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Valutazione dei livelli trascrizionali e proteici dell'osteopontina in pazienti affetti da epatocarcinoma

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea Magistrale in

Biologia applicata alla Biomedicina

TESI DI LAUREA

VALUTAZIONE DEI LIVELLI TRASCRIZIONALI E

PROTEICI DELL’OSTEOPONTINA IN PAZIENTI AFFETTI

DA EPATOCARCINOMA

RELATORE

CANDIDATO

Dott.ssa Silvia Del Ry

Maria Michela Cesare

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Riassunto ...4

Abstract ...7

Capitolo 1 ... 10

INTRODUZIONE ... 10

1.Le patologie epatiche ... 11

1.1 Le patologie epatiche infettive ... 11

1.2 L’epatocarcinogenesi ... 12

1.3 Il carcinoma epatocellulare ... 13

1.4 La classificazione MELD ... 18

1.5 La regolazione della proliferazione cellulare: Notch1 ... 20

1.6 Biomarcatori ... 22

1.6.1 Biomarcatori classici per la diagnosi di HCC ... 23

1.6.2 Biomarcatori infiammatori ... 24

1.6.3 Biomarcatori fibrotici ... 27

1.6.4 L’Osteopontina ... 27

Capitolo 2 ... 38

SCOPO DEL LAVORO DI TESI ... 38

Capitolo 3 ... 40

MATERIALI E METODI ... 40

3.1 Arruolamento dei pazienti ... 41

3.2 Campioni di tessuto ... 42

3.3 Estrazione dell’RNA totale ... 43

3.4 Estrazione delle proteine ... 44

3.5 Determinazione dell’RNA totale ... 44

3.6 Retrotrascrizione dell’RNA a cDNA ... 46

3.7 Real-Time PCR ... 47

3.7.1 Selezione dei geni di riferimento ... 49

3.8 Determinazione immunometrica ... 50

3.9 Analisi statistica ... 50

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3

4.1.1 Quantizzazione RNA ... 52

4.1.2. Valutazione delle condizioni ottimali di reazione dell’analisi di Real-Time PCR ... 52

4.1.3 Selezione dei geni di riferimento ... 53

4.2 Risultati sperimentali ... 54

4.2.1 Risultati biomolecolari ... 54

4.2.2 OPN plasmatica e tessutale ... 56

4.2.3 OPN e punteggio MELD ... 58

Capitolo 5 ... 62

CONCLUSIONI ... 62

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5

Introduzione.

Il carcinoma epatocellulare (epatocarcinoma o HCC) è il più frequente tumore primitivo del fegato e rientra tra le prime due cause di morte per tumore nei paesi industrializzati. L’HCC deriva da un processo multifattoriale complesso, dove il fattore di sviluppo importante è la conseguente infiammazione cronica del fegato. Ad oggi l’epatocarcinoma rappresenta un problema di rilevante importanza clinica e la necessità di individuare un biomarcatore che permetta di diagnosticare la neoplasia, fin dalle sue prime fasi di sviluppo, potrebbe portare ad un miglioramento prognostico e terapeutico aumentando le prospettive di vita del paziente stesso. Negli ultimi anni l'osteopontina (OPN), una glicoproteina della matrice extracellulare che svolge il ruolo di citochina è risultata essere coinvolta come fattore prognostico durante lo sviluppo dell’epatocarcinoma.

Scopo.

Lo scopo del lavoro di tesi è stato quello di valutare, in soggetti affetti da HCC sottoposti a trapianto (riceventi, recipient’s liver, RL) e in un gruppo di donatori sani (donatori, donor’s liver, DL), la concentrazione di osteopontina, sia a livello plasmatico che tessutale, la sua espressione a livello di mRNA insieme a quella delle sue isoforme (OPN-b, OPN-c) ed il fattore di conversione, trombina. Essendo l’osteopontina una proteina di matrice coinvolta nel danno epatico, è stata inoltre valutata la sua associazione a biomarcatori di cancerogenesi/proliferazione, come Notch-1, Collagene IV-dominio 7s, ed altri biomarcatori infiammatori come l’interleuchina (IL-6) ed il fattore di necrosi tumorale (TNF-α).

Materiali e metodi.

Il lavoro di Tesi è stato condotto in collaborazione con l’Unità Operativa di Chirurgia Epatica e del Trapianto di fegato dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana dove sono stati arruolati i pazienti. Dal tessuto epatico proveniente da RL (n=10; età 59,4±1,8 anni) e DL (n=14; età 62,1±17,3 anni) è stato estratto l’RNA totale con il metodo della guanidina tiocianato-fenolo-cloroformio e ne è stata verificata l’integrità, la purezza e la concentrazione. L’espressione a livello di mRNA degli effettori è stata

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valutata attraverso reazioni di Real-Time PCR previo settaggio delle condizioni ottimali di reazione. Al fine di effettuare una corretta normalizzazione è stato valutato un set di geni di riferimento scelti tra i più studiati in letteratura tra cui i più stabili sono risultati la ciclofilina A (PPIA), il fattore eucariotico di allungamento 1A (eEF1A) e la proteina tumorale a traslazione controllata di tipo 1 (TPT1) con un valore di stabilità pari a M=0,69. Le concentrazioni proteiche e plasmatiche dell’osteopontina sono state misurate attraverso saggio immunometrico specifico.

Risultati.

L’espressione a livello di mRNA dei geni analizzati nel tessuto epatico è risultata aumentata nei riceventi rispetto ai donatori. Correlazioni statisticamente significative sono state trovate tra: OPN-a/OPN-b (p<0,0001; r=0,91), OPN-a/trombina (p=0,007; r=0,53), collagene IV-dominio 7s e le varie isoforme [OPN-a: p=0,016; r= 0,51, OPN-b: p=0,044; r= 0,43, OPN-c: p=0,05; r= 0,42], OPN-c/Notch-1 (p=0,004; r= 0,57).

Per quanto riguarda la valutazione della concentrazione dell’osteopontina tessutale e plasmatica, ottenute con la determinazione immunometrica, è stato confermato lo stesso andamento osservato per l’espressione a livello di mRNA, sebbene non si siano osservate differenze significative (OPN estratto tessutale: 123±23 vs. 305±132 pg/ml; OPN plasmatica: 1052±223 vs. 2945±1223 pg/ml). E’ stata inoltre osservata un’importante correlazione positiva tra la concentrazione plasmatica di osteopontina e quella proteica (p<0,0001, r=0,96), correlazione che si mantiene significativa anche suddividendo i soggetti in RL (p<0,0001, r=0,96) e DL (p<0,0001, r=0,93).

Conclusioni.

I risultati ottenuti in questo lavoro di Tesi, sottolineano che l’osteopontina e le sue isoforme sono differentemente espresse nell’epatocarcinoma. Nonostante siano necessari ulteriori studi per comprendere meglio il ruolo dell’osteopontina nell’epatocarcinoma, i dati di questo studio forniscono un punto di partenza importante per poter validare l’osteopontina come marcatore diagnostico/prognostico potenziale di HCC

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Introduction.

Hepatocellular carcinoma (HCC) is the most common primitive liver cancer and is among the top two causes of cancer death in industrialized countries. HCC is derived from a complex multifactorial process, where the major development factor is the consequent chronic liver inflammation. To date, hepatocarcinoma is a significant clinical importance issue and identifying biomarker to diagnose the neoplasm from its early stages of development could prognostic and therapeutic improvements, thus increasing the patient's life prospects. In the very recent years, osteopontin (OPN), an extracellular matrix glycoprotein playing the role of cytokine, has been implicated as a prognostic factor during the development of hepatocarcinoma.

Aim.

The aim of this thesis is to evaluate the concentration of osteopontin in liver tissues of subjects with HCV-positive HCC undergoing liver (RL) and of donors (DL), the increase of OPN plasma and tissue concentration, the OPN splicing isoforms expression (OPN-b, OPN-c) and the conversion factor, thrombin. Since osteopontin is a matrix protein involved in hepatic injury, its association with carcinogenic / proliferation biomarkers such as Notch-1, Collagen IV domain 7s, and other inflammatory biomarkers such as interleukin (IL-6) and the tumor necrosis factor (TNF-α), have been evaluated.

Materials and Methods.

The present work has been conducted in collaboration with the Hepatic Surgery Unit and the Liver-Transplant Unit of the Hospital-University in Pisa, where patients were enrolled. Total RNA has been extracted from RL (n = 10, age 59.4 ± 1.8 years) and DL’s (n = 14, age 62.1 ± 17.3 years) liver tissue by using the guanidine method thiocyanate-phenol chloroform. Furthermore, its integrity, purity and concentration have been verified. The effector’s expression has been evaluated by Real-Time PCR reactions after setting the optimal reaction conditions. A set of reference genes selected among the most studied in the literature has been found for a proper normalisation including the most stable cyclofilin A (PPIA), eukaryotic elongation factor 1A (eEF1A) and tumour protein

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with controlled displacement of type 1 (TPT1) with a stability value equal to M = 0.69. OPN protein and plasma concentrations have been measured by specific immunometric assay.

