛿 𝜑1= 𝜑2 = 𝜑

Il modello è dunque descritto da sei componenti di spostamento dei nodi di estremità e dalle due componenti del macroelemento.

Il meccanismo di ribaltamento del pannello, favorito dall’assenza di una significativa resistenza a trazione del materiale, viene rappresentato ipotizzando un contatto elastico monolatero nelle interfacce 1 e 3, mentre il meccanismo di rottura a taglio è schematizzato, considerando uno stato di tensione uniforme nel modulo centrale 2 (si assume Ti = Tj), attraverso un legame tra le componenti cinematiche 𝑢𝑖, 𝑢𝑗 𝑒 𝜑, lo

stato tensionale e le variabili descrittive del comportamento plastico (il grado di danneggiamento α e lo scorrimento plastico γp). Il danneggiamento per fessurazione

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rappresentabile mediante la componente anelastica di spostamento γp che si attiva

quando viene superata una condizione limite per attrito alla Coulomb. Il legame Gambarotta‐Lagomarsino consente di descrivere, attraverso le variabili α e γp

l’evoluzione ciclica del degrado di rigidezza e del deterioramento della resistenza associato al progressivo danneggiamento a taglio.

PRESSOFLESSIONE

Nelle parti 1 e 3 è concentrato il comportamento a flessione.

Fintanto che il centro di pressione rimane all’interno del nocciolo d’inerzia, la sezione non è parzializzata e sforzo normale e momento risultano lineari in w e φ e di accoppiate. Le relazioni che legano N ed M allo spostamento w e alla rotazione φ sono quelle derivanti direttamente dalle equazioni elastiche di legame.

Figura 1-10: Cinematismo del problema assiale elastico

Si indica con 𝑘 =2𝐸𝑕 la rigidezza assiale per unità di superficie, allora 𝑁 = 𝑘𝑏𝑠𝑤 (1.1 a) 𝑀 = 𝑘𝑠𝑏3

12 𝜑 (1.1 b)

La sezione si parzializza quando la risultante delle azioni esce dal nocciolo centrale d’inerzia, assumendo una sezione rettangolare, ciò avviene se:

𝑀 𝑁 = 𝑘𝑠𝑏12 𝜑 3 𝑘𝑏𝑠𝑤 = 𝑏2 𝜑 12 𝑤 ≤ 𝑏 6 (1.2) Assumendo che il pannello non reagisca a trazione, 𝑤 < 0

𝜑 ≤−2𝑤

𝑏 (1.3)

Finché è verificata la precedente espressione, se si applica un momento alla sezione, dopo aver esercitato una compressione, la rotazione 𝜑 aumenterà linearmente, a spostamento verticale w costante.

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Quando la precedente espressione non è più verificata la sezione si parzializza, a questo punto lo sforzo normale e il momento non sono più sollecitazioni disaccoppiate.

Nell’ipotesi di piccoli spostamenti, i contributi anelastici dovuti alla pressoflessione vengono separati da quelli elastici:

𝑁 = 𝑘𝑏𝑠𝑤 − 𝑘𝑠 8 𝜑 ( 𝜑 𝑏 + 2𝑤)2 (1.4 𝑎) 𝑀 = 𝑘𝑠𝑏3 12 𝜑 + 𝑘𝑠 − ( 𝜑 𝑏 + 𝑤) 24𝜑 𝜑 ( 𝜑 𝑏 + 2𝑤)2 (1.4 𝑏) Dunque la relazione che lega spostamenti e rotazioni diventa:

𝑤 = 𝜑 𝑏

2 −

−2 𝜑 𝑁

𝑘𝑠 (1.5)

Figura 1-11: relazione spostamenti-rotazioni

Riassumendo, in un sistema precedentemente compresso, aumentando il momento fino alla condizione limite 𝜑 ≤−2𝑤

𝑏 si ha un incremento di 𝜑 lineare; dopo valgono

le relazioni (1.4) e (1.5) fino al limite 𝑑𝑑𝑤

𝜑 = 0. Oltre questo punto aumenta la rotazione

ma diminuisce la compressione verticale.

Il modello è sensibile anche alla non linearità dovuta al danneggiamento per compressione oltre a quella dovuta alla pressoflessione.

Nella figura seguente si evidenzia lo stato di tensione e spostamento in condizioni di non linearità a compressione.

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Figura 1-12: Stato di tensione e spostamento in condizioni di non linearità a compressione

Al momento dell’entrata in campo non lineare caratterizzato dal superamento del valore di spostamento 𝑤𝑅=𝜍𝑘𝑅 in una porzione della sezione di base, i parametri 𝜉 e μ

identificano in modo univoco detto stato.

 𝜉 =𝑝

𝑏 indica la misura dell’estensione della porzione di sezione interessata

dalla non linearità;

 𝜇 =𝑤𝑚𝑎𝑥

𝑤𝑅 indica la misura della duttilità richiesta alla fibra più esterna e

quindi del successivo degrado di rigidezza.

