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Analisi statistica di accumulo lipidico in epatociti determinato mediante imaging vibrazionale

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Academic year: 2021

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FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

CORSO DI LAUREA IN FISICA

Dissertazione di laurea triennale

Analisi statistica di accumulo lipidico in epatociti

determinato mediante imaging vibrazionale

Relatore

Candidato

Prof. Tullio Scopigno

Saltarelli Francesco

Correlatore

Dott.ssa Abigail Nunn

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Indice

1 Acquisizione delle immagini 3

1.1 Eetto Raman e microscopia CARS . . . 3

1.2 Lipidi negli epatociti . . . 5

2 Processing di uno stack di immagini 7 2.1 Introduzione . . . 7

2.2 Threshold e Watershed . . . 7

2.3 Identicazione delle particelle . . . 12

3 Calcolo della funzione di distribuzione radiale 16 3.1 Introduzione alla g(r) . . . 16

3.2 Algoritmo e test sui dati di una simulazione Lennard-Jones . . . 17

3.3 g(d): g(r) calcolata con la distanza fra le superci delle particelle . . . 17

3.4 Problemi di normalizzazione . . . 20

3.5 Calcolo g(r) senza pbc per particelle uniformemente distribuite . . . 21

3.6 Correzione della g(r) ottenuta senza pbc . . . 26

4 Applicazione ad alcune immagini acquisite 28

5 Conclusioni 34

A Simulazione Lennard-Jones 35

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Introduzione

La microscopia, ossia lo studio di campioni al microscopio, risulta fondamentale per lo sviluppo delle scienze naturali ed in particolare della biologia.

L'utilizzo di microscopi ottici, al ne di osservare cellule ed altri organismi, ha il limite di non consentirne una caratterizzazione chimica; a tale scopo esistono altre tecniche come la microscopia a uorescenza che ha pero' il grande svantaggio di richiedere l'uso di mar-catori che spesso inuenzano il comportamento delle cellule stesse e presentano problemi di persistenza nel tempo.

L'imaging vibrazionale e' invece una tecnica che non richiede l'uso di marcatori in quanto si basa su proprieta' vibrazionali delle molecole che formano la cellula stessa. La spettroscopia Raman, facente parte di questa categoria, ha pero' il limite che il segnale emesso risulta molto debole, dunque richiede l'uso di laser molto potenti e tempi di acquisi-zione troppo lunghi rispetto alla velocita' dei processi che avvengono nelle cellule rendendo, di fatto, tale tecnica dicilmente usabile per ni di microscopia.

Sfruttando un fenomeno legato all'ottica non lineare che passa sotto il nome di Coherent anti-Stokes Raman Scattering (CARS) e' possibile pero' amplicare tale segnale di vari ordini di grandezza rendendo l'eetto Raman utilizzabile per la microscopia sulle cellule. Uno dei punti di forza di questa tecnica e' la possibilita' di acquisire immagini in tre dimensioni del campione. La sua diusione su larga scala nella biologia e' avvenuta solo recentemente e dunque, in molti casi, ancora non vi sono tecniche quantitative di analisi e confronto specialmente in tre dimensioni. Uno di questi casi e' lo studio della formazione di lipidi nelle cellule.

In questa dissertazione ci occuperemo di trovare dei descrittori quantitativi della di-stribuzione di gocce di lipidi negli epatociti, ossia cellule del fegato. L'obiettivo e' quello di calcolare la funzione di distribuzione radiale g(r) di tali gocce partendo dalle immagini acquisite al microscopio cercando di rendere l'intero processo il piu' automatico possibile. In particolare, essendo le immagini acquisite come sovrapposizione di layer bidimensionali, dovremo arontare come primo problema la ricostruzione della posizione di ogni goccia di lipide nella cellula. Fatto cio' aronteremo il problema del calcolo della g(r) tenendo conto che stiamo parlando di un sistema nito dove non sono applicabili condizioni perio-diche al bordo. Cio' ci porta una serie di problemi di normalizzazione della funzione a cui proporremo una soluzione numerica.

I metodi sviluppati nel corso della dissertazione verranno testati su dati ottenuti con simulazioni di dinamica molecolare per particelle che evolvono secondo il potenziale di Lennard-Jones. In appendice vengono riportati alcuni dettagli sulla tecnica di simulazione di dinamica molecolare usata ed il codice C.

Inne applicheremo le tecniche sviluppate alle immagini di alcuni epatociti, opportu-namente trattati per avere un accumulo anomalo di lipidi, valutando la possibilita' che vi sia un ordinamento nella disposizione di tali gocce di lipidi.

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1 Acquisizione delle immagini

In questo capitolo descriveremo, in breve, il fenomeno sico e la tecnologia con cui le immagini presentate in questa dissertazione sono state ottenute. Daremo inoltre qualche accenno su cosa queste immagini rappresentano e sulla loro importanza per ni medici. 1.1 Eetto Raman e microscopia CARS

Investendo una molecola con un fascio laser con un'energia insuciente a causare tran-sizioni a livello elettronico ma superiore a quella per portare il sistema al primo stato vibrazionale eccitato, il fenomeno piu' comune sara' quello per cui il sistema si portera' in uno stato virtuale da cui ricadra' nello stato vibrazionale fondamentale emettendo un fotone alla stessa energia di quelli incidenti, cio' e' noto come Rayleight scattering. Insieme a tale fenomeno, indicato a sinistra in gura 1a, ma molto meno frequentemente (circa 1 volta su 10 milioni) il sistema, dallo stato virtuale, invece di ricadere nello stato fondamen-tale ricade nello stato vibrazionale eccitato emettendo dunque un fotone di energia minore, cio' e' noto come Stokes scattering. In modo complementare a quest'ultimo fenomeno vi e' anche la possibilita' che, partendo da uno stato vibrazionale eccitato, il sistema assorba un fotone andando in uno stato virtuale per poi ricadere nello stato fondamentale emettendo dunque un fotone di energia superiore a quelli emessi nel caso del Rayleight scattering, cio' e' noto come Anti-Stokes scattering. I fenomeni di scattering Stokes e anti-Stokes vengono in generale chiamati Raman scattering; il rapporto fra la probabilita' dell'uno e dell'altro e' determinata dalla popolazione termica del primo stato vibrazionale eccitato. Sfruttare l'eetto Raman spontaneo a ni spettroscopici ha come primo problema la dicolta' di in-dividuare le righe Stokes rispetto alla ben piu' intesa riga Rayleigh, vediamo come ovviare a tale problema.

Quando un materiale e' soggetto all'azione di un campo elettrico le cariche presenti subiscono delle forze che portano alla creazione di momenti di dipolo. Tale fenomeno e' esprimibile mediante il vettore di polarizzazione ~P . In generale tale vettore sara' una funzione del campo elettrico esterno e di proprieta' relative al materiale in esame contenute nel tensore di suscettibilita' ~χ; sviluppando in serie per il campo ~E si ha:

~

P (t) = 0 h

χ(1)E(t) + χ(2)E2(t) + χ(3)E3(t) + ...i

il termine lineare nel campo ~Edetermina fenomeni come la riessione, la rifrazione, l'assor-bimento di un fotone; gli altri sono argomento dell'ottica non lineare e diventano importanti nel caso di campi particolarmente forti. Il termine χ(2)e gli altri termini pari dello sviluppo si annullano per materiali centro-simmetrici mentre il termine χ(3) e' in generale diverso da 0 e determina, in particolare, un fenomeno noto come FWM (four wave mixing) di cui fa parte il processo CARS (coherent anti-Stokes Raman scattering).

Facendo riferimento alla gura 1b il processo CARS avviene nel seguente modo: con-sideriamo una molecola che si trova nello stato fondamentale separato dal primo livello vibrazionale eccitato di Ω. Inviamo su tale molecola un fascio laser, detto di pump, a frequenza ωp, cio' fara' si' che dallo stato fondamentale la molecola si portera' in uno stato virtuale, come nel caso dell'eetto Raman. Inviando su tale molecola anche un fascio di frequenza ωs e settando opportunamente la dierenza fra queste due frequenze si puo' fare in modo che il sistema sia stimolato a cadere nello stato eccitato. Essendo il fascio di pump

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ancora attivo il sistema potra' portarsi in un nuovo stato virtuale ad energia maggiore di quello precedente e dunque ricadra' nello stato fondamentale emettendo il segnale CARS ωas a frequenza:

ωas= 2 · ωp− ωs

In gura 1c vediamo schematicamente indicata la frequenza dei due fasci laser ωs e ωp con cui inneschiamo l'emissione del segnale CARS ωas. La distanza in frequenza fra i fasci e' legata al salto di energia vibrazionale Ω.

La principale dierenza fra il segnale CARS e quello dovuto all'eetto Raman spontaneo risiede nel fatto che mentre nel secondo caso lo scattering si basa su un'emissione incoerente da parte delle singole molecole investite dal fascio laser, nel caso della spettroscopia CARS l'emissione e' invece coerente e dunque i singoli contributi, purche' siano rispettate delle condizioni di interferenza costruttiva, danno luogo ad un segnale ben piu' intenso.

Il maggior problema della spettroscopia CARS e' la presenza di un notevole fondo dovuto a fenomeni che non si trovano alla frequenza di risonanza cercata ma che comunque si sommano coerentemente. Cio' e' noto come non-resonant background.

