Dipartimento di Scienze Politiche
Corso di Laurea in Studi Internazionali
Curriculum Governance delle Migrazioni
“La femminilizzazione dei flussi migratori.
Una prospettiva di genere sul fenomeno della
tratta nigeriana ai fini dello sfruttamento
sessuale”
Candidata
Relatrice
Giada Zappelli
Emanuela Minuto
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Abstract
La ricerca intende analizzare il fenomeno delle migrazioni transnazionali nell'ottica di un processo strutturato dai rapporti di genere, ossia indagare come le relazioni determinate dal genere legittimano e costruiscono i rapporti sociali all'interno delle dinamiche migratorie. La prima parte dello studio descrive come la letteratura in materia abbia marginalizzato il ruolo della donna nell’analisi dei fattori che determinano il fenomeno migratorio, nonostante componga quantitativamente la metà della popolazione migrante globale. I concetti di femminilizzazione delle migrazioni e della forza lavoro vengono così affrontati in una prospettiva di genere attraverso le lenti dell'intersezionalità e dell'alterità, i quali influenzano l’identificazione e la collocazione della donna migrante nello spazio socio-economico-culturale. La seconda parte del lavoro approfondisce il mercato della prostituzione nella relazione con la donna migrante: l'autodeterminazione, la stigmatizzazione, l’assenza di risorse, la necessità determinata dal crescente impoverimento fino all'inganno che conduce a finire vittime della tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale. Il fenomeno della tratta permette di descrivere la relazione tra migrazione e la mancanza di opportunità riservate alle donne che migrano, consentendo una riflessione sulla carenza di accesso legale ai territori di maggiore affluenza dei flussi migratori, costringendo ad utilizzare le reti del traffico delle organizzazioni criminali per realizzare i propri progetti migratori. La parte finale della ricerca descrive gli strumenti nazionali ed europei di prevenzione e contrasto alla tratta operanti in Italia, evidenziando le problematiche derivanti della sovrapposizione di fenomeni di ampia portata quali l’immigrazione irregolare e il traffico dei migranti.
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Indice
Introduzione ... 4
Capitolo 1 – Una prospettiva di genere nelle teorie migratorie ... 8
1.1 La migrazione internazionale come fatto sociale ... 8
1.2 Tipizzazione della figura del migrante ... 12
1.3 Approcci teorici alle cause dei movimenti migratori ... 15
1.4 Donne migranti: alcuni dati ... 21
1.5 Interpretazioni teoriche ... 25
1.6 Una prospettiva di genere ... 31
1.7 Una prospettiva di genere e razza per la donna migrante ... 33
1.8 Il percorso identitario della donna migrante tra genere ed etnia ... 43
1.9 L’identità tra agency e “capability approach” ... 47
1.10 La prospettiva del femminismo postcolonialista e la postcolonialità ... 57
1.11 Il mercato del lavoro delle donne migranti: la femminilizzazione del lavoro ... 68
1.12 La condizione di esclusione (o di inclusione differenziale) ... 76
Capitolo 2 – Immigrazione e mercato della prostituzione ... 83
2.1 Che cos’è la prostituzione. Dallo stigma sociale alla policy europea ... 83
2.2 Politiche e trasformazioni della prostituzione odierna ... 93
2.3 L’immigrazione e il mercato del sesso ... 103
2.4 La legge abolizionista italiana, la legge Merlin del 1958 ... 112
2.5 La rappresentazione della prostituta e della vittima di tratta ... 118
2.6 La questione dei diritti umani nell’intreccio tra prostituzione e tratta ... 123
2.7 Il ruolo della domanda nel mercato del sesso e nella tratta ... 135
Capitolo 3 – La tratta dalla Nigeria alla Fortezza Europa ... 144
3.1 Che cos’è la tratta. Excursus storico del regime internazionale della tratta ai fini dello sfruttamento sessuale ... 144
3.2 Il protocollo di Palermo per il contrasto alla tratta ... 149
3.4 Quadro normativo europeo in materia di tratta ... 156
3.5 Il quadro normativo italiano sulla tratta ... 166
3.6 Il fenomeno della tratta in Italia e il monitoraggio ... 174
3.7 La Nigeria come paese di origine. Cenni storici ... 183
3.8 La genealogia della tratta ai fini dello sfruttamento sessuale ... 191
3.10 Le reti transnazionali del trafficking. La mafia nigeriana ... 211
Capitolo 4 – L’emersione dalla tratta... 217
4.1 Il contesto di intervento sociale per il contrasto allo sfruttamento sessuale nella tratta ... 217
4.2 La protezione sociale. L’articolo 18 del Testo Unico per l’Immigrazione ... 221
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4.4 L’individuazione delle vittime di tratta ... 229
4.5 Interventi per l’uscita dal traffico attraverso il meccanismo di referral ... 236
4.6 Lo stato di vulnerabilità ... 242
Conclusione ... 248
Bibliografia ... 251
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Introduzione
Con questo studio si intende analizzare il fenomeno delle migrazioni internazionali nell’ottica di un processo strutturato dai rapporti di genere, ossia indagare come le relazioni determinate dal genere legittimano e costruiscono i rapporti sociali all’interno delle dinamiche migratorie.
A tal fine è stato necessario ricostruire come la tradizione accademica sugli studi migratori abbia cominciato ad adottare la prospettiva di genere solo in tempi recenti per ricercare e spiegare i fattori che stanno alla base delle grandi migrazioni transnazionali, nonostante dati empirici dimostrino come la donna sia stata un soggetto protagonista dei progetti migratori caratteristici della nostra era. Lo sfondo di questa chiave di lettura nello studio delle teorie migratorie è rappresentato dalle trasformazioni della società contemporanea globalizzata, le quali hanno portato a focalizzare l’attenzione su processi quali la femminilizzazione delle migrazioni all’interno dei meccanismi di divisione globale e sessuale della forza lavoro.
La ricerca è suddivisa in due parti. La prima analizza l’approccio teorico alle migrazioni, incentrandosi sugli aspetti sociali, economici e culturali che la mobilità transnazionale produce nelle società di partenza e di destinazione. In questa cornice si rileva come gli studi abbiano a lungo trascurato l’aspetto della differenza di genere nelle dinamiche migratorie e come questa possa dare una nuova lettura di un fenomeno diventato ormai strutturale nella contemporaneità sempre più dinamica e flessibile. L’approccio storico è quello prescelto per dare risalto alla contestualizzazione necessaria a dare continuità alle vicende coloniali che legano indissolubilmente i territori coinvolti dai crescenti flussi che caratterizzano la grande “era delle migrazioni”. La rivalutazione del ruolo della donna all’interno delle dinamiche migratorie ha dato la possibilità di analizzare fattori che vengono coinvolti nei processi di costruzione dell’identità della donna in qualità di protagonista del proprio percorso migratorio. Il concetto di intersezionalità, termine derivante dall’ambiente femminista, viene posto alla base di questa riflessione che vede la donna migrante sottostare ad un processo di differenziazione determinato dalla categorizzazione di concetti socialmente costruiti quali genere, razza, classe (e non solo) i quali agiscono per la
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collocazione delle migranti nello spazio sociale della società ricevente. I dispositivi di selezione che operano nel momento in cui tali donne giungono nella nuova società permettono un “accesso differenziato” sia al mercato del lavoro nazionale che ai diritti appartenenti della cittadinanza che le accoglie. Tale processo di inclusione parziale, determinato principalmente da esigenze di natura economica, è ciò che produce cambiamenti profondi nella soggettività della donna che ha intrapreso questo viaggio. La donna non sarà più rappresentata alla stregua di un “familiare al seguito”, come tipicamente la letteratura migratoria ha proposto fino ai tempo recenti, ma un soggetto che da una parte intraprende un percorso di emancipazione dalla società originaria, che la vede nelle vesti di breadwinner, e nella società ospitante che la riconosce simbolicamente come portatrice di valori e culture differenti; e dall’altra invece viene collocata in uno spazio socio-lavorativo caratterizzato da meccanismi di inferiorizzazione, oppressione, subordinazione e sfruttamento. Al fine di concettualizzare l’esperienza migratoria femminile per coglierne l’aspetto dinamico e progettuale è stato utilizzato il concetto di agency come concepito dai sociologi Giddens e Bourdieu, ma con un approccio di stampo femminista. Si intende evidenziare come la capacità di agire delle soggettività femminili, introdotte in un percorso identitario determinato da discriminazioni di genere, abbiano limiti di carattere sociale e culturale che ostacolano l’accesso a opportunità di natura giuridica ed economica. Il capability approach dell’economista Amartya Sen è una rappresentazione teorica di questa prospettiva. Per analizzare la dimensione della donna migrante, per lo più proveniente da paesi in via di sviluppo verso paesi di economie avanzate, è necessario menzionare il retaggio coloniale di questi spazi sociali; il concetto dell’othering infatti ha contribuito a generare i meccanismi di subordinazione giuridica e socio-economica che ancora caratterizzano le società contemporanee e che influenzano gli stessi processi di soggettivazione delle migranti, le quali si ritrovano a sottostare a fenomeni di mercificazione nel mercato del lavoro globale.