I successivi passi di carico dipendono dalla storia di carico precedente, e quindi dai parametri 𝜉 e μ. Le fibre che al causa del precedente spostamento hanno avuto un’escursione in campo plastico sono caratterizzate da una minore rigidezza

𝑘∗ 𝑥, 𝜉, 𝜇 = 𝑘

𝜇 − 1 𝜉𝑏 𝑥 + 1

𝑥 ∈ 12− 𝜉 𝑏; 𝑏

2 (1.6) L’andamento della tensione assiale ha quindi andamento lineare solo nella zona della sezione non interessata dalla plasticizzazione

𝜍 𝑥 = 𝑘 −𝑤0− 𝜑𝑥 𝑥 ∈ − 𝑏 2; 1 2− 𝜉 𝑏; 𝑘 −𝑤0− 𝜑𝑥 𝑏𝜉 𝜇 − 1 𝑥 + 𝜉𝑏 𝑥 ∈ 1 2− 𝜉 𝑏; 𝑏 2 (1.7) Studi successivi (Penna 2002 e Resemini 2003) hanno evidenziato che il degrado può essere approssimato linearmente senza commettere un errore apprezzabile.

In base a questa considerazione ed alla trattazione precedente è stata messa a punto una procedura per la correzione non lineare dei valori delle caratteristiche della sollecitazione N e M.

Essendo 𝑁𝑒𝑙 lo sforzo normale calcolato con il legame elastico

(22)

18 𝑁∗ 𝑤

𝑚𝑎𝑥, 𝜉, 𝜇 = 𝑘

𝜇 − 1

𝜇 𝜉𝑏𝑠𝑤𝑚𝑎𝑥 (1.9) Analogamente per il momento flettente si ottiene

𝑀 = 𝑀𝑒𝑙− 𝑀 (1.10) 𝑀∗ 𝑤 𝑚𝑎𝑥, 𝜉, 𝜇 = 𝜉 3− 1 2 𝑏𝑁∗ (1.11)

Tali correzioni sono valide anche per una nuova condizione di superamento della soglia di resistenza oltre che per la riduzione delle tensioni per effetto del degrado. TAGLIO

La parte 2 del macroelemento è quella a cui compete la risposta alle azioni taglianti. La risposta a taglio è espressa considerando una deformazione tagliante uniforme del pannello

𝛾 =𝑢𝑖− 𝑢𝑗

𝑕 + 𝜑

E imponendo una relazione tra le grandezze cinematiche 𝑢𝑖, 𝑢𝑗 e 𝜑 e la sollecitazione 𝑇𝑖 = −𝑇𝑗.

Il danneggiamento da azione tagliante considerato è quello attivato per il superamento della condizione limite attritiva alla Coulomb lungo la diagonale, quindi si può formulare la seguente equazione costitutiva

𝑇𝑖 =𝐺𝐴 𝑕 𝑢𝑖− 𝑢𝑗 + 𝜑𝑕 + 𝑇𝑖∗ (1.12) 𝑇𝑖∗= − 𝐺𝐴 𝑕 𝑐𝛼 1 + 𝑐𝛼 𝑢𝑖− 𝑢𝑗 + 𝜑𝑕 + 𝑕 𝐺𝐴𝑓 (1.13)

Dove la componente anelastica 𝑇𝑖∗ comprende l’azione attritiva f che si oppone al

meccanismo di scorrimento e coinvolge un parametro di danno 𝛼 e un coefficiente dimensionale c, che controlla la deformazione non elastica.

In questo modello, l’azione dovuta all’attrito è considerata nella seguente condizione limite

𝜑𝑠 = 𝑓 − 𝜇𝑁𝑖 ≤ 0 (1.14) dove 𝜇 è il coefficiente di attrito.

In questo modo, al variare dell’azione assiale 𝑁𝑖 = −𝑁𝑗, è possibile variare anche la resistenza a taglio del pannello.

In base ai criteri finora discussi, la classificazione del modello non risulta immediata. Di fatto, le grandezze cinematiche e statiche utilizzate per la formulazione

(23)

19

dell’elemento consistono in spostamenti e rotazioni nodali e in azioni risultanti M, T,

N che quindi richiamano i modelli monodimensionali. Tuttavia, l’introduzione di gradi

di libertà interni all’elemento e di opportune considerazioni sui cinematismi di ribaltamento o “rocking” e di taglio-scorrimento conferiscono un carattere di “bidimensionalità” all’elemento, che sembra quindi riprodurre in modo efficace e sintetico le caratteristiche più importanti della risposta non lineare dei pannelli murari. La capacità di riprodurre la risposta ciclica (e quindi i fenomeni di dissipazione per isteresi dell’energia ad essa associati) rende il metodo uno strumento utile e versatile sia nella ricerca che nelle applicazioni pratiche.

1.2.2.2 METODO SAM

Il metodo è stato sviluppato dapprima per pareti multipiano caricate nel proprio piano, e successivamente è stato esteso a problemi tridimensionali.

Il metodo utilizza le ipotesi formulate da Magenes e Calvi nel 1996. Tale metodo era stato pensato per l’analisi di pareti piane e proponeva un algoritmo implementabile anche in un foglio elettronico. Tuttavia, i limiti riscontrati nei tentativi di applicazione di tale approccio all’analisi di strutture di una certa dimensione e complessità hanno portato alla ricerca di una implementazione diversa, più efficiente dal punto di vista computazionale. Le idee che stavano alla base del modello sono state quindi riformulate ed implementate in un programma di calcolo strutturale non lineare. E’ possibile idealizzare una parete muraria mediante un telaio equivalente costituito da elementi maschio (ad asse verticale), elementi fascia (ad asse orizzontale), elementi nodo (Fig. 1-13). Gli elementi maschio e gli elementi fascia vengono modellati come elementi di telaio (“beam-column”) deformabili assialmente e a taglio. Se si suppone che gli elementi nodo siano infinitamente rigidi e resistenti, è possibile modellarli numericamente introducendo opportuni bracci rigidi alle estremità degli elementi maschio e fascia.