Sfruttare la spettroscopia CARS per fare microscopia e' possibile con uno schema come quello in gura 2, i fasci di pump e probe vengono collimati mediante l'uso di specchi dicroici (ossia capaci di riettere alcune frequenze e farne passare altre) e fatti coincidere temporalmente mediante un'opportuna linea di ritardo su uno dei fasci. Fatto cio' il fascio viene focalizzato sul campione mediante l'obiettivo. A questo punto quello che vogliamo

osservare e' il segnale di CARS ωas emesso dal campione: cio' viene fatto mediante un

condensatore che collima la luce emessa e dei ltri che tagliano la parte dello spettro che non ci interessa. Inne tale luce detta F-CARS (forward-CARS) viene raccolta da un fototubo. E' anche possibile lavorare in riessione anziche' in trasmissione, raccogliendo cioe' la luce riessa dal campione mediante un opportuno specchio dicroico e un ulteriore fototubo, cio' viene detto E-CARS (epi-CARS). Quest'ultima tecnica non e' stata usata per le immagini presentate in questa dissertazione e dunque non ne parleremo oltre. Si noti inoltre l'obiettivo posto al di sotto del campione, stiamo cioe' parlando di un microscopio invertito. La terza dimensione e' ottenuta spostando il fuoco all'interno del campione e dunque l'immagine viene costruita punto per punto al computer; nel caso della microscopia CARS, siccome viene sfruttato un fenomeno di ottica non lineare che richiede l'interazione di piu' fotoni, il segnale ricevuto proviene eettivamente da una regione molto piccola at-torno al punto a fuoco. Usando invece tecniche di microscopia che sfruttano l'eccitazione a singolo fotone, al ne di restringere l'area da cui eettivamente si riceve luce dal campione si puo' utilizzare un microscopio confocale, il cui schema di principio e' mostrato in gura 3a. Immaginiamo che il raggio blue corrisponda al punto del campione che vogliamo ana-lizzare e dunque che l'ottica sia regolata in modo tale che il piano focale passi per quella specica quota; i raggi provenienti da altre zone del campione, come quello rosso, andranno a costruire un fondo nell'immagine acquisite che ne ridurra' la nitidezza. Inserendo pero' un piccolo foro, prima del rilevatore, nel piano coniugato al piano focale (detto confocale) avremo che solo la luce proveniente dal fuoco arrivera' eettivamente al rilevatore ridu-cendo cosi' la luce proveniente da zone fuori fuoco. Il lato negativo di tale tecnica e' una diminuzione della luminosita'. Nel caso di un microscopio che sfrutta l'ottica non lineare, essendovi la necessita' che piu' fotoni eccitino una particolare transizione, e' indispensabile che i fasci di eccitazione siano particolarmente intensi, cosa che avviene solo nel fuoco. Cio' rende innata nella microscopia non lineare la capacita' di analizzare il campione in

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3D. Anche se non e' stato ottenuto con una tecnica CARS, a titolo di esempio si veda la gura 3b dove un marcatore viene eccitato a sinistra con fotoni di frequenza tale da garantire transizioni di singolo fotone mentre a destra con fotoni a frequenze minori tali da garantire transizioni a due fotoni. Si vede chiaramente come nell'immagine a destra la parte del campione eccitata e che dunque riemette luce e' molto piu' piccola. Il foro per far passare la luce solo dalla zona a fuoco non e' dunque necessario.

Al ne di cambiare il punto a fuoco nel campione si puo' o spostare il campione o muovere l'obiettivo. La prima tecnica e' in generale migliore infatti condensatore e obiet-tivo restano cosi' alla distanza ottimale. Nel nostro caso, tuttavia, ad essere mosso era il campione infatti quest'ultimo era immerso in un sottile strato di liquido (usato per la ssazione) dove, in seguito ad un movimento, si generavano onde che distorcevano l'im-magine. Tuttavia essendo l'escursione in z di pochi µm l'errore associato al non perfetto accoppiamento ottico e' comunque piccolo.

Lo strumento con cui sono state ottenute le immagini che seguiranno e' un microscopio modicato confocale invertito a scansione laser.

Come abbiamo detto, ad essere sfruttato nella spettroscopia CARS e' il salto fra li-velli energetici vibrazionali nelle molecole; siccome la frequenza a cui tale salto avviene e' specica di ogni particolare legame chimico otteniamo da un'analisi vibrazionale una caratterizzazione chimica dei composti presenti. Cio' rappresenta un punto di forza di tale tecnologia, infatti essa non richiede l'uso di marcatori (label-free) che possono alterare il comportamento della molecola stessa, risultando dunque poco invasiva.

1.2 Lipidi negli epatociti

Le immagini che mostreremo in questa dissertazione sono riferite ad epatociti ossia le cellule che formano il tessuto principale del fegato. Tali immagini mostrano cellule trattate in modo tale da avere un accumulo di lipidi anomalo, cio' e' ottenuto con sostanze diverse di cui, appunto, si vuole studiare l'eetto. Alcune cellule sono state trattate con solo acido oleico (un acido grasso), altre con entinostat (un medicinale anticancro in fase di sperimentazione) ed altre ancora con entrambi. Esse vengono lasciate in incubazione per 4 giorni, al termine dei quali subiscono un processo di ssazione e vengono dunque osservate al microscopio.

La rilevazione di lipidi mediante spettroscopia CARS risulta particolarmente eciente

in quanto tali molecole hanno una grande abbondanza del gruppo CH2che ha una

frequen-za vibrazionale di stretching (ossia una variazione nella lunghezfrequen-za di legame) caratteristica del legame C −H a 2841cm−1. I fasci laser utilizzati sono stati dunque ssati alle lunghezze

d'onda di λp = 817nm per il pump e λs = 1064nm per lo Stokes, in termini di numero

d'onda la dierenza fra questi due fasci corrisponde appunto ad Ω = 2841cm−1, dove cioe' ci aspettiamo di trovare transizioni vibrazionali per i lipidi.

Tale tecnica spettroscopica risulta di particolare utilita' nel caso dell'analisi dei lipidi per la non necessita' di marcare il campione, cosa che invece e' richiesta per altre tecniche come la microscopia a uorescenza. A causa della marcatura infatti si hanno processi di photobleaching ossia di degrado del marcatore e phototoxicity ossia danneggiamento delle cellule prima ancora che queste vengano osservate.

L'importanza di analizzare i lipidi nelle cellule del fegato deriva dal fatto che la presenza di un accumulo anomalo di lipidi e' tipica di patologie come la steatosi epatica (fatty liver), che possono poi evolvere in cose ben piu' gravi come il cancro al fegato.

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Rayleigh scattering Stokes scattering anti-Stokes scattering

{

ω

i

ω

r

ω

i

ω

s

ω

i

ω

as

(a) Raman scattering, ωiindica la

frequen-za della luce incidente, ωr, ωs e ωas quella

della luce emessa

(b) Livelli energetici transizioni

CARS (c) CARS output

Figura 1: Eetto Raman e CARS

Figura 2: Schema microscopio invertito laser a scansione CARS (rif.[3])

(a) Schema microscopio

confocale (b) Marcatore eccitato a sinistra con un processo a singolofotone e a destra con un processo a due fotoni (rif.[14])

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2 Processing di uno stack di immagini

2.1 Introduzione

Per un certo campione dal microscopio otteniamo uno stack di immagini contente piani orizzontali (xy) spaziati di 0.3µm l'uno dall'altro. A tale stack, come primo passo, viene applicato un ltro chiamato PureDenoise (rif. [6]) che serva a ridurre il rumore presente. Fatto cio' tutte le immagini dello stack vengono ritagliate in modo tale da dividerle nelle singole cellule, ottenendo cosi' uno stack di immagini per ogni cellula. Tali fasi di prepa-razione sono legate alla strumentazione con cui le immagini sono state ottenute. In questa dissertazione non ci

Il nostro obiettivo e' quello di fare un'analisi statistica della disposizione delle gocce di lipidi, a tal ne e' dunque necessario individuare la posizione e le dimensioni di ogni goccia nello spazio. Per ottenere tali informazioni vi sono dei passi fondamentali che qui accenniamo e poi andremo ad approfondire:

1. La prima fase e' quella di segmentazione dove si cercano di identicare le gocce di lipidi all'interno della cellula. Cio' si ottiene mediante un'operazione di thresholding dove l'immagine da scala di grigi viene trasformata in binaria (bianco e nero) e una successiva di watersheding in cui si cercano di dividere le gocce rimaste unite dopo la prima operazione. Per tali processi sono stati confrontati i risultati ottenuti con i tool inclusi nel programma con quelli ottenuti grazie ad un plugin esterno. Quest'ultimo, alla ne, e' stato preferito in quanto oriva prestazioni superiori.

2. A questo punto abbiamo un'immagine binaria dove, almeno idealmente, su uno sfondo nero ad ogni goccia di lipide corrisponde un cerchio bianco; sempre attraverso il software ji per ciascuno di questi cerchietti (detti anche particelle) otteniamo la posizione xy, il layer su cui compaiono e l'area.

3. Ottenute le informazioni per singolo layer e' necessario combinarle in modo tale da poter ricostruire la posizione di una particella in 3D, tale operazione e' stata fatta scrivendo uno script in matlab.