Sulla base di questi presupposti la seconda parte della ricerca intende approfondire uno dei prodotti di questo processo di mercificazione della donna migrante. È stato evidenziato come i rapporti di dominio determinati dagli stereotipi di genere siano strutturati sugli stessi meccanismi che
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determinano discriminazioni etniche e razziali: caratteristiche fenotipiche che assumono significato simbolico sul corpo della donna straniera e migrante processi di intersezionalità fenomeni legati alla divisione sessuale del lavoro hanno determinato la collocazione di queste soggettività nello spazio della subordinazione dei lavori “tradizionalmente femminili”, tra cui l’attività di prostitutoria. È attraverso la concettualizzazione della prostituzione che si intende affrontare il legame tra migrazione e tratta ai fini dello sfruttamento sessuale, nello specifico di donne provenienti dalla Nigeria. Lo stigma e l’esclusione che caratterizzano lo svolgimento di lavori come la collaboratrice domestica o la badante si ritrovano, in una dimensione moralmente amplificata, per coloro costrette, o meno, a svolgere l’attività di sex workers. Per individuare il legame che intercorre nel trinomio migrazione-prostituzione-tratta sono stati esaminati alcuni fattori quali: l’impoverimento femminile, ossia la scelta di intraprendere l’attività prostitutoria nella ricerca di un’autonomia economica, di un miglioramento della qualità di vita o di un percorso di emancipazione da situazioni prive di opportunità; o il concetto di sessualità femminile come costruzione sociale storicamente contestualizzata che ha influenzato la determinazione di una serie di politiche atte a reprimere, in modo diretto o indiretto, ovvero regolamentare l’attività prostitutoria sul territorio. Il legame indissolubile tra migrazione e prostituzione trova elementi di assimilazione per la natura della scelta dettata dalla necessità, dall’indigenza determinata dalla mancanza di opportunità e dalle carenze strutturali di welfare sempre più deficitari, che dispongono le donne sia di fronte a vite sempre più precarie e flessibili sia di fronte ad una crescente domanda di lavori “tradizionalmente femminili”.
Ritorna in questo modo il paradigma dello “stigmatizzato ma necessario”. In quest’ottica il fenomeno della tratta ai fini dello sfruttamento sessuale diventa prorompente dal momento che sempre più donne migranti dagli anni Ottanta e Novanta sono state presenti sulle strade di ogni città europea, rendendo per la prima volta la migrazione e la prostituzione fenomeni visibili e di ampie dimensioni. Le politiche adottate per affrontare le gravi violazioni dei diritti umani legate alle pratiche della tratta e dello sfruttamento sessuale sono state indirizzate verso gli orientamenti che di volta in volta hanno dominato il dibattito globale in merito a temi quali la prostituzione, la
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violenza e la questione della consensualità delle donne vittime del traffico. Tale tendenza ha impedito di elaborare una politica a tuttotondo che permettesse una conoscenza approfondita della complessità del fenomeno, il quale nella storia è stato affrontato con approcci di natura sempre differente. Dal primo riconoscimento ufficiale a livello globale dell’esistenza del traffico internazionale ai fini dello sfruttamento sessuale con la Convenzione per la repressione della tratta degli essere umani e dello sfruttamento per la repressione altrui del 1949, sono stati prodotti numerosi strumenti giuridici a livello nazionale, regionale e internazionale che hanno tentato di elaborare strategie per lo più volte a reprimere e punire le organizzazioni criminali internazionali, responsabili della creazione di reti di traffico transnazionale. La commistione della questione del trafficking con il sempre più ampio fenomeno dell’immigrazione irregolare sulle coste del continente europeo proveniente dall’Africa ha inciso notevolmente sullo sviluppo del regime della tratta, il quale ha trovato ostacoli nella realizzazione di approcci e politiche volte a identificare tutti gli elementi e i fattori coinvolti nel flusso di un così ampio numero di donne dirette nei mercati occidentali del sesso. L’ultima parte di questo studio analizza gli strumenti di natura nazionale ed europea operanti sul territorio italiano volti a identificare l’entità del fenomeno, a individuare e proteggere le donne rimaste vittime e, infine, a reprimere e prevenire il traffico.
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Capitolo 1 – Una prospettiva di genere nelle teorie
migratorie
1.1 La migrazione internazionale come fatto sociale
La mobilità umana nello spazio è tutt’altro che un fenomeno sociale nuovo, poiché le migrazioni sono antiche come l’umanità, a tal punto da poter affermare che gli esseri umani sono una specie migratoria. Il passato dell’umanità mostra come prima di diventare sedentario, l’uomo era nomade, migrava per la propria sopravvivenza alla ricerca di ciò che poteva soddisfare i bisogni primari e preservare la specie umana. Trasferimenti di singoli individui, di gruppi di persone o di interi popoli hanno caratterizzato il susseguirsi di epoche storiche. Eventi storici più o meno rilevanti sono determinati da ingenti mobilitazioni di individui: dalle invasioni dei popoli “barbari” in epoca romana, alle colonizzazioni dei paesi europei nelle Americhe e in Africa in epoca moderna, fino alle migrazioni forzate di africani esportati come di schiavi. Tali fenomeni non rendono agevole il tentativo di definire oggi, con chiarezza, cosa sia un immigrato, una designazione che cambia a seconda degli ordinamenti giuridici, del contesto storico e delle contingenze politiche, una definizione quindi caratterizzata da relatività e contingenze. L’Organizzazione delle Nazioni Unite assume la definizione di migrante come «una persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno»1, prendendo in considerazione come elementi fattuali di base lo spostamento in un paese che non è quello di origine o di dimora abituale, e la permanenza prolungata. Secondo la stima de Immigration Report 2017, stilato dal Dipartimento per gli Affari Economici e Sociali del Segretariato delle Nazioni Unite, nel 2017 sono stati 258 milioni i migranti internazionali, dei quali quasi il 57% vive nelle regioni sviluppate, nel cosiddetto “Nord” del mondo, mentre le regioni in via di sviluppo, il "Sud", ospita il 43% dei migranti di tutto il mondo. Tra il 1990 e il 2017, il numero di migranti internazionali in tutto il mondo è aumentato del 69% (oltre 105 milioni di
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persone), che calcolato sul totale della popolazione mondiale risulta che quasi il 3,5% rientra nella categoria di migrante internazionale.2
Al fine di analizzare il fenomeno, è possibile inquadrare la migrazione come un processo dotato di una dinamica che si evolve in continuazione, adattandosi alle trasformazioni nel tempo, come un sistema di relazioni che connette aree spaziali diverse tra loro, di partenza, di transito e di arrivo, coinvolgendo una pluralità di attori e di istituzioni3. Il fatto sociale su cui si focalizza lo studio della sociologia delle migrazioni è il mutamento generato dalla mobilità umana nello spazio all’interno dei modelli socio-culturali e della società globale intesa come fitta rete di relazioni, e come esito dell’incontro di fattori di ordine sociale, culturale, economico e psicologico.4
Il fenomeno della migrazione internazionale si è evoluto fino a diventare un protagonista dei più rilevanti eventi globali. Nonostante si sviluppi in dinamiche tutt’altro che recenti, come soddisfare bisogni dettati dalla ricerca di nuove opportunità, sfuggire all’indigenza e alle guerre, la cosiddetta era delle migrazioni di massa raggiunge il suo apice dalla metà del XX secolo in poi, quando gli spostamenti hanno cominciato a riguardare tutte le regioni del mondo, diffondendosi in maniera marcata negli anni Ottanta. All’interno della vasta e variegata produzione degli studi migratori, il superamento della prospettiva teorica dominante di matrice neoclassica, la quale considera le migrazioni come un effetto automatico dell’azione di fattori di spinta e di attrazione sull’individuo, permette di porre l’analisi della mobilità internazionale al centro dei processi di globalizzazione, giungendo a definire la migrazione come una forma di “azione collettiva”5, sia in termini di causa che di effetto delle trasformazioni sociali, nei paesi di partenza come in quelli di destinazione dei flussi.
