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Il diritto al cibo: un diritto fondamentale difficile da rendere effettivo

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INDICE

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE p. 3

CAPITOLO 1

L'affermazione del diritto al cibo quale diritto fondamentale p. 16 1.1. L'articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti

dell'uomo p. 16

1.2. L'articolo 11 del Patto internazionale dei diritti economici,

sociali e culturali p. 18

1.3. Il Commento Generale n. 12 del Comitato di controllo del

Patto p. 24

1.4. Le linee guida sul diritto all'alimentazione p. 30 1.5. Ordinamento internazionale ed i giudici nazionali p. 43

1.6. La Carta di Milano p. 48

CAPITOLO 2

Gli strumenti internazionali volti a rendere effettivo il diritto

all'alimentazione p. 55

2.1. Premessa p. 55

2.2. Il Consiglio dei diritti umani e il diritto all'alimentazione p. 56 2.3. I mandati tematici del Consiglio p. 62 2.4. Il Relatore speciale sul diritto all'alimentazione p. 64 2.5. I metodi di lavoro del Relatore Speciale p. 70

2.5.1. Le visite in loco p. 74

2.5.2. Il rapporto finale p. 76

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Speciale p. 78 2.6. Gli ostacoli alla giustiziabilità del diritto al cibo evidenziati dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo

p. 82 2.7. Il seguito registrato nel corso della ventesima Sessione del

Consiglio dei Diritto Umani p. 90

CAPITOLO 3

Il contributo fornito dalla più recente attività svolta in seno alla

FAO p. 95

3.1. Premessa p. 95

3.2. L'anno internazionale del family farming p. 96 3.3. La giornata mondiale dell'alimentazione p. 100 3.4. La Seconda Conferenza Internazionale sull'alimentazione

p. 101 3.5. State of Food and Agricolture 2014 p. 105 3.6. Prospettive e sviluppi successivi alla 2015 Development

Agenda p. 107

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE p. 111

BIBLIOGRAFIA p. 117

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CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

Nonostante il diritto al cibo si configuri come un diritto umano fondamentale, esso viene negato ad un numero troppo alto di persone.

Secondo alcuni recenti dati della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura), circa 795 milioni di persone si trovano in una situazione di sottoalimentazione cronica; la maggior parte di esse è concentrata nei Paesi in via di sviluppo (circa 780 mila persone).

La situazione si presenta tale nonostante i continui sforzi dei vari attori internazionali tesi a garantire il diritto fondamentale all'alimentazione.

Giova ricordare che ancor prima che il diritto all'alimentazione si affermasse sul piano internazionale, un importante, anche se implicito, riconoscimento si è avuto a livello interno. Viene in rilievo al riguardo il celebre discorso del Presidente americano Roosvelt al Congresso degli Stati Uniti del 1941. La terza delle così dette Quattro libertà fondamentali richiamate dal Presidente (libertà di parola, libertà di culto, libertà dal bisogno e libertà dalla paura) era riferita alla libertà dalla fame.

Secondo la definizione classica, la fame è prodotta dall'accesso limitato ad una quantità sufficiente di cibo sano e nutriente.

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Questa ha come effetti essenziali l'indebolimento del sistema immunitario con gravi ripercussioni sullo stato di salute fisica e mentale delle persone ed in particolare di quelle categorie di persone che sono più vulnerabili: bambini, anziani, donne.

Pur sembrando concetti molto simili, denutrizione, malnutrizione ed insicurezza alimentare sono aspetti diversi che caratterizzano il fenomeno.

La denutrizione acuta è la conseguenza della costante carenza di cibo e di fattori nutrienti nell'organismo, o dell'incapacità di assorbirli causando così uno stato di salute debilitato.

La malnutrizione è uno squilibrio, prodotto per carenza o eccesso nell'assunzione di nutrienti necessari per una vita sana. Essa non dipende quindi solo dalla scarsità di cibo, ma anche dalla sovralimentazione, causa principale di sovrappeso ed obesità, e fenomeno in costante aumento in molti paesi.

L'insicurezza alimentare è il concetto centrale del fenomeno che vogliamo analizzare. L'insicurezza alimentare esprime la condizione delle persone che non hanno accesso fisico, economico e sociale al cibo. Le istituzioni internazionali ed il sistema della Nazioni Unite hanno definito questa condizione in positivo come Sicurezza Alimentare per prefigurarla come un pilastro connesso alla politiche di lotta alla povertà estrema. Per il World Food Summit del 1996 e successivamente per il CFS della FAO, sicurezza alimentare è "la situazione in cui tutte le persone

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in ogni momento hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti, che garantiscano loro le necessità e preferenze alimentari per una vita attiva e sana".

Sulla base di questa definizione, la FAO ha stabilito un indice per calcolare il livello di insicurezza alimentare nel mondo, attraverso la combinazione di quattro dimensioni differenti:

La disponibilità di cibo, intesa non solo in termini di quantità di cibo disponibile, ma anche di qualità e di diversità del cibo.

L'accesso al cibo, legato alla capacità delle persone di accedere al cibo fisicamente (infrastrutture, distanza dai mercati) ed economicamente (reddito procapite dedicato ai beni alimentari). L'utilizzazione, intesa come utilizzo del cibo in condizioni salubri, attraverso un adeguato accesso all'acqua e ai sevizi sanitari;

Ed infine la stabilità che riguarda la capacità di un sistema di garantire cibo adeguato in modo costante nel tempo, minimizzando i rischi dovuti a shock esterni (volatilità dei prezzi alimentari, dipendenza dalle importazioni ecc).

La fame ha una sua geografia più precisa nelle aree del mondo dove si sono registrati in parallelo picchi di endemicità e persistenza, accanto a minori progressi. La prima zona di questa emergenza permanente è l'Africa sub-sahariana dove una persona su quattro è denutrita rispetto al 1990 (preso come anno di riferimento per la misurazione dell'attuazione degli Obiettivi del

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millennio) si registra un regresso relativo quanto agli individui che soffrono la fame, dal 33% al 23,8%.

In termini numerici è l'Asia, maggiore produttrice mondiale di riso, il continente dove il fenomeno si manifesta in maniera più rilevante: nel 2014, 526 milioni di individui risultano afflitti dalla fame, una cifra pari a due terzi delle persone denutrite nel mondo. L'America Latina è invece l'area dove si sono registrati i maggiori progressi, sopratutto grazie alla capacità di coniugare specifiche politiche di sicurezza alimentare con programmi di contrasto alla povertà e alla diseguaglianza. Portiamo a titolo di esempio quanto fatto in Brasile con la campagna "Fame Zero", che in pochi anni ha consentito a 30 milioni di persone di uscire dall'insicurezza alimentare.

Analizzando la condizione di coloro che vivono o che rischiano costantemente la fame, i dati FAO rilevano che circa la metà di essi, 460 milioni di persone, vivono in zone rurali soprattutto dell'Africa e dell'Asia e che si tratta in larga parte di contadini produttori di cibo.

In particolare, piccoli o piccolissimi produttori stanziati in zone rurali marginali esposte a disastri naturali, quali inondazioni ricorrenti o siccità. A questi si aggiungono poi 160 milioni di poveri rurali, che vivono della raccolta o della trasformazione del cibo, come pescatori artigianali o minoranze indigene tradizionalmente discriminate o marginalizzate.