Tali fasi, preliminari allo studio statistico vero e proprio, rivestono un'importanza fonda-mentale infatti solo avendo un accurato riconoscimento delle gocce di lipidi sara' possibile fare su di esse un'analisi attendibile.

2.2 Threshold e Watershed

Threshold L'operazione di threshold consiste nel passare da un'immagine in scala di grigi (a 16bit nel nostro caso) in una binaria (bianco e nero). Quello che si fa e' scegliere due soglie: i pixel con un'intensita' al di fuori dell'intervallo denito da tali soglie rappresentano lo sfondo mentre quelli all'interno il segnale che vogliamo tenere. La soglia massima e' ssata al valore dei pixel con intensita' maggiore, infatti al bianco corrispondono le gocce di lipidi; per la soglia minima occorre bilanciare due obiettivi contrastanti: tenere almeno il centro di ogni goccia di lipide e, contemporaneamente, fare in modo che diverse gocce non si uniscano. Il primo obiettivo lo si raggiunge diminuendo la soglia minima, ossia facendo in modo che anche gocce meno distinte dal fondo nero (e dunque a loro volta con un colore piu' tendente al nero) siano nell'intervallo di threshold; il secondo aumentando tale soglia,

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in modo da non far cadere nello stesso intervallo anche la zona compresa fra due gocce molto vicine. Partendo dall'immagine originale in gura 5a, nella successiva (gura 5b) viene fatta la scelta del livello di threshold: il rosso indica la parte dell'immagine in primo piano che dunque diventera' bianca, il resto sara' lo sfondo nero.

Gia' su una piccola zona di una cellula come quella presa in esame in queste immagini risulta molto dicile bilanciare queste due tendenze e la situazione si complica andando a considerare un intero stack di immagini dove variazioni di luminosita', dovute a fattori esterni, o altri elementi fanno si' che una sola soglia ssata uguale per ogni immagine dello stack non dia un risultato ottimale. Tali limiti, insiti in questo modo di fare il threshlding, sono proprio quelli che ci hanno spinto a cercare un plugin esterno che eettuasse un threshold a livello locale, ossia diverso per ogni area dell'immagine. Essendo incluso in tale plugin anche il watershed ne parleremo solo dopo aver introdotto quest'ultima tecnica. Watershed Per comprendere l'operazione di watershed consideriamo un'immagine come quella in gura 4 a sinistra e guardiamola come un graco di livello, ossia associando alle zone piu' scure una maggior profondita' e a quelle piu' chiare una minore. Si ottiene dunque una costruzione in 3D come quella della gura 4 a destra.

Figura 4: Watershed - Graco di livello (rif.[5])

Le due buche, che sono gli oggetti che eettivamente vogliamo identicare, possia-mo immaginarle come dei bacini idrograci (catchment basins) e la separazione come la linea spartiacque che in inglese viene detta watershed line da cui, appunto, il nome dell'operazione.

Nel nostro caso il watershed e' applicato ad un'immagine binaria ottenuta applicando un threshold all'immagine originale come si vede in gura 5c. Vediamo ora tutte le fasi necessarie per il watersheding: sull'immagine binaria viene calcolata la Euclidean Distance Map (EDM) ossia, assumendo che lo sfondo sia nero ad ogni pixel bianco viene associato un valore proporzionale alla distanza di tale pixel da quello nero ad esso piu' vicino. Il risultato di tale operazione e' visibile in gure 5d. In quest'ultima i punti piu' interni alle strutture che vogliamo studiare sono quelli a cui e' stata associata la tonalita' piu' vicina al nero e sono detti Ultimate Eroded Points (UEP). Ogni UEPs viene ora dilatato nche' non raggiunge la dimensione massima iniziale dello spot in esame o entra in contatto con la regione espansa dovuta ad un altro UEP; in quest'ultimo caso viene creata una linea di separazione. Il risultato nale e' visibile in gura 5f.

In gura 5 e' rappresentato l'intero processo di segmentazione: la prima riga e' la fase di threshold, la seconda quella di watershed. E' interessante confrontare le gure 5c e 5f

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dove si evidenzia la capacita' di dividere le gocce grazie al watershed rispetto alla sola fase di threshold.

(a) Originale (b) Threshold (c) Threshold eseguito

(d) EDM (e) UEPs (f) Watershed

Figura 5: Threshold e Watershed di un'immagine

Plugin esterno 3D Iterative Thresholding (rif.[7]) Il plugin esterno utilizzato e' chiamato 3D Iterative Thresholding, si tratta di una versione semplicata del program-ma AGITA (Adaptive Generic Iterative Thresholiding Algorithm) entrambi sviluppati dal gruppo di Thomas Budier (Sorbonne University). Il software AGITA sfrutta una tecnica di apprendimento automatico (machine learning): all'inizio si selezionano manualmente alcu-ne particelle che si vogliono identicare dunque il programma esegue su questi thresholding e watersheding chiedendo all'utente di valutare il risultato. Ripetendo alcune volte questo processo il sistema e' poi in grado di fare lo stesso per l'intera immagine. Il maggior punto di forza di tale software e' sfruttare l'intero stack di immagini fornitogli cercando di seguire la stessa particella sui diversi layer al variare del livello di threshold. Inoltre la bonta' della segmentazione viene valutata separatamente per ogni oggetto identicato.

Il 3D Iterative Thresholding evita invece la fase iniziale di machine learning andando a provare diversi livelli di threshold e cercando di seguire per ogni singolo oggetto identicato come varia il suo volume al variare del livello di threshold. Per quanto riguarda i livelli di threshold provati abbiamo optato per l'opzione step che corrisponde a provare tutti i possibile valori da 0 a 216 a step di 5, tale operazione richiedeva sul laptop usato circa 15 − 60min a seconda del particolare stack, altre modalita' consentivano di velocizzare il processo provando un numero di valori per il threshold sensibilmente minore tuttavia cio' risultava anche in una segmentazione di qualita' piu' scadente. Avendo pochi stack da analizzare si e' preferito optare per tale modalita' step.

Un settaggio importante da decidere e' stato il criterio in base al quale viene scelto quale livello di threshold tenere. Tale criterio viene valutato indipendentemente per ogni particella identicata nello stack di immagini. Vediamo le modalita' a disposizione:

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• Elongation: tale criterio tiene, per un particolare oggetto, il valore di threshold che lo rende il piu' circolare possibile.

• Volume: tiene il threshold che conduce all'oggetto con il volume maggiore.

• MSER: tiene il threshold per cui la variazione del volume dell'oggetto e' minima ossia il valore per cui esso e' piu' stabile.

Proponiamo in gura 6 un confronto fra i risultati della segmentazione ottenuta con l'algo-ritmo interno a Fiji e i tre metodi possibili per il plugin 3D Iterative Thresholding. Viene anche mostrata l'immagine di uno dei layer centrali della cellula. Escludendo subito i me-todi Elongation e MSER che non danno risultati soddisfacenti: il primo infatti nel cercare il valore di threshold per cui gli oggetti sono piu' circolari ne sottostima ampiamente la dimensione; il secondo invece cerca il threshold per cui il volume delle gocce e' stabile, cosa che pero' avviene quando queste sono piccole in quanto nei layer dove la dimensione e' massima (che sono anche quelli che ci interessano di piu') tendono a unirsi con altre cau-sando ampie variazioni del volume. Il confronto fra l'algoritmo interno di Fiji e il plugin con il metodo Volume mostra come il secondo ha meno problemi di gocce che si uniscono e riesce ad identicare meglio le stesse laddove queste sono meno concentrate. A titolo di esempio nello stack in esame sono state identicate 282 particelle dall'algoritmo interno a Fiji contro 327 nel caso del plugin esterno con metodo Volume.

Se consideriamo la zona a piu' alta concentrazione qui capita che alcune particelle vengano perse. Tale problema e' stato, in buona parte, risolto con lo script che andremo a vedere nella parte successiva che sfrutta il fatto che, tipicamente, almeno nei layer dove la goccia e' piu' grande questa viene identicata.

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(a) Immagine Originale

(b) Algortimo interno Fiji (c) Elongation Method

(d) Volume Method (e) MSER Method

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2.3 Identicazione delle particelle

Completata la fase di segmentazione, ossia ottenute immagini come quelle mostrate appena sopra (gura 6d), il software Fiji e' in grado di darci per ogni layer la posizione del centro xy e l'area occupata da ogni gruppo di pixel bianchi chiamato particella. L'obiettivo di questa fase e dello script che abbiamo scritto (appendice B, listato n.2) e' quello di associare ad ogni particella identicata il layer in cui essa appare piu' grande e darne una stima del raggio.

Prendiamo in esame una particolare cellula e mostriamo uno a anco all'altro le im-magini di tutti i layer (gura 7). Si nota facilmente come le gocce di lipidi piu' esterne rispetto al nucleo compaiano prima rispetto a quelle adiacenti al nucleo che, a loro volta, scompaiono dopo. Inoltre il raggio apparente delle singole gocce cambia di layer in layer aumentando, raggiungendo un massimo, e poi diminuendo. Pensando ad una particella come ad una sfera che viene tagliata a diverse altezze si ha che il layer su cui l'area rile-vata e' massima corrisponde a quello che taglia la sfera piu' vicino al suo centro. Dunque, lavorando su tale massimo, possiamo ottenere informazioni sul raggio e sulla posizione di una specica particella.

