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(1)

S T U D I DI S T O R I A M E D I O E V A L E

E DI D I P L O M A T I C A

PU B B L IC A T I A CURA

d e l l’i s t i t u t o DI STORIA M EDIOEVALE E MODERNA

E D E L L ’IS T IT U T O DI PALEOGRAFIA E DIPLOM ATICA

2

U NIVERSITÀ D EG L I STUDI D I MILANO 1977

(2)

Un’ottima applicazione quattrocentesca

del sistema cifrante monoalfabetico

d i Gi o r g i o Co s t a m a g n a

Un indubbio interesse, da qualche tempo, si è risvegliato da parte degli studiosi per uno degli aspetti più interessanti, se pur tra i più difficili, dello studio delle scritture segrete usate dalle cancellerie ita­ liane tra Medioevo e Rinascimento. Il lettore avrà certamente inteso che ci si vuol riferire in modo particolare a quelle scritture « in cifra », o, come amavano scrivere i nostri avi, « in ziffera », che tanta parte hanno nelle carte conservate negli archivi del nostro Paese e che ancor oggi spesso attendono chi si accinga a decrittarle. Un utilissimo contri­ buto a questi studi è certamente costituito dalla pubblicazione di cifrari e di codici contenenti cifrari di cui ci ha dato un ottimo esempio Lydia Cerioni nel suo studio « La diplomazia Sforzesca nella seconda metà del Quattrocento » ’. La conoscenza, infatti, dei sistemi di tempo in tempo usati per cifrare, cioè di quelle che potrebbero essere definite le chiavi per decifrare, vale a dire per passare dal testo segreto a quello in scrittura comune, facilita grandemente il compito dell’interprete in­ dicandogli una serie di possibili soluzioni anche quando egli più non abbia la possibilità di rintracciare la chiave o cifrario usato nel caso par­ ticolare e sia costretto a quella faticosissima operazione che si usa de­ nominare idecrittazione, cioè alla ricostruzione del cifrario stesso an­ dato smarrito o per qualsiasi causa rimasto a lui sconosciuto.

In questi ultimi anni, poi, molto opportunamente l ’Airaldi, ana­ lizzando un cifrario venuto a sua conoscenza2, ha cercato di valutare le potenziali possibilità di ermeticità offerte dal sistema in esame dando, altresì, una precisa, dettagliata descrizione degli espedienti suggeriti,

1 C fr. L. C e r i o n i , La diplomazia Sforzesca nella seconda metà del Quattro- cento e i suoi cifrari segreti, in Fonti e Studi del Corpus Membranarum Italica­ rum, voi. I e voi. II, Roma, 1970.

2 G. A i r a l d i , Paleografia e criptografia nella Storia genovese del Quattro- cento, in « Studi e documenti su Genova e l’Oltremare », Genova, 1974, pp.

111-152.

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nel caso, dai corrispondenti per rendere più difficile la decrittazione. Proprio per proseguire su questa via si crede opportuno portare a conoscenza degli studiosi i risultati dell’analisi di un cifrario, rico­ struito in assenza di ogni elemento decifratore, perché si ritiene più interessante far constatare nel caso particolare come il sistema ed i vari espedienti tendenti a rendere più ermetico il documento siano stati praticamente sfruttati dallo scrivente che non limitare l ’indagine sol­ tanto alle soluzioni possibili in teoria. Ciò tanto più ricordando che, specialmente nel periodo indicato, dalla maggiore o minore abilità di colui che usava il cifrario dipendeva la possibilità di rendere più o meno difficile l ’opera del decrittatore e si andava lentamente sperimen­ tando ed innovando artifizi atti a perfezionare la « chiusura » dei testi cifrati.

Non solo, ma l ’analisi di una decrittazione effettuata può indub­ biamente fornire indicazioni molto utili in casi consimili, in cui sia necessario fare a meno di ogni sussidio decifratore; casi che, purtroppo, costituiscono la gran maggioranza tra quanti offerti dalla documenta­ zione conservataci dal tempo.

Si è avuto occasione di osservare, in un precedente stu d io 3, come le diverse cancellerie italiane abbiano, negli ultimi secoli del Medioevo ed anche in quelli seguenti, preferito ad ogni altro sistema cifrante, per la corrispondenza diplomatica, quello monoalfabetico op­ portunamente rinforzato da espedienti diversi. E si è avuto altresì mo­ do di constatare, col senno di poi, come tale scelta si dimostrasse tut- t ’altro che inopportuna e sprovveduta, soprattutto per ragioni pratiche e di applicazione, anche quando i progressi degli studi permisero ad eminenti matematici, quali il Della Porta, il De Vigenère, il Tritemio, di perfezionare quei sistemi teoricamente tanto più ermetici che vanno sotto il nome di sostituzione polialfabetica a chiave.