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La terza componente, in forte crescita, della "popolazione della fame" è costituita dai poveri urbani che vivono ai margini della grandi megalopoli, sopratutto dei Paesi in via di sviluppo, che spendono tra il 60% e l'80% del loro reddito per alimentarsi. Questa categoria di individui è in aumento a causa degli scarsi investimenti in agricoltura e per gli effetti dei cambiamenti climatici e della discriminazione di alcune aree rurali.

La speranza per decine di milioni di persone è quella di cogliere una opportunità di vita migliore, nelle periferie delle metropoli, speranza che spesso si rivela vana.

Il problema della fame è quindi caratterizzato dal paradosso che essa riguarda in gran parte coloro che sono direttamente coinvolti nella produzione o nella trasformazione del cibo. A partire dai piccoli produttori che coltivano appezzamenti di terra di due ettari e la cui possibilità di sfamarsi è legata a quello che producono. Si calcola che circa due miliardi e mezzo di persone dipendono direttamente dall'agricoltura di piccola scala come impiego diretto o indiretto. I piccoli agricoltori gestiscono circa l'80% delle piccole imprese a livello mondiale. Sempre secondo i dati FAO, si tratta di 475 milioni di piccole o micro aziende che contribuiscono alla produzione di circa l'80% di tutto il cibo consumato nei Paesi in via di sviluppo.

I piccoli produttori contadini, spina dorsale del sistema alimentare mondiale, sono anche tra le prime vittime della fame, perché

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marginalizzati in termini di accesso alle risorse fondamentali come terra e acqua, ma anche dal credito e dal mercato.

Il secondo paradosso è costituito dallo spreco strutturale del sistema alimentare che è l'altra faccia della fame. I dati FAO ci dicono che 1300 milioni di tonnellate di cibo finiscono nelle discariche ogni anno, producendo enormi costi aggiuntivi per la loro gestione, sia in termini economici che di impatto ambientale sulle risorse naturali. Le cause sono molteplici: partono dalla catena di produzione e distribuzione del cibo, dalle regole commerciali e di vendita e arrivano ai comportamenti alimentari indotti dal marketing alimentare. Tre interventi di carattere generale sono necessari e consigliati dalla stessa FAO: la riduzione dello spreco attraverso il riequilibrio e una migliore programmazione della domanda e dell'offerta, che consentirebbe un minore uso delle risorse naturali; il riuso del cibo all'interno della catena di produzione alimentare, attraverso mercati secondari ed un sistema di dono organizzato in modo efficiente, il riciclo e la trasformazione ad esempio in energia, a parziale mitigazione del danno.

Poiché la fame, che come abbiamo visto è concentrata in alcune aree specifiche del pianeta, non è un risultato della scarsità, dobbiamo convenire che il premio Nobel Amertya Sen che diceva più di trent'anni fa che "la condizione di alcune persone che non hanno abbastanza da mangiare non è il risultato del non esserci

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abbastanza cibo". La fame è il risultato di un sistema iniquo che intensifica la povertà, disuguaglianza ed esclusione. Questa evidenza è ulteriormente provata dal fatto che la produzione di cibo, a partire dagli anni '70, è aumentata più velocemente della crescita della popolazione.

Quindi il cibo prodotto potrebbe essere sufficiente per tutti. Emerge invece una squilibrata distribuzione degli aumenti di produzione del cibo tra le aree del pianeta, sia in termini di volumi complessivi, che di tipologia di colture e sopratutto di destinazione finale.

Per la FAO, nel 2014 su due miliardi di tonnellate di grano prodotte a livello mondiale solo la metà è servita per il fabbisogno alimentare: il resto è stato destinato per sfamare gli animali o per produrre energia, trasformando il grano in biocarburanti o biogas. La povertà è certamente una delle cause alla base della fame. Essa si associa, come detto, alla mancanza di accesso alle risorse naturali, all'istruzione (che è uno strumento di emancipazione essenziale dalla povertà), al credito bancario indispensabile per migliorare le produzioni. La povertà e la scarsità di reddito impediscono di acquistare il cibo necessario alle proprie famiglie. Esiste quindi un circolo vizioso tra povertà e fame. Dati recenti della Banca Mondiale stimano che il 17% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo, circa un miliardo di persone vivono in condizioni di povertà estrema con meno di 1,25

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dollari al giorno. Questo numero è ampiamente sovrapponibile agli 800 milioni di persone che convivono con lo spettro della fame. Il secondo fattore accanto alla povertà è costituito dai cambiamenti climatici e dalle crisi ambientali che contribuiscono all'aumento esponenziale dei rischi. L'aumento delle temperature, i fenomeni meteorologici sempre più catastrofici come inondazioni e siccità, portano ad un incremento dei prezzi, spazzando via interi raccolti e allevamenti di bestiame. A partire dagli anni '60 le principali colture agricole hanno subito un declino del 2% ogni dieci anni. L'IPCC dell'ONU, costituito da un gruppo di scienziati di alto livello, stima che secondo gli attuali andamenti climatici il prezzo dei generi alimentari potrebbe aumentare, al 2050, dell'84%.

Di fronte alla situazione descritta è urgente una nuova visione che modifichi molti dei concetti e dei paradigmi stessi che l'hanno prodotta. Dall'analisi dei problemi è tempo che si passi ad individuare situazioni innovative.

Le ONG europee della Confederazione di Concord, sulla base delle proprie esperienze e in collaborazione con le associazioni della società civile e delle reti contadine con cui operano in tanti Paesi del mondo, hanno elaborato il documento "Giustizia, democrazia, diversità, dei nostri sistemi alimentari". Il documento, contiene proposte per suscitare un confronto con tutti gli attori

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coinvolti nel sistema alimentare e con le istituzioni europee ed internazionali.

Se il tema della fame si deve affrontare efficacemente, perché il cibo è un diritto essenziale, è necessario stabilire un criterio di giustizia che affermi il concetto di sovranità alimentare, che dia ai contadini il diritto di produrre e commerciare il cibo secondo modalità eque appropriare e sostenibili. È un cambiamento di prospettiva che indica la priorità del diritto al cibo rispetto alle esigenze del mercato globale e delle grandi corporations del settore agro-alimentare.

Questo approccio basato sui diritti umani pone una particolare attenzione ai soggetti e alle fasce di popolazione particolarmente esposte e vulnerabili alla fame. Partendo dalle domande fondamentali, che riguardano l'intera catena della produzione alimentare, dai produttori ai consumatori: chi produce il cibo? Per chi viene prodotto. A quale prezzo e con quale qualità nutritiva? Si propone quindi di riconoscere che alla base del sistema alimentare che nutre la maggioranza della popolazione del pianeta vi è la dimensione agricola familiare, di piccola scala e locale. Questo è il punto di partenza imprescindibile per rendere concreto il diritto al cibo e alla nutrizione.

In particolare, le donne sono un motore di questo possibile cambiamento. Le contadine sono il 43% della forza lavoro in agricoltura ed in molte comunità esse hanno la principale

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responsabilità della produzione del cibo. Inoltre le donne contadine seguono il processo di trasformazione del cibo fino alla sua preparazione, attraverso il lavoro di cura familiare ne fanno un uso appropriato e ne combinano i benefici con igiene e salute dei figli e del nucleo familiare. Nonostante questo ruolo essenziale, subiscono spesso il fenomeno della "discriminazione alimentare". Le donne sono infatti più soggette agli effetti della malnutrizione, patiscono i maggiori ostacoli per l'accesso alle risorse produttive ed in molti Paesi vengono discriminate nei diritti di proprietà della terra. Solo rafforzando la capacità delle donne contadine attraverso la realizzazione dei loro diritti si potrà costruire un sistema alimentare più equo e più giusto.