Il punto fondamentale da tener presente e' che le cellule da noi considerate hanno una struttura sostanzialmente planare infatti, a fronte di una estensione su xy dell'ordine di (40x40)µm, l'estensione su z e' invece di al piu' ≈ 10 slices che corrispondono a ≈ 3µm. Cio' fa si' che avendo le gocce un diametro di ≈ 1µm non ve ne siano praticamente mai due sovrapposte in z. Inoltre identicando il centro di una goccia con il layer dove essa appare piu' grande, abbiamo che i centri delle gocce sono contenuti in 3 − 4 slices che corrispondono a ≈ 1µm.

L'idea di fondo e' dunque quella di andare a vedere come varia la dimensione di una goccia di lipide sui diversi layer e da questa ricavare a che posizione z si trovi il centro della goccia. Ad ogni modo il primo problema da risolvere e' quello di tracciare la storia di una particella sui diversi layer.

Inseguimento di una particella Indichiamo con xlayer

i , y

layer

i e r

layer

i rispettivamente

le coordinate x e y di una particella su un certo layer e con r il raggio della particella su tale layer (ricavato dall'area secondo A = πr2). Data una particella sul layer l consideriamo la seguente quantita' per tutte le particelle j sul layer successivo piu' interno che indichiamo con l + 1: dli,j = q (xli− xl+1j )2+ (yl i− y l+1 j )2 (rli+ rjl+1)

Il signicato di tale denizione e' immediato, infatti se le due particelle fossero perfetta-mente sovrapposte avremmo d = 0 mentre se le due particelle si sorano avremmo d = 1; per d > 1 le due particelle non hanno punti in comune. La particella j per cui tale quan-tita' e' minima sara' quella candidata per essere considerata la stessa particella su due layer diversi. La condizione ulteriore che tale particella deve vericare e' quella che dl

i,j sia minore di 1 ossia le due particelle devono sovrapporsi. Tutte le particelle del layer l + 1 a cui non corrisponde alcuna particella del layer l vengono aggiunte alla lista delle particelle identicate al ne di ripetere per loro lo stesso procedimento con il layer successivo. Il

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Figura 7: Dall'alto in basso e da sinistra verso destra vediamo le slices da 3 a 14 dallo stack di immagini di una cellula, quelle precedenti e le successive non mostrano alcun particolare interessante e non vengono dunque mostrate

processo di identicazione delle particelle e' iniziato dal layer piu' esterno, dunque man mano che si procede nei layer piu' interni via via piu' particelle verranno identicate. Per come e' strutturato il codice, una volta che una certa particella non viene identicata su un layer lo script interrompe la sua storia, se poi dovesse riapparire su altri layer verrebbe considerata una nuova particella. Quest'ultima situazione non e' comunque mai capitata negli stack di immagini analizzate. Tale procedimento viene dunque iterato per tutti i layer dello stack.

A questo punto vengono eettuati alcuni controlli per eliminare eventuali particelle erroneamente rilevate nella fase di threshold dovute, ad esempio, a cambiamenti della luminosita' nelle immagini iniziali o semplicemente al rumore presente in esse. Osservando gli stack di immagini grezze quello che si vede e' che, generalmente, una certa particella

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compare su almeno 4 − 5 layers tuttavia, specie nelle zone dove le particelle sono piu' densamente distribuite, il plugin usato tende a rilevare tali particelle solo nel layer dove la particelle e' piu' grande ed in quelli immediatamente contigui. Alle volte, nel caso delle particelle piu' piccole, queste sono rilevate solo nel layer dove appaiono piu' grandi ed in un altro dunque, al ne di non gettare tali informazioni, nello script si e' posto a 2 il numero minimo di layer contigui su cui deve apparire la particella al ne di tenerla in conto per le analisi successive. Notiamo che tale accorgimento ha grande importanza ai ni dell'analisi statistica che faremo infatti, andando a cercare proprieta' nella distanza fra particelle, trascurarne alcune nelle zone piu' aollate vorrebbe dire andare a togliere contributi importanti specialmente per piccoli valori della distanza inter-particelle. Stima della coordinata z e del raggio delle particelle Fatto cio' si passa dunque a stimare la coordinata z e il raggio di ogni particella; per farlo i dati su cui ci basiamo sono l'area della particella in funzione del layer. Per avere ben chiare le dimensioni in gioco sia le distanza sul piano xy che su z sono indicate in µm. Al layer piu' esterno preso in considerazione viene associata altezza z = 0, da cui quelli via via piu' interni sono ad altezza 0.3µm, 0.6µm, 0.9µm, ... Andando a calcolare la parabola passante per il punto dove l'area e' massima e quelli immediatamente contigui, il valore del massimo di tale parabola rappresenta una stima dell'area massima occupata dalla particella da cui ricaviamo dunque il raggio della particella stessa; la posizione del massimo e' invece una stima della z a cui si trova il centro della goccia di lipide. In gura 8 e' mostrato un esempio di tale interpolazione sull'area per una generica particella, la scala in ascissa sotto la gura indica la slice mentre quella sopra e' la coordinata z calcolata tenendo presente la spaziatura di 0.3µm fra due layer consecutivi. Il punto di cui sono indicate le coordinate rappresenta il massimo ed e' quello che viene usato per stimare posizione (nel caso slice 8.75 corrispondente a z = 2.62µm) e raggio della particella a partire dall'area (nel caso Area = 1.50µm2→ r = 0.69µm). Se la particelle e' stata invece rilevata su soli due layer si prendono semplicemente le informazioni relative al layer su cui essa appare piu' grande. Il risultato nale dello script e' quello di restituire una mappa in 3D delle gocce di lipidi nella cellula, lo andiamo a rappresentare in due modi diversi: in gura 9 abbiamo a sinistra un graco in 2D dove la coordinata z delle gocce e' data dal colore (sulla barra abbiamo indicato la scala z sia in termini di µm che di slice), mentre a destra il tutto e' riprodotto direttamente in 3D. Tale ricostruzione delle gocce di lipidi nella cellula fa riferimento alle immagini mostrate in gura 7; in particolare e' interessante notare come le gocce piu' esterne dal nucleo hanno un colore piu' tendente al blue mentre quelle piu' interne sono fra l'azzurro e il verde. Cio' rispecchia quanto avevamo osservato prima a livello qualitativo circa il layer dove tali gocce appaiono piu' grandi.

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2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0 1.2 1.4 1.6 X: 8.75 Y: 1.496 Slice number A re a [ µ m 2 ] Area fitting Area profile Fit 0.6 0.9 1.2 1.5 1.8 2.1 2.4 2.7 3 3.3 3.6 3.9 z [µm]

Figura 8: Fit dell'area per una particella, viene indicato il massimo

15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 x [µm] y [µ m]

Droplets color plot

slice 5 6 7 8 9 10 11 12 13 1.5 1.8 2.1 2.4 2.7 3 3.3 3.6 3.9 µm

Figura 9: Mappa gocce di lipidi nella cellula , nel graco a sinistra il colore rappresenta la coordinata z

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3 Calcolo della funzione di distribuzione radiale

In questo capitolo vedremo come calcolare la funzione di distribuzione radiale, detta g(r), su un sistema nito. Aronteremo inoltre i problemi dovuti all'impossibilita' di applicare le condizioni periodiche al bordo, proponendo una soluzione.

3.1 Introduzione alla g(r)

La funzione di distribuzione a coppie (pair distribution function) descrive la probabilita', data una certa particella, di trovarne un'altra ad una distanza ~r, se il sistema in esame e' isotropo allora la dipendenza da ~r puo' essere trasformata in dipendenza da r scalare ed, in tal caso, parleremo di funzione di distribuzione radiale (radial distribution function). L'andamento di tale funzione rispecchia eventuali relazioni che vi possono essere fra la posizione di una particelle e quelle vicine. Indicando con r la distanza di una particella da un'altra che assumiamo essere nel centro possiamo denire:

g(r) = ρ(r)

ρ

dove ρ e' la densita' macroscopica del sistema che stiamo considerando e ρ(r) rappresenta la densita' di particelle alla distanza r da quella presa come riferimento. Da tale denizione si vede subito come a grande distanza dalla particella in esame ci aspettiamo, a meno di sistemi fortemente impacchettati, che non vi siano evidenti correlazioni e dunque che:

lim

r→∞g(r) = 1

Da tale funzione possiamo ricavare il numero di particelle contenute all'interno di una shell di raggio r dalla particella in esame integrando, in coordinate sferiche:

n(0, r) = ˆ r 0 dr0 ˆ π 0 sin(θ)dθ ˆ 2π 0 dφρg(r0)(r0)2 = 4πρ ˆ r 0 g(r0)(r0)2dr0

Nel nostro caso, in cui dobbiamo calcolare la g(r) su dei punti sperimentali, quello che si fa e' prendere un certo valore di dr e, ssata una particella, se ne calcola la distanza da tutte le altre, si va dunque a contare quante particelle cadono ad una distanza compresa fra r e r + dr da quella in esame. Tale processo viene iterato per ogni particella. Al ne di rispettare la relazione data sopra per la g(r) in termini di rapporto fra densita' occorre dividere il numero di particelle che cadono ad una certa distanza per il volume (o l'area in due dimensioni) della regione in cui si sono eettivamente cercate le particelle. Inne dividiamo il risultato ottenuto per ρ e per N, numero totale di particelle, al ne di avere la proprieta' asintotica espressa prima. Essendo dr nito il calcolo della g(r) per le particelle comprese fra r e r + dr ci restituisce in realta' una stima migliore della g(r0) calcolata per r0 = r +dr/2. In sintesi, indicando con ni(ra, rb) il numero di particelle che circondando la particella i − esima a distanza compresa fra ra e rb le formule usate per il calcolo della g(r)sono: g2D(r +dr/2) = 1 π · [(r + dr)2− r2] 1 N · ρ X i ni(r, r + dr) g3D(r +dr/2) = 1 4/3· π · [(r + dr)3− r3] 1 N · ρ X i ni(r, d + dr)

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Problemi nel calcolo Leggendo le quantita' scritte nell'espressione appena presentata, appare immediatamente un primo problema ossia la denizione di densita' ρ: la cellula non ha infatti una forma ben denita ed inoltre non si trovano gocce di lipidi nel nucleo della stessa.