Figura 1-13: Schematizzazione a telaio equivalente di una parete caricata nel piano e l'elemento maschio murario

(24)

20

Ciascun elemento verticale o orizzontale viene rappresentato come un elemento monodimensionale coincidente con l’asse baricentrico dello stesso, delimitato da nodi posizionati alle intersezioni del segmento con gli assi baricentrici degli elementi a cui è collegato. Ogni elemento deformabile del telaio equivalente è caratterizzato da un comportamento elasto‐plastico‐fragile con resistenza definita in funzione della risposta flessionale ed a taglio. L’adozione di bracci infinitamente rigidi per modellare le zone di nodo consentono di riprodurre la ridotta deformabilità di tali elementi.

Escludendo il comportamento fuori piano delle pareti, il modello prende in esame tutti i meccanismi di rottura nel piano della muratura.

ELEMENTO MASCHIO MURARIO

Si suppone che un elemento maschio sia costituito da una parte deformabile con resistenza finita, e di due parti infinitamente rigide e resistenti alle estremità dell’elemento (Fig. 1-13). L’altezza della parte deformabile o «altezza efficace» del maschio viene definita secondo quanto proposto da Dolce (1989), per tenere conto in modo approssimato della deformabilità della muratura nelle zone di nodo.

Il comportamento dell’elemento maschio viene supposto elasto-plastico con limite in deformazione. Si suppone cioè che il maschio abbia comportamento lineare elastico finché non viene verificato uno dei possibili criteri di rottura. La matrice di rigidezza in fase elastica assume la forma consueta per elementi di telaio con deformazione a taglio, e risulta determinata una volta definiti il modulo di Young E, il modulo G , e la geometria della sezione.

Figura 1-14: Definizione dell'altezza efficace dei maschi murari (Dolce, 1989)

I maschi murari possono giungere a rottura nel piano secondo diverse modalità, ciascuna contraddistinta da un proprio valore di taglio ultimo Vu.

(25)

21

Rottura per pressoflessione o ribaltamento

Avviene quando il momento flettente M in una delle sezioni estreme della parte deformabile del maschio i’-j’ (Fig. 1-13) raggiunge il valore ultimo, corrispondente allo schiacciamento della zona compressa della sezione, calcolato secondo l’espressione

𝑉𝑚𝑎𝑥𝐻0= 𝑃𝑒𝑖𝑛𝑓 = 𝑀𝑢 =𝑃𝐷 2 1 −

𝑝

𝑘𝑓𝑢 (1.15)

dove D è la lunghezza della sezione normale del maschio, t lo spessore, p = P/Dt la compressione verticale media sulla sezione dovuta alla forza assiale P, fu è la

resistenza a compressione della muratura, e k è un coefficiente che tiene conto della distribuzione degli sforzi nella zona compressa e si pone pari a 0,85. L’altezza H0

corrispondente alla distanza della base dalla sezione di “momento nullo” (Fig. 1-15).

Figura 1-15: Calcolo semplificato della resistenza a pressoflessione

Se si suppone la muratura infinitamente resistente a compressione la (1.15) si trasforma nella condizione di ribaltamento di un blocco rigido:

𝑉𝑚𝑎𝑥𝐻0=𝑃𝐷

2 (1.16)

Nella sezione in cui viene raggiunto il momento ultimo viene introdotta una cerniera plastica (con ipotesi di comportamento perfettamente plastico).

Rottura per taglio con fessurazione diagonale

Avviene quando il taglio V nel maschio raggiunge il valore ultimo Vu inteso come il

minore fra due valori associati rispettivamente alla fessurazione diagonale per cedimento dei giunti di malta, la cui tensione tangenziale limite è ws, e alla

fessurazione diagonale per rottura dei conci, la cui tensione tangenziale limite è b.

(26)

22 𝑉𝑚𝑎𝑥 = 𝐷𝑡𝜏𝑢 1.17 con 𝜏𝑢 = 𝑚𝑖𝑛 𝜏𝑤𝑠, 𝜏𝑏 𝜏𝑤𝑠 = 𝑐 + 𝜇𝑝 1 + 𝛼𝑉 1.17 𝑎 𝜏𝑏 = 𝑓𝑏𝑡 2,3(1 + 𝛼𝑉) 1 + 𝑝 𝑓𝑏𝑡 (1.17 𝑏)

La relazione (1.17 a) corrisponde alla fessurazione diagonale per cedimento dei giunti di malta, c e μ sono i parametri di resistenza (coesione ed attrito), p = P/Dt la compressione media e 𝛼𝑉 = 𝑀

𝑉𝐷 il rapporto di taglio. La relazione (1.17 b) corrisponde

alla fessurazione diagonale per rottura dei mattoni, in cui fbt è la resistenza a trazione

dei mattoni.

Si sottolinea come questo tipo di formulazione sia stato sviluppato per una muratura in mattoni caratterizzata da tessitura e giunti regolari e possa non essere appropriato per murature irregolari. In questo secondo caso, il ricorso al criterio di Turnšek e Cacovic (1971) espresso dalla (1.18) è ancora una scelta accettabile per le applicazioni, in alternativa alla (1.17).