A dimostrazione del cambio di prospettiva, si evidenzia come i movimenti migratori nello scenario della globalizzazione, vengano considerati da un lato il pretesto di violente privazioni di diritti, fonti di discriminazioni e di
2 International Migration Report 2017
http://www.un.org/en/development/desa/population/migration/publications/migrationreport/ docs/MigrationReport2017.pdf
3 M. Ambrosini, op.cit. p.17
4 G. Pollini, Sociologia delle migrazioni e della società multietnica, Franco Angeli Ed., Milano, 2002, p.15
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sfruttamento per gli individui migranti, e dall’altro si rappresentino come una delle forze essenziali che operano attivamente nella ricomposizione dell’aspetto sociale, politico, economico e culturale del mondo contemporaneo.6
La ricerca mostra come sia necessario studiare i movimenti migratori sia in prospettiva migratoria, analizzando il movimento d’uscita dal paese di origine, che nella prospettiva del movimento d’ingresso nel paese destinatario del percorso migratorio.
In questa dimensione processuale, si può concepire la realtà del fenomeno come una costruzione sociale complessa, nella quale agiscono tre principali attori: la società di origine, intesa come spazio di diritti e libertà determinati dal possedere quella stessa cittadinanza, con politiche più o meno favorevoli all’espatrio; i migranti, attuali o potenziali, che portano con sé progetti migratori, aspettative e legami sociali; e la società ricevente, intesa come spazio caratterizzato da un mercato interno, con una domanda di lavoro d’importazione, e da un modello di accoglienza e istituzioni determinati da politiche più o meno restrittive verso coloro che giungono sul territorio.7 L’impatto che il movimento migratorio ha su queste realtà può essere significativo, in quanto gli individui tendono a partire in gruppo, non individualmente, causando profondi cambiamenti nel paese di origine, come ostacolare lo sviluppo economico e tecnologico a causa di fenomeni come il brain drain8, oppure migliorare le condizioni di vita o incentivare l’economia del paese attraverso le rimesse. Nell società ricevente l’insediamento è strettamente connesso alle opportunità lavorative, soprattutto nelle aree di forte sviluppo e generale benessere economico dove l’impatto con le comunità è spesso percepito come invadente, in quanto in grado di modificare la composizione del lavoro o di generare fondamentalismi potenzialmente pericolosi. Allo stesso tempo gli insediamenti possono essere terreno di nuovi spazi sociali e culturali, fornire nuova linfa ai movimenti di opposizione alle
6 Ivi, p.20
7 M.Ambrosini op. cit. p.18
8 «L’espressione brain drain (in italiano “Fuga di cervelli”) è utilizzata per indicare la migrazione di persone altamente qualificate, che, formatesi in un paese, si trasferiscono e lavorano in un altro» da L.Beltrame, Globalizzazione e fuga dei cervelli, in «Rassegna Italiana di Sociologia», vol. XILX, n.2, 2008, pp. 277-295, p. 277
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diverse forme di sfruttamento lavorativo, creare nuovi canali transnazionali e di ibridazioni culturali sulla base di idee di tolleranza e libertà.9
Lo studio sull’interazione dei tre principali attori di questo processo, inserito nelle dinamiche della società globale contemporanea, permette di individuare quali siano quei dispositivi che plasmano i processi di selezione dei migranti, la loro tipizzazione al momento dell’insediamento sul territorio, l’attuazione di forme di inclusione ed esclusione, e le relazioni che si instaurano con la comunità autoctona e con le comunità straniere già residenti. È importante evidenziare come le migrazioni internazionali contemporanee abbiano reso possibile il superamento dell’unicità della figura dell’immigrato, percepito solamente come personificazione di manodopera non qualificata, generalmente maschio e solo.
L’individuazione di tendenze generali dei processi migratori condotta dagli studiosi Castles e Miller10, costituiscono da cornice per concettualizzare le nuove trasformazioni globali e le diverse figure di migrante internazionale, anche al fine di ricercare una teoria esplicativa globale che identifichi quali siano le cause che stanno all’origine del fenomeno migratorio.
Tali tendenze si possono riassumere nel processo di globalizzazione di tutti quei settori che permettono la facilitazione e la velocizzazione della mobilità, quindi i mercati, le comunicazioni, i trasporti; nel fenomeno dell’accelerazione dei flussi dovuta a un più facile accesso a tutte quelle informazioni che agevolano il piano decisionale ed effettivo per l’organizzazione del viaggio; una diversificazione del modello migratorio, che comprende un ampio ventaglio di quelli che sono gli status giuridici dei migranti per la maggior parte dei paesi di destinazione. Questi nuovi sviluppi complicano l’elaborazione di politiche migratorie che si adattino alle forme estremamente dinamiche dei flussi migratori, i quali si trasformano a seconda della necessità. Il processo di femminilizzazione delle migrazioni, il quale delinea un’evidente diversificazione della composizione dei flussi, permette di porre l’attenzione verso la sostanziale quantificazione della presenza femminile al loro interno, e di analizzare il suo ruolo nel contesto delle
9 G. Pollini, op. cit. p.25
10 S. Castles, M. Miller, The Age Of Migration, New York, 1993 (trad. it. di M. Bonatto,
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dinamiche socio-economiche dei paesi di destinazione. Da qui si può notare la connessione al fenomeno della proliferazione dei flussi misti, in cui più componenti si sommano modificando la struttura del flusso lungo il percorso migratorio, dal momento della creazione nel paese d’origine fino all’arrivo nel paese di destinazione.
Infine, un aspetto rilevante che permette di cogliere molti dei temi all’interno del contesto globalizzato delle migrazioni, è la politicizzazione del fattore migrazione. La questione migratoria, nei fatti, è il principale elemento di polarizzazione politica che assume ruoli di grande rilievo all’interno di ogni scenario politico-elettorale, data la grande sensibilizzazione che opera nell’opinione pubblica. Le politiche migratorie spaziano nei settori della politica interna e della politica estera di ogni Stato di invio e di ricezione dei flussi migratori. Temi quali la sovranità, la cittadinanza, la sicurezza, l’economia sono gli spazi in cui si riflettono, a livello nazionale, le principali trasformazioni che investono istituti e concetti politici fondamentali sotto la lente della migrazione. Fenomeni quali l’integrazione, i luoghi di lotta, il multiculturalismo, l’attivismo, l’esclusione della diversità culturale sono conseguenze delle tendenze in atto a livello globale rispetto all’implementazione di politiche migratorie e di processi sviluppatisi attorno al mercato del lavoro. La migrazione dalla prospettiva di “forza collettiva” è una forza di trasformazione sociale, che inevitabilmente non coinvolge solamente gli individui che migrano, ma coinvolgendo l’intera società nel suo complesso.11
1.2 Tipizzazione della figura del migrante
L’analisi di questi fenomeni, nel tentativo di cogliere le principali cause dei processi migratori, permette di creare una tipizzazione delle diverse figure di migranti, ossia una schematizzazione ispirata da quelle che sono le motivazioni all’origine della decisione di migrare e a cui corrispondono precise definizioni giuridiche all’interno degli ordinamenti nazionali.