Un ulteriore problema sta nel fatto che il termine di normalizzazione sull'area nel caso

delle 2D ossia 1

π · [(r + dr)2− r2], o sul volume per 3D ossia

1

4/3· π · [(r + dr)3− r3]risulta buono per particelle poste al centro mentre non lo e' per particelle poste sul bordo.

Questi due problemi saranno valutati attentamente e ne sara' proposta una soluzione nei prossimi paragra, per ora preoccupiamoci di scrivere un algoritmo per il calcolo della g(r)e di validarlo sulla base di dati di cui conosciamo tale funzione.

3.2 Algoritmo e test sui dati di una simulazione Lennard-Jones

L'algoritmo per il calcolo della g(r) sviluppato in ambiente Matlab e' il listato n.3 in appendice B. Tale algoritmo prende la matrice creata nel punto precedente contenente coordinate (x, y, z) e raggio (r) di ogni particella, calcola per ciascuna di queste la distanza con tutte le altre e salva cosi' un array contenente le distanze. Fatto cio' per ogni intervallo di distanze [r, r + dr] con r che varia da 0 no a quella massima a step dr, lo script va a calcolare il numero di coppie di particelle con una distanza compresa in tale intervallo; si tenga presente che ogni distanza e' considerata due volte. Il codice provvede quindi a dividere tale risultato per l'opportuna normalizzazione come detto sopra.

Scritto l'algoritmo per il calcolo della g(r) occorre un metodo per testare l'ecacia dello stesso su una distribuzione nota; a tal proposito abbiamo sviluppato un algoritmo di simulazioni di dinamica molecolare che fa evolvere N particele in una scatola di dimensioni LxLxLsecondo il potenziale di interazione di Lennard-Jones. Ulteriori informazioni sono in appendice A, il codice C in appendice B listato n.1. Eseguita la simulazione quello che otteniamo in output e' la posizione di ogni particella in funzione del tempo. Per le analisi che seguono noi prenderemo semplicemente le congurazioni da un certo tempo in poi, sucientemente grande anche' il sistema si sia termalizzato ossia energia cinetica e potenziale oscillino attorno a valori stabili, e medieremo molte di queste congurazioni.

Un punto chiave nel calcolo della g(r) in una simulazione di questo tipo e' quello di inserire condizioni periodiche al bordo, cio' limita i valori utili di r all'intervallo 0, L/2 dove L e' il lato del cubo in cui si e' eettuata la simulazione ma garantisce la proprieta' asintotica g(r) → 1 per r →L/2. Segue in gura 10 il graco della g(r) calcolata su una simulazione LJ con 768 particelle in un cubo di lato 10µm (il fatto di indicarli come µm e' del tutto arbitrario e lo useremo solo per uniformita' con il caso delle cellule). Sono molto chiari il primo ed il secondo picco oltre all'andamento asintotico atteso.

3.3 g(d): g(r) calcolata con la distanza fra le superci delle particelle Prima di passare al calcolo della g(r) sulle gocce di lipide nelle cellule vediamo un altro modo di calcolare la distanza inter-particelle: anziche' considerare la distanza fra i centri di due particelle possiamo prendere come r la distanza fra le superci esterne delle due particelle. Detti s1 e s2 i raggi delle due particelle e r12 la distanza centro-centro fra le due

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0 0.4 0.8 1.2 1.6 2 2.4 2.8 3.2 3.6 4 4.4 4.8 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 2 2.2 r [µm] g (r )

3D g(r) calculated with PBC on LJ sim, Num part: 768, dr: 0.03µm

Figura 10: g(r) calcolata su una simulazione LJ con 768 particelle, volume (10x10x10)µm,

 = 1, σ = 1 come media fra 100 stati ottenuti quando il sistema era in equilibrio a

Teq= 2.45

particelle poniamo:

d12= r12− (s1+ s2)

dove la lettera d e' stata introdotta per non confondere quella che andremo a chiamare g(d)con la g(r) che invece e' calcolata con r distanza fra i centri delle particelle.

Per apprezzare tale nuova denizione andiamo a considerare le seguenti situazioni: • Un sistema formato da tante sferette impenetrabili tutte di raggio s che si muovono

senza alcun potenziale di interazione. In tale situazione vi sara' una distanza tipica del sistema relativa alla situazione in cui due sferette sono a contatto ossia 2s. • Un sistema formato da sferette impenetrabili ancora senza potenziale di interazione

ma di due raggi s1e s2. In tal caso si capisce subito come la prima distanza tipica del sistema data dal contatto di due sferette puo' ora essere data da 2 · s1, 2 · s2 e s1+ s2 corrispondenti, rispettivamente, alle situazioni siche di contatto fra due sferette di raggio s1, due sferette di raggio s2 e due sferette di tipo diverso.

• Un'altra possibile situazione e' quella in cui le particelle abbiano raggio variabile, ad esempio con una distribuzione uniforme compresa fra smin e smax.

Al ne di esemplicare questo comportamento abbiamo sviluppato un semplice script (ap-pendice B listato n.5) che mette in una scatola bidimensionale di dimensioni LxL sferette secondo le tre possibili modalita' appena denite. Tale script dispone le sferette in posi-zioni casuali all'interno della scatola con l'unica condizione che due sferette non possono

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penetrarsi, ovvero se la distanza fra due sferette e' inferiore alla somma dei loro raggi la se-conda viene riposizionata. Si noti che le dimensioni delle particelle vengono denite prima di posizionare le stesse, se infatti la dimensione della sferetta venisse scelta nel momento in cui essa viene posizionata si avrebbe una distribuzione piu' spostata verso le sferette di di-mensioni minori in quanto la probabilita' che queste ultime siano sucientemente distanti dalle altre e' maggiore che nel caso di sferette piu' grandi. Al ne di eliminare uttuazioni statistiche relative ad una specica congurazione i risultati che mostreremo sono la media della g(r) e della g(d) calcolate su molte congurazioni.

Per decidere con quali raggi far girare lo script vogliamo prendere distanze simili a quelle in gioco nelle cellule, consideriamo dunque in gura 11 l'istogramma del raggio delle gocce di lipidi della cellula di cui abbiamo gia' mostrato alcune immagini in gura 7.

Per la simulazione a raggio ssato abbiamo preso s = 0.35µm, per quella con due raggi diversi s1 = 0.2µm e s2 = 0.6µm, per quello a raggio variabile abbiamo fatto un t con una distribuzione gaussiana dell'istogramma di cui sopra. Ovviamente tale t non rende giustizia della considerevole coda di particelle di dimensioni maggiori ma, al ne di vedere come si comporta la g(r) per particelle a dimensione non ssata, e' suciente. Facciamo dunque seguire due graci in gura 12 dove a sinistra si vede la g(r) e a destra quella che abbiamo chiamato g(d). Entrambe sono state calcolate applicando condizioni periodiche al bordo.

Si nota immediatamente il fatto che nel calcolo della g(d) dove cioe' si prende in con-siderazione la distanza fra le superci esterne delle due sferette le tre curve hanno sostan-zialmente lo stesso andamento con un chiaro picco per l'intervallo [0, dr] e poi una discesa. Cio' deriva dal fatto che per come sono state posizionate le sferette l'unica distanza tipica e' quella per cui esse sono a contatto, indipendentemente dal raggio delle stesse. Per la g(r) ritroviamo questa situazione chiaramente laddove le sferette sono tutte di uguale raggio (linea rossa) mentre il picco e' ben piu' allargato per la congurazione in cui i raggi sono distribuiti secondo una gaussiana. Andando ad allargare la distribuzione dei raggi delle particelle quello che si osserva e' un sempre maggiore allargamento del picco.

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0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

Particles radius distribution

r [µm] N u m p a rt ic le s

Figura 11: Istogramma raggio particelle per la cellula in gura 7

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 2 2.2 2.4 2.6 2.8 3 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 ro[µm] g(r) Numopart:400,oNumosamples:500odr:0.05µm s1=0.35µm s1=0.2µm,os2=0.6µm normalodistrib: µ=0.35, σ=0.1 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 2 2.2 2.4 2.6 2.8 3 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 d=r-(sum]of]the]radii]of]the]two]particles)][µm] g(d) Num]part:400,]Num]samples:500]dr:0.05µm s1=0.35µm s1=0.2µm,]s2=0.6µm normal]distrib:]µ=0.35,]σ=0.1

Figura 12: Media di 500 simulazioni di 400 sfere rigide senza potenziale in una scatola (30x30)µm. A sinistra la g(r) dove r indica la distanza fra i centri delle particelle, a destra la g(d) dove d e' la distanza fra le superci esterne delle particelle.