Results.

The mRNA expression of genes analysed in liver tissue has been increased in recipients compared to donors. Statistically significant correlations have been found between: OPN-a / OPN-b (p <0.0001; r = 0.91), OPN-a / thrombin (p = 0.007; r = 0.53), IV collagen domain 7s and the various isoforms [OPN-a: p = 0.016; r = 0.51, OPN-b: p = 0.044; r = 0.43, OPN-c: p = 0.05; r = 0.42], OPN-c / Notch-1 (p = 0.004; r = 0.57). Regarding the concentration of tissue and plasma OPN obtained with immunometric determination, the same observed trend for mRNA expression has been confirmed, although no significant differences have been observed (OPN tissue extract: 123 ± 23 vs. 305 ± 132 pg / ml; OPN plasma: 1052 ± 223 vs. 2945 ± 1223 pg / ml). A significant positive correlation between OPN and protein plasma concentrations (p <0.0001, r = 0.96) has been found, value that remains significant also by dividing subjects into RL (p <0.0001, r = 0.96) and DL (p <0.0001, r = 0.93).

Conclusions.

The results obtained in this work emphasize that OPN and its isoforms are differently expressed in hepatocellular carcinoma. Although further studies are needed to better understand the role of OPN in hepatocellular carcinoma, the obtained data provide an important starting point for validating OPN as potential HCC potential diagnostic/prognostic marker.

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Capitolo 1

INTRODUZIONE

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1.Le patologie epatiche

1.1 Le patologie epatiche infettive

Il fegato è frequente bersaglio di infezioni batteriche e di infestazioni parassitarie, ma le patologie infettive a maggiore diffusione risultano essere quelle di tipo virale. Le epatiti virali più diffuse sono quelle che riconoscono come agenti eziologici i virus epatotropi (HV), mentre le epatiti rare sono quelle che si sviluppano nel corso di infezioni sistemiche da adenovirus, da virus erpetici, da virus di Epstein Barr e da citomegalovirus (Pontieri GM. et al., 2015). Tra i virus epatotropi un ruolo particolarmente importante è svolto dai virus dell’epatite B e C. Il virus dell’epatite B (HBV) è un virus a doppia elica incompleta di DNA appartenente alla famiglia Hepadnaviridae. Questo virus non ha un effetto citopatico diretto sugli epatociti, ma questi ultimi vengono danneggiati e distrutti dalla risposta immunitaria cellulo-mediata dell’ospite. Tale risposta è diretta verso i peptidi virali espressi dalle cellule infette (Pontieri GM. et al., 2015). L’infezione da HBV si trasmette per via ematica o per via sessuale o per via transplacentare dalla madre al feto. Molte volte l’infezione è indotta dalla penetrazione del virus attraverso le ferite, prodotte da strumenti infetti, in precedenza utilizzati da altri individui e non correttamente sterilizzati (Pontieri GM. et al., 2015). La malattia ha un lungo periodo di incubazione (da 40 giorni a 6 mesi), che è seguito nel 95% dei casi dalla comparsa di un’epatite acuta e nel 5% dei casi da una forma subclinica che può passare inosservata. Invece per quanto riguarda l’incidenza della forma fulminante è pari all’1% (Pontieri GM. et al., 2015).

La guarigione dalla malattia si ha quando il virus viene eliminato dalla risposta immunitaria dell’ospite. Quando ciò non avviene, si ha la cronicizzazione nella quale la risposta immunitaria è responsabile del danno epatico. La forma cronica può evolvere lentamente verso una forma detta “epatite cronica attiva”, che successivamente può sfociare in cirrosi e in alcuni casi in carcinoma epatocellulare (HCC) (Pontieri GM. et al., 2015).

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Per quanto riguarda il virus dell’epatite C (HCV) è un RNA virus a singolo filamento appartenente alla famiglia delle Flaviviridae di cui si conoscono sei genotipi, alcuni dei quali possono dare origine a varianti maggiormente virulente. Tale virus, essendo causa di epatite cronica e cirrosi, interviene nella fase di promozione della epatocarcinogenesi stimolando indirettamente la proliferazione epatocellulare attraverso il processo necroinfiammatorio. Alcune evidenze suggeriscono che l’HCV possa stimolare anche direttamente la proliferazione, infatti è stata riportata l’associazione tra replicazione dell’HCV ed espressione di TGF- e IGF II nel fegato cirrotico (Tanaka S. et al., 1996).

1.2 L’epatocarcinogenesi

L’epatocarcinogenesi è un processo multifasico che causa delle profonde alterazioni a carico del genoma cellulare (Boone CW. et al., 1992; Pitot HC., 1993) e si possono distinguere tre momenti principali: l’induzione, la promozione e la progressione (Vogelstein B. et al., 1993; Dragan YP. et al., 1992). Durante la prima fase (induzione) la trasformazione maligna dell’epatocita è causata da mutazioni genetiche indotte da un agente iniziante chimico (es. aflatossine, farmaci), o virale, o secondarie ad un aumentato turnover cellulare. Queste mutazioni determinano un’alterata espressione di alcuni proto-oncogeni (Ras, Myc, Fos) e di conseguenza si ha un’alterazione del ciclo cellulare (Hanson KD. et al., 1994). Le modificazioni cellulari prodotte sono irreversibili, ma le cellule interessate possono essere rimosse dal fegato attraverso l’apoptosi. Nella seconda fase (promozione) si ha la proliferazione delle cellule trasformate e ciò richiede la presenza di uno stimolo continuo o ripetuto, come ad esempio la persistenza del danno necro-infiammatorio cronico (epatite cronica) (Fausto N., 1991). La terza fase, la progressione della carcinogenesi fino alla manifestazione clinica della neoplasia è dovuta all’espansione clonale delle cellule neoplastiche, mediata dai fattori di crescita (IGF-2, TGF-α, TGF-β) e favorita da ulteriori

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mutazioni genetiche coinvolgenti geni “tumor suppressor” come la proteina p53 (Webber EM. et al., 1993).

I tumori epatici benigni più frequenti sono gli angiomi, soprattutto nella varietà di angiomi cavernosi, presenti sotto forma di piccoli noduli multipli. Tra i tumori benigni è presente anche l’adenoma, massa costituita da epatociti differenziati organizzati in pseudocanalicoli ripieni di bile. I tumori maligni primitivi con maggiore incidenza sono il carcinoma epatocellulare (HCC), il colangiocarcinoma e l’epatocolangiocarcinoma (Pontieri GM. et al., 2015).

1.3 Il carcinoma epatocellulare

Il carcinoma epatocellulare (epatocarcinoma o HCC) rappresenta la forma più comune di cancro primitivo del fegato ed è la seconda causa più comune di morte per cancro dopo il cancro del polmone. L’incidenza dell’HCC subisce molte variazioni in relazione all’area geografica considerata. I nuovi casi si riscontrano maggiormente nei paesi in via di sviluppo, in cui risulta endemica l’infezione del virus (HBV): il Sud-Est dell’Asia e l’Africa Sub-Sahariana. Negli Stati Uniti l’HCC correlato all’infezione da virus (HCV) è la più significativa causa di morte. Mentre i Paesi Europei dove si registrano la maggior parte dei casi sono quelli del bacino del Mediterraneo, tra cui l’Italia. Negli ultimi anni il tasso d’incidenza è in aumento anchenei paesi più sviluppati. Tale incremento sembra essere in relazione alla diffusione dell’infezione da HCV, al prolungamento dell’aspettativa di vita ed al continuo flusso migratorio dalle aree ad alta incidenza verso quelle a bassa incidenza (Bosch X. et al., 1999). L’Italia insieme alla Spagna è tra le nazioni europee con più alta incidenza di HCC ed occupa una posizione intermedia per tassi di incidenza: l’incidenza è 13,5 casi/100.000 abitanti negli uomini e 4,6 casi/100.000 abitanti nelle donne. Queste variazioni possono essere spiegate ancora una volta da una differente esposizione ad alcuni fattori di rischio, come per esempio l’infezione da HBV e da HCV o a causa della

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contaminazione dei cibi con aflatossina, più frequenti nei paesi in via di sviluppo. Nelle aree ad alta incidenza tra i fattori dietetici è noto il ruolo svolto dall’aflatossina B il cui metabolismo determina la produzione di aflatossina 8,9-epossido, intermedio con proprietà mutagene. Questo intermedio se non viene detossificato nell’organismo a causa di un deficit enzimatico congenito, può legarsi alle basi di guanosina del DNA formando degli addotti che possono causare la sostituzione di una base di guanina con una di timina.