Fondamentale, in questa visione, il principio secondo cui il sistema alimentare debba essere partecipativo e democratico. Un sistema nel quale le comunità, dal livello locale al livello globale, possano far sentire la loro voce, mettendo al centro i loro bisogni e le loro aspirazioni. Infatti i produttori contadini hanno come primo bisogno la necessità di controllare le proprie risorse produttive, autodeterminando le loro condizioni di vita. Ai lavoratori dell'agricoltura debbono essere assicurati non solo il diritto al cibo ma anche condizioni di vita di lavoro dignitoso. Probabilmente è proprio questo il primo passo per garantire la sicurezza alimentare.

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Un cambiamento di questa natura consentirebbe di orientare la catena produttiva alimentare all'interno dei limiti del pianeta e tenendo conto della finitezza delle risorse. Senza una transizione ecologica dei modi della produzione agricola appare difficile incidere sulle cause di un sistema che si presenta a forte impatto dissipativo ed energivoro: dai trasporti allo sfruttamento intensivo della terra, alla riduzione della biodiversità, agli sprechi. In sostanza bisogna riorientare lo squilibrio che oggi caratterizza un modello duale tra l'agricoltura industriale, o meglio il cosiddetto agro-business, e un modello sostenibile di agricoltura argo-ecologica.

Un'agricoltura diversa può essere quindi anche parte della soluzione del problema ambientale, se si trasformerà in senso agro-ecologico.

Questa trasformazione, che mette i contadini al centro, garantirebbe approcci sostenibili attraverso la cura e la "malnutrizione del mondo", garantita dagli stessi produttori contadini. Questa scelta assicurerebbe non solo la sostenibilità, ma una resilienza più efficace, consentendo una diversa capacità del sistema di rispondere agli shock che si producono a livello ambientale, mitigandone nel breve periodo l'intensità e, attraverso politiche adeguate, cominciando a rimuoverne le cause nel medio periodo.

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Sulla base di questa visione è quindi possibile avanzare delle soluzioni, ribadendo il presupposto essenziale della partecipazione nei processi decisionali e della democrazia, per costruire un sistema di governance democratica globale del sistema alimentare. Senza queste premesse il principio del diritto al cibo come diritto umano, la sicurezza alimentare e la sovranità alimentare sono destinati a rimanere auspici.

Per incamminarci in questa direzione è necessario costruire un'alleanza, a livello locale, nazionale e globale, della maggioranza della popolazione interessata a questo cambiamento: piccoli contadini, lavoratori dell'agricoltura e soprattutto consumatori di ogni parte del mondo.

In questo senso alcuni passi sono stati compiuti. All'interno del sistema delle Nazioni Unite il CFS (Comitato per la sicurezza alimentare) nel 2009 è stato profondamente riformato, diventando una piattaforma intergovernativa che si propone di favorite, attraverso il coordinamento e la partecipazione di tutti gli attori, una migliore governance del sistema alimentare globale.

La stessa Unione Europea in questo caso si propone come un buon esempio, essendo l'unica organizzazione regionale del mondo istituzionale e legalmente obbligata a dare conto degli impatti sociali e ambientali delle sue politiche agricole. L'agricoltura è anche una delle aree chiave quanto all'attuazione dell'obiettivo della coerenza delle politiche per lo sviluppo per il

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quale l'Unione deve tener conto degli obiettivi della cooperazione allo sviluppo nell'attuazione di tutte le politiche che possono aver incidenza sui Paesi in via di sviluppo. Essa è quindi sottoposta a analisi e valutazioni pubbliche, a partire dal Parlamento europeo, quanto alla coerenza delle politiche e dei programmi di finanziamento con le necessità di sviluppo.

In questa trattazione passeremo in rassegna le principali norme internazionali che regolano il diritto al cibo ed alcuni strumenti che possano rendere effettivo tale diritto. In particolare. ci soffermeremo sul ruolo del Consiglio dei diritti umani, organo sussidiario dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, nella protezione del diritto all'alimentazione. Oggetto di specifica disamina sarà l'attività del Relatore speciale sul diritto all'alimentazione, che, come è noto, opera in seno al predetto Consiglio nell'ambito delle c.d. Procedure speciali a tema. L'analisi procederà con l'approfondimento del modus operandi del Relatore, con attenzione alla prassi, in particolare con riferimento allo strumento di controllo basato sulle visite in loco. Infine, nell'ultima parte del lavoro verrà data una valutazione sul Contributo del Relatore Speciale alla promozione e tutela del diritto all'alimentazione, evidenziando gli aspetti positivi e le criticità che caratterizzano il suo mandato.

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CAPITOLO 1

L'affermazione del diritto al cibo quale diritto fondamentale

1.1. L'articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo

Iniziando dall'analisi delle fonti normative internazionali relative al diritto al cibo, la prima che viene in rilevo è la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.

L'art. 25 della Dichiarazione afferma, al primo paragrafo, che "Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita adeguato a garantire la salute ed il benessere per sé e per la propria famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, alle cure mediche ed ai servizi sociali necessari ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà".

Questa è la prima formulazione, ancora molto elementare, di questo diritto. Qui il diritto all'alimentazione viene fatto rientrare in

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un più ampio concetto di diritto ad un livello di vita adeguato, come semplice parte di un elenco di diritti economici e sociali.

L'argomento è stato molto dibattuto durante il processo di elaborazione dell'articolo ed alcune proposte miravano a dare maggiore autonomia e rilievo al diritto in questione.

Nella formulazione finale però si è preferito scegliere una sola previsione che contenesse tutti gli aspetti legati al "livello di vita adeguato".

In realtà da un'attenta analisi della versione finale si nota che essa non è deludente, in quanto presuppone che l'alimentazione di cui si parla deve essere adeguata al raggiungimento di un livello di vita dignitoso, in questo modo dunque non viene ridotta solamente alla libertà dalla fame.

Secondo l'articolo 25, quindi, la persona avrà diritto ad avere a disposizione una quantità di cibo adeguata al raggiungimento di un livello di vita dignitoso.1

La Dichiarazione universale, in quanto risoluzione adottata dall'Assemblea Generale dell'ONU, però non costituisce un documento vincolante per gli Stati, ma una semplice raccomandazione, anche se la sua influenza sullo sviluppo del diritto internazionale è risultata enorme. Più nello specifico occorrerà attendere il Patto delle Nazioni Unite sui diritti

MARIA LETIZIA PERUGINI, Il diritto all'alimentazione e la sicurezza 1

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economici, sociali e culturali del 1966 affinché il predetto diritto sia contemplato in uno strumento giuridico obbligatorio. La dottrina ha rilevato però che nel tempo la Dichiarazione ha acquisito un valore giuridico diverso, alcune delle sue norme hanno acquisito carattere consuetudinario.2

1.2. L'articolo 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali

L'art. 25 della Dichiarazione ha fornito ispirazione per la redazione dell'art. 11 del Patto sui diritti economici, sociali e culturali, trattato internazionale adottato a New York il il 16 dicembre del 1966 ed in vigore dal 23 marzo del 1976.