Nei primi anni Settanta Turnšek e Cacovic ipotizzarono che la rottura per taglio con fessurazione diagonale avvenga quando lo sforzo principale (macroscopico) di trazione raggiunge un valore limite ftu , assunto come resistenza a trazione

convenzionale della muratura. Si assume quindi che, relativamente allo stato limite di rottura per taglio con fessurazione diagonale, l’anisotropia della muratura possa essere trascurata, con il notevole vantaggio di utilizzare un singolo parametro di resistenza (ftu per l’appunto).

Supponendo in prima istanza che il pannello sia sufficientemente snello da poter essere assimilato ad un solido di De Saint Venant, il criterio si traduce nella seguente espressione della resistenza a taglio:

𝑉𝑢 =𝑓𝑡𝑢𝐷𝑡

𝑏 1 +

𝑝

𝑓𝑡𝑢 (1.18)

con b=1.5. Successivamente, per applicare la (1.18) anche a pannelli tozzi fu proposto di utilizzare valori di b variabili con il rapporto di forma H/D del pannello (Turnšek e Sheppard, 1978). Un criterio approssimato è stato proposto da Benedetti e Tomazevic (1984) con b = 1.5 per H/D ≥ 1.5, b = 1 per H/D ≤ 1.5, e b = H/D per 1 < b < 1.5. Questa formulazione, che è stata utilizzata nei metodi POR e derivati, riproduce in maniera sufficientemente accurata la dipendenza della resistenza a taglio dal carico

(27)

23

assiale su pannelli soggetti a prove di taglio in cui viene mantenuto il parallelismo delle basi superiore e inferiore del pannello, cioè con condizioni di vincolo di doppio incastro rotazionale, a cui corrisponde idealmente la condizione Msup ≅ Minf.

Nel caso di rottura per taglio, si suppone che nell’elemento abbiano luogo deformazioni taglianti plastiche come illustrato in Fig. 1.11, in cui viene posto un limite alla deformazione angolare θ = ϕ + γ (chord rotation), oltre il quale la resistenza si annulla. La deformazione angolare θ è espressa come somma della deformazione flessionale ϕ e di quella a taglio γ (Fig. 1.16).

Figura 1-16: Comportamento anelastico del maschio nel caso di rottura per taglio e deformazioni angolari pertinenti ad un estremo dell'elemento

Rottura per taglio scorrimento

Si assume che la rottura del maschio per scorrimento avvenga lungo un letto di malta in corrispondenza di una delle sezioni estreme i’ o j’ della parte deformabile.

Il criterio di rottura è espresso dall’equazione (1.19), applicato a ciascuna delle sezioni estreme.

In questo caso la resistenza a taglio della muratura viene espressa nella forma di Mohr-Coulomb:

𝜏 = 𝑐 + 𝜇𝑝

Dunque la resistenza a taglio della muratura è espressa come resistenza a taglio unitaria moltiplicata per l’area reagente del muro (zona compressa calcolata nell’ipotesi di materiale non reagente a trazione).

(28)

24

Figura 1-17: Ipotesi per il calcolo della lunghezza reagente nel caso di compressione eccentrica.

Nel calcolo della resistenza a taglio unitaria si sostituisce allo sforzo normale p la compressione media della zona reagente. Posta quindi D’ la lunghezza della zona reagente di una sezione soggetta ad una azione assiale P con eccentricità e > D/6, si ha che, nell’ipotesi di distribuzione lineare delle compressioni (Fig. 1.17), vale la relazione: 𝐷′ = 𝛽𝐷 = 3 1 2− 𝑉 𝑃𝛼𝑉 𝐷 = 3 1 2− 𝑉𝐻0 𝑃𝐷 𝐷 In cui si introduce il rapporto di taglio 𝛼𝑉= 𝑀

𝑉𝐷, con 𝑀 = 𝑃𝑒. Quindi la resistenza a

taglio può essere calcolata come: 𝑉𝑢 = 𝛽𝐷𝑡 𝑐 + 𝜇𝑝

𝛽 (1.19)

La deformazione anelastica associata alla rottura per scorrimento viene modellata in maniera analoga alla rottura per fessurazione diagonale, con una deformazione a taglio plastica che si sviluppa come riportato in Fig. 1.16.

I criteri di rottura sono formulati in modo tale per cui all’annullarsi della compressione verticale si annulla sia la resistenza a flessione che la resistenza allo scorrimento. In aggiunta a ciò, si suppone anche che la rigidezza assiale del maschio si annulli in caso di deformazione di trazione, per cui l’azione assiale può assumere solo valori positivi (se di compressione) o nulli. Il maschio con azione assiale nulla risulterà quindi completamente scarico da ogni tipo di sollecitazione.

ELEMENTO FASCIA

L’elemento fascia è formulato in maniera analoga all’elemento maschio, ma con alcune differenze. Vengono mantenuti gli offset rigidi, individuando quindi una lunghezza efficace dell’elemento. Nel caso di aperture allineate verticalmente (Fig.

(29)

25

1.18 a) le analisi comparative finora svolte indicano che si ottengono buoni risultati assegnando una lunghezza efficace pari alla luce libera delle aperture. Con aperture non allineate verticalmente si può pensare di assumere una lunghezza efficace come indicato in Fig. 1.18 b. Per l’elemento fascia si distinguono due possibili meccanismi di rottura: per pressoflessione e per taglio.