3.4 Problemi di normalizzazione

La dicolta' nella normalizzazione della g(r) calcolata su gocce di lipidi presenti in una cellula e' legata ai due problemi di cui abbiamo gia' accennato: il primo riguarda la dif-colta' nella denizione della ρ, il secondo discende dall'impossibilita' di porre condizioni periodiche al bordo e dunque la necessita' di tenere in conto che l'area in cui vengono cercati vicini per le particelle sul bordo e' minore di quelle per le particelle al centro.

Per esemplicare il secondo problema consideriamo la gura 13, prendiamo in esame la particella colorata di rosso e immaginiamo che la corona circolare di spessore dr e

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raggio r sia quella indicata con lo stesso colore. Per tale particelle essendo tutta la corona contenuta nella scatola non vi sono problemi di condizioni periodiche. Consideriamo invece la particella blue e la relativa corona circolare, in questo caso la parte viola deve essere esclusa in quanto cade all'esterno della scatola ed in essa non vi e' possibilita' di trovare particelle. Per una scatola rettangolare il calcolo di tale correzione sull'area e' fattibile, la situazione si complica molto in 3D e diventa impossibile nel caso della cellula dove, in eetti, non e' neanche denibile univocamente un bordo.

Figura 13: Area ricerca particelle

3.5 Calcolo g(r) senza pbc per particelle uniformemente distribuite Partiamo dal considerare una scatola bidimensionale in cui sono posizionate a random con distribuzione uniforme delle particelle puntiformi. Cio' vuol dire che presa una qual-siasi corona circolare attorno ad una generica particella il numero di particelle che piu' probabilmente vi si troveranno sara' dato dal prodotto della densita' per l'area che stiamo considerando. La g(r) in tale situazione, calcolata con condizioni periodiche al bordo (pbc), deve essere costante al valore 1 almeno per r minore della' meta' del lato piu' piccolo della scatola. Come verica sono state posizionate con distribuzione uniforme molte particelle puntiformi in una scatola e ne e' stata calcolata la g(r), il risultato lo si vede in gura 15 linea viola. Nel caso in cui le pbc vengano omesse si osserva un decadimento anomalo della g(r)come si puo' osservare dalla riga rossa nella stessa gura. Quello che ci proponiamo di fare e' calcolare la g(r) che si ottiene senza pbc per una distribuzione uniforme di particelle, a partire dalla conoscenza delle sole dimensioni della scatola.

Calcolo analitico Consideriamo una scatola bidimensionale con lati lx e ly in cui sono poste N particelle, prendendone in esame una a caso e considerando una corona circolare di spessore dr e raggio r attorno ad essa ci aspettiamo di trovare in essa ρ·2πrdr particelle. Andando a calcolare la g(r) secondo la formula data sopra e considerando dr suciente-mente piccolo da poterlo trascurare nell'argomento della funzione e da poter approssimare l'area al primo ordine otteniamo:

(24)

g2D(r) = 1 2 · π · r · dr 1 N · ρ N X i=1 ni(r, r + dr) = 1 2 · π · r · dr 1 N · ρ N X i=1 (ρ · 2πrdr) = 1 ossia ci aspettiamo di ottenere costantemente il valore 1 come gia' detto. Evitando ora le condizioni periodiche al bordo dobbiamo tener conto del fatto che per le particelle al bordo l'area dove eettivamente si cercano le particelle e' piu' piccola (come abbiamo gia' discusso in riferimento alla gura 13). Indichiamo tale area con A(x, y):

g2D(r) = 1 2 · π · r · dr 1 N · ρ N X i=1 ni(r, r + dr) = 1 2 · π · r · dr 1 N · ρ N X i=1 [ρ · A(x, y)] Identichiamo un generico punto del rettangolo con le coordinate (x, y). Se immaginiamo che in tale punto vi sia una particella avremo che il suo contributo alla g(r) e' diverso nel caso in cui la r a cui stiamo calcolando la funzione di distribuzione radiale sia minore o maggiore della distanza del punto dal bordo piu' vicino. Nel primo caso l'area della corona circolare in cui andremo a cercare le particelle sara' eettivamente 2πrdr e dunque non vi saranno dierenze fra calcolo con e senza condizioni periodiche al bordo; nel secondo caso, invece, A(x, y) e' minore di tale valore e possiamo dunque scriverlo come:

A(x, y) = β(x, y) · 2πrdr con β(x, y) ≤ 1.

Inserendo tale espressione nella formula precedente e mettendo un unif come pedice per ricordare la situazione per cui stiamo calcolando la g(r):

g2Dunif(r) = 1 2 · π · r · dr 1 N · ρ N X i=1 [ρ · β(x, y)2πrdr] = 1 N N X i=1 β(x, y)

Lavorando nella condizione in cui le particelle sono prive di dimensioni possiamo immagi-nare che in ogni punto vi sia una particella, dunque trasformiamo la somma precedente in un integrale su tutti i punti del rettangolo in esame:

g2Dunif(r) = 1 lx· ly · ˆ lx 0 ˆ ly 0 β(x, y) dxdy

Per eettuare il calcolo dividiamo tale integrale in diverse regioni, come in gura 14a, scrivendo il risultato complessivo come:

g2Dunif(r) = gA(r) + 2 gB(r) + 2 gC(r) + 4 gD(r) con gS(r) = 1 lx· ly · ˆ S β(x, y) dxdy

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x y lx ly 0 r r ly-r lx-r A D D C C B D D B

(a) Divisione area integrazione

θ

B

y

θy θx θy θx (b) Riferimento angoli Figura 14

Per la parte A essendo βA(x, y) = 1 il risultato e' immediato: gA(x, y) =

(lx− 2r) · (ly− 2r) lx· ly

Per la parte B, indicando l'angolo θ come nel caso a sinistra della gura 14b, si ha che: θ = arccos(y/r)e dunque la parte di angolo giro eettivamente all'interno del rettangolo e' pari a 2π − 2θ e dunque: βB(x, y) = 2π − 2θ 2π = 1 − θ π L'integrale da fare risulta allora:

gB(x, y) = 1 lx· ly · ˆ lx−r r ˆ r 0  1 − θ π  dxdy = 1 lx· ly · ˆ lx−r r ˆ r 0  1 −arccos(y/r) π  dxdy non essendovi dipendenza da x nell'integrale otteniamo:

gB(x, y) = lx− 2r lx · 1 ly · ˆ r 0  1 −arccos(y/r) π  dy quindi svolgendo la parte in y:

gB(x, y) = lx− 2r lx · 1 ly ·  r − ˆ r 0 arccos(y/r) π dy  = lx− 2r lx ·r −r/π ly

Il conto per la parte C lo si ottiene analogamente, tuttavia basta scambiare x e y dal rigo precedente per avere il risultato:

gC(x, y) =

r −r/π lx

·ly− 2r ly

Per la parte D il conto e' leggermente piu' complesso infatti dobbiamo distinguere i due casi a destra in gura 14b che matematicamente corrispondono alle situazioni x2+ y2> r2 e x2 + y2 < r2, nel primo caso si ha semplicemente una somma degli eetti di x e y ossia gli integrali visti precedentemente; nel secondo caso bisogna invece tener presente la

(26)

sovrapposizione fra le due aree e dunque, facendo riferimento agli angoli θx e θy della gura otteniamo: gD(x, y) = 1 lx· ly " ¨ x < r y < r x2+ y2 > r2  1 −θx π − θy π  dx dy+ ¨ x < r y < r x2+ y2 < r2  3 4− θx 2π− θy 2π  dx dy # gD(x, y) = 1 lx· ly " ¨ x < r y < r x2+ y2 > r2  1 −arccos(x/r) π − arccos(y/r) π  dx dy + ¨ x < r y < r x2+ y2 < r2  3 4− arccos(x/r) 2π − arccos(y/r) 2π  dx dy #

Lo svolgimento di questo integrale non e' immediato e dunque nei graci che seguono la sua soluzione e' stata ottenuta numericamente. In sintesi l'espressione completa per la g(r) nel caso di una scatola di dimensione lxxly con distribuite all'interno particelle puntiformi uniformemente sara': gunif2D (r) = 1 lx· ly · " (lx− 2r) · (ly− 2r) + 2 · (lx− 2r) · (r −r/π) + 2 · (r −r/π) · (ly− 2r)+ + 4 · ¨ x < r y < r x2+ y2 > r2  1 −arccos(x/r) π − arccos(y/r) π  dx dy+ + 4 · ¨ x < r y < r x2+ y2 < r2  3 4 − arccos(x/r) 2π − arccos(y/r) 2π  dx dy #

(27)

che possiamo riscrivere come: gunif2D (r) = 1 lx· ly · " 2r · (lx− 2r) · (1 −1/π) + (ly− 2r) · (lx−2r/π)+ + 4 · ¨ x < r y < r x2+ y2 > r2  1 −arccos(x/r) π − arccos(y/r) π  dx dy+ + 4 · ¨ x < r y < r x2+ y2 < r2  3 4 − arccos(x/r) 2π − arccos(y/r) 2π  dx dy #

Verica del risultato su simulazione LJ Al ne di vericare l'attendibilita' di tale calcolo abbiamo confrontato la g(r) prevista con tale formule con quella ottenuta senza condizioni periodiche al bordo mettendo in una scatola di dimensioni lx x ly particelle puntiformi disposte uniformemente. Il risultato e' la linea verde in gura 15 che, come si vede, rispecchia molto bene la g(r) calcolata senza condizioni periodiche al bordo sui dati generati (indicata con graw(r)).