L'art. 11 del Patto riprende soltanto in parte il contenuto della Dichiarazione del 1948 prevedendo che il diritto all'alimentazione sia un elemento essenziale del diritto di ciascun individuo ad un livello di vita adeguato (par. 1). A differenza però della Dichiarazione, accanto al diritto all'alimentazione, il Patto al paragrafo 2 sancisce anche "il diritto fondamentale alla libertà dalla fame".3

MANCA, Il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto 2

all'alimentazione, in Ordine internazionale e diritti umani, 2015, p. 632. MANCA, Il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto 3

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Analizzando dal punto di vista formale l'articolo in questione, si evincono alcuni dati importanti. Innanzitutto il diritto ad essere liberi dalla fame viene definito come "fondamentale", ed è l'unica volta che questa norma viene usata nel testo del Patto, questo aggettivo non viene associato a nessun altro diritto.

Secondo dato rilevante è che dal testo dell'articolo risulta essenziale il ruolo che riveste la "cooperazione internazionale", esso infatti viene ripetuto due volte nel testo dell'articolo. Fin da subito ci si rende quindi conto del ruolo fondamentale che riveste la solidarietà tra gli Stati. Questa, infatti, è centrale nella realizzazione di tale diritto, in quanto un singolo Stato, se da solo, non può risolvere problemi legati alla struttura dei mercati internazionali o ai problemi climatici globali. Resta fermo naturalmente il fatto che il primo responsabile nella protezione e realizzazione del diritto al cibo sia lo Stato.

Un altro elemento importante è che nei due paragrafi dell'articolo si possono notare due formulazioni del diritto all'alimentazione che rappresentano due concetti diversi: nel primo paragrafo si parla di "diritto a un'alimentazione adeguata", nel secondo invece si fa riferimento al "diritto di ogni individuo ad essere libero dalla fame". In realtà la seconda formulazione ha alla base una ragione storicamente determinata, infatti appartiene ad un momento precedente e venne inserita per riprendere e dare maggior forza

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legale alla campagna mondiale Freedom from Hunger lanciata nel 1960 dalla FAO.

La prima formulazione ha un ambito di applicazione ed una portata più ampi, e probabilmente è la più corretta da utilizzare. In essa infatti viene esplicitato il concetto dell'Adequacy contenuto già nell'art. 25 della Dichiarazione del 1948.

Per quanto invece riguarda i destinatari, l'art. 11 individua un ruolo centrale delle cooperazione internazionale, questo presuppone in ogni caso che i protagonisti della realizzazione delle diritto al cibo siano gli Stati che riconoscono il diritto e si impegnano "to take appropriate steps to ensure the realization of this right".

I beneficiari del diritto risultano essere invece le persone, il diritto infatti è formulato come "the right of everyone".

Una volta individuati i destinatari del diritto in questione, dobbiamo capire quali siano i doveri per gli Stati derivanti dall'affermazione del diritto.

In linea generale si può dire che il punto maggiormente rilevante è il riconoscimento della necessità di sviluppare a livello nazionale un insieme di norme che riflettano e soddisfino l'obbligo assunto dallo Stato a livello internazionale di promuovere la realizzazione del diritto di ognuno ad un cibo adeguato. Per fare questo l'articolo inserisce due livelli: il piano nazionale nell'art. 11 par. 1 (a), e il livello internazionale nell'art. 11 par 1 (b).

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I tre principali obiettivi individuati nel piano nazionale sono il miglioramento nella produzione, nella conservazione e nella distribuzione del cibo.

L'articolo aggiunge anche alcune indicazioni su come giungere alla realizzazione di tali obiettivi: gli Stati dovranno dare piena applicazione alle conoscenze tecniche e scientifiche, dovranno contribuire alla diffusione di nozioni relative ai principi della nutrizione e sviluppare o riformare i sistemi agrari.

Per quello che concerne invece il modo di realizzazione di tale obiettivi l'articolo appare generico. Questo afferma infatti l'obbligo di procedere per gradi (to take step), parlando quindi di una realizzazione progressiva che dovrà attuarsi tenendo conto dei campi di azione enunciata.

Si può dunque affermare che l'art. 11 dà delle indicazioni di massima ma che poi ogni Stato dovrà agire a seconda della propria situazione interna contingente.

Per quanto riguarda la seconda parte sugli obblighi a livello internazionale, si è già osservato come la cooperazione internazionale abbia un ruolo fondamentale. Infatti già nel 1966 risultava chiaro come alla base dei problemi legati alla fame non ci fosse solo una scarsa produzione del cibo, quanto piuttosto la sua distribuzione. L'articolo insiste infatti sulla necessità per gli Stati di accordarsi affinché sia assicurata una distribuzione del cibo equa

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a livello globale, con particolare riferimento all'esportazione e importazione di questo.

Nella parte finale del testo dell'articolo è stato inserito il termine "problems" e non "interest" come era stato programmato all'inizio. Questo per sottolineare come l'idea di base che ha ispirato la norma è di tipo sociale ed umanitario, con l'intenzione di eliminare qualsiasi interpretazione economica del diritto in questione.4

Come abbiamo osservato l'articolo 11 del Patto per i diritti economici, sociali e culturali fornisce ulteriori indicazioni rispetto alla formulazione dell'art. 25 della Dichiarazione e rimane la disposizione chiave per quanto riguarda l'affermazione del diritto al cibo sul piano universale, anche se il diritto è oggi affermato in altri trattati universali relativi alla particolare protezione di categorie di individui o a carattere regionale.

Il Patto del 1966 ha avuto un buon successo di partecipazione, risultando oggi vincolati da tale trattato 164 Stati (anche se vi è qualche grande eccezione, principalmente gli Stati Uniti d'America).

Per molto tempo si è sostenuto che il diritto al cibo, come in genere i diritti economici, sociali e culturali, abbia un contenuto eccessivamente vago e quindi di natura di norma programmatica. Non ci sarebbero cioè obblighi precisi a carico degli Stati, ma

MARIA LETIZIA PERUGINI, Il diritto all'alimentazione e la sicurezza 4

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semplici impegni a carattere politico, non "giustiziabili", cioè non suscettibili di dar luogo a pretese o azioni di fronte ad un giudice sia esso internazionale o interno.

Riferendosi a tale convinzione, nel ripercorrere gli sviluppi del diritto al cibo Oliver de Shutter, ex relatore speciale ONU, ha scritto che al momento dell'adozione del Patto il diritto al cibo rappresentava "qualcosa di più di un simbolo, ma poco più che un'aspirazione"; a suo parere, però, oggi il diritto al cibo costituirebbe uno strumento operativo effettivo e una chiave per il successo nella lotta internazionale contro la fame.

Si tratterebbe di una convinzione conclusione corretta: ma quali argomenti la giustificano?

Ancora nel 1984 si giunse alla conclusione che per essere effettivamente operativa la norma richiedesse ulteriori elaborazioni: fu allora suggerito di intraprendere, sulla base di quanto previsto dall'art. 23 del Patto del 1966, la via dell'adozione di un apposito protocollo volto a deliberare più compiutamente le implicazioni normative del diritto al cibo. Ma importanti progressi sono stati comunque realizzati negli anni successivi, nella direzione di una migliore definizione del diritto all'alimentazione, e ciò anche indipendentemente dall'adozione di un protocollo.

Fu comunque al Vertice mondiale sull'alimentazione (World Food Summit), tenuto nel 1966 sotto gli auspici della FAO, a portare al

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centro dell'attenzione della Comunità internazionale il diritto al cibo.