All’interno di una stessa area geografica l’incidenza sembra inoltre correlare con variabili come razza, etnia, sesso, livello socio-economico e livello d’istruzione. Tali fattori sembrano influenzare la modalità di diffusione dei principali fattori eziologici ed in particolare l'età di acquisizione dell'infezione da virus epatotropi (El-Serag HB. et al., 2007). Nei paesi del Sud-Est Asiatico, dove il principale fattore di rischio è l’infezione da HBV alla nascita o nei primi anni di vita, il picco d’incidenza dell’HCC è intorno ai 50 anni, anche se la malattia può in taluni casi manifestarsi prima dei 30 anni. Invece nei Paesi Occidentali, dove l’epatite virale si contrae in età giovanile o adulta tramite i rapporti sessuali o le trasfusioni di emoderivati, l’HCC si manifesta prevalentemente nella sesta e settima decade di età (Donato F. et al., 2002; El-Serag HB. et al., 2007). Per quanto riguarda l’Italia, dati recenti forniti dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), hanno mostrato che nel 2017 i nuovi casi attesi di HCC sono quasi 13.000, il 3% di tutti i nuovi casi di tumori con un rapporto maschi:femmine di 2:1. Dalla seconda metà degli anni novanta l’incidenza appare stabile, al netto dell’invecchiamento progressivo. Il Sud Italia è l’area che presenta un’insorgenza leggermente superiore rispetto al Nord, ha valori superiori del 17% tra le femmine; il Centro Italia è invece la zona con un’incidenza più bassa. La differenza può essere spiegata dalla diversa distribuzione dei virus epatotropi nella nostra popolazione, in particolare del virus HCV. Il ruolo del virus HBV in Italia è mitigato dalla disponibilità di un vaccino somministrato a tutti i soggetti nati dal 1978 ad oggi.

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L’incidenza di HCC aumenta progressivamente con l’età, tuttavia mentre nei paesi ad alta incidenza l’età media al momento della diagnosi è nella terza decade di vita, nelle altre regioni è spostata nelle due o tre decadi successive.

L’HCC deriva da un processo multifattoriale costituito da più fasi e conseguente all’infiammazione cronica del fegato. Le cause più frequenti di epatopatia/cirrosi sono: l’infezione da virus dell’epatite B o C; l’alcolismo; l’emocromatosi; la cirrosi biliare primitiva; l’esposizione alle aflatossine, un gruppo di micotossine di origine fungina; la sindrome metabolica e il diabete.

Figura 1: L’epatocarcinoma ed i fattori responsabili. Modificato da Herceg Z et al.,2011

Si pensa che cicli continui di infiammazione e rigenerazione negli epatociti sia la causa fondamentale di HCC. La coesistenza dell’infiammazione e della cirrosi complicano la diagnosi precoce di HCC (Nobuhiro T. et al., 2015). Il danno cellulare è caratterizzato da alterazioni genetiche ed epigenetiche, che portano all’attivazione dell’espressione di protoncogeni e all’inattivazione dei geni oncosoppressori. Durante questo processo, il profilo di espressione genica viene sovvertito con una progressiva perdita della

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differenziazione epatocitaria e la riattivazione dell’espressione dei geni fetali (Cariani E. et al., 2014). Per quanto riguarda il ruolo dell’alcol esso costituisce di per sé un fattore di rischio, in quanto sembra avere una potenzialità carcinogenetica intrinseca, indipendentemente dallo sviluppo di cirrosi, quando il consumo è elevato (>60g/giorno) per lungo tempo. Ha inoltre un effetto moltiplicativo se associato ad infezioni virali, soprattutto ad HCV (Donato et al., 2002). Nei paesi Occidentali l’abuso di alcol rappresenta la principale causa di epatopatia cronica e di cirrosi ed il singolo fattore di rischio più importante per l’HCC (El-Serag HB., 2004). Non è certo che l’alcol agisca come diretto carcinogeno, probabilmente sono implicati meccanismi indirettamente genotossici come l’induzione della via di biotrasformazione microsomiale P450-dipendente che comporta la produzione di specie reattive dell’ossigeno che possono determinare un danno al DNA (Nair J. et al., 1996). La cirrosi rappresenta il principale fattore di rischio di HCC, mentre cofattori di rischio di sviluppo di HCC su base cirrotica sono: la simultanea infezione dei virus HBV ed HCV, il genotipo C dell’HBV, il genotipo 1b dell’HCV, la simultanea infezione da virus epatotropi e virus dell'immunodeficienza umana acquisita (HIV) e i valori di transaminasi costantemente e marcatamente elevati (oltre 5 volte i valori normali). Con il riconoscimento delle steatoepatiti come causa di cirrosi, si è ipotizzato che anche queste potessero essere un fattore di rischio per l'HCC. La maggior parte dei soggetti con steoepatite non alcolica (NASH) hanno il fegato soggetto a processi infiammatori, di cicatrizzazione e necrosi, che alterano in modo definitivo la funzionalità dell'organo. È una malattia epatica cronica che può evolvere fino allo stadio di cirrosi epatica e portare ad insufficienza epatica e nel 20% dei casi adHCC (Bugianesi E. et al., 2002). La steatoepatite è la manifestazione epatica dell’obesità e di disturbi metabolici correlati come l’alterato metabolismo glucidico e il diabete. Questa associazione è preoccupante a causa dell’elevata prevalenza a livello mondiale di queste condizioni, che possono contribuire alla crescente incidenza di HCC nei

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paesi industrializzati. Tra i fattori di rischio un ruolo importante è svolto dal diabete, il quale promuove lo sviluppo e la progressione di HCC (El-Serag HB. et al., 2006). Nella maggior parte degli individui il diabete può esistere anche per lungo tempo prima della diagnosi di HCC e ci sono interazioni sinergiche tra questo ed altri fattori di rischio di HCC (Veldt BJ. et al., 2008; Wang CS. et al., 2009), come l’epatite cronica C e il danno epatico alcolico. Anche i pazienti affetti da emocromatosi genetica (GH) con cirrosi hanno un aumentato rischio di HCC (Elmberg M. et al., 2003; Fracanzani AL. et al., 2001). L’incidenza di HCC in cirrosi a causa di GH è sufficientemente elevata (circa il 3-4% /anno) per cui è importante che questi pazienti siano inseriti in programmi di sorveglianza.

Nella cirrosi biliare primitiva allo stadio 4 è stata riportata un’incidenza di HCC all’incirca simile a quella della cirrosi da epatite C (Caballeria L. et al., 2001). Gli andamenti della mortalità per l’HCC in Europa vengono principalmente ricondotti a variazioni nella prevalenza sia di HBV che di HCV nelle diverse popolazioni, e al loro interno, nei diversi gruppi di età. Di conseguenza, le diminuzioni nella mortalità per HCC nel Sud Europa sono almeno in parte attribuibili alla diminuita prevalenza di HBV in questi Paesi e, recentemente per i più giovani, in seguito all’introduzione della vaccinazione per l’HBV negli anni ottanta (Da Villa G. et al., 2007; Colombo M., 1999). Il controllo dell’HCV è stato meno efficace e la prevalenza dell’infezione da HCV è più alta negli anziani, il che conferma che la sua diffusione è stata più elevata in passato, in conseguenza della frequente diffusione di pratiche di iniezioni parentali non sterili (Colombo M., 2011). Dai dati dell’AIOM è emerso che in Italia l’HCC rientra tra le prime cinque cause di morte per tumore nei maschi di qualsiasi età (7%), ma è al terzo posto (8%) nella fascia di età 50-69 anni. La mortalità complessiva da HCC è in decremento a partire dai primi anni novanta e il tasso annuale di decremento/annuo nei maschi è dell’1,6% e nelle femmine è dell’1,3%.

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La diversa distribuzione dei fattori di rischio ed i differenti meccanismi eziopatogenetici sottendono la variabilità di tale neoplasia nell’incidenza e nella presentazione clinica. A tale proposito si rileva una differenza significativa al momento della diagnosi tra i paesi a bassa e ad alta incidenza. Infatti nei primi l’HCC è individuato frequentemente ancora in fase asintomatica a causa dei routinari controlli strumentali a cui vengono sottoposti i pazienti a rischio, invece nei paesi ad alta incidenza la diagnosi è spesso più tardiva, sia per l’assenza di controlli regolari che per la precocità delle condizioni di rischio, con conseguente riscontro di HCC infiltrante o in fase avanzata.

1.4 La classificazione MELD

La classificazione MELD (Model for End-stage Liver Disease) è un modello matematico di calcolo del rischio di mortalità per i pazienti in lista di attesa del trapianto. Fu sviluppato originariamente alla Mayo Clinic (Rochester, Minnesota, USA) e denominato Mayo End-stage Liver Disease. Tale sistema di punteggio è utilizzato sia da United Network for Organ Sharing (UNOS) sia da Eurotransplant per la realizzazione della lista di attesa per il trapianto in sostituzione della meno recente classificazione di Child-Pugh (Kamath PS. et al., 2007; Jung GE. et al., 2008). A partire dal 2002 negli Stati Uniti è stato introdotto lo score MELD. Tale sistema era stato inizialmente proposto per stimare la sopravvivenza di pazienti con varici esofagee in cirrosi epatica sottoposti a shunt portosistemico transgiugulare intraepatico (TIPS), ma successivamente usato come strumento per predire la mortalità a 3 mesi dalla valutazione, confermato prospetticamente in una popolazione di pazienti con cirrosi epatica. Da allora il MELD viene utilizzato in tutti i centri Trapianto di Fegato degli Stati Uniti, in molti Centri europei ed italiani (Burra P. et al., 2008).