Si sa che la sostituzione monoalfabetica semplice, che si effettua sostituendo le unità del testo chiaro con segni, lettere o numeri tratti da un unico elenco cifrante, è un sistema poco resistente. Perché, co­ noscendo la frequenza, cioè il numero delle volte, con cui ogni lettera dell’alfabeto tende, a lungo andare, a presentarsi in ogni lingua, non

3 G. C o s t a m a g n a , Tachigrafia notarile e scritture segrete medioevali in

Italia, in Fonti e Studi del Corpus Membranarum Italicarum, Roma, 1968,

p. 44 e ss.

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è difficile identificare subito le lettere più usate e di qui, per succes­ sivi confronti, passare all’individuazione di bigrammi e trigrammi e alla ricostruzione di tutti gli elementi del testo. Per questa ragione già alla fine del sec. XIV o all’inizio del seguente4 si è pensato di preve­ dere l ’uso di più segni, detti omofoni, per ogni lettera, da usarsi al­ ternativamente, specie per le vocali, di non usare lettere doppie, troppo facilmente identificabili, e di inserire, qua e là, segni nullius valoris, atti soltanto a condurre fuori strada lo sprovveduto decrittatore. Al quale, inoltre, si presentava un crittogramma in scrittura scrupolosa­ mente continua senza distinzione, cioè, tra parola e parola.

Anzi a partire da quell’epoca si usa aggiungere all’alfabeto ci­ frante un breve elenco, detto repertorio, di segni, parole o gruppi di lettere o di cifre particolari, corrispondenti a termini ripetutamente usati, quali, ad esempio, i nomi di persone, di principi e di località, che, troppo spesso ripetuti sfruttando il consueto cifrario avrebbero potuto facilitare la decrittazione.

A questo punto diventa evidente come con tale sistema l ’erme­ ticità di un testo cifrato dipenda in gran parte da colui che provvede a trascrivere le lettere comuni in segni convenzionali e come soltanto attraverso una lenta, continua opera di perfezionamento sia possibile pervenire ai migliori risultati.

La lettera cifrata che si propone all’attenzione del lettore appar­ tiene indubbiamente ad uno dei migliori periodi di attività, in questo campo, della Cancelleria milanese, che deve aver fornito a Spinetta Campofregoso « Ianuensium capitaneus et locumtenens », il cifrario per corrispondere con il Duca di Milano. Si tratta di una missiva in data 24 dicembre 1453, conservata nella serie Carteggi dell’Archivio di Stato di M ilanos.

Appartiene a quel ciclo di anni in cui forte doveva farsi sentire nell’ambiente l ’influenza dell’abilità, quale teorico del sistema e speri­ mentatissimo decrittatore, di Cicco Simonetta. In mancanza di ogni elemento decifratore la decrittazione del testo cifrato ha richiesto note­

4 Ivi, p. 43 e ss.

5 Archivio di Stato di Milano, Fondo Ducale Visconteo Sforzesco, Carteggio, n. 315. Cfr. tav. allegata.

Si ringrazia vivamente la dott. A. Borlandi, dell’istituto di Storia Econo­ mica delPUniversità di Pavia, che con squisita cortesia ha segnalato l’esistenza della lettera cifrata.

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voli tempo e fatica, ma soprattutto, ha posto in evidenza come le diffi­ coltà siano dipese in massima parte non da particolari innovazioni del sistema, ma dall’efficacissimo uso degli espedienti a quell’epoca già conosciuti ed usati.

L ’elenco cifrante che si è potuto ricostruire risulta essere, in­ fatti, un comunissimo monoalfabetico con omofoni, dove questi ultimi, però, sono ancora segnati soltanto in corrispondenza delle vocali, m entre alla metà del sec. XV già comunemente si usano omofoni in corrispondenza di tutte le lettere dell’elenco cifrante. Doveva esistere anche, come si può constatare da pochi segni di cui non è stato pos­ sibile trascrivere le lettere comuni corrispondenti, un elenco di parole e di nomi a repertorio, del quale, tuttavia, non si può ricostruire l ’esatta entità e la corrispondenza, data l ’esiguità del testo in esame. Pratica- mente non usate le lettere nullius valoris, pur così utili per rendere più difficile la decrittazione, l’abilità del cifratore si rivela tutta nel­ l ’uso degli omofoni e nella capacità di dosare gli stessi in modo che nes­ sun segno appalesi una preminenza consistente sugli altri e permetta l’individuazione delle lettere più usate. In effetti invece dei soliti 20' o 21 segni corrispondenti alle lettere dell’alfabeto il decrittatore si trova di fronte a oltre 40 segni, la frequenza in percentuale sul to­ tale di ognuno dei quali non corrisponde a quella di alcuna lettera dell’alfabeto normale. Così, ad esempio, una delle più basse frequenze risulta assegnata ad un segno che a decrittazione effettuata corrispon­ de ad un omofono della vocale o, molto usata, m entre una sola unità supera la frequenza del 7 % in percentuale sul numero totale degli elementi quando la lettera e raggiunge di norma e oltrepassa il 13 % . Si assiste, cioè, ad un appiattimento delle frequenze che non permette alcuna operazione basata sulla valutazione delle stesse. In tali condi­ zioni a chi si accinga alla decrittazione non resta che tentare delle ipotesi, rintracciare dei gruppi di segni uguali e supporre che corri­ spondano a parole che possano assumere un qualche senso nel testo. Ma si tratta di operazione lunga e difficile e che, oltre tu tto , può por­ tare a risultati sorprendenti e fuorvianti. Nel caso in questione, ad un certo momento, si è voluto ipotizzare che le ultime cinque lettere del testo cifrato corrispondessero alla parola « Doria », conosciutis­ simo cognome ricordato nella lettera stessa, vale a dire ad un gruppo con i segni corrispondenti alle vocali a e o rispettivamente in ultima e q u artultim a posizione. Passati alla sostituzione delle ricordate vo­