Questo è solennemente affermato in apertura della Dichiarazione sulla sicurezza alimentare adottata dai Capi di Stato e di Governo intervenuti al vertice. Ma in particolare il Vertice mise a fuoco la necessità di una compiuta elaborazione del diritto al cibo. Il piano d'azione adottato dal Vertice impegna infatti i firmatari "a chiarire il contenuto del diritto a cibo adeguato e del diritto fondamentale di ciascuno a essere libero dalla fame, come riconosciuto nel Patto sui diritti sociali, economici e culturali ed in altri trattati internazionali o regionali, e a prestare particolare attenzione all'attuazione e alla piena e progressiva realizzazione di questo diritto quale mezzo per assicurare la sicurezza alimentare per tutti" (Obiettivo 7.4).5

1.3. Il Commento Generale n. 12 del Comitato di controllo del Patto

Rispetto al contenuto prescritto dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, l'opportunità di analizzare l'art. 11 per una più completa definizione materiale del diritto al cibo è stata

GESTRI, Il diritto fondamentale al cibo: quale il contributo della Carta 5

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colta dal Comitato di controllo del Patto, organo indipendente di supervisione sulla applicazione del Patto, il quale ha adottato nel 1999 il Commento Generale n. 12 sul tema.

Il suddetto Comitato è composto da 18 esperti indipendenti eletti per un periodo di quattro anni dagli Stati membri. L'organo esamina i rapporti periodici sul rispetto del Patto internazionale presentati dai singoli Stati e può formulare raccomandazioni e richiami nei loro riguardi.

Tornando al Commento che ci interessa, in primo luogo questo cerca di dare una definizione del diritto a cibo adeguato.

In base al paragrafo 6 del Commento, il diritto è soddisfatto quando ogni uomo, donna, o bambino, da solo o in comunità con altri, ha in ogni momento fisicamente o economicamente accesso a cibo adeguato o ai mezzi per procurarselo.

In un paragrafo successivo il Comitato rileva che il contenuto essenziale del diritto al cibo presuppone: a) "la disponibilità di cibo che sia quantitativamente sufficiente a soddisfare i bisogni alimentari degli individui, libero da sostanze nocive e accettabile all'interno di una certa cultura; b) l'accessibilità di tale cibo secondo modalità sostenibili e che interferiscano col godimento di altri diritti umani".

La nozione di adeguatezza del cibo accessibile ad ogni individuo ha subito un'importante evoluzione in virtù della quale si pone attenzione non soltanto alla qualità del cibo disponibile e alla

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relativa capacità nutrizionale ma anche alla sicurezza del cibo (food safety) e alla sua accessibilità in riferimento ad una determinata cultura.

Per quanto invece riguarda la natura degli obblighi posti a carico degli Stati, il Comitato riconosce la disposizione dell'art. 2 par. 1, del Patto e l'interpretazione della norma delineata nel suo Commento generale n. 3 del 1990.

Ai sensi dell'articolo art 2, par 1, ciascuna delle parti si impegna a operare, sia individualmente sia attraverso l'assistenza e la cooperazione internazionale, specialmente nel campo economico e tecnico, con il massimo delle risorse di cui dispone, al fine di assicurare progressivamente con tutti i mezzi appropriati, compresa in particolare l'adozione di misure legislative, la piena attuazione dei diritti riconosciuti nel Patto.

Si parla infatti di un obbligo di attuazione progressiva dei diritti economici, sociali e culturali.

Il riferimento alle risorse a disposizione di ogni Stato implica inoltre una differenza nella responsabilità, nel senso che un Paese povero non è obbligato a garantire gli stessi livelli di tutela o servizi che potrà fornire un paese ricco. Secondo il Comitato, la disposizione impone in ogni caso "un obbligo di progredire tanto speditamente quanto possibile" nella direzione dell'attuazione del diritto. Inoltre, ogni Stato è comunque obbligato "ad assicurare a ogni individuo sotto la sua giurisdizione l'accesso a un minimo

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essenziale di cibo che sia sufficiente, nutrizionalmente adeguato e sicuro, e a garantire la libertà di ciascuno dalla fame".

La garanzia di godimento del diritto al cibo è letta dal Comitato nella prospettiva dell'obbligo a carico degli Stati contraenti di assicurare l'accesso nel rispetto dei principi di adeguatezza, sostenibilità e disponibilità: essa si declina nell'obbligo di rispetto, di protezione e di soddisfazione del diritto in parola.

Il primo consiste nella mancata adozione di misure che potrebbero impedire l'esercizio del diritto. In particolare, l'obbligo di rispettare richiede agli Stati di non porre in essere alcuna misura che possa privare un individuo dell'accesso al cibo adeguato. Alcuni esempi concreti: lo Stato non rispetta il diritto al cibo quando un governo decide arbitrariamente di espellere delle persone dalle loro terre o di spostarle, in particolare quando tali terre sono la fonte principale della loro alimentazione. Oppure quando un governo introduce scientemente sostanze tossiche nella catena alimentare. Oppure quando uno Stato sopprime un aiuto sociale senza essersi assicurato che i gruppi vulnerabili possano provvedere con altri mezzi alla propria alimentazione.

Nel caso di conflitto armato questo obbligo significa che i governi e gli altri gruppi sociali debbano astenersi dal distruggere le risorse produttive o di bloccare, ritardare l'invio di viveri per il soccorso della popolazione civile.

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Il secondo implica, al contrario, l'adozione di misure strumentali in favore dei titolari del diritto affinché possano esercitarlo. Implica l'obbligo di vigilare e adottare misure volte a prevenire comportamenti da parte di soggetti singoli, soggetti alla giurisdizione dello Stato, tali da privare altri individui dell'accesso al cibo adeguato (ad es., prevenire forme di inquinamento di colture o risorse da parte di imprese private).

Significa che lo Stato è tenuto a promulgare leggi che impediscano ai privati o agli organismi di violare il diritto. Sempre a carico dello Stato vi è l'obbligo di produrre leggi che proteggano i consumatori dai prodotti alimentari nocivi.

Il terzo importa a carico dello Stato sia un obbligo di promozione attiva di misure ed azioni che rafforzino le modalità di accesso al cibo, sia un obbligo di sostegno diretto ai titolari, individuali e collettivi, impossibilitati ad accedervi.

Significa che lo Stato deve prevedere provvedimenti concreti per individuare i gruppi vulnerabili, chi tra la popolazione è soggetto alla violazione del diritto all'alimentazione e mettere in opera politiche indirizzate ad assicurare loro l'accesso ad un'alimentazione adeguata favorendo la loro capacità di provvedere ai propri bisogni alimentari.

Questo implica il miglioramento delle prospettive di impiego istituendo prima programmi di riforma agraria a beneficio di gruppi che non possiedono la terra, oppure ad esempio programmi di

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distribuzione gratuita di latte nelle scuole per migliorare l'accesso alla nutrizione per i bambini.

Non si tratta solo di favorire l'accesso al cibo ma di intervenire concretamente per non far morire di fame persone che non hanno nessuna possibilità di accedere ai mezzi per procurarsi il cibo. Quest'ultimo obbligo sussiste nei riguardi delle persone detenute ma anche nei confronti delle vittime di catastrofi naturali o altri disastri.6

Qualora tali obblighi siano violati o per motivi di carattere volontario e per una reale impossibilità, lo Stato contraente è chiamato a rispondere a livello internazionale e deve fornire ampie motivazioni atte a giustificare la violazione. In linea generale tali situazioni si verificano allorché lo Stato non abbia legiferato in modo completo sul tema, o abbia impedito l'accesso al cibo a particolari categorie di soggetti adottando una legislazione discriminatoria, o ancora non abbia assicurato una adeguata assistenza, ordinaria o d'emergenza, nei processi cooperativi internazionali.