Il MELD si basa sulla determinazione dei valori di bilirubina, di INR (indice della coagulazione del paziente) e di creatinina (indice della funzione dei reni). Tutti questi valori sono facilmente reperibili dagli esami del sangue che i pazienti con cirrosi eseguono di

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routine. Tanto più alto è il punteggio ottenuto, tanto più gravi sono le condizioni cliniche del paziente.

La formula originaria del calcolo era:

3,8*loge (bilirubina [mg/dL]) + 11,2*loge (INR) + 9,6*loge (creatinina [mg/dL]) + 6,4*(eziologia: 0 se colestatica o alcolica, 1 negli altri casi).

Successivamente la formula è stata modificata, con la rimozione della variabile "eziologia" (la malattia che ha causato la cirrosi) e l'inserimento della necessità di eseguire sedute di dialisi. Questo particolare punteggio si è rilevato migliore di quello adottato diffusamente (ma ancora oggi ampiamente usato) di Child-Pugh.

In Italia si è a lungo discusso presso il Centro Nazionale Tumori (CNT) sull’uso del MELD, da utilizzare come indicazione per l’inserimento del paziente in lista (MELD minimo) e successivamente come priorità di trapianto, includendo anche i casi con HCC ed altre eccezioni. Il CNT raccomanda un MELD minimo per l’inserimento in lista di almeno 10, escluse le eccezioni, tra le quali HCC (Burra P. et al., 2008). Ogni 12 mesi il CNT deve raccogliere i dati prospettici derivati dall’applicazione del MELD da parte dei diversi Centri e rivalutare i risultati dall’applicazione del sistema. Il MELD presenta molti vantaggi, ma anche alcuni svantaggi, soprattutto se in rapporto al singolo caso. Le variabili che vanno inserite nel calcolo possono subire variazioni in base ai diversi laboratori in cui vengono effettuate le analisi e ciò è rilevante soprattutto per INR. La creatinina varia a seconda del sesso maschile o femminile, la bilirubinemia nelle malattie colestatiche ha un valore intrinseco predittivo indipendentemente da ogni altra variabile (Burra P. et al., 2008). L’introduzione del MELD come parametro di assegnazione degli organi ha permesso di migliorare la mortalità in lista di attesa (criterio di equità), ma non si è ancora dimostrato come valido criterio di efficienza in grado di migliorare i risultati generali del trapianto. L’applicazione del MELD favorisce i pazienti più critici in lista d’attesa.

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1.5 La regolazione della proliferazione cellulare: Notch1

I geni Notch sono stati scoperti in Drosophila melanogaster e devono il loro nome alla particolare struttura ad intaglio dell’ala della Drosophila stessa (Morgan, 1917). Gli studi condotti nella mosca dimostrarono un loro coinvolgimento in diversi processi cellulari tra cui la proliferazione, il differenziamento, l’apoptosi e il mantenimento della staminalità cellulare, da qui l’interesse per tali geni negli organismi superiori. Nei tessuti dei vertebrati e durante la tumorigenesi, l’inibizione della differenziazione, l’avvio ai processi proliferativi, la specificazione della linea a livello delle ramificazioni dello sviluppo e l’induzione della differenziazione rappresentano le funzioni più importanti del segnale Notch. Quindi, vi è un interesse sempre maggiore nel bloccare o attivare il segnale Notch in differenti contesti. Nell’uomo i geni Notch codificano per quattro recettori trans-membrana: Notch1, Notch2, Notch3 e Notch4 caratterizzati da una elevata omologia di struttura. I recettori Notch sono eterodimeri la cui porzione extracellulare è costituita da una serie di EGF repeats e da un dominio LNR (Lin Notch Repeats) probabilmente coinvolto nelle modifiche post-traduzionali. La porzione intracellulare definita NICD (Notch Intracellular Domain) risulta costituita da diversi domini tra cui i più importanti sono il dominio RAM che interagisce con il fattore di trascrizione CBF1 e il dominio PEST che conferisce stabilità proteica e media l’ubiquitinazione e la successiva degradazione della proteina ad opera del proteosoma. La formazione dell’etorodimero si forma nel trans-Golgi ad opera di una secretasi di tipo alfa (convertasi furinica o ADAM) il cui taglio promuove la formazione della proteina matura costituita da due subunità tenute insieme da un legame non covalente. Alterazioni a carico dei recettori Notch sembrano coinvolti nello sviluppo di diverse neoplasie umane. In letteratura ci sono studi che riportano che la costitutiva attivazione del pathway Notch gioca un ruolo centrale nello sviluppo di alcuni tumori attraverso il blocco del differenziamento cellulare (Harper JA. et al., 2003). Alcune evidenze sperimentali

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indicano che il pathway Notch è interessato nei processi di differenziamento cellulare in tutti quei tessuti che vanno incontro alla rigenerazione tessutale (Harper JA. et al., 2003). Il segnale di Notch è coinvolto nella tumorigenesi e nella progressione di quasi tutti i tumori solidi (Ranganathan P. et al., 2011). Nel fegato Notch agisce nello stadio di sviluppo per coordinare il destino biliare e la morfogenesi (Zong Y. et al., 2009) ed attività simili sono state rilevate anche in HCC. Il segnale Notch è controllato a più livelli e attraverso le interazioni cis e trans tra il ligando e il recettore sulle cellule vicine o sulla membrana cellulare (D’Souza B. et al., 2010). Tale segnale è mediato da interazioni stechiometriche tra gli elementi della via. Infatti la differenza stechiometrica tra il recettore e l’espressione del ligando sulla membrana è un fattore importante che influenza la segnalazione tra due cellule interagenti (Artavanis-Tsakonas S. et al., 2010). La localizzazione di Jagged 1 (JAG1) e Notch1 sulla membrana o nel citoplasma correla direttamente con l’attività della cascata Notch. Simile al suo ruolo nello sviluppo d’organo, il segnale Notch ha effetto sulle metastasi tumorali. L’osteopontina (OPN) è uno dei principali geni bersaglio di Notch e OPN risulta up-regolata a seguito dell’attivazione di Notch in HCC (Villanueva A. et al., 2012).

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1.6 Biomarcatori

Con il termine biomarcatore si intende “qualsiasi sostanza, struttura o processo che possa essere misurata nel corpo o nei suoi prodotti e che influenzi e preveda l'incidenza di esito o malattia”. Deve inoltre soddisfare specifiche condizioni quali un'alta precisione e conveniente efficacia. La definizione di un biomarcatore tumorale ideale dipende dalla sua applicazione e dalla sua utilità scientifica e/o clinica. Un biomarcatore dovrebbe essere: specificatamente espresso nelle lesioni maligne e/o pre-maligne; presente in tutti i pazienti affetti da patologia neoplastica; rilevabili nelle fasi precoci della malattia; indicativo dell’estensione della malattia e del suo comportamento clinico-biologico e in grado di monitorarne le variazioni in termini di progressione o regressione in corso di trattamento; misurabile con un saggio quantitativo, standardizzato, riproducibile e validato in differenti laboratori. Inoltre tale saggio dovrebbe essere: effettuabile su campioni biologici ottenibili con procedure non invasive; caratterizzato da una minima incidenza di falsi positivi e da una bassa incidenza di falsi negativi (ovvero deve essere presente un’elevata sensibilità e specificità). Una volta identificato uno specifico biomarcatore, la sua misurazione e valutazione è utile per predire in modo efficace l’insorgenza di una patologia specifica. Dal punto di vista clinico i biomarcatori posso essere classificati in diagnostici, prognostici e predittivi. I biomarcatori diagnostici sono utili per distinguere un campione patologico da uno sano; i biomarcatori prognostici permettono di conoscere lo stato di una determinata malattia e di predire la sua evoluzione futura; i biomarcatori predittivi permettono di selezionare un farmaco appropriato per un particolare sottotipo di malattia (Vasan RS., 2006).