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cali ai segni che si supponeva ad esse corrispondenti ci si dovette con­ vincere che in certe occasioni l ’operazione poteva dare l ’impressione di essere risolutiva, ma che in altre risultava completamente ineffi­ ciente. La ragione stava nel fatto che occorreva pensare, invece, alla parola « resposta » che, vedi caso, segna le stesse vocali a e o nella identica successione e numerazione del nome « Doria », rispettiva­ mente in ultima e q uart’ultima posizione. Il che evidentemente po­ neva il decrittatore nella fortunata coincidenza di aver rintracciato il giusto valore dei segni corrispondenti alle vocali ricordate ma lo por­ tava, d ’altra parte, su di una pista sbagliata suggerendogli una corri­ spondenza alle lettere d, r ed i assolutamente errata.

Accanto all’ottimo uso degli omofoni occorre, inoltre, osservare come nel testo cifrato ci si valga con altrettanta bravura di altri espe­ dienti, tali l’assenza completa di segni uguali susseguentisi, rivelanti let­ tere in coppia e l ’interruzione delle parole a fine riga non effettuata per sillaba.

E ’ da ricordare, altresì, come risulti quanto mai efficace l’uso di segni convenzionali nel repertorio in luogo di parole intere, risultan­ do spesso quest’ultime troppo trasparenti per i riflessi e le ricordanze che immancabilmente mantengono con il pensiero che le ha generate.

In conclusione, facendo tesoro delle esperienze compiute, si può affermare come alla metà del sec. XV, pu r valendosi di sistemi strut­ turalmente semplici, si sapesse raggiungere un alto grado di sicurezza.

Trascrizione della parte cifrata della lettera

1) . . . E t perché per infino a qui io mi sono comportato in pace

con questo

2) Duce . . . dagandoge sperarc(i)a de volere e dare Gavi per de­

nari et in

3) questo meco andava adatando le cose per forma che liberamen­

te io viv­

4) eva cum fede de fare capitare questa cosa in mano de la

exce-lentia vo­

5) stra io dico cum le vestimente indoso et non cum arme et se

(7)

6) stato di bisogno che mi havese interpreiso questo fato et pi­ giare lo

7) stato in mi lo haverea fato ma cum anemo et intencione posa

de metere

que-8) la cità in mano de la excelencia vostra et questo era et he pro­

prio lo

9 ) desiderio mio . . . ma posa che io ho receputo queste letere et

de molte

10) altre da citadini che tuti m ’afermano farsi questo acordio tra

Iohane

11 ) Filipo e lo Duce per via de questo cardinale de Fermo non

me p(ar) che esendo

12) vero e bono questo acordio potere più per adeso tesere questa

tela perché

13) non ge serea via ni modo al presente per molti respeti ma se

questo asesto

14) fose fiticio et che . . . havese animo de non observarlo a questo

modo la

15) cosa anderea bene in forma che quasi se poteria dire questa

mosa non

16) potere manchare et questa seria propria la via . . ., pertanto se la

17) excelencia vostra havese qualche informacione de questo fato

18) se l ’è fiticio questo acordio o non et la excelencia vostra se

digna-19) se advisarme saperea megio che farne per adempire lo mio

desiderio et

20) come credo comprender a la excelencia vostra questo vera a

termine

21 ) ch’el bisognava fare a mio modo volese o non et non dubite la

excelencia

22) vostra in alcuna cosa de mi perché vi iuro per mia fede ilu-

strisimo

23) principe che podete prendere quela fede de mi come de quale

fide-24 ) lisimo servitore o creatura vostra habiate. Non responderò

preci-25 ) samente se non ho resposta

(8)

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