D'altra parte è vero anche che, conseguentemente all'alto numero di Stati contraenti, e dunque di una ampia applicazione delle previsioni in esso contenute nella formula dell'obbligo, ad essi è pur sempre lasciato un certo margine di discrezionalità per la

GESTRI, Il diritto fondamentale al cibo: quale il contributo della Carta 6

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determinazione delle migliori misure attuative del Patto, siano esse tradotte in strumenti legislativi o anche in strategie o piani nazionali, i quali debbono tuttavia rispondere a criteri sistematici, strutturali e temporali, e devono rinviare appunto alla legislazione nazionale in vigore, possibilmente contraddistinta da un impianto ampio soprattutto in ordine alla cooperazione tra attori istituzionali e non, internazionali e nazionali.

In linea con le indicazioni interpretative del Comitato di controllo del Patto, il Relatore Speciale ha proposto una sua definizione della fattispecie in esame: il diritto al cibo è il diritto ad un accesso regolare, permanente ed illimitato, diretto o sostenuto finanziariamente, ad un cibo quantitativamente e qualitativamente adeguato è sufficiente, nel rispetto delle tradizioni culturali del consumatore, e tale da assicurare una condizione di benessere fisico e mentale, sia individuale che collettiva, ed una vita dignitosa.7

1.4. Le linee guida sul diritto all'alimentazione

CARLETTI, Il diritto al cibo, tra accessibilità e giustiziabilità. Il 7

contributo del Relatore Speciale delle Nazioni Unite al dibattito sul tema, in Ordine internazionale e diritto umani, 2015, p. 384.

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Un altro strumento elaborato per la progressiva affermazione del diritto all'alimentazione nell'ampio panorama della Nazioni Unite su questo tema sono le Linee Guida Volontarie.

Si tratta di uno strumento di soft law adottato dal Consiglio della FAO nel novembre del 2004 e che rappresenta una sorta di codice di condotta che fornisce indicazioni molto ampie sulle azioni da mettere in campo per sconfiggere la fame e realizzare il diritto ad un'alimentazione adeguata. Queste direttive volontarie sono uno strumento pratico per assistere i paesi nei loro sforzi per eliminare la fame. Si tratta di un insieme coerente di raccomandazioni riguardanti il lavoro, la terra, l'acqua, le risorse genetiche, le reti di sicurezza sociale, la scolarizzazione etc. ed intendono incoraggiare lo stanziamento di risorse di bilancio a favore di programmi contro la fame e la povertà.

L'idea di un codice di condotta era stata lanciata dalle organizzazioni non governative che avevano partecipato al World Food Summit del 1996, e in effetti il ruolo della società civile nell'adozione delle Linee Guida è stato fondamentale.

Durante la fase preparatoria del vertice del 1996 alcuni Stati dell'America Latina (Cile e Venezuela), avevano sollevato la questione della necessità da parte della FAO di elaborare un nuovo strumento teso a fissare norme sul diritto all'alimentazione sotto forma di un codice di condotta per gli Stati, e su questo venne richiesto il contributo delle ONG.

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La bozza del codice venne elaborata dalle ONG nel corso del vertice parallelo a quello ufficiale che si svolgeva alla FAO.

Le ONG scelsero di elaborare un codice di condotta per rendere più facile l'accettazione di questo da parte degli Stati, i quali non avrebbero mai ammesso di firmare un patto vincolante in materia. Questo avrebbe infatti significato dare il via all'elaborazione di patti su altri diritti ad esempio quello alla salute e all'educazione. Il codice di condotta elaborato dalle ONG divenne la base per i successivi momenti di riflessione su questo progetto.

Nel 2002 si tiene un nuovo World Food Summit per valutare i risultati ottenuti dopo cinque anni di lavoro. Ancora una volta, la situazione che è emersa è grave, molti sforzi sono stati fatti ma c'è ancora lavoro da fare. Infatti la quantità degli affamati non è dimezzata con lo scadere del 2015, come era stato fissato dagli obiettivi di sviluppo del millennio.

È in questa occasione che viene rilanciata l'idea del codice di condotta.

I negoziati in seno al WFS portano ad un accordo collettivo sulla necessità di elaborare un documento di questo tipo sotto l'auspicio della FAO. Nel 2002 al termine del WFS viene così lanciata l'Alleanza Internazionale contro la Fame con la quale i capi di Stato e di governo danno al Consiglio della FAO il compito di nominare i componenti di un working Group intergovernativo che in un periodo di due anni elabori della Linee guida.

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Le Linee Guida vengono presentate nel 2004 e sono indirizzate a tutti gli Stati della comunità internazionale, anche a coloro che non hanno ratificato gli strumenti internazionali nei quali è previsto il diritto al cibo. Non si tratta di norme che creano nuovi obblighi giuridici, quanto piuttosto di una vera e propria guida pratica rivolta agli Stati ed a tutti i soggetti impegnati in questo ambito.

Sono 19 indicazioni che contengono raccomandazioni su tutti gli aspetti relativi al diritto al cibo, combinando gli obblighi gravanti sugli Stati alle indicazioni di natura tecnica, fino a trattare i principi generali e a includere considerazioni sui diritti umani per poter fornire un quadro di riferimento completo. Si tratta di uno strumento molto più utile sia a livello governativo che per la società civile che può trarne spunti e linee da seguire nella propria azione di sostegno all'affermazione del diritto al cibo.

L'importanza delle linee guida sta anche nel fatto che esse hanno permesso di fare passi avanti fondamentali nell'accettazione del concetto di diritto al cibo. Esse sono basate sulla definizione fornita all'interno di queste che diventa così base comune, accettata dalla comunità internazionale. Infatti dopo aver ricordato gli strumenti base di diritto internazionale nei quali il diritto al cibo è garantito esse passano alla definizione di sicurezza alimentare ricordandone i quattro pilastri: disponibilità, stabilità dell'offerta, accesso e utilizzo.

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Per passare poi a definire il diritto al cibo e le obbligazioni che gli Stato sono tenuti a rispettare. Forniscono così un sunto di tutti i documenti internazionali elaborati fino a quel momento, dati così per acquisiti, per fare il passo successivo che consiste nella messa in pratica dei concetti generali.

Un'altra novità importante delle Linee Guida è il fatto di prendere in considerazione la dimensione internazionale della problematica, andando oltre al solo rapporto Stato-cittadino, ma individuando anche le responsabilità extraterritoriali che riguardano il commercio internazionale, gli aiuti alimentari o ad esempio lo strumento dell'embargo.

Tutte le linee guida sono permeate dall'approccio basato sui diritti umani. Questo significa che i principi di questo approccio devono essere incorporati nelle strategie governative e istituzionali di i m p l e m e n t a z i o n e d e l l a s i c u r e z z a a l i m e n t a r e : l a n o n discriminazione, la partecipazione, la trasparenza e l'accesso alla giustizia sono i valori guida su cui costruire le strategie di salvaguardia del diritto al cibo. Tali strategie devono essere inclusive e trasparenti, adottate in modo condiviso e partecipativi (Guideline n. 3).