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1.6.1 Biomarcatori classici per la diagnosi di HCC

L’Alfa fetoproteina

L’alfa fetoproteina (AFP) è da decenni il biomarcatore più diffuso per la diagnosi e il monitoraggio post-terapeutico dell’HCC. Questa molecola è una glicoproteina di 591 aminoacidi con un peso molecolare di circa 70 KDa la cui sintesi avviene a livello delle cellule endodermiche del sacco vitellino, nelle fasi precoci di sviluppo fetale e successivamente a livello degli epatociti embrionali (Yoshima H. et al., 1980). L’ esatta funzione biologica di questa molecola rimane ancora poco chiara; per le sue 27 analogie con l’albumina, essa sembra essere coinvolta nel trasporto molecolare di differenti ligandi come la bilirubina, gli acidi grassi, i retinoidi, gli steroidi, i metalli, i flavonoidi, i fitoestrogeni e di una varietà di farmaci (Abelev GI., 1968; Terentiev AA. et al., 2006; Mizejewski GJ., 2001). Inoltre, l’AFP svolge un’attività immunosoppressiva e di controllo nella regolazione della proliferazione cellulare (Terentiev AA. et al., 2006). L’AFP si eleva nell’adulto in presenza di situazioni patologiche: rigenerazione o trasformazione epatocitaria, carcinomi embrionari, alcuni tumori gastroenterici, oltre che in corso di gravidanza. Esistono tre glicoforme di AFP che si distinguono in base alla loro capacità di legare la lectina LCA (Lens Culinaris Agglutinin). AFP-L1, che non lega LCA, è l’isoforma dominante nelle epatopatie benigne, mentre AFP-L3, la frazione più affine a LCA, diviene maggioritaria in corso di HCC. AFP-L3 è associata a maggiori dimensioni del tumore, minore differenziazione, invasione vascolare e potenziale metastatico (Cariani E. et al., 2014). Però le linee guida attuali Occidentali (Bruix J. et al., 2011; European Association for the Study of the Liver, 2012) hanno escluso AFP per la diagnosi di HCC, a causa della sua limitata accuratezza nel rilevare HCC, con una sensibilità di circa 60% e un valore cut-off di 20ng/mL (Bruix J. et al., 2011; Marrero JA. et al., 2009) e una bassa specificità (Sato Y et al., 1994; Adachi Y et al., 2003).

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La des--carbossiprotrombina

La des-γ-carbossiprotrombina (DCP), conosciuta anche come proteina indotta dall’assenza di vitamina K o meglio, antagonista II (PIVKA-II), è conosciuta per essere un biomarcatore tumorale per l’HCC (Inagaki Y. et al., 2011). Evidenze scientifiche indicano la significativa relazione che intercorre tra elevati livelli di DCP e peggiori caratteristiche clinico-patologiche del tumore, e sua relativa prognosi. La DCP è un’anomala protrombina, fattore della coagulazione sintetizzato nel fegato secondo meccanismi vitamina k-dipendenti, che ha perso la sua capacità di interagire con gli altri fattori della coagulazione. La differenza che intercorre tra la DCP e la normale protrombina, risiede nella composizione dei residui amminoacidici. La protrombina ha al dominio N-terminale 10 Gla (acidi glutammici γ-carbossilati) mancanti invece nella DCP, dovuti all’ assenza di vitamina K che catalizza le reazioni di trasformazione da parte della γ- glutamil-carbossilasi (Inagaki Y et al., 2008). La DCP ha un ruolo importante nel predire l’invasione della vena porta da parte di HCC e nella prognosi di una eventuale terapia neoplastica. Il meccanismo per il quale la DCP favorisce la crescita delle cellule neoplastiche può essere essenzialmente descritto come stimolante la crescita attraverso il pathway Met-JAK-STAT, analogalmente al processo mediato dal fattore di crescita degli epatociti (HGF) (Inagaki Y. et al., 2011).

1.6.2 Biomarcatori infiammatori

Il ruolo delle citochine

Le citochine sono una componente del sistema immunitario che modula nell’ospite la risposta immunitaria e sono secrete da proteine legate alla membrana, il cui ruolo è quello di regolare la crescita cellulare, il differenziamento e l’attivazione del sistema immunitario. Queste proteine vengono rilasciate in seguito a numerose condizioni di stress cellulari, come le infezioni, le infiammazioni e il danno da cui si sviluppa il carcinoma. Queste proteine vengono distinte in due categorie: citochine proinfiammatorie e citochine antiinfiammatorie,

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e ne esistono alcune non raggruppabili in nessuna delle categorie; infatti, molte di queste, hanno funzioni pleiotropiche e possono agire in sinergia tra loro. La funzione di queste molecole, è quella di stimolare la risposta immunitaria nella cellula ospite, al fine di controllare lo stress cellulare e minimizzare il conseguente danno cellulare. La risposta immunitaria dell’ospite allo stress determina un’alterazione nell’espressione citochinica con impatto pro-carcinogenico (Budhu A. et al., 2006). Il fegato ospita un elevato numero di cellule suscettibili all’ azione delle citochine e di recettori per le stesse, come IL-1, TNF-α e IL-6. Cellule non parenchimali, come i macrofagi epatici (cellule di Kupffer), sono ricche di citochine e l’azione di queste cellule immunitarie, può essere influenzata dall’ambiente circostante. Anche l’endotelio sinusoidale epatico può produrre una grande varietà di citochine ed infatti, le cellule invNKT (cellule T natural killer invarianti) sono aumentate durante un’infezione cronica inducendo così, il rilascio di citochine ad attività profibrotica come IL-4 ed IL-13 (De Lalla C. et al., 2004). Inoltre le citochine, sono implicate nella rigenerazione epatica e possono anche contribuire ad un costante danno epatico che ha come risultato la cirrosi, la fibrosi e l’HCC. Gli effetti dell’azione delle citochine nella tumorigenesi e nella progressione, sono un processo molto complesso che vede come protagonisti un’attività pleiotropica e un’apparente ridondanza di azione delle citochine. L’Interleuchina 6 (IL-6)

L’ interleuchina 6 (IL-6) è una citochina pleiotropica secreta da cellule T e macrofagi che ha un ruolo centrale nel processo di ematopoiesi, nel differenziamento e nella crescita di cellule con una diversa origine istologica. Inoltre, IL-6 induce una risposta acuta a livello epatico attraverso la modulazione della trascrizione di geni epatici durante l’infiammazione (Porta C. et al., 2008). L’attività biologica di IL-6 è esercitata attraverso differenti meccanismi: essa può legare il proprio recettore di membrana presente sugli epatociti o, in alternativa, IL-6 ed il suo recettore solubile, entrambi prodotti mediante lo splicing alternativo, possono

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contribuire all’attivazione di cellule che non esprimono sulla membrana IL-6R, attraverso un processo definito di “transignaling” (Kallen KJ., 2002). In molte condizioni patologiche croniche, come la cirrosi, la psoriasi, l’artrite e l’HIV si notano degli alterati livelli di questa citochina, ed è essa stessa, in grado di regolare la crescita cellulare agendo da fattore di crescita paracrino ed autocrino in molte neoplasie. Inoltre l’IL-6 favorisce l’espressione di agenti mitogeni, motogeni, morfogenici e pro-neoangiogenici che di solito risultano aumentati durante la neoplasia epatica. Questa citochina può determinare, mediante una riduzione dell’efficienza dell’apoptosi Fas indotta, una diminuzione della capacità apoptotica delle cellule tumorali conferendo così, un vantaggio per la sopravvivenza cellulare. L’IL-6 promuove anche la disfunzione delle cellule natural killer (NK) rendendo possibile un’evasione da parte del tumore alla sorveglianza immunitaria (Porta C. et al., 2008).

Il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α)

Il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α) è una citochina pro-infiammatoria pleiotropica con numerose azioni immunologiche e metaboliche (Beutler B. et al., 1988). Questa citochina è coinvolta in numerosi processi come la morte apoptotica delle cellule, la proliferazione, il differenziamento e la cancerogenesi. La principale sorgente di TNF-α è costituita dai fagociti mononucleati attivati. Ma anche i linfociti T attivati, le cellule NK e i mastociti possono secernere il TNF-α. Questa citochina agendo sugli epatociti aumenta la sintesi di alcune proteine sieriche, quali la proteina amiloide A del siero e il fibrinogeno. Si pensa anche che l’incremento di TNF-α nella malattia epatica avanzata sia conseguenza della fibrosi cronica, la quale è associata all’attivazione del sistema macrofagico definito anche “endotoxin-dependent macrophage stimulation” e con un decremento della clearance delle citochine (Tilg H. et al., 1992). Il TNF-α oltre ad avere un importante ruolo nella risposta immune è anche un indiretto mediatore dell’angiogenesi in quanto induce il rilascio di VEGF

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(Fajardo LF. et al., 1992). Inoltre il TNF-α può indurre l’espressione di molecole di adesione come VCAM-1 e E-selectin, sulla superficie di cellule endoteliali.

1.6.3 Biomarcatori fibrotici

Il collagene IV-dominio 7s

La fibrosi epatica e l'epatite sono fattori predittivi negativi per la rigenerazione epatica e fattori di rischio per l'insufficienza epatica postoperatoria. (Wu CC. et al., 1996; Farges O. et al., 1999). È stato inoltre riportato che la concentrazione sierica del collagene di tipo IV è correlata con il rischio di insufficienza epatica nei pazienti con danno epatico cronico (Shimahara Y. et al., 2002). Recentemente, il collagene IV dominio 7s, coinvolto nel metabolismo dei tessuti connettivi, è stato identificato come un marker biochimico per valutare la fibrogenesia e la fibrosi nella cirrosi (Ueno T. et al., 1992; Murawaki Y. et al., 1994; Suou T. et al., 1996). La concentrazione sierica del collagene IV dominio 7s sembra inoltre correlare con la gravità dell'epatite attiva e della fibrosi epatica, e l'ampiezza delle anomalie nei test di funzionalità epatica (Murawaki Y. et al., 1994).