Nelle cinque categorie più comunemente rilevate si trovano innanzitutto i migranti per motivi lavorativi, che si suddividono nelle varie tipologie
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contrattuali di lavoratori a lungo periodo, stagionali, qualificati o non qualificati. Sono coloro che scelgono di lasciare il proprio paese al fine di stabilizzarsi in un terzo per praticare una professione.
Per decenni è stata considerata l’unica categoria di migranti, la quale ha vissuto e sperimentato diversi fasi storiche e modelli di mobilità.
Fino alla metà degli anni Settanta, lo spazio europeo è stato caratterizzato da un crocevia di migranti più o meno circolari, ossia immigrati alla ricerca di un lavoro da svolgere temporaneamente sul territorio europeo, per poi ritornare ciclicamente sul territorio d’origine ricongiungendosi alla propria comunità, destinataria dell’invio di consistenti rimesse per un considerevole arco di tempo, fino a un definitivo ritorno in patria. L’attuazione del Sistema Schengen ha realizzato la costruzione di uno spazio di libera circolazione all’interno dei confini europei, da cui ne è naturalmente conseguito un rafforzamento dei confini esterni, impedendo quindi il protrarsi di quel movimento migratorio circolare attraverso restrittive politiche di visti e di controllo delle frontiere esterne. L’effetto è ciò che viene comunemente chiamato “Fortezza Europa”. Il risultato di questa tipologia di politiche migratorie è che il ricongiungimento familiare diventa la prima causa di migrazione della componente più importante di immigrati sul territorio europeo, da cui ne consegue un aumento, sia in termini di quantità che di permanenza sul suolo, di una popolazione che spesso non partecipa al mercato del lavoro, e che tende a normalizzare il profilo anagrafico della comunità immigrata rispetto a quella autoctona.12
I maggiori dibattiti politici e giuridici dagli anni Novanta ad oggi, in materia di migrazione, hanno riguardato la figura dei migranti forzati, quegli individui che fuggono dal proprio paese di origine, o di residenza abituale, a causa di fenomeni di vario genere, quali guerre, disastri ambientali, persecuzioni politiche, religiose, etniche, cause artificiali provocate da progetti di sviluppo o intensa industrializzazione. Per tali migranti sono previste diverse forme di protezione internazionale.13 Gli individui classificati come Internal Displaced, come i migranti climatici, sono individui che si mobilitano all’interno degli stessi confini, e a cui non spettano forme di protezione
12 M. Ambrosini, op.cit., pp. 20-23 13 S.Castles, M.Miller, op.cit., p.36
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internazionale. La dicotomia giuridica in cui rientrano gli individui a cui spetta tale protezione si compone della figura del rifugiato e della figura del richiedente asilo. Spesso accade che nel lessico giornalistico questa distinzione non venga opportunamente riportata, con la conseguenza di generare della confusione utilizzando sommariamente termini quali profugo, clandestino, sfollato a seconda della contingenza politica.
Nella Convenzione di Ginevra redatta in sede Onu nel 1951, all’art.1 si definisce un rifugiato come colui che « nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole, domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dal suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.»14 Coloro che rientrano in detti parametri hanno possibilità di chiedere protezione in paesi diversi da quello di cittadinanza, costretti però a sottostare a politiche restrittive di accesso alla domanda di asilo, spesso senza poter accedere al paese di destinazione scelto nel proprio percorso migratorio, e trovando di fronte ostacoli di tipo giuridico, culturale, sociale i quali diminuiscono drasticamente le opportunità di essere destinatari dei diritti previsti per il riconoscimento dello status di rifugiato.15
I migranti forzati che fuggono dal proprio paese di origine per motivi assimilabili, ma che non rientrano nel rigido schema della definizione ginevrina di rifugiato, sono i cosiddetti richiedenti asilo, ossia coloro che fanno domanda di protezione internazionale facendo leva su altri sistemi normativi, di tipo nazionale o regionale che prevedono forme alternative di asilo. L’ordimento giuridico dell’Unione Europea, che si riflette nelle legislazioni nazionali degli Stati membri, mette a disposizione figure quali la protezione sussidiaria e la protezione temporanea, costruzioni normative di tipologie di asilo temporaneo che comportano misure d’intervento assimilabile a quelle previste per il rifugiato ginevrino, e che allo stesso modo presentano caratteri di esclusione e ostacoli giuridici di forte intensità. Le
14 https://www.unhcr.it/wp-content/uploads/2016/01/Convenzione_Ginevra_1951.pdf 15 M. Ambrosini, op.cit., pp.20-23
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lunghe procedure di vaglio delle domande di asilo sul territorio, le battaglie legali sulla loro ammissibilità, la temporaneità dei permessi di soggiorno concessi, provocano la formazione di una popolazione dallo status precario, incerto e reversibile, soggetta all’eventualità di un imminente rimpatrio forzato oppure al passaggio a una condizione di permanenza irregolare sul territorio.16 Tuttavia è importante evidenziare che la carenza di opportunità lavorative ha indirettamente provocato un maggiore ricorso alla strada del rifugio politico o umanitario come opzione d’ingresso nei paesi di sviluppo avanzato, in cui non è sempre facile distinguere le motivazioni economiche da quelle politiche, creando spesso impasse nell’applicazione delle politiche amministrative di regolazione dei flussi. La definizione di regolarità e irregolarità nello scenario migratorio è un concetto labile all’interno degli ordinamenti giuridici, dal momento che è dipendente da dispositivi di regolazione dell’immigrazione istituiti dallo stato ospitante, gli stessi dispositivi soggetti a revisioni e modifiche che spostano continuamente i confini della definizione politica di immigrato.
Le ultime due categorie nella schematizzazione dei migranti riguardano la figura dello studente e del pensionato. Lo studente migrante è colui che si sposta in un altro paese per motivi di studio per più di dodici mesi, il pensionato migrante, invece, rientra nel fenomeno della residenza elettiva, la quale però riguarda una piccola percentuale all’interno della popolazione migratoria. I residenti elettivi sono coloro che, terminata la propria carriera lavorativa, decidono di recarsi a vivere in un paese diverso da quello d’origine, o di residenza abituale, dimostrando di possedere risorse sufficienti per mantenersi autonomamente senza esercitare alcuna attività lavorativa sul territorio.
1.3 Approcci teorici alle cause dei movimenti migratori
Proporre una teoria esplicativa globale delle migrazioni è uno degli obiettivi portato avanti negli ultimi decenni dagli studi dei movimenti migratori. L’individuazione di fattori, di variabili e la connessione con altri fenomeni sociali è il terreno sui cui ci si muove per giungere a modelli teorici che
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possano rispondere alle domande “perché si parte? Perché si arriva in un determinato paese piuttosto che un altro?”. La decisione di sradicarsi dal proprio paese di origine e dalla propria comunità per spostarsi alla ricerca di nuove e migliori opportunità non è un prodotto di una semplice azione isolata, ma un processo che si protrae nel tempo, per tutta la vita del migrante. Lo studio della migrazione internazionale si articola in filoni d’indagine scientifica-sociale che riguardano sia i fattori decisivi dei processi e degli schemi migratori e sia i modi in cui la migrazione provoca dei cambiamenti nella società d’origine e nella società ricevente17.