Le linee guida insistono molto sulla partecipazione di tutti i soggetti potenzialmente coinvolti nell'attuazione del diritto al cibo. Nella parte iniziale di sottolinea infatti che per quanto riguarda l'attuazione di queste direttive sia responsabilità prima degli Stati,

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essi devono beneficiare del contributo di tutti i membri della società civile in senso ampio, le ONG ma anche il settore privato. La Gudeline n. 6 si occupa infatti degli stakeholders, incoraggiando il multistakeholder approach affinché vengano individuati e coinvolti tutti i soggetti del settore privato e della società civile potenzialmente interessati dal tema (Guideline n.6) Le strategie nazionali devono essere rivolte sia alla politica che all'economia.

La prima guideline fa, infatti, riferimento alla democrazia e al buon governo, prerogative necessarie per la creazione di un ambiente pacifico e stabile nel quale le persone e le famiglie possano nutrirsi in libertà e dignità (Guideline n. 1).

La seconda prerogativa fondamentale per gli Stati è il perseguimento di uno sviluppo economico su larga scala che funga da supporto alle politiche di sicurezza alimentare. Politiche che devono essere inclusive e non discriminatorie, devono essere rivolte agli Stati più poveri della popolazione, indirizzate allo sviluppo agricolo nelle situazioni in cui la povertà è maggiormente rurale, senza però dimenticare il crescente problema della povertà urbana (Guideline n. 2).

Sempre dal punto di vista economico, un ambito che deve essere sorvegliato costantemente è quello dei mercati. Gli Stati devono migliorare il funzionamento dei mercati, soprattutto di beni alimentari per promuovere allo stesso tempo la crescita

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economica e lo sviluppo sostenibile. Si tratta di un elemento particolarmente importante nel clima contemporaneo in cui le fluttuazioni dei prezzi del cibo causano gravissime violazioni del diritto al cibo di milioni di persone.

Secondo la Gudeline n. 4 gli Stati possono intervenire in questo ambito con legislazioni e politiche che favoriscano l'accesso non discriminatorio ai mercati e che prevengano le pratiche anti-competitive. O ad esempio favorendo lo sviluppo di mercati su piccola scala, regionali o locali, più accessibili alle persone per ridurre la povertà nelle zone rurali o nelle zone urbane più in difficoltà. Favorendo la nascita di un impegno di tutti coloro che a g i s c o n o e " g i o c a n o " s u i m e r c a t i p e r c h é v e n g a n o responsabilizzati rispetto al raggiungimento della sicurezza alimentare per tutti.

Gli Stati devono inoltre tener conto del possibile mal funzionamento dei mercati, che non funzionano in maniera perfetta in ogni momento, quindi elaborare meccanismi di protezione sociale per soddisfare bisogni di base che i mercati non soddisfano sempre.

Un passo pratico importante per la responsabilizzazione dei mercati e dei soggetti che vi operano è la possibilità di introdurre a livello nazionale dei meccanismi di giustiziabilità del diritto al cibo. Questo significa introdurre strumenti legislativi che garantiscano il diritto al cibo e per conseguenza la possibilità di denunciare le

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violazioni. Corollario di ciò deve essere l'accesso alla giustizia per tutti, soprattutto per la parte più vulnerabile della popolazione, poveri o donne.

La Guideline n. 8 è particolarmente importante ed ampia in quanto prende in considerazione l'accesso alle risorse. Come si è detto più volte, infatti, questo appare essere uno dei maggiori ostacoli al raggiungimento del diritto al cibo. Perché le persone possano coltivare cibo, infatti, è necessario che esse abbiano accesso all'acqua e alla terra; e perché possano acquistarlo, nel caso in cui abbiano la possibilità di coltivarlo, è necessario che abbiano dei salari adeguati al mantenimento di un livello di vita dignitoso.

Nel testo si legge dunque che gli Stati devono proteggere il diritto di ognuno ad avere accesso a risorse come terra, acqua, risorse ittiche e foreste con un'attenzione particolare a specifici gruppi che hanno un rapporto stretto con le risorse naturali, come i pastori o i popoli indigeni.

Gli Stati devono dunque incoraggiare uno sviluppo sostenibile che permetta di offrire opportunità di lavoro e remunerazione adeguata ad un livello di vita adeguato (Guideline n.8A), devono inoltre investire nei programmi di educazione e sviluppo del capitale umano per facilitare l'accesso delle persone al mercato del lavoro. Solo così chi non produce cibo direttamente potrà acquistarlo. Si è già detto della necessità di attuare riforme agrarie nel caso in cui il

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diritto di accesso alla terra sia minacciato o violato da un'ineguale distribuzione di essa (Gudeline n. 8B).

Anche l'acqua è una risorsa fondamentale per la coltivazione del cibo (e per mantenere un livello di vita adeguato). Per questo, gli Stati devono promuoverne un uso sostenibile e migliorarne l'accesso per tutta la popolazione. Si deve cercare di mantenere un equilibrio tra i diversi usi che se ne deve fare: domestico industriale e agricolo, rispettando sempre la qualità dell'acqua potabile (Guideline n. 8C).

Sempre nell'ambito delle risorse viene individuato il dovere di conservare la biodiversità anche attraverso l'uso delle risorse genetiche.

Le politiche di uso ed accesso devono tenere in conto la sostenibilità delle stesse, facendo in modo che il loro uso attuale non danneggi quello delle future generazioni (Guideline n. 8E), l'accesso alle risorse potrà essere migliorato investendo su servizi ed infrastrutture (Guideline n. 8F).

Si è visto che il cibo sano è una risorsa fondamentale per garantire la sicurezza alimentare per tutti. La Guideline n. 9, quindi, invita tutti gli Stati a prendere tutte le misure legislative necessarie affinché tutto il cibo che circola all'interno dei propri territori sia sano e non dannoso per la salute.

Sempre per garantire una nutrizione sana e completa, gli Stati dovranno mettere in campo politiche tese a migliorare la nutrizione

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dei propri cittadini affinché tutti possano avere a disposizione gli elementi nutritivi necessari alla propria specifica condizione, ad esempio per i malati o le donne in gravidanza. Allo stesso modo, educare al giusto modo di mangiare affinché non si verifichino disordini alimentari che portino alla malnutrizione o al contrario all'obesità (Guideline n. 10).

La Gudeline successiva, la 11, si occupa ancora di educazione invitando i governi ad investire su di esse in modo che venga accresciuta la consapevolezza su tutti i temi che riguardano l'alimentazione, così che tutti possano intervenire nelle politiche legate ad essa. Investire poi nella ricerca perché possano migliorare i modi di gestire tutte le tematiche legate al cibo.

Tutte queste azioni naturalmente devono essere supportate da programmi di finanziamento ad hoc. Pet questo, la Gudeline n. 12 invita tutte le autorità locali e regionali ad allocare risorse per programmi per combattere la fame e la povertà, incoraggiare ed attrarre tutti gli investimenti che possano essere impiegati in programmi sociali, ad esempio anche attraverso l'uso produttivo delle rimesse dei migranti.

Nell'attuazione dei programmi, un passo importante da fare è quello di individuare i gruppi vulnerabili, in questo modo le azioni messe in campo potranno agire là dove c'è n'è bisogno. Gli Stati dovranno allora elaborare sistematicamente analisi disaggregate

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sull'insicurezza alimentare, sulla vulnerabilità e sullo status nutrizionale dei diversi gruppi della società (Gudeline n. 13).