1.6.4 L’Osteopontina

L’osteopontina (OPN) è una sialoproteina, appartenente alla famiglia SIBLING (Small Integrin Binding LIgand N-linked Glycoprotein) ed è una componente della matrice extracellulare. Tale proteina è conosciuta anche col nome di sialoproteina ossea I (BSP I o BSPN), fattore di attivazione precoce dei linfociti-T (ETA-1), fosfoproteina secreta di tipo 1 (SPP-1), 2AR e resistenza alla Rickettsia (Ric). Più di 25 anni fa, l’OPN è stata identificata come un’importante sialoproteina dell'osso ed è stata descritta come una proteina della matrice che lega le cellule e le idrossiapatite (Oldberg A. et al., 1986). Questa proteina è prodotta in una varietà di tessuti: cervello, fegato, tratto gastrointestinale, polmone, osso, tessuti cardiaci, articolazioni e reni, ed è presente in molti fluidi biologici come il sangue, l’urina, il latte, il liquido seminale (Denhardt D.T., Noda M. et al.,1998; Šodek J.et al., 2000).

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L’OPN è una proteina multifunzionale coinvolta in condizioni patologiche come l'infiammazione, l’immunità, l'angiogenesi, la fibrosi e la progressione del cancro in vari tessuti (Nagoshi S., 2014). Inoltre l’OPN, a causa del suo ruolo di citochina prodotta dai linfociti e dai macrofagi attivati, è stata denominata fattore di attivazione precoce delle cellule T (ETA-1) (Patarca R. et al., 1989). Il gene dell’OPN umana è situato sul braccio lungo del cromosoma 4 (4q21-4q25). Dei sette esoni presenti, sei di loro (esoni 2-7) contengono sequenze codificanti che sono circa 954bp ed il primo esone non è tradotto.

Figura 2: Struttura dell’Osteopontina.

La struttura secondaria dell’OPN è composta da otto -eliche e sei -foglietto. Al 5' a monte del gene OPN sono presenti una serie di potenziali sequenze regolatrici. Queste sequenze includono una sequenza TATA-like situata nella posizione da -27 a -22 (Šodek J. et al., 2000), la sequenza CCAAAT-like presente nella regione a monte del 5' da -73 a -2190, e la vitamina D situata nelle posizioni da -698 a -684 e da -1.892 a -1.878. L’OPN è una fosfoproteina secreta composta da 260-301 aminoacidi e con una massa molecolare di

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80 kDa a causa delle ampie modifiche post-traduzionali come la fosforilazione, la glicosilazione, la solfatazione e il taglio enzimatico. La trombina e le metalloproteasi della matrice (MMP) effettuano il taglio dell’OPN con conseguente generazione di frammenti N- e C-terminali, banda di circa 40 kDa. Recentemente è stato riportato che l’OPN produce una banda di circa 200 kDa, la quale è mediata dalla transglutaminasi (Higashikawa F.et al., 2007). L’OPN contiene una sequenza leader idrofobica tipica della proteina secreta che può legarsi a molte integrine della superficie cellulare (Denhardt D.T.et al., 2001a, b). Inoltre l’OPN ha un sito ipersensibile alle proteasi che separa l'integrina ed i domini di legame non-integrina CD44. I principali siti di legame per le integrine osservati sull’ OPN comprendono il dominio di legame RGD noto per legare le integrine αv/β3, αv/β1, α5/β1, α8 /β1, e αv/β5 e il dominio SVVYGLR nell’uomo che si lega alle integrine α 9/β1 e α4 / β 1 (Diao H. et al., 2004; Smith L.L. et al., 1998; Yokosaki Y. et al., 1999, 2005). La maggior parte di queste integrine si legano al frammento N-terminale dell’osteopontina tagliata dalla trombina contenente sia il dominio RGD (arginina-glicina-aspartato) e sia il dominio SVVYGLR. Il dominio SVVYGLR è criptico e le integrine si legano a questo dominio solo quando l’OPN viene scissa dalla trombina nel sito di clivaggio per la trombina (Green P.M. et al., 2001). Prima del sito dove avviene il taglio da parte della trombina sull’OPN, adiacente al dominio SVVYGLR, si nota una sequenza conservata RSK, presente nella maggior parte delle specie che suggerisce l'esigenza del taglio sull’ OPN dalla trombina per alcune delle sue funzioni fisiologiche (Denhardt D.T. et al., 2001a, b). Il taglio della trombina sull’OPN rilascia il dominio recettoriale SVVYGLR responsabile per svolgere le varie funzioni. Il sito SVVYGLR è insolito in quanto manca di un residuo acido critico presente in altri motivi di legame per le integrine α9 /β1 e α4 /β1. L'acido aspartico carico negativamente e l'acido glutammico sono considerati i residui acidi critici ed importanti ligandi delle integrine per l’OPN. Si pensa che la scissione della trombina di Arginina 168 sull’ OPN crea un gruppo

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privo di acido carbossilico, consentendo al motivo SVVYGLR di interagire con le integrine. Così, la porzione C-terminale di SVVYGLR è libera ed espone un gruppo acido richiesto per la sua interazione con le integrine α9 / β1 e α4 / β 1 (Green P.M. et al., 2001).

L’analisi del cDNA di OPN suggerisce la presenza di tre isoforme di OPN dovute a splicing alternativo dell’RNA. Lo splicing alternativo è il processo mediante il quale identiche molecole pre-mRNA si combinano in modi diversi, ed è importante sia nei normali processi di sviluppo che di malattia (Venables J.P., 2004). Lo splicing aberrante in condizioni patologiche è causato da errori di splicing dell'RNA o dalla sua regolazione. L’interruzione di modelli di splicing può produrre varianti di splicing che hanno funzioni diverse (Douglas A.G. et al., 2011). Diversi tipi di geni correlati alla malattia possono subire splicing alternativo, contribuendo alla diversità genetica e processi patologici (Weidle U.H. et al., 2011). Lo splicing dell’osteopontina è stato descritto principalmente nei tessuti umani (Anborgh P.H. et al., 2011). L’osteopontina è codificata da un singolo gene copia, ma esistono diverse isoforme che differiscono principalmente per le modifiche post-traduzionali (PTM) (Anborgh P.H. et al., 2011; Manji S.S. et al., 1998), ma anche a causa di una traduzione alternativa (Shinohara M.L., et al, 2008) e di splicing alternativo (Anborgh P.H. et al., 2011; He B. et al., 2006; Mirza M.et al., 2008). Tra le modifiche post-traduzionali dell’OPN sono presenti la fosforilazione serina/treonina, la glicosilazione e la solfatazione della tirosina, che permette la generazione di isoforme monomeriche distinte, con peso molecolare compreso tra 41-75 kDa (Anborgh P.H. et al., 2011; Christensen B. et al., 2008). Inoltre nelle modifiche post-traduzionali di OPN sono incluse la polimerizzazione e la frammentazione proteolitica che indirizzano la propria attività biologica (Arjomandi M. et al., 2011). L’OPN è stata studiata principalmente come proteina secreta, ma è stato dimostrato che l’OPN può essere trovata nel citoplasma e nel nucleo (Junaid A. et al., 2007). Pertanto, alcune molecole di OPN non sono secrete e restano nelle cellule. L’OPN

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intracellulare (iOPN) ha funzioni biologiche distinte dall’ OPN secreta (sOPN), infatti iOPN è coinvolta in numerosi processi cellulari tra cui la migrazione, la fusione e la motilità. L’OPN trascritta umana è soggetta a splicing alternativo, generando tre isoforme. L’OPN-a è l'isoforma “full-length”, l’OPN-b manca dell’esone 5, e l’OPN-c ha l’esone 4 deleto. La variante con la lunghezza completa (OPN-a) può essere modificata attraverso clivaggio da parte della trombina, ciò fa sì che vengano esposti dei siti nascosti, SVVYGLR nella forma clivata della proteina che prende il nome di OPN-R; questa possiede un epitopo per i recettori delle integrine e; questi, sono presenti su un certo numero di cellule immunitarie come mastociti, neutrofili e cellule T, ma anche su monociti e macrofagi. L’OPN agisce legandosi a particolari recettori, per lo più integrinici contenenti la subunità v. Gli effetti biologici derivanti dall'interazione con l’osteopontina sono mediati da diverse

integrine. Per la motilità è importante l’integrina v, mentre le altre integrine sono

principalmente coinvolte nell’adesione cellulare. Il recettore non-integrinico per CD44 ha evidenziato l’esistenza di diverse varianti di splicing, uno solo (esoni v4, 5, 6, 9) di questi serve come recettore per l’osteopontina. Il legame tra l’OPN e CD44 è coinvolto nella sopravvivenza delle cellule ed è necessario per la migrazione OPN-mediata (Denhardt DT. et al., 1993; Wai PY. et al., 2004; El Tanani MK. et al., 2006; Rangaswami H. et al., 2006; Desai B. et al., 2007). In seguito al legame con l'integrina v, essa induce

chemioattrazione degli osteoclasti sulla matrice e inibisce la neoapposizione di tessuto osseo da parte degli osteoblasti. L’OPN è espressa in vari tumori come quello del polmone, mammella, prostata, testa e collo, colon, stomaco, fegato (Takafuji V, 2007), carcinoma ovarico, tumore della pelle e il mesotelioma (Weber GF, 2010). Alcuni tumori secernono l’OPN per la propria sopravvivenza ed elevati livelli sierici della molecola sono spesso associati a metastasi ossee.