Figura 1-18: Definizione della lunghezza efficace delle fasce

Rottura per pressoflessione

Il momento limite è espresso come nell’elemento maschio.

La compressione a cui sono soggette le fasce in direzione parallele all'asse è solitamente bassa, se non nulla. È pertanto molto importante l'esistenza di elementi resistenti a trazione, come catene o cordoli di irrigidimento, disposti al livello delle fasce, che aumentano la resistenza a flessione e permettono l'innescarsi del meccanismo a puntone inclinato, analogamente a quanto accade per i maschi murari, che garantisce l'accoppiamento dei montanti.

Nella sezione in cui viene raggiunto il momento ultimo viene introdotta una cerniera plastica (con ipotesi di comportamento perfettamente plastico).

Rottura per taglio

La resistenza a taglio della fascia viene espressa con criteri simili a quelli utilizzati per l’elemento maschio, tenendo conto però della diversa giacitura dei letti di malta rispetto alla linea d’asse dell’elemento e considerando che la compressione normale ai letti di malta al di sotto delle aperture è praticamente nulla.

Al fine di tener conto della possibilità di un comportamento maggiormente fragile delle fasce, la deformazione anelastica associata alla rottura per taglio prevede una deformazione plastica a taglio costante a cui segue un degrado di resistenza ad un valore αVu, una volta superato un valore limite di deformazione angolare γ1 (Fig. 1.19)

(30)

26

A tale degrado segue poi l’annullamento del taglio resistente per deformazioni angolari superiori al limite γ2.

Figura 1-19: Modelli di comportamento delle fasce; il primo plasto-fragile, il secondo elasto-fragile

La possibilità di assegnare in ingresso i valori dei parametri α, γ1, γ2, consente di riprodurre comportamenti marcatamente fragili, ottenibili ad esempio facendo coincidere γ1 con il limite elastico (Fig. 1.19), oppure più duttili e simili quindi al comportamento dei maschi, ponendo α=1.

1.2.3 CRITICITA’ NELLA MODELLAZIONE DELLA MURATURA

Mentre le procedure di calcolo relative alla valutazione del comportamento fuori piano degli edifici in muratura sono piuttosto semplici quelle relative alla valutazione del comportamento sismico globale sono complesse e richiedono necessariamente l’utilizzo di specifici software.

Allo stato attuale i programmi di calcolo analizzano il comportamento globale dell’edificio adottando solo raramente una modellazione molto discretizzata con elementi finiti bidimensionali e molto più spesso una modellazione “semplificata” a macroelementi. In quest’ultimo caso la maggior parte dei software considera macroelementi costituiti da elementi asta schematizzando le pareti murarie a telaio equivalente, così come consigliato dalle NTC08.

Analizzando le problematiche connesse alla modellazione a telaio equivalente si osserva che un problema rilevante è l’individuazione dello schema di telaio adeguato a ciascuna parete, in grado cioè di fornire una risposta abbastanza corrispondente a quella reale. Nella maggior parte dei casi, infatti gli edifici in muratura esistenti sono costituiti da pareti murarie caratterizzate da configurazioni geometriche piuttosto complesse connesse alla disposizione non regolare delle aperture. Può accadere ad esempio che alcuni maschi murari si suddividono in più maschi o si riuniscono in un solo maschio murario ai piani superiori (Fig.1-20). In tali casi, le schematizzazioni

(31)

27

delle pareti sono spesso effettuate con modelli nei quali un singolo maschio murario viene suddiviso in due o più ritti connessi da un traverso rigido. Tale modellazione restituisce l’effettiva rigidezza tagliante del maschio, ma non quella flessionale, influenzando così sia la distribuzione delle sollecitazioni che il periodo di vibrazione della struttura. Inoltre la divisione di un maschio in più ritti può portare in fase di verifica alla condizione anomala per cui per lo stesso maschio murario possono essere presenti porzioni di maschio verificate ed altre non verificate (Fig.1-20). Per ovviare a tale problema è necessario o modellare ogni singolo maschio murario con un sola asta oppure dividere il maschio murario in più ritti che siano globalmente equivalenti ad esso (in termini di deformazione tagliante e rigidezza flessionale), considerando poi in fase di verifica la somma delle sollecitazioni agenti sui singoli elementi.

Figura 1-20: Problemi della modellazione a telaio di una parete

Un’altra criticità connessa alla modellazione a telaio è l’estensione del tratto rigido da assegnare al pannello di nodo (dato dall’intersezione tra i maschi e le fasce di piano), dalla quale dipende ovviamente l’altezza efficace dei maschi murari e delle fasce, che influenza sia la distribuzione delle sollecitazioni che la deformabilità della struttura. Anche tale operazione è piuttosto complessa nel caso di edifici esistenti, dove le aperture sono disallineate tra loro sia in orizzontale che in verticale. Alcuni programmi per determinare l’altezza efficace dei maschi si riferiscono al criterio riportato in Dolce, 1989; altri adottano criteri differenti non supportati da studi teorici; altri ancora non ne fanno alcun cenno né nei manuali né nella relazione di sintesi fornita in automatico dai programmi. Inoltre, quasi nessun programma indica in che modo viene

(32)

28

valutata la lunghezza efficace delle fasce di piano, molto probabilmente anche perché non esistono studi teorici condotti in tal senso.