Un approccio interdisciplinare alla ricerca sugli studi migratori permette di rilevare tutti i differenti aspetti al fine di indagare le cause profonde del fenomeno, nonostante i risultati spesso abbiano prodotto una quantità di criteri teorici che ne hanno reso più difficile la comprensione. La dominanza delle teorie economiche di approccio neoclassico affonda le sue radici nelle prime teorie sistemiche della migrazione, teorie generali volte a delineare le grandi cause strutturali operanti a livello globale, la ricerca di collegamenti tra le tendenze dei flussi da zone più popolate del mondo verso zone scarsamente popolate, dalle aree a basso reddito verso zone più ricche. Sono teorie denominate push-pull in quanto identificano la causa della migrazione in una combinazione di fattori di espulsione, ossia di spinta all’abbandono della zona d’origine, come la crescita demografica, misere condizioni di vita, mancanza di opportunità economica e repressione politica, con fattori cosiddetti di attrazione, quali richiesta di manodopera nel mercato del lavoro, buone opportunità economiche e libertà politica, che richiamano i migranti verso precise destinazioni.18 La ricerca odierna considera questo modello individualistico legato ad analisi, valori e schemi ormai superati. L’approccio di tipo micro di stampo neoclassico pone come unica forza propulsiva la decisione individuale basata su un’analisi sistematica di costi e benefici relativi alla scelta se partire o meno. Si presuppone che fattori economici presi in considerazione per elaborare questo calcolo siano conosciuti con assoluta certezza dagli individui che decidono di migrare, agendo come individui razionali in una sorta di investimento della propria
17 Castles S., Miller M., op.cit. p.43 18 Ivi, p.45
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vita nella prospettiva che i guadagni futuri saranno maggiori rispetto ai costi sostenuti fino a quel momento, un calcolo in cui il capitale investito è il cosiddetto “capitale umano”. La mera esistenza di disuguaglianze economiche tra le diverse regioni dovrebbe essere il solo dato sufficiente a generare flussi migratori, i quali nel lungo periodo dovrebbero operare un livellamento delle condizioni economiche e demografiche delle società coinvolte, raggiungendo un equilibrio economico. Un approccio macro neoclassico quindi considera le grandi migrazioni all’interno della prospettiva delle pressioni strutturali, come differenziali di valori che nel tempo si equilibrano fra loro, come la pressione demografica oltre che economica. Al contrario una prospettiva strutturalista ma di stampo marxista, come la Teoria della Dipendenza, vede la spinta dei movimenti migratori nella distribuzione iniqua del potere politico ed economico all’interno dell’economia mondiale. Le migrazioni per lavoro discendono dalle diseguaglianze geografiche nei processi di sviluppo, indotte dalle relazioni coloniali e neo coloniali che riproducono il legame di sfruttamento attraverso rapporti di scambi ineguali.19
La critica alle teorie neoclassiche si fonda su un’innegabile discrepanza tra ciò che viene teorizzato e i movimenti reali: questi approcci non spiegano come mai siano così esigue le cifre degli individui più poveri delle zone meno sviluppate che migrano verso i paesi più ricchi. Nella realtà, sono persone con uno status sociale intermedio provenienti da zone di cambiamento economico-sociale a migrare. Allo stesso modo non spiegherebbe perché alcuni dei paesi di destinazioni di abbondanti flussi siano anche i paesi con più alta densità di popolazione. Considerare i migranti come individui che agiscono razionalmente sulla base di dati esatti e perfettamente conoscibili è un errore di valutazione evidenziato da ogni approccio teorico successivo. Il difetto di essere un teoria unilaterale nel fornire un’analisi adeguata della grande complessità delle migrazioni contemporanee è propria anche dell’approccio storico-strutturale di teorie come quella del Sistema-Mondo di Wallerstein20, elaborata nel 1984. La teoria affonda le sue radici
19 Ivi, p.49
20 I. Wallerstein, The Politics of the World-Economy: The States, the Movements and the
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intellettuali nella politica economica marxiana, che evidenzia il modo in cui le regioni meno sviluppate, dette “periferiche”, vengono incorporate all’interno di un’economia globale controllata dai paesi più sviluppati, il “centro”, secondo un sistema di produzione capitalistica. La penetrazione delle imprese multinazionali nella periferia ha determinato profonde trasformazioni territoriali, sociali, economiche, politiche, generando quei legami attraverso cui si protraggono i rapporti di dominazione tra le economie capitaliste centrali e quelle non ancora industrializzate della periferia. La costante dipendenza del Terzo Mondo nel mercato globale, non spiegherebbe però come mai una logica del capitale così forte abbia permesso un’evoluzione inaspettata da migrazione di tipo lavorativo a insediamenti permanenti sul territorio. La critica ad entrambi gli approcci strutturali si organizza sul rifiuto di identificare gli aspetti economici, sociali-strutturali come unici fattori determinanti della spinta migratoria, senza prestare sufficiente attenzione all’intervento umano e al comportamento influenzato dalle esperienze storiche, dalle dinamiche familiari e della comunità.
La necessità di introdurre nell’indagine economica un più ampio ventaglio di fattori ha permesso l’elaborazione di teorie come la Teoria Duale, o del Mercato Segmentato, che pone l’accento su fattori come la razza e il genere, utilizzati come criteri per strutturare i settori del mercato del lavoro. Secondo l’approccio idealizzato da Piore nel 197921, la migrazione internazionale è
provocata dalla domanda strutturale di lavoratori qualificati e non, all’interno dell’economia dei paesi avanzati, al fine di eseguire tutti qui lavori produttivi del settore secondario e terziario. In questo processo emerge una divisione tra un mercato cosiddetto “primario”, che garantisce diritti ai lavoratori che vengono selezionati sulla base del capitale umano, spesso appartenenti all’etnia di maggioranza e di sesso maschile, o migranti del tutto regolari, e un mercato “secondario”, sottopagato, creato per soddisfare le esigenze del primo, dove i lavoratori selezionati sono caratterizzati dal non essere qualificati, appartenenti a minoranze etniche o con status giuridico irregolare. La divisione secondo razza, etnia e genere, oltre a condurre alla segmentazione duale del mercato del lavoro, costruisce una serie di
21 M.Piore, Birds of passage : migrant labor and industrial societies, Cambridge University Press, Cambridge,1979
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segmentazioni su cui si basano enclave economiche, o veri e propri mercati di nicchia.
Successivamente nei primi anni Novanta, lo studioso Stark elaborò un modello migratorio, chiamato “Nuova economia del mercato del lavoro”, secondo cui le decisioni migratorie non sono il prodotto di scelte individuali, ma di nuclei familiari o di intere comunità, che investono nel viaggio migratorio di un loro membro per diversificare le fonti di reddito, per fornire risorse alle attività già esistenti. Si tratta di una sorta di sistema assicurativo per provvedere elle esigenze del gruppo sociale in ogni evenienza, quindi non solo in prospettiva di massimizzare il profitto, ma tenendo conto di un insieme variegato di fattori.22 Per quanto le analisi economiche operino su determinati aspetti della migrazioni, fornendo utili prospettive di comprensione, non riescono a elaborare un’analisi profonda del fenomeno. È fondamentale concettualizzare la migrazione come un processo complesso in cui i fattori economici, politici, sociali e culturali interagiscano fra loro, dove le decisioni migratorie sono influenzate da una vasta gamma di condizioni che non sono mai statiche, ma in continuo cambiamento e in connessione con fattori globali, schemi storici e culturali. Se si razionalizza la migrazione come un’azione collettiva, è necessario contestualizzarla come un sottoinsieme di un più ampio sistema globale e politico in continua evoluzione.