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Proprietà strutturali e funzionali

La principale funzione dell'OPN riguarda i meccanismi di adesione intercellulare. Per tale scopo, la proteina esprime una sequenza aminoacidica Gly-Arg-Gly-Asp-Ser capace di attivare l'adesività di osteoblasti, osteoclasti e fibroblasti con alcune integrine (v- 3-5)

e, al tempo stesso, di implementare la chemiotassi e la trasduzione intracellulare di specifici segnali. Il legame molecolare dell'OPN con le integrine è inoltre responsabile dell'attivazione di specifiche tirosinchinasi, che trasducono segnali specifici in risposta a stimoli intra- ed extracellulari. L'adesione cellulare è anche mediata dal legame dell'OPN con molecole diverse dalle integrine come il CD44, una glicoproteina di superficie che consente l’adesività diversificata tra cellula e substrato, ma anche tra cellula e cellula. Questa molecola è iper-regolata in corso di processi flogistici acuti e cronici e lega l'OPN con le varianti CD44v6 e CD44v7 (Desai B. et al., 2007). Il taglio dell’osteopontina ad opera della trombina è di notevole interesse, in quanto la proteina idrolizzata espone un sito di legame per le integrine  e , identificato nella sequenza SVVYGLR, non altrimenti visibile ai recettori specifici sul peptide in tutta la sua lunghezza.

Figura 3: L’Osteopontina ed i siti di legame per le integrine. Il taglio della trombina genera un frammento NH2-terminale in cui è presente RGD e una sequenza SVVYGLR. Modificato da Shashi K. Ramaiah et al,2008.

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Le proprietà funzionali dell'OPN clivata differiscono da quelle della proteina nativa, confermando l'importanza del clivaggio proteolitico, quale meccanismo di induzione della bioattività dell'OPN. L'isoforma “full-length” è stata caratterizzata in diversi processi cellulari, e il suo ruolo nella biologia del cancro è stato ampiamente studiato (Bellahcène A. et al., 2008). Le caratteristiche principali di queste isoforme dell’OPN (OPN-SI) umane sono la loro espressione tessuto-specifica e i loro ruoli funzionali. Nei tessuti epatici di pazienti affetti da HCC risultano prevalentemente espresse OPN-a e OPN-b. È stato dimostrato che nelle cellule di HCC è aumentata l’espressione dell’isoforma OPN-c e ciò è stato associato con l'invasione cellulare e sembra essere correlato con le metastasi (Takafuji V. et al., 2007). In alcuni tipi di tumori, l’OPN-c svolge ruoli antagonisti, come ad esempio nei tumori ovarici e mammari, al contrario delle cellule di HCC (He B. et al., 2006; Tilli T.M et al., 2011; Chae S. et al., 2009). Il dominio della proteina OPN, codificata dall’esone 4, è ricco di residui di prolina. Questi aminoacidi hanno un ruolo particolare per la funzione delle proteine grazie alla loro struttura laterale unica e comportano degli effetti sulla conformazione complessiva della proteina. I domini ricchi di prolina tendono a distruggere sia le strutture α-elica e sia il foglietto β (Yan W. et al., 2010; Layfield R. et al., 1992). La presenza di molte proline non si limita a distanziare le strutture, ma spesso questi amminoacidi hanno un ruolo importante nelle interazioni proteina-proteina che sono essenziali per i processi cellulari. Queste proprietà potrebbero essere tra i meccanismi per cui l’OPN-c mostra dei ruoli tipo cellulare-specifici (Gimba E. R. et al., 2013). Nell’isoforma OPN-c l’esone 4 è soppresso e l'assenza delle sequenze ricche di prolina può compromettere l’affinità di OPN-c per le altre proteine, fornendo un meccanismo per migliorare la plasticità e la dinamica di trasduzione del segnale OPN-SI-mediata (Williamson M.P., 1994). La maggior parte dell'OPN circolante è scissa dalla trombina durante i processi di coagulazione

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sia in condizioni fisiologiche che durante processi flogistici, neoplastici e di riparazione tissutale. E' stato osservato che l'OPN aumenta nella tonaca muscolare delle arterie a seguito di eventi flogistico-traumatici contemporaneamente all'attivazione della trombina. Inoltre l'OPN funge da substrato per le metalloproteasi MMP-3 (stromelysin-1) e MMP-7 (matrilysin), esponendo siti di clivaggio differenziati per le due metalloproteasi, sebbene entrambe utilizzino un sito adiacente a quello per la trombina nella porzione N-terminale (Pazolli E. et al., 2009). L'azione proteolitica delle metalloproteasi genera cinque frammenti, uno dei quali è compreso tra quelli N-terminali e contiene la sequenza RGD. L'espressione e l'attivazione delle metalloproteasi è infatti significativamente aumentata in vari processi patologici e l'anomala regolazione di metalloproteasi e dell’osteopontina è costantemente riscontrabile nel fisiologico rimodellamento tessutale e nelle linee cellulari tumorali caratterizzate da una esaltazione dei processi proliferativi.

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Il ruolo dell’osteopontina nell’epatocarcinoma

Negli ultimi anni sono aumentati gli studi sull’OPN in quanto gioca un ruolo importante nelle metastasi di carcinoma umano e ricorrenza ed è anche legata con una varietà di fattori di trasferimento, così come in molte fasi dell’invasione di HCC e di metastasi (Lin F. et al., 2011). La comprensione dei meccanismi di base è complicata dal rilevamento dell’OPN nei macrofagi che infiltrano il tessuto tumorale. L’OPN prodotta dalle cellule tumorali e dai macrofagi sembra offrire segnali differenti (Rangaswami H. et al., 2006); l’OPN prodotta dai macrofagi funziona nel reclutamento delle cellule immunitarie e riduce la crescita del tumore, mentre l’OPN tumore-derivata sembra inibire la funzione macrofagica e aumentare la crescita tumorale. L’OPN migliora la migrazione di diversi tipi cellulari attraverso la sua interazione con le integrine, e la capacità dei tumori a metastatizzare è fortemente associata alla migrazione, perciò tale aspetto della funzione dell’OPN è importante per le metastasi. Inoltre è stato recentemente dimostrato che l’OPN up-regola la sintesi di acido ialuronico e tale up-regolazione comporta la sopravvivenza delle cellule in assenza di adesione, un'altra caratteristica fondamentale delle cellule metastatiche (Cook A.C. et al., 2006). La funzione dell’OPN è multiforme, tessuto-specifica, e coinvolge molteplici vie di segnalazione che hanno effetto sia sulle cellule del sistema immunitario nell’host-defense sia nelle cellule trasformate nell’invasione tumorale. Le vie di segnalazione attivate dall’OPN sono mediate da recettori per l'integrina v e CD44. L’OPN potrebbe contribuire alla progressione del

cancro attraverso la regolazione del meccanismo di sorveglianza e del tumore, inibendo l'apoptosi delle cellule neoplastiche attraverso la regolazione di alcune chinasi.

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Figura 4: Le fasi della progressione metastatica nel fegato e le isoforme dell’Osteopontina (OPN-a, OPN-b, OPN-c). Modificato da Yun Zhang et al., 2015

La fosfatidil inositolo 3-chinasi (PIK-3) è attivata da alcune sollecitazioni fisiche, chimiche e genotossiche. Una delle molecole target a valle della PI 3-chinasi è Akt, una serin / treonin chinasi ed è nota come protein chinasi B (PKB) o RAC-PK (‘related to A and C protein kinase’). Akt regola la progressione del ciclo cellulare, la sopravvivenza delle cellule mediata dai fattori di crescita, la migrazione cellulare e la crescita ancoraggio-indipendente delle cellule tumorali. L’OPN induce l'attività di PI chinasi e la fosforilazione di Akt PI 3-chinasi-dipendente attraverso la via mediata dall’integrina v  3.