La modellazione ad elementi finiti bidimensionali permette almeno apparentemente una migliore schematizzazione della parete muraria, ma anche essa può restituire un comportamento molto diverso da quello effettivo. Infatti da tale modellazione si ottengono valori puntuali dello stato tensionale, molto influenzati dalla discretizzazione ad elementi finiti.

Nel caso di analisi non lineari su modelli ad elementi finiti bidimensionali viene assegnato al materiale muratura un legame costitutivo non lineare. Tale tipo di modellazione è piuttosto complessa, richiede un gravoso onere computazionale ed è fortemente condizionata da problemi numerici conducendo spesso alla sottostima della capacità sismica della struttura. Spesso le curve push-over ottenute sono in realtà delle rette, indicando che l’analisi non è riuscita a cogliere né il comportamento non lineare della struttura né molto probabilmente la resistenza massima della stessa. Inoltre in molti casi a tali curve corrispondono valori di PGA prossimi allo zero e quindi poco verosimili.

È necessario evidenziare ancora che le NTC08 non forniscono indicazioni sul legame costitutivo non lineare da adottare per il materiale muratura e per di più richiedono verifiche sugli elementi strutturali svolte in termini di caratteristiche della sollecitazione e non di tensioni puntuali. Pertanto l’analisi statica non lineare su un modello ad elementi finiti bidimensionali di materiale non resistente a trazione, almeno allo stato attuale, non sembra ancora uno strumento sufficientemente affidabile. Diverso è il caso di strutture di tipo speciale di notevole pregio architettonico, per le quali è opportuno, da parte di esperti, approfondire le analisi con strumenti sofisticati che affianchino quelli ordinari, superando anche le prescrizioni normative.

Un’ altra questione è quella della modellazione delle fasce (in particolare nell’ambito di una schematizzazione a telaio equivalente) e della loro verifica. A tal riguardo le NTC08 (al par. 7.8.1.5.2) prescrivono che è possibile considerare le fasce come travi di accoppiamento solo se esse siano sorrette da un cordolo di piano o da un architrave resistente a flessione efficacemente ammorsato all’estremità, e che comunque in tal caso è sempre necessario effettuare le verifiche di resistenza di tali elementi. Nella maggior parte dei casi, invece, pur considerando le fasce efficaci nel modello, non vengono effettuate le verifiche di tali elementi considerandole, quindi, infinitamente resistenti. Inoltre alcuni programmi di calcolo modellano le fasce non solo come

(33)

29

elementi infinitamente resistenti ma anche come infinitamente rigidi, effettuando un analisi per piano. Nei modelli in cui non si tiene conto dell’effettiva resistenza e rigidezza delle fasce di piano si determina per effetto delle forze sismiche una diversa distribuzione dei momenti flettenti e dello sforzo normale rispetto all’effettivo schema. Tale variazione di sforzo normale incide notevolmente sulla capacità resistente dei maschi murari (in particolare nel caso di pareti snelle), dato che sia nel caso di rottura per scorrimento orizzontale che per trazione diagonale lo sforzo normale agente sul maschio murario fornisce un contributo determinante per la sua resistenza a taglio. Tale aspetto è ancora più evidente in un’analisi per piano (tipo POR), dove difficilmente si tiene conto delle variazioni di azioni assiali nei maschi determinando così in alcuni casi anche una sovrastima della capacità sismica della struttura. Infatti non considerare la decompressione generata sui ritti estremi del telaio per effetto delle forze sismiche può portare ad una sottostima della resistenza a taglio dei maschi murari. Inoltre, numerosi studi condotti negli ultimi anni hanno evidenziato che la capacità sismica della parete muraria varia notevolmente in relazione alla resistenza e alla deformabilità della fascia di piano. A tal proposito si osservi comunque che la stessa normativa non da indicazioni complete sulla modellazione delle fasce di piano, fornendo per la resistenza solo formulazioni relative ad una delle configurazioni che può assumere la fascia all’interno di una parete muraria e non dando nessuna indicazione sulla loro capacità deformativa.

In alcuni dei programmi presi in esame accade che le verifiche di resistenza sulle fasce di piano non vengano effettuate perché esse risultano già non soddisfatte per carichi verticali e quindi non si riesce ad eseguire la successiva analisi push-over. Ciò è dovuto al fatto che le verifiche sulle fasce sono condotte adottando le formulazioni riportate dalla norma che si riferiscono ai meccanismi che si generano all’interno della fascia di piano per effetto delle forze sismiche; tali formulazioni, invece, non sono adatte a descrivere il comportamento delle fasce per effetto dei soli carichi verticali. In questo caso le forze sono riportate ai maschi murari o attraverso un comportamento ad arco se prive di piattabande o attraverso l’azione della piattabanda in acciaio o in c.a. se essa è presente. Un espediente per ovviare a tale problema potrebbe essere quello di considerare i carichi verticali agenti sulla fascia con due forze concentrate applicate all’estremità della stessa.