La tendenza ad un approccio multidisciplinare ha permesso l’elaborazione di strutture concettuali più esaurienti, al fine di spiegare i processi di costruzione e costante rielaborazione di relazioni tra paesi e aeree. La teoria dei Sistemi Migratori e la teoria delle Reti Migratorie sono esempi di questi approcci. Un sistema migratorio è costituito da due o più paesi tra i quali esistono flussi di migranti, collegamenti che spesso si sono generati precedentemente a causa di legami di subalternità coloniale, influenza politica, commercio, legami culturali. Il cambio di prospettiva teorica rispetto agli approcci precedenti è che i flussi in movimento all’interno di questi sistemi sono prodotti di un’interazione costante tra livello di micro e macro strutture, cioè tra fattori istituzionali di vasta scala, come l’economia politica del mercato globale, con le reti informali sociali, come rapporti familiari, mutuo sostegno economico,
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usanze e credenze degli stessi migranti, dalla cui analisi emerge un livello intermedio di meccanismi denominati “meso-strutture”.23
Nel 1988 lo studioso di migrazioni Massey definì i network migratori come complessi legami interpersonali che collegano migranti passati, presenti, non-migranti tra le aree di origine e di destinazione, attraverso vincoli di parentela, amicizia e di origine comune24. In quest’ottica la famiglia e la comunità sono essenziali per la creazione di queste reti che contengono al loro interno un insieme di fattori indispensabile per l’esperienza migratoria. Si tratta di un capitale culturale di informazioni, conoscenze del mercato dei paesi di destinazione e capacità di organizzazione del viaggio; un capitale sociale che comprende modelli familiari, rapporti personali, legami comunitari e un capitale finanziario che permette un sostegno economico indispensabile. Con l’avviarsi di questi network, il sistema migratorio si consolida, si autoalimenta e si sostiene autonomamente adattandosi nel tempo e nello spazio a seconda della nuove esigenze di insediamento dei nuovi migranti, che si inseriscono in questi percorsi in funzione di arrivi futuri, ciò che Massey ha definito “causalità cumulativa”.25
Da questi reti si avvia la formazione di strutture socio-economiche nel territorio di destinazione che pongono le fondamenta della comunità immigrata, permettendo il proseguire dei processi migratori anche in condizioni di mercato sfavorevoli. I flussi si indirizzano verso determinati paesi non in dipendenza di maggiori opportunità economiche, ma verso punti di riferimento creati dall’insediamento di parenti, amici e connazionali. È evidente il contrasto con le teorie neoclassiche, in quanto i differenziali economici non sono una ragione sufficiente per innescare flussi migratori internazionali di vasca scala senza un piano di relazione sociali ben consolidato, in cui le decisioni di partire non sono più frutto di scelte individuali, ma si inseriscono all’interno di gruppi sociali che mediano tra le condizioni socio-economiche determinate a livello macro, con i comportamenti soggettivi dei migranti. Il protagonismo delle meso-strutture
23 Ivi, p.52
24 D. Massey, Economic Development and International Migration in Comparative
Perspective, in «Population and Development Review», Vol. 14, No. 3, 1988, pp.383-413,
p.396 25 Ivi p.398
21
in questi approcci è evidenziato proprio da questo ruolo di mediazione di gruppi tra gli individui migranti e le macro strutture politiche-economiche. Ciò che si viene a creare è una sorta di “industria della migrazione”26,
composta da un numero indefinito di organizzazioni intermediarie che reperiscono le risorse necessarie per aiutare o sfruttare gli individui inseriti in questi flussi. È solo alla metà degli anni Settanta che nell’analisi sociologica della mobilità umana, accanto alle prospettive micro e macro, si affianca una prospettiva relazionale, spesso anche critica nei confronti degli approcci precedenti. L’assunto di base del livello meso-sociologico, è che colui che intende migrare, che sia un singolo, una famiglia, o un gruppo, è inevitabilmente influenzato nel suo processo decisionale da una serie considerevole di variabili. In aggiunta a quelle che sono canonicamente considerate a livello di micro e macro strutture, si evidenziano le variabili fondate sulle interazioni inter-personali, che si originano dall’interazione con la rete dei legami sociali e simbolici nella quale l’individuo è immerso (la rete familiare, etnica, di militanza politica, appartenenza religiosa, etc.).27
È complesso stabilire un confine netto nell’intreccio dell’operare di questi tre livelli di strutture, ma ciò permette di non ridurre a singole cause o variabili talvolta oggettive talvolta soggettive, che stanno alla base di quelli che sono cambiamenti particolarmente rilevanti per la società globalizzata.
1.4 Donne migranti: alcuni dati
Nello sviluppo degli studi migratori fino ai tempi recenti, in nessun paese europeo è stato fatto un lavoro sistematico sulla componente femminile dell’immigrazione, nonostante il cartografico Ernst George Ravenstein, nel 1880, formulò l’opera “Le leggi sulle migrazioni”, in cui volle dimostrare come le donne fossero più propense a migrare rispetto agli uomini, affermando che la donna avesse un peso maggiore rispetto all’uomo nel contesto migratorio. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) stima che nel mondo ogni minuto ventiquattro persone siano costrette a lasciare la propria casa per una situazione insostenibile per, a causa di povertà, guerre, carestie, catastrofi climatiche. Il dato sostanziale che questo studio
26 S.Castles, M.Miller, op.cit., p.53 27 D. Massey, op.cit., p.408
22
vuole evidenziare è che la metà di questo flusso consistente di individui è composto da donne.
I primi spostamenti internazionali di lungo periodo verso paesi occidentali compiuti da donne, soprattutto di origine africana e asiatica, cominciano a verificarsi a partire dagli anni Settanta. La particolarità di questi flussi, a dispetto di quanto il senso comune possa ritenere, è quella di essere autonomi rispetto a quelli maschili. Secondo i dati elaborati dal monitoraggio del Dipartimento degli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite, dal 1990 al 2017 la componente femminile nei flussi, su un totale di 258 milioni di migranti internazionali (dato del 2017), è passata dal 49% al 52,3%.28 Per avere una panoramica completa e poter contestualizzare quelli che sono gli sviluppi delle migrazioni femminili, è utile evidenziare i trend dei principali flussi migratori internazionali. Tra il 1990 e il 2017 la percentuale dei migranti internazionali rispetto alla totalità della popolazione mondiale è cresciuta rapidamente in Europa, nel Nord America e in Oceania, mentre è rimasta relativamente bassa in Africa, Asia, in America Latina e nei Caraibi. In Oceania, la regione con la più alta percentuale di migranti rispetto alla totalità della popolazione, la percentuale è aumentata dal 17.5% nel 1990 al 20.7% nel 2017. Nel Nord America la proporzione dei migranti internazionali ha raggiunto il 16% del totale della popolazione nel 2017 dal 9,8 % del 1990, mentre in Europa è cresciuto da un 6,8% del 1990 a 10,5% del 2017.
I migranti internazionali sono distribuiti in modo disomogeneo in tutto il mondo: nel 2017, il 51% di tutti i migranti internazionali risiede solamente in 10 paesi. Il numero più ampio risiede negli Stati Uniti d’America, i quali nel 2017 ospitano 49.8 milioni di migranti (ossia il 19% del totale mondiale). L’Arabia Saudita e la Germania sono al secondo posto per ospitalità, con più di 12 milioni di migranti, seguiti dalla Federazione Russa, Regno Unito, Emirati Arabi Uniti, Francia, Canada, Australia e Spagna.29
28http://www.un.org/en/development/desa/population/migration/data/estimates2/estimatesgr aphs.shtml?5g5
29 International Migration Report 2017. Department of Economic and Social Affairs Population Division. ST/ESA/SER.A/403 December 2017
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(Fig.1) Number of international migrants.
Map data source : Geospatial Information Section, United Nations 2017
Nel 2017, la componente femminile costituisce il 48,8% di tutti i migranti internazionali, con considerevoli differenze tra una regione e l’altra del mondo. Nei paesi in avanzato sviluppo economico le donne costituiscono il 51,8 % dei migranti (poco diverso rispetto al 51,3 del 1990), mentre nei paesi in via di sviluppo, o emergenti, la percentuale si assesta intorno al 44%, rispetto al 47% rilevato nel 1990.