Degli studi hanno dimostrato che l’OPN può essere la molecola chiave delle metastasi epatiche, così come un importante fattore per la diagnosi precoce di HCC (Budhu A.S. et al., 2005; Pan H.W. et al., 2003). L’espressione dell’OPN correla significativamente con le caratteristiche clinico-patologiche dei soggetti HCC con HBV e / o HCV, come l’infiltrazione capsulare, l’invasione vascolare, le metastasi linfonodali e gli stadi TNM (Xie

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H. et al., 2007; Abu El-Makarem MA. et al.,2011). L'espressione positiva dell’OPN facilita la recidiva e riduce la sopravvivenza del paziente dopo il trapianto del fegato per HCC (Sieghart W. et al., 2011). Pertanto, l’OPN può essere un marcatore utile per rilevare la recidiva precoce dell'HCC dopo l'intervento (Iso Y. et al., 2005; Zhou C. et al., 2013). L’OPN può legare un numero di recettori, compreso il cluster di differenziazione 44 (CD44). Inoltre, il legame di OPN al CD44 ha dimostrato di promuovere la diffusione delle cellule tumorali e la migrazione (Furger K.A. et al., 2001). Il CD44, glicoproteina ampiamente espressa sulla superficie cellulare, è coinvolto nelle interazioni cellula e cellula-matrice. Inoltre, l’OPN interagisce con il recettore CD44 per aumentare la dispersione HGF-indotta e l’invasione (Medico E. et al., 2001) e attiva c-Met per promuovere il progresso HCC (Yoo BK. et al., 2011). Il legame dell’osteopontina secreta dalle cellule infette da HCV all’integrina αvβ3 e al CD44 porta l’aumento delle specie reattive dell’ossigeno e l'attivazione del segnale del Ca2+ e di chinasi cellulari a valle, come MAPK, JNK, PI3K, FAK e Src, i quali promuovono le EMT “epithelial–mesenchymal transition”, cellule di migrazione e invasione per migliorare la progressione tumorale e le metastasi in HCC (Iqbal J. et al., 2014; Iqbal J. et al., 2013). L’OPN è anche in grado di legarsi alla vimentina e aumentare la stabilità della vimentina attraverso l'inibizione della sua degradazione proteica per migliorare le EMT in cellule HCC (Dong Q. et al., 2016).

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Capitolo 2

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Il carcinoma epatocellulare (HCC) rappresenta la seconda causa più comune di morte nel mondo e la sua incidenza è in continuo aumento. Per tale problema è necessario individuare un biomarcatore che permetta di diagnosticare l’HCC precocemente, al fine di aumentare le prospettive di vita del paziente. Recentemente l’osteopontina (OPN), proteina della matrice extracellulare, ha generato un interesse significativo come fattore diagnostico e prognostico per l’HCC. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare, nei tessuti epatici di soggetti affetti da HCC e sottoposti a trapianto (riceventi, recipient’s liver, RL) e in un gruppo di donatori sani (donatori, donor’s liver, DL), sia l’aumento dell’OPN plasmatica che la sua concentrazione tissutale, come anche l’espressione a livello di mRNA delle diverse isoforme dell’Osteopontina (OPN-b, OPN-c) e del suo fattore di conversione, la trombina. Ulteriore scopo dello studio è stato quello di valutare la loro associazione con biomarcatori quali Notch-1 ed il Collagene IV-dominio 7s, conosciuti essere indicatori di tumorigenesi e proliferazione in soggetti affetti da HCC. Per completezza dello studio biomarcatori infiammatori quali l’interleuchina-6 (IL-6) e il fattore di necrosi tumorale (TNF- α) sono stati valutati negli stessi soggetti.

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Capitolo 3

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3.1 Arruolamento dei pazienti

Lo studio è stato condotto in collaborazione con l’Unità Operativa di Chirurgia Epatica e del Trapianto di fegato dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana dove i pazienti, affetti da HCC, sono stati arruolati e sottoposti a trapianto di fegato. Tutti i pazienti hanno fornito il proprio consenso informato a partecipare allo studio. Sono stati arruolati un totale di ventotto pazienti: 14 pazienti con HCV-HCC sottoposti a trapianto di fegato (Riceventi, RL) e 14 (Donatori,DL). Quattro pazienti con HCV-HCC sono risultati diabetici e al fine di evitare effetti confondenti sono stati esclusi dalle analisi. Come criteri di inclusione è stato tenuto conto di un’età superiore ai 18 anni e dell’esame istologico positivo per HCC, mentre come criteri di esclusione sono stati considerati i seguenti fattori: 1) neoplasie epatiche non HCC; 2) insufficienza epatica acuta, malattie renali e cardiovascolari; 3) punteggio MELD=30 al momento del trapianto; 4) indice di massa corporea (BMI)>30 kg/m2; 5) malattia epatica

autoimmune, sindrome epato-polmonare; 6) astinenza da alcool < a 6 mesi; 7) compromissione mentale; 8) ipertensione porto-polmonare; 9) trapianto combinato di organi; 10) malattia da HCV soggetta al trattamento con interferone al momento del trapianto. Nella tabella 1 sono riportate le caratteristiche cliniche e biochimiche dei donatori e dei riceventi.

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Tabella 1: caratteristiche cliniche e biochimiche dei donatori e dei riceventi

DONATORI, DL (n=14) Età, anni 62,1±17,3 AST, UI/L 10,4±1,4 ALT, UI/L 7,8±1,4 GGT, UI/L 34,5±10,4 Creatinina, mg/dL 1,2±0,2 RICEVENTI, RL (n=10) Età, anni 59,4±1,8 Genere 8M/2F AST, UI/L 109,3±20,2 ALT, UI/L 106,7±19,5 GGT, UI/L 110,5±22,7 Totale punteggio MELD 8,6±0,6 Bilirubina, mg/dL 1,16±0,2 INR 1,11±0,04 Creatinina, mg/dL 0,82±0,06

Tabella 1. AST: Aspartato aminotransferasi; ALT: Alanina aminotransferasi; GGT: Gamma-glutamil transferasi; Totale punteggio MELD: Model For End-Stage Liver Disease; INR: International Normalized Ratio

Al momento del trapianto i pazienti sono stati nuovamente sottoposti a screening al fine di confermare i dati ottenuti in precedenza dai test di laboratorio ed è stato calcolato il punteggio MELD. Tra i pazienti riceventi, cinque hanno riportato un punteggio MELD inferiore a 9 e cinque pazienti riceventi un punteggio MELD compreso tra 10 e 13. Lo studio è stato effettuato in conformità del Codice Etico dell'Associazione Medica Mondiale (dichiarazione di Helsinki) secondo i principi etici per la ricerca medica che coinvolge soggetti umani.

3.2 Campioni di tessuto

I campioni di tessuto sono stati raccolti durante le procedure chirurgiche sia dal fegato dei donatori che dagli espianti di fegato dei riceventi. Ciascun campione è stato conservato in RNAlater (Sigma-Aldrich, St. Louis, MO, USA) a -20 ° C. Dagli stessi pazienti sono stati ottenuti prelievi di sangue che sono successivamente stati conservati a -80 ° C. Nei soggetti riceventi è stato effettuato un prelievo di sangue anche a tre e sei mesi dopo il trapianto di fegato.

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3.3 Estrazione dell’RNA totale

L’RNA totale è stato estratto da campioni tessutali epatici con il metodo della guanidina tiocianato-fenolo cloroformio (TRI-REAGENT: Molecular Research Center, Cincinnati USA), modificato al fine di ottenere buone rese di estrazione da piccole quantità di tessuto. Tale procedura permette l’isolamento simultaneo di RNA (RNeasy Fibrous tissue Midi kit, Qiagen S.p.A., Milano, Italia) e proteine da uno stesso campione. I campioni, conservati a -80°C, in RNAlater vengono scongelati in ghiaccio e pesati. La quantità ottimale, scelta per ogni campione, è compresa tra 80-100 mg. I tessuti sono stati omogenati in TRI-REAGENT utilizzando il Mixer Mill MM300 (Qiagen S.p.A., Milano, Italia). L’alta concentrazione di guanidina tiocianato presente nel TRI-REAGENT provoca una rapida inattivazione dell’attività delle RNAsi endogene e completa la dissociazione delle componenti cellulari dal RNA; inoltre l’aggiunta di cloroformio, dopo l’omogeneizzazione, e la centrifugazione del campione a 12000g per 16 minuti a +4°C, permettono la separazione della fase acquosa incolore contenente prevalentemente RNA, dalla fase organica contenente per la maggior parte proteine e lipidi. La fase acquosa è stata isolata dalla fase organica e quest’ultima viene conservata in aliquote a -20°C, previa aggiunta di etanolo 100%, fino al momento dell’uso. La fase acquosa, dopo l’aggiunta di quantità appropriate di etanolo, viene caricata su una colonna di gel di silice (RNeasy Midi Spin Column, Qiagen S.p.A., Milano, Italia) in grado di legare l’RNA presente nel campione. Dopo un primo lavaggio con una soluzione di guanidina tiocianato ed etanolo e successiva centrifugazione a 3000g per 5 minuti a +25°C, viene aggiunta una soluzione di DNAsi (DNaseStock solution RNAsi free, Qiagen S.p.A., Milano, Italia) che permette di eliminare le eventuali interferenze dovute al DNA e quindi di purificare il campione biologico. Seguono ulteriori lavaggi e successive centrifugazioni a +25°C e 3000g, l’RNA viene poi eluito con acqua RNAsi free e dopo la prima eluizione,

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