Un altro aspetto critico è la modellazione della rigidezza dell’impalcato nel proprio piano. Infatti nel costruito storico si riscontrano generalmente volte, solai in legno o in travi di ferro e tavelloni, difficilmente considerabili come impalcati rigidi. La maggior

(34)

30

parte dei programmi permettono di considerare gli impalcati sia infinitamente deformabili che infinitamente rigidi; solo alcuni consentono di valutare l’effettiva rigidezza dell’impalcato inserendo gli elementi strutturali di cui esso è costituito. Però allo stato attuale sembra opportuno valutare la capacità sismica della struttura considerando sia l’impalcato deformabile che l’impalcato rigido, che rappresentano i due limiti estremi della fascia di comportamento meccanico in cui necessariamente è compresa la risposta effettiva della struttura. Tale approccio è però piuttosto oneroso e difficilmente viene effettuato.

Una delle criticità connesse alla scelta dell’impalcato flessibile è l’individuazione del punto di controllo, necessario nel caso di analisi non lineari per diagrammare la curva di push-over. Infatti la scelta di tale punto può modificare notevolmente la curva di capacità dell’edificio e quindi anche la PGA risultante. In realtà nel caso di impalcato infinitamente deformabile sarebbe possibile ovviare a tali problemi, non essendo necessaria la definizione del punto di controllo dell’intero edificio; infatti in tal caso le pareti hanno un comportamento meccanico tra loro indipendente e pertanto possono essere considerate separatamente, ognuna con il proprio punto di controllo (individuato sulla parete stessa), la curva di capacità e la corrispondente PGA. In tal caso la capacità sismica della struttura sarà determinata dalla parete più “debole” (con PGA più bassa).

Le criticità derivanti dall’uso dei software di calcolo nel rispetto delle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni costituiscono un tema complesso che necessita sviluppi e approfondimenti che vanno oltre il presente lavoro di tesi.

(35)

31

1.3 ANALISI

L’analisi delle strutture soggette ad azione sismica può essere lineare o non lineare, statica o dinamica.

L’analisi lineare può essere utilizzata sia per sistemi dissipativi che non dissipativi. Nel caso di sistemi dissipativi le azioni sono calcolate sulla base di uno spettro di progetto che è ottenuto scalando il relativo spettro elastico per un dato valore di q maggiore di 1. Il calcolo del valore q dipende da vari parametri quali il livello di duttilità attesa, la tipologia strutturale, il rapporto αu/α1 , dalla regolarità in pianta e da

quella in altezza.

L’analisi non lineare è utilizzata per sistemi dissipativi. Le non linearità di cui tiene conto sono quelle geometriche e quelle del materiale. Se significative, i legami costitutivi devono tener conto della perdita di resistenza e della resistenza residua. La differenza tra un tipo di analisi statica o dinamica, sta nel fatto che nel primo caso l’equilibrio è trattato staticamente, mentre nel secondo dinamicamente.

1.3.1 ANALISI STATICA LINEARE

L’analisi statica lineare consiste nell’applicazione di forze statiche equivalenti alle forze di inerzia indotte dall’azione sismica e può essere effettuata per costruzioni che rispettino i requisiti specifici riportati nei paragrafi successivi, a condizione che il periodo del modo di vibrare principale nella direzione in esame (T1) non superi 2,5 TC

o TD e che la costruzione sia regolare in altezza.

Per costruzioni civili o industriali che non superino i 40 m di altezza e la cui massa sia approssimativamente uniformemente distribuita lungo l’altezza, T1 può essere stimato,

in assenza di calcoli più dettagliati, utilizzando la formula seguente: 𝑇1= 𝐶1𝐻3 4

dove H è l’altezza della costruzione, in metri, dal piano di fondazione e C1 vale 0,085 per costruzioni con struttura a telaio in acciaio, 0,075 per costruzioni con struttura a telaio in calcestruzzo armato e 0,050 per costruzioni con qualsiasi altro tipo di struttura.

L’entità delle forze si ottiene dall’ordinata dello spettro di progetto corrispondente al periodo T1e la loro distribuzione sulla struttura segue la forma del modo di vibrare principale nella direzione in esame, valutata in modo approssimato.

La forza da applicare a ciascuna massa della costruzione è data dalla formula seguente:

(36)

32 𝐹𝑖 = 𝐹𝑕∙ 𝑧𝑖∙ 𝑊𝑖

𝑧𝑗 𝑗 ∙ 𝑊𝑗

dove:

 Wi e Wj sono i pesi, rispettivamente, della massa i e della massa j  zi e zj sono le quote, rispetto al piano di fondazione, delle masse i e j  𝐹𝑕 = 𝑆𝑑(𝑇1) ∙ 𝑊 ∙ 𝜆

𝑔 è la formula semplificata per il taglio alla base

 Sd(T1) è l’ordinata dello spettro di progetto, calcolata in funzione del periodo T1

 λ è un coefficiente pari a 0,85 se la costruzione ha almeno tre orizzontamenti e se T1<2TC, pari a 1,0 in tutti gli altri casi

 W è il peso complessivo della costruzione

Per gli edifici, se le rigidezze laterali e le masse sono distribuite simmetricamente in pianta, gli effetti torsionali accidentali possono essere considerati amplificando le sollecitazioni su ogni elemento resistente, attraverso il fattore δ risultante dalla seguente espressione:

𝛿 = 1 +0,6𝑥 𝐿𝑒

dove:

 x è la distanza dell’elemento resistente verticale dal baricentro geometrico di piano, misurata perpendicolarmente alla direzione dell’azione sismica considerata;

 Leè la distanza tra i due elementi resistenti più lontani, misurata allo stesso modo.