Il calo della percentuale di donne tra i migranti nel Sud è stato principalmente il risultato di un rapido aumento del numero di migranti maschi in Asia, tra il 2000 e il 2017., il quale si assesta al 73%, superando di gran lunga l'aumento del numero di donne migranti (48%).
L’aumento del numero di migranti maschi in Asia è stato causato da una forte domanda di manodopera straniera nella produzione petrolifera dei paesi dell’Asia Occidentale, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Le regioni che invece ospitano le percentuali più alte di migranti femminili sono quelli che hanno una più lunga tradizione di ospitalità, come l’Europa, con il 52% sulla totalità dei migranti, il Nord America con il 51,5% e l’Oceania con il 51%.
24
(Fig.2) Percentage female among all international migrants
Map data source : Geospatial Information Section, United Nations 2017
Secondo il monitoraggio dell’International Migration Report del 2017, la percentuale più alta di presenze di donne migranti in queste regioni è causata principalmente da un processo di invecchiamento, secondo cui le migranti giunte da decenni sono ormai invecchiate nel paese ospitante, tenendo in considerazione che generalmente le donne tendono ad avere aspettative di vita più lunghe rispetto alle loro controparti maschili.30
Al contrario, tra il 1990 e il 2017, la percentuale di donne rispetto a tutti i migranti internazionali è diminuita in Asia e, in misura minore, in Africa. In Asia, la percentuale di donne migranti è scesa dal 46,6% nel 1990 al 42,4% nel 2017.
Nel 2017, le donne costituiscono oltre la metà di tutti i migranti internazionali in circa 100 paesi o regioni, con Lettonia, Montenegro, Nepal e Repubblica di Moldavia tra i paesi con le maggiori quote. In 12 paesi, tutti situati in Africa
30 International Migration Report 2017. Department of Economic and Social Affairs Population Division. ST/ESA/SER.A/403 December 2017
25
o in Asia, le donne rappresentavano meno di un terzo dei migranti internazionali. Le Maldive, l'Oman e il Qatar sono tra i paesi con le percentuali più basse di donne migranti nel 2017.31
1.5 Interpretazioni teoriche
In linea con lo scenario europeo, già a partire dagli anni Settanta, all’interno dell’immigrazione italiana vi è una consistente presenza della componente femminile nei flussi in entrata e del suo ruolo attivo nelle questioni legate alla mobilità. Le donne sono state fin dall’inizio protagoniste di esperienze migratorie dipendenti dalle provenienze geo-culturali, dalla composizione anagrafica, alla qualificazione professionale e alla situazione economica.32 Attualmente in tutti i paesi del Sud Europa, la componente femminile delle migrazioni ha assunto un carattere centrale e una visibilità sociale prima sconosciuta, riconducibile sia ad un cambiamento del loro peso nei flussi migratori in termini quantitativi, sia ad una nuova e più rilevante attenzione degli studiosi in questione. La componente femminile nei flussi migratori, indipendentemente dal progetto migratorio, dalla sua esistenza o meno, deve essere considerata quale soggetto attivo della propria mobilità, anche nel caso ricopra semplicemente il ruolo di “famigliare al seguito” o intraprenda un percorso lavorativo segregante. Pur vivendo esperienze di protagonismo o di subordinazione, le donne migranti rimangono testimoni e depositarie di identità, ruoli e strategie capaci di influenzare e di condizionare le trasformazioni in atto sia nei paesi di origine che di destinazione. In termini sociologici, ma non solo, ciò che l’attenzione sui flussi migratori femminili vuole rilevare non è solamente una quantificazione della femminilizzazione di tali flussi e la sua rilevanza in termini di cambiamenti sociale, quanto necessariamente evidenziare che il genere, al pari della classe e dell’etnia, costituisce una dimensione centrale della struttura sociale nei processi migratori.33 La posizione marginale e inferiorizzante, o di minorizzazione,
31International Migration Report 2017. Department of Economic and Social Affairs Population Division. ST/ESA/SER.A/403, December 2017
32 M.T. Bordogna, Donne e percorsi migratori. Per una sociologia delle migrazioni, Franco Angeli Ed., Milano, 2012, p.34
33 E. Kofman, Gendered global migration, Diversity and Stratification, in «International Feminist Journal of Politics», 6:4 December 2004, pp.643–665, p.646
26
che le donne migranti vivono, produce una sorte di una “non-presenza” che caratterizza la condizione dell’immigrato in quanto tale, che può essere compresa considerando l’intrecciarsi della dimensione soggettiva, relazionale e contestuale della donna migrante.34 In questi termini, l’incrocio tra la condizione di immigrata e di donna appare particolarmente significativo. Per il carattere dinamico, multidimensionale e stratificante dei flussi femminili sono necessarie chiavi interpretative e modelli teorici di analisi che siano capaci di coniugare la dimensione delle strutture micro con quelle macro e meso, come le teorie migratorie hanno mostrato.
L’oggetto delle analisi sono le donne in movimento, tradizionalmente dai paesi poveri verso quelli ricchi, dal Sud al Nord del mondo. Acquisendo una prospettiva teorica di tipo macrosociologico, i movimenti di ogni individuo si possono definire attraverso alcune importanti dimensioni strutturali. Un approccio strutturalista applicato a una prospettiva di genere poggia sull’assunto che a favorire i flussi migratori sia il processo di espansione del sistema capitalista e il funzionamento duale del lavoro. Un approccio di questo tipo, di stampo marxista, afferma che il radicarsi del sistema produttivo di tipo capitalistico ha portato ad uno sfaldamento delle comunità di origine, ad un aumento della povertà, allo sfruttamento, depauperamento delle risorse naturali e materiali, e al crescente ingresso nel mercato del lavoro delle donne. Questo fenomeno, in un’ottica d’ispirazione femminista post-coloniale si traduce in un mercato occidentale dove donne di economie avanzate operano una forma di sfruttamento meno evidente su donne provenienti da paesi in via di sviluppo. Ciò avviene nel momento in cui alle donne occidentali viene consentito, o quantomeno facilitato, il perseguimento degli obiettivi di successo e di carriera tipici degli universi valoriali capitalistici e post-capitalistici, a spese delle donne migranti.35 In questa teoria della dipendenza vi sono, oltre che fattori dal punto di vista dell’offerta di forza lavoro da parte delle lavoratrici migranti, anche fattori dal punto di vista della domanda, dei mercati dei paesi di destinazione, i quali manifestano una crescita della richiesta di manodopera femminile a basso costo, in virtù
34 Ivi, p.652
35 M. L. Zanier (a cura di) Migrazioni al femminile. Identità culturale e prospettiva di genere, Eum Edizioni, Macerata, 2006, p.27
27
del miglioramento delle condizioni economiche, del livello d’istruzione, della partecipazione al mercato del lavoro delle donne autoctone.36 La migrazione
delle donne verso i paesi in avanzato sviluppo viene così connessa al processo di globalizzazione delle tradizionali mansioni femminili, il che comporta una redistribuzione, anch’essa globale, dei compiti tradizionalmente spettanti alle donne.