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 2 2.2 2.4 0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 1.1 r [µm] g (r )

2D g(r) of uniformly distributed particles, Num part:6000, dr:0.01um, Box Size:(4x4)µm

g(r) (calculated WITH pbc)

graw(r) (calculated WITHOUT pbc)

gunif(r) (calculated with analytical formula)

2µm line (half box side length)

Figura 15: g(r) calcolata per una distribuzione uniforme di particelle puntiformi in una scatola (4x4)µm

(28)

3.6 Correzione della g(r) ottenuta senza pbc

L'idea per ovviare al problema delle condizioni periodiche al bordo e avere lo stesso una g(r)ben normalizzata e' dunque quella di correggere la graw(r)ottenuta grezza dai dati con quella calcolata per una distribuzione uniforme di particelle nello stesso volume secondo la formula:

gcorrected(r) = graw(r) − gunif(r) + 1

Quello che stiamo facendo e' assumere che la gunif(r)rappresenti il fondo nel caso in cui non vi sia alcuna struttura nella distanza fra le particelle, la dierenza graw(r) − gunif(r) rappresenta il segnale a cui aggiungiamo 1 al ne di avere la corretta normalizzazione. Si tenga comunque presente che tale gcorrected(r) non rispecchiera' esattamente la gP BC(r) ossia la funzione di distribuzione radiale calcolata con condizioni periodiche al bordo, cio' e' dovuto al fatto che nel caso di condizioni periodiche tutte le distanze su x e y sono riportate all'intervallo [0,lx/2]e [0,ly/2]mentre senza tali condizioni esse rimangono in [0, lx]e [0, ly] e dunque a contribuire all'altezza dei primi picchi vi sara' un numero minore di punti. Il problema, come abbiamo gia' anticipato, e' che il calcolo analitico fatto per una scatola rettangolare diventa improponibile per forme piu' generiche, l'articio e' dunque quello di denire una supercie in 2D o volume in 3D ecace in cui sono eettivamente presenti le gocce di lipidi e poi disporre in esso particelle puntiforme distribuite uniformemente. Generate molte di queste distribuzioni se ne calcola la g(r) media, come media fra le g(r) calcolate sulle singole distribuzioni, che dunque diventa il riferimento gunif(r) rispetto a cui correggere la graw(r).

Verica su simulazione LJ Verichiamo tale procedimento su una simulazione LJ in una scatola in 3D: facendo riferimento alla gura 16 abbiamo in viola la g(r) calcolata con pbc e in rosso quella senza. Calcoliamo dunque la gunif(r)(linea verde) per il cubo in questione con cui correggiamo la graw(r)(che corrisponde alla g(r) calcolata senza pbc). Il risultato di tale calcolo e' la linea blue in gura 16. Assumendo che la g(r) calcolata con pbc sia il nostro obiettivo, la gcorrected(r) dierisce solo per i picchi che sono leggermente smorzati ma tiene lo stesso andamento.

Estensione al caso delle cellule Vogliamo dunque applicare questo stesso metodo di correzione alle cellule. Per arrivare a produrre una gunif(r)in tal caso ci occorre un metodo per denire l'area dove eettivamente sono presenti le gocce di lipidi e per farlo abbiamo scritto uno script (appendice B listato n.4). Esso, nel caso bidimensionale, divide l'intera immagine della cellula in tanti piccoli rettangolini in ciascuno dei quali va a calcolare la densita' di particelle presenti, fatto cio' si ssa una densita' di soglia; se un certo rettango-lino ha una densita' maggiore di tale soglia allora viene considerato facente parte dell'area eettiva occupata delle gocce di lipidi, altrimenti no. Tale densita' di soglia, ovvero quella che conduce a una gunif(r)che meglio rispecchia il trend della graw(r), e' stata regolata analizzando il singolo caso. Le linee guida generali sono quelle di scegliere rettangolini di lato all'incirca 4 − 5 volte la dimensione media di una goccia e settare la densita' di soglia in modo tale da avere almeno un paio di gocce in un rettangolino per includerlo. Cio' rispecchia il fatto che se in un rettangolino vi e' una sola goccia allora quest'ultima non

(29)

0 0.4 0.8 1.2 1.6 2 2.4 2.8 3.2 3.6 4 4.4 4.8 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 2 2.2 r [µm] g (r )

3D g(r) calculated with PBC on LJ sim, Num part: 768, dr: 0.03µm g(r) (calculated WITH PBC)

graw(r) (calculated WITHOUT PBC)

gunif(r) (calculated on 5000 samples with 768 particles)

gcorrected(r)

Figura 16: Stessa simulazione LJ di gura 10 - Calcolo g(r) e verica correzione avra' vicini per r minore di 4 − 5 volte le sue stesse dimensioni che rappresenta proprio la zona di nostra interesse per la g(r).

La costruzione della distribuzione di particelle su cui calcolare la gunif(r), viene eet-tuata assegnando in prima istanza ad una particella una posizione assolutamente randomica (con distribuzione uniforme) all'interno dell'immagine della cellula e poi andando a veri-care se essa eettivamente cade all'interno di uno dei rettangolini identicati prima, in caso contrario essa viene semplicemente scartata e ne viene generata un'altra. Tale pro-cesso viene iterato molte volte e dunque la gunif(r)nale e' ottenuta come media. Tale procedura e' stata poi estesa anche per trattare direttamente le cellule in 3 dimensioni, a tal ne e' stato necessario considerare non piu' dei rettangoli ma dei parallelepipedi in cui lo script calcola la densita' di particelle presenti. Si tenga comunque presente che il numero di suddivisioni in z e' stato tenuto piccolo (al di sotto delle 5) in quanto, come abbiamo gia' visto, la cellula non ha una grande estensione in z. Anche nel caso della g(d) (con d distanza fra le superci esterne di due particelle) la correzione e' stata eettuata con la stessa funzione usata per la g(r).

(30)

4 Applicazione ad alcune immagini acquisite

Un ultimo punto su cui vogliamo tornare per il calcolo della g(r) sulle gocce di lipidi nelle cellule riguarda lo sviluppo in z. Come abbiamo gia' detto e come si evince facilmente dai graci sotto riportati dove e' inserita la mappa di tali gocce con la coordinata z indicata tramite il colore, la dierenza in z fra la posizione dei centri delle particelle non supera i 3µm. Andare a cercare in 3D i vicini per corone sferiche di raggio oltre 1.5µm, vuol dire che una gran parte del volume cade al di fuori della cellula e dunque saranno trovati solo pochi vicini. Cio' fa si' che nella g(r) calcolata in 3D e' ben evidente il primo picco che cade a pochi decimi di µm mentre il secondo, che dovrebbe cadere poco oltre 1.5µm (da quanto si vede per la g(r) in 2D), risulta non sempre distinguibile.

Tenendo presente che la parte di g(r) in cui ci aspettiamo di trovare strutture e' del-l'ordine di qualche µm se, come accade per molte cellule, gocce in zone vicine hanno z simile allora la correzione nella distanza dovuta a quest'ultima coordinata e' piccola e dun-que trascurarla ha un eetto molto limitato. Anche in tal caso non si deve pensare che l'analisi in z sia stata superua, infatti il maggior problema degli algoritmi di watershe-ding, analizzati nella prima parte di questa dissertazione, consiste proprio nella dicolta' di individuare particelle vicine nendo per determinarne alcune in un layer ed altre nel successivo. Aver analizzato tutti i layer ci consente di proiettare la mappa delle particelle sul piano xy ottenendo dunque l'individuazione del massimo numero possibile di gocce. La g(r)in 2D e' stata calcolata proprio su tale proiezione: prendendo cioe' la posizione delle particelle in 3D e calcolando la distanza trascurando la coordinata z. Per quanto detto, ed in particolare per il fatto che gocce vicine dieriscono poco per la coordinata z, cio' non inuenza molto il calcolo della g(r) in 2D ma consente di superare i limiti nel calcolo in 3Dlegati al ridotto sviluppo in z delle cellule analizzate.

Premesso che il nostro obiettivo era quello di determinare un metodo che consentisse il calcolo della g(r) partendo dallo stack di immagini ottenute al microscopio, faremo ora qualche considerazione sulla g(r) eettivamente ottenuta per alcune cellule e proporremo in tabella alcuni parametri riassuntivi che possono essere legati a caratteristiche visibile nelle immagini.