Gli spostamenti de della struttura sotto l’azione sismica di progetto allo SLV si ottengono moltiplicando per il fattore μd i valori dEe ottenuti dall’analisi lineare, dinamica o statica, secondo l’espressione seguente:

𝑑𝑒 = ±𝜇𝑑𝑑𝐸𝑒 dove:

𝜇𝑑 = 𝑞 se 𝑇1≥ 𝑇𝐶 𝜇𝑑 = 1 + (𝑞 − 1)𝑇𝐶

𝑇1 se 𝑇1≥ 𝑇𝐶

1.3.2 ANALISI DINAMICA LINEARE

L’analisi lineare dinamica, così come presentata nelle NTC, è condotta secondo tre passaggi fondamentali:

(37)

33

 determinazione dei modi di vibrare “naturali” della costruzione (analisi modale);

 calcolo degli effetti dell’azione sismica, rappresentata dallo spettro di risposta di progetto, per ciascuno dei modi di vibrare individuati;

 combinazione degli effetti relativi a ciascun modo di vibrare.

L’analisi modale consiste nella soluzione delle equazioni del moto della costruzione, considerata elastica, in condizioni di oscillazioni libere (assenza di forzante esterna) e nella individuazione di particolari configurazioni deformate che costituiscono i modi naturali di vibrare di una costruzione. Questi modi di vibrare sono una caratteristica propria della struttura, in quanto sono individuati in assenza di alcuna forzante, e sono caratterizzate da un periodo proprio di oscillazione T, da uno smorzamento convenzionale ξ, caratteristiche proprie degli oscillatori elementari (sistemi dinamici ad un grado di libertà), nonché da una forma. Tranne che per casi particolari, quali quelli per esempio di costruzioni dotate di sistemi di isolamento e di dissipazione, si assume che i modi di vibrare abbiano tutti lo stesso valore dello smorzamento convenzionale ξ pari al 5%.

Qualunque configurazione deformata di una costruzione, e quindi anche il suo stato di sollecitazione, può essere ottenuta come combinazione di deformate elementari, ciascuna con la forma di un modo di vibrare. Ovviamente, in funzione dell’azione che agisce sulla costruzione, alcuni modi di vibrare avranno parte più significativa di altri nella descrizione della conseguente configurazione deformata. La massa partecipante di un modo di vibrare esprime la quota parte delle forze sismiche di trascinamento, e quindi dei relativi effetti, che il singolo modo è in grado di descrivere. Per poter cogliere con sufficiente approssimazione gli effetti dell’azione sismica sulla costruzione, è opportuno considerare tutti i modi con massa partecipante superiore al 5% e comunque un numero di modi la cui massa partecipante totale sia superiore all’85%, trascurando solo i modi di vibrare meno significativi in termini di massa partecipante.

L’utilizzo dello spettro di risposta consente di calcolare gli effetti massimi del terremoto sulla costruzione associati a ciascun modo di vibrare. Poiché durante il terremoto, tuttavia, gli effetti massimi associati ad un modo di vibrare non si verificano generalmente nello stesso istante in cui sono massimi quelli associati ad un altro modo di vibrare, tali effetti non possono essere combinati tra di loro mediante una semplice somma ma con specifiche regole di combinazione, di natura probabilistica, che tengono conto di questo sfasamento temporale.

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Se il periodo di vibrazione di ciascun modo differisce di almeno il 10% da quello di tutti gli altri, la combinazione degli effetti relativi ai singoli modi può essere effettuata valutando la combinazione come radice quadrata della somma dei quadrati (SRSS) degli effetti relativi a ciascun modo, secondo l’espressione:

𝐸 = 𝐸𝑖2 𝑖

con E valore combinato dell’effetto ed Ei valore dell’effetto relativo al modo i.

Tale regola deriva dall’ipotesi che i contributi massimi dei singoli modi non siano correlati e non si verifichino contemporaneamente. La possibilità che i massimi contributi modali siano correlati può essere tenuta in conto attraverso la combinazione quadratica completa (CQC):

𝐸 = 𝜌𝑖𝑗 ∙ 𝐸𝑖∙ 𝐸𝑗 𝑖

𝑗

con:

 Ei, Ej i valori degli effetti relativi ai modi i, j, rispettivamente;

 ρij il coefficiente di correlazione tra il modo i e il modo j. Tale coefficiente è funzione dello smorzamento ξ viscoso dei modi i e j, e di βij =Tj

Ti, rapporto tra

l’inverso dei periodi di ciascuna coppia i-j di modi.

1.3.3 ANALISI STATICA NON LINEARE

Si è visto come la legge di comportamento meccanico degli elementi murari non sia lineare. La crisi per taglio o per flessione può invalidare la resistenza di un elemento, delegando ad altri elementi ancora resistenti la capacità di sostenere l’azione sismica. Non reagendo a trazione nella muratura si potrebbero di colpo annullare le rigidezze e resistenze di elementi che siano soggetti, nel corso dell’evento sismico, a deformazioni di trazione.

Ne consegue che le analisi lineari necessariamente non colgono la capacità resistente della struttura. Oltretutto, i risultati ottenuti possono essere veramente scarsi: è sufficiente che un piccolo elemento sia non verificato, per abbassare di fatto il livello di azione sismica sostenibile dall’edificio, la cui resistenza deve essere, nel contesto lineare, identificata con quella della sua parte più debole.

Per tali motivi, la muratura viene studiata appropriatamente solo con l’analisi non lineare.

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