La critica ad un approccio teorico di questo tipo, rileva come l’escludere ogni fattore, che non sia di natura economica, dalle variabili di spinta alla migrazione, non trovi effettivo riscontro in una realtà in cui la donna che migra è protagonista delle proprie scelte, capace di confrontarsi con il contesto familiare e comunitario rispetto alla scelta migratoria. È una realtà sempre più concreta di emigrazione di donne che mettono in atto strategie individuali che crescono e si sviluppano anche nell’ambito di strategie familiari, a dimostrazione che le dinamiche esistenziali e relazionali che vivono le migranti siano fattori sempre più rilevanti all’interno delle scelte migratorie. Nel contesto femminile, oltre alla dimensione delle reti sociali come concreta opportunità di intraprendere un percorso migratorio, alla base si possono trovare fattori di spinta come conflitti coniugali e familiari, violenze fisiche e psichiche. Studi fatti già negli anni Novanta hanno mostrato come molte donne, in situazioni di divorzio, separazione, lutto, abbiano optato per l’emigrazione dal proprio paese di origine per sottrarsi a società patriarcali e repressive.37
Le prospettive sociologiche che si rifanno al concetto di network, consentono di spiegare in modo solido perché i migranti decidono di intraprendere il loro viaggio, di orientarsi verso determinate mete, di collocarsi in determinate professioni e, in certi casi, di migliorare la propria posizione. Le reti agiscono come circuiti di reclutamento attivando dinamiche che possono acquisire autonomia nello spazio migratorio, attraverso la circolazione di informazioni, risorse economiche e sociali. L’effetto indesiderato dei network è dato dal fatto che molti aspetti personali come doti e aspirazioni, passino in secondo piano rispetto all’appartenenza collettiva di provenienza. Il risultato è che spesso i lavori svolti dagli immigrati non sono tanto l’esito di attitudini e di
36 M.T. Bordogna, op. cit. p.80 37 Ivi p.82
28
inclinazioni personali quanto il prodotto di reti informali e di processi di discriminazione in base alla quale i datori di lavoro considerano adatti gli immigrati di una certa provenienza ad occupare determinati lavori.38 È un
processo questo alla base anche dell’aumento della domanda in particolari settori lavorativi di manodopera femminile nel mercato dei paesi riceventi, sull’onda del processo di globalizzazione delle tradizionali mansioni femminili. Fenomeni rispetto ai quali gli studiosi affrontano tematiche riguardanti processi di filtraggio degli individui migranti attraverso le categorie di genere ed etnia, in un retaggio culturale di post-colonialismo che si ispira agli ideali del razzismo e del sessismo.
Per studiare le migrazioni femminili sotto una prospettiva transnazionalista, è utile analizzare i concetti di famiglia e maternità transnazionale, poiché questo tipo di legami riguardano quella tipologia di donne migranti che, nonostante lo spostamento fisico, mantengono una famiglia nel paese di origine la quale necessita di accudimento affettivo. È un fenomeno questo reso possibile dallo sviluppo tecnologico dei mezzi di trasposto è di comunicazione, i quali permettono di preservare l’unità familiare mantenendo legami affettivi di fronte a una prospettiva di distacco prolungato. La gestione attiva e continua della maternità transnazionale avviene anche a attraverso le rimesse, le quali possono essere la condizione indispensabile per permettere alle donne della famiglia rimaste nel paese d’origine, di svolgere il ruolo di surrogato della madre, senza delegittimarla. Un altro elemento interessante è costituito dal fatto che la migrazione delle donne deve essere vista non tanto come movimento lineare, quanto come un movimento continuo: individui mobili, circolanti, che migrano con il fine di ritornare nel paese di origine. Per tanto, altri studi hanno evidenziato come non necessariamente la vita familiare transnazionale rappresenti una parentesi temporanea, né tantomeno che debba sfociare in una rottura, ma che possa originare un nuovo assetto familiare. Ad esempio, il fenomeno del frontering indica dei processi negoziali di “riappropriazione e di utilizzo degli spazi delle reti familiari” da parte dei membri transnazionali della famiglia, attraverso un processo di
38 M.Ambrosini, M. Abbatecola, Migrazioni e Società, Franco Angeli Ed., Milano, 2009, p.29
29
“riposizionamento delle frontiere”, al fine di ridurre le distanze che li separano.39 Similmente, nel fenomeno denominato relativizing, si attiva un
processo di selezione dei legami parentali che consente di garantire e consolidare i diversi affetti degli attori in gioco.
L’interpretazione di questi fenomeni si origina in una prospettiva dei rapporti sociali determinati dal genere che identificano quali siano i ruoli adatti alle donne e agli uomini, Ad esempio, le famiglie transnazionali si differenziano considerevolmente a seconda del membro della famiglia che ha intrapreso il viaggio, se la donna o l’uomo. Quando colui che emigra è l’uomo, il compito che viene percepito come adatto consiste nell’adempiere alle proprie responsabilità di capofamiglia. Nella situazione in cui è la donna a emigrare, l’esperienza migratoria diventa un “viaggio complesso” che muta le relazioni di genere.40
Si tratta di concepire la migrazione della madre nell’ottica delle deprivazioni affettive per i familiari rimasti in patria, una sorta di dislocazione delle relazioni affettive che diventa un elemento costitutivo dell’identità delle donne migranti. Ciò che avviene è un riposizionamento a scala globale delle funzioni della riproduzione sociale, che tradizionalmente avvengono in ambiti ben circoscritti. Siamo in presenza di donne che dispiegano nello spazio e nel tempo la trasmissione affettiva, la quale riproduce un significato nuovo di maternità che si identifica nel ricercare risorse economiche per il mantenimento della famiglia. In questo modo avviene una riscrittura dello status genitoriale delle madri, che non sono più responsabili del mantenimento degli affetti fisici tipici del rapporto materno, il quale viene colmato dalla presenza delle altre donne della famiglia, portando ad una ri-articolazione dei ruoli femminili all’interno della comunità. Sulla scia del processo di globalizzazione delle tradizionali mansioni femminili si verifica il fenomeno denominato care drain, inteso come la perdita del “capitale umano e culturale” all’interno di una popolazione, ossia ciò che concerne la mancanza di cure e accudimento dei familiari dei migranti, a causa dell’erosione delle risorse di cura determinate dalla migrazione.41 Una
39 M.A. Borgogna, op. cit. p.86
40 P. Hondagneu-Soltelo, I’m here but i’m there. The meaning of Latina transnational
motherhood, in «Gender & Society», vol.11, n.5, pp.548-571, p.551
30
dinamica che spesso si stratifica in situazioni di welfare inesistenti dei paesi di partenza, talvolta anche su di un welfare inadeguato dei paesi di arrivo. Pertanto, la sottrazione di forza lavoro competente per determinate offerte di servizi locali, va a incidere sul mercato del lavoro del paese di partenza, oltre che di destinazione.
Dal momento che in molti dei paesi di interesse migratorio, soprattutto dove vi sono società che si strutturano su una concezione tradizionalistica della famiglia, spesso patriarcale, la maternità costituisce un elemento centrale nella costruzione dell’identità femminile, la scelta di migrare può determinare un profondo senso di colpa per la donna che la compie. In questo senso, le madri migranti cercano di mettere in atto strategie finalizzate ad adempiere alle responsabilità di cura, facendo leva sulle emozioni per rispondere alle problematicità della distanza temporale e spaziale, rappresentando il proprio percorso migratorio come l’unico sacrificio in grado di adempiere al ruolo di madri.42
Un riferimento importante, nello studio delle donne migranti, è il concetto di istituzione migratoria. Con tale termine s’intendono le agenzie e le organizzazioni che operano nel campo della migrazione e che hanno un ruolo cruciale nella femminilizzazione del mercato del lavoro globale. Oltre ai livelli istituzionali e governativi vi sono canali informali che contribuiscono a facilitare la migrazione, sia fornendo informazioni, risorse materiali e immateriali, sia fungendo da intermediari o da garanti, come connettori fra locale e globale. Nel modello migratorio della donna circolante siamo di fronte ad un’attività economica che consente di porre in connessione un ampio spazio transnazionale. Questo tipo di migrazione femminile oltre a soddisfare un’esigenza di autonomia economica-professionale senza abbandonare la responsabilità nella sfera produttiva, rappresenta un’esperienza personale complessa. Si tratta di una mobilità che consente di modellare una nuova personalità attraverso nuove pratiche di consumo, permettendo alle donne di mantenere la loro responsabilità riproduttiva e di ridurre i costi sociali e familiari a dispetto di situazioni in cui il trasferimento