Nelle gure che seguono (17, 18 e 19) abbiamo in alto la ricostruzione delle gocce di lipidi fatta dallo script con evidenziata in grigio l'area eettiva della cellula; nell'immagine in piccolo mostriamo uno dei layer centrali della cellula. Nella seconda riga vi e' l'analisi in 2D: a sinistra la g(r) dove r rappresenta la distanza centro-centro e a destra la g(d) con d distanza fra il bordo delle particelle. Inne nell'ultima riga vi e' l'analoga analisi ma in 3D. Nella descrizione delle gure e' riportato il trattamento a cui la cellula in esame e' stata sottoposta.

Facendo riferimento alle cellule con il nome dell'immagine in cui compaiono andiamo a riportare in tabella 1 la posizione del centro del primo picco e la F W HM dello stesso calcolata prendendo come riferimento il massimo del picco e il valore 1:

F W HM = W idth 

y = (M AX − 1)

2 + 1



La larghezza relativa e' calcolata come il rapporto fra la F W HM e l'altezza del picco. In tabella 2 abbiamo invece la posizione del centro del secondo picco, in questo caso la

F W HM non e' riportata in quanto il picco non e' sempre ben formato. Tutti i dati sono

(31)

Confrontando la posizione del primo picco nella g(r) in 2 e 3 dimensioni notiamo come la dierenza sia sempre molto all'interno della meta' della F W HM del picco; lo stesso avviene anche per la g(d). Consideriamo questo un primo test sulla coerenza dei risultati. Per la g(d) rispetto alla g(r) si vede, in generale, una riduzione del rumore; in tabella questo eetto e' ben evidente nella notevole diminuzione della larghezza relativa del primo picco sia della g(r) che della g(d) calcolata in 3D rispetto a quella calcolata in 2D. Cio' lo possiamo spiegare ripensando all'esempio fatto sopra per sferette rigide senza potenziale; quello che sembra accadere nel caso delle gocce di lipidi e' il fatto che esista una distanza tipica fra le superci esterne delle gocce e non fra i centri delle stesse. Andando dunque a considerare, come nel caso della g(r), la distanza fra i centri delle gocce tale distanza tipica si mescola con la non uniformita' nelle dimensioni delle gocce portando dunque ad un allargamento del primo picco. Prendendo invece la distanza fra le superci esterne delle gocce il picco si stringe e si alza mostrando dunque una ben piu' marcata distanza caratteristica. Inoltre tale primo picco della g(d) non lo si ha per d → 0, come accadeva nella simulazione delle sferette disposte uniformemente, ma ad un valore dell'ordine di 0.2 − 0.3µm, cio' implica che le gocce tendono a tenersi leggermente separate e a non porsi direttamente a contatto le une con le altre. Cio' risulta in accordo con il fatto che nelle cellule insieme alle gocce di lipidi abbiamo le proteine che tendono a disporsi attorno alle prime, tenendole dunque leggermente separate. Ovviamente tali proteine non compaiono nelle immagini acquisite in quanto rispondono a frequenze vibrazionali diverse da quelle dei lipidi.

Notiamo inoltre dierenze non trascurabili fra i risultati ottenuti per una cellula e quelli per un'altra, cio' rispecchia dierenti distribuzioni delle gocce di lipidi in cellule diverse. Ad esempio per quelle in gura 17 e 19 notiamo una struttura piu' compatta nella disposizione di tali gocce, che si rispecchia in picchi con posizioni centrali piu' basse rispetto a quelli calcolati per la cellula in gura 18.

Per cellule come quelle in gura 17 e 18, guardando la mappa delle gocce di lipidi si vede come il colore di tali gocce vari piuttosto uniformemente mentre nel caso della cellula in gura 19 vi sono variazioni notevoli anche per gocce vicine. Cio' si riverbera in particolare nella posizione del primo picco in 2D e 3D che risulta minore nel primo caso di una quantita' relativa al valore stesso, maggiore che nel caso delle altre cellule. Il fatto stesso che in tale cellula la distribuzione in z dei lipidi sia meno uniforme puo' essere interessante se tale situazione venisse riscontrata prevalentemente in seguito ad uno specico trattamento.

La g(d) in 2D della cellula in gura 19 presenta una F W HM notevolmente maggiore della g(r) cosa che non avviene per le altre due cellule analizzate. Tale fenomeno e' invece meno marcato nell'analisi in 3D, la sua origine risiede nel fatto che per cellule di questo tipo, dove la quota z varia notevolmente anche per gocce vicine, la proiezione in 2D porta ad una sottostima delle distanze. Come conseguenza abbiamo gocce che sembrano essere sovrapposte e dunque una g(d) che non va a 0 per d → 0. In questi casi e' opportuno tenere in maggior considerazione l'analisi in 3D rispetto a quella in 2D.

(32)

Figura 17 18 19

Trattamento Acido oleico + Entinostat Acido oleico

2D Posizione centro [µm] 0.90 1.36 0.77 FWHM [µm] 0.22 0.25 0.19 Larghezza relativa 0.12 0.15 0.14 3D Posizione centro [µm] 0.90 1.42 0.84 FWHM [µm] 0.21 0.30 0.19 Larghezza relativa 0.14 0.26 0.083 (a) g(r) Figura 17 18 19

Trattamento Acido oleico + Entinostat Acido oleico

2D Posizione centro [µm] 0.26 0.40 0.21 FWHM [µm] 0.25 0.31 0.43 Larghezza relativa 0.034 0.069 0.084 3D Posizione centro [µm] 0.23 0.42 0.32 FWHM [µm] 0.25 0.34 0.30 Larghezza relativa 0.022 0.091 0.017 (b) g(d)

Tabella 1: Caratteristiche primo picco nella g(r) (a) e nella g(d) (b) in 2D e 3D

Figura 17 18 19

Trattamento Acido oleico + Entinostat Acido oleico

2D Posizione centro [µm] 1.74 2.53 1.61

3D Posizione centro [µm] 1.73 2.43 1.51

(a) g(r)

Figura 17 18 19

Trattamento Acido oleico + Entinostat Acido oleico

2D Posizione centro [µm] 1.08 1.68 1.02

3D Posizione centro [µm] 1.02 1.14 1.36

(b) g(d)

(33)

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 2 r [µm] g (r )

2D g(r) calculated on a cell with 494 droplets, dr: 0.12µm graw(r)

gunif(r) (calculated on 500 samples with 494 particles)

gcorrected(r) 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 1 2 3 4 5 6 7 8

d=r-(sum of the radii of the two particles) [µm]

g

(d

)

2D g(d) calculated on a cell with 494 droplets, dr: 0.12µm graw(d)

gunif(d) (calculated on 500 samples with 494 particles)

gcorrected(d) 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 r [µm] g (r )

3D g(r) calculated on a cell with 494 droplets, dr: 0.12µm graw(r)

gunif(r) (calculated on 300 samples with 494 particles)

gcorrected(r) 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13

d=r-(sum of the radii of the two particles) [µm] 3D g(d) calculated on a cell with 494 droplets, dr: 0.12µm

g

(d

)

graw(r)

gunif(r) (calculated on 300 samples with 494 particles)

gcorrected(r) 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3

(34)

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 1.8 r [µm]

2D g(r) calculated on a cell with 374 droplets, dr: 0.16µm

g

(r

)

graw(r)

gunif(r) (calculated on 500 samples with 374 particles)

gcorrected(r) 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5

d=r-(sum of the radii of the two particles) [µm]

g

(d

)

2D g(d) calculated on a cell with 374 droplets, dr: 0.16µm graw(d)

gunif(d) (calculated on 500 samples with 374 particles)

gcorrected(d) 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 0 0.5 1 1.5 2 2.5 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 r [µm] g (r )

3D g(r) calculated on a cell with 374 droplets, dr: 0.16µm graw(r)

gunif(r) (calculated on 300 samples with 374 particles)

gcorrected(r) 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4

d=r-(sum of the radii of the two particles) [µm]

g

(d

)

3D g(d) calculated on a cell with 374 droplets, dr: 0.16µm graw(d)

gunif(d) (calculated on 300 samples with 374 particles)

gcorrected(d) 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 0 0.5 1 1.5 2

(35)

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1.0 1.2 1.4 r [µm] g (r )

2D g(r) calculated on a cell with 493 droplets, dr: 0.14µm

graw(r)

gunif(r) (calculated on 500 samples with 493 particles)

gcorrected(r) 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 1 2 3 4 5 6

d=r-(sum of the radii of the two particles) [µm]

g

(d

)

2D g(d) calculated on a cell with 493 droplets, dr: 0.14µm

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 0 0.5 1 1.5 2 graw(d)

gunif(d) (calculated on 500 samples with 493 particles)

gcorrected(d) 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 0.5 1 1.5 2 2.5 r [µm] g (r )

3D g(r) calculated on a cell with 493 particles, dr: 0.13µm graw(r)

gunif(r) (calculated on 300 samples with 493 paticles)

gcorrected(r) 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

d=r-(sum of the radii of the two particles) [µm]

g

(d

)

3D g(d) calculated on a cell with 493 particles, dr: 0.13µm graw(d)

gunif(d) (calculated on 300 samples with 493 paticles)

gcorrected(d) 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4

Figura

Figura 1: Eetto Raman e CARS
Figura 4: Watershed - Graco di livello (rif.[5])
Figura 5: Threshold e Watershed di un'immagine
Figura 6: Confronto algoritmi Threshold - Watersheding
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Riferimenti

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