Nel caso in cui i programmi messi in campo non riuscissero a risolvere la situazione nell'immediato, e ci fossero dunque ancora violazioni del diritto all'alimentazione, gli Stati dovrebbero prevedere delle reti di sicurezza, è quanto previsto dalla Guideline n. 14.

Un altro aspetto importante relativo al diritto al cibo legato all'ambito internazionale è quello che riguarda gli aiuti alimentari. Nella Guideline n. 15, infatti, si sottolineano alcuni aspetti importanti da tenere in considerazione quando vengono elaborati i programmi di aiuti alimentari che in tempi passati sono stati trascurati: il cibo che viene inviato come aiuto ai paesi per il raggiungimento della sicurezza alimentare deve essere sano e deve rispettare la cultura dei popoli che lo ricevono. I paesi donatori devono inoltre fare in modo che gli aiuti alimentari non creino una dipendenza dall'esterno per questi paesi e che non distruggano la produzione locale. Per questo devono favorire l'uso dei mercati locali e regionali da parte della popolazione. Nel caso di emergenze gli Stati ma tutti i soggetti coinvolti non dovranno impedire la circolazione e la distribuzione degli aiuti alimentari da parte delle agenzie umanitarie internazionali.

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Delle situazioni di emergenza si tratta nella Guideline n. 16, sia che siano procurate dall'uomo, come nel caso dei conflitti, sia in caso di disastri naturali.

Nel caso di conflitti si ricorda che il cibo non può essere usato come uno strumento di pressione politica ed economica. Si fa riferimento alla convenzione di Ginevra per ricordare il dovere da parte degli Stati di rispettare e progettare il diritto di accesso al cibo anche in situazioni di conflitto armato o occupazione di un territorio straniero: l'assistenza medica e il cibo non devono essere negati. Lo stesso deve valere per i rifugiati ed i profughi che si trovino sul territorio di uno Stato in seguito a un conflitto armato. Gli Stati devono inoltre prevedere azioni di emergenza nel caso in cui si verifichino disastri naturali, affinché, anche in questo caso un diritto base al cibo sia garantito.

Infine le Linee Guida sottolineano l'importanza degli indicatori e dei meccanismi di monitoraggio che permettono di tenere sotto controllo il progressivo avanzamento dei programmi messi in atto e di gestirli al meglio (Guideline n. 17). Sempre per i meccanismi di protezione si ricorda la necessità per i paesi che ancora non abbiano provveduto di costituire un'Istituzione Nazionale Indipendente per i diritti umani, indipendente ed autonoma dal governo, che possa vegliare sulla progressiva realizzazione del diritto al cibo e possa accogliere denunce di organizzazioni e singoli che riscontrino una violazione di tale diritto sul territorio

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nazionale. Gli Stati che abbiano già creato un'istituzione di questo tipo devono operare affinché essa cooperi con la società civile (Guideline n. 18).

La terza delle Linee Guida Volontarie riguarda la dimensione internazionale dell'argomento, ricorda quindi l'importanza della cooperazione internazionale così come sottolineata dall'art. 56 della Carta ONU, ricorda il ruolo della comunità internazionale che deve continuare nel rispetto degli impegni assunti a inizio millennio. Sottolinea l'importanza del commercio internazionale come uno dei maggiori campi, a livello internazionale, su che si può agire per gestire i problemi legati alla violazione del diritto al cibo nel mondo.

Correggere le distorsioni dei mercati alimentari attraverso la negoziazione su scala internazionale di accordi per stabilire alcune regole base da rispettare in materia.

Si parla poi del ruolo delle ONG che devono essere protagoniste di una partnership allargata agli Stati, al settore privato e alle organizzazioni internazionali e a tutti i soggetti interessati al tema per rafforzare la progressiva realizzazione della sicurezza alimentare per tutti.

Per la società civile questo testo rappresenta una grande vittoria. Quello che viene normalmente criticato è spesso la mancanza della cosiddetta implementazione, o anche di interpretazione di

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queste linee guida in chiava extraterritoriale non puramente in chiave nazionale.8

1.5. Ordinamento internazionale e giudici nazionali

Va ricordato che la concreta rilevanza del diritto al cibo risulta in larga parte legata al suo riconoscimento ed alla sua applicazione negli ordinamenti interni e ad opera dei giudici nazionali. Il Patto sui diritti economici, sociali e culturali obbliga formalmente gli Stati ad inserire le relative previsioni nel diritto nazionale. Gli Stati sono comunque tenuti, in base all'articolo 2, a garantire la piena attuazione dei diritti riconosciuti nel Patto "con tutti i mezzi appropriati, compresa in particolare l'adozione di misure legislative".

Il diritto ad un'alimentazione adeguata in alcuni Stati è sancito formalmente nel quadro della Costituzione, in certi casi come componente del diritto ad un livello di vita adeguato, secondo il modello delineato dall'art. 11 del Patto, in altri come diritto autonomo, affermato a favore di tutti gli individui o di determinate categorie di soggetti più deboli (bambini, anziani, donne in stato di gravidanza, detenuti). Altre costituzioni fanno riferimento alla

MARIA LETIZIA PEREGRINI, Il diritto all'alimentazione e la sicurezza 8

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responsabilità dello Stato di assicurare alla popolazione cibo sufficiente. Va poi considerato che la ricostruzione sul piano internazionale del diritto al cibo, quale diritto fondamentale, può rivelarsi importante ai fini di favorire un'interpretazione estensiva di altri diritti riconosciuti a livello costituzionale (ad esempio diritto alla vita o alla salute). Inoltre, in diversi Paesi i diritti riconosciuti dal Patto risultano comunque incorporati nei relativi ordinamenti grazie a disposizioni o principi generali al livello costituzionale o a provvedimenti legislativi ad hoc, contenenti al loro interno un ordine di esecuzione o riformulanti le norme pattizie.

Ci sono dei casi in cui i giudici nazionali hanno sindacato l'azione del governo sotto il profilo dell'attuazione del diritto al cibo. Un valore storico hanno due sentenze pronunciate nel 2001 e nel 2002 dalla Corte Costituzionale del Sudafrica . In tali sentenze, di 9 fronte alla situazione di disperazione di centinaia di migliaia di persone, la Corte ha riconosciuto l'esistenza di un obbligo del Governo di agire per fornire cibo adeguato alla popolazione, operando un giudizio sulla ragionevolezza delle azioni concretamente intraprese. Analogamente, la Corte suprema dell'India, nel quadro di una causa promossa nell'interesse generale da una ONG e ancora pendente (People's Union for Civil

Governament of the Republic of South Africa and Others v. Grootboom 9

and Others, 2001. Treatment Action Campaign v. Minister of Health, 2002.

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Liberties), ha emanato una serie di misure provvisorie dalle quali si evince che l'azione pubblica può essere assoggettata a valutazione alla luce del diritto al cibo (il quale è ritenuto componente essenziale del diritto alla vita, incorporato nell'art. 21 della Costituzione) . Negli anni più recenti, anche in America 10 Latina sono state adottate, da parte di corti nazionali, sentenze che riconoscono la portata obbligatoria del diritto al cibo e la sua esigibilità di fronte alla autorità pubbliche. In una decisione del 2007, la Corte suprema argentina, su ricorso del Difensore civico, ha adottato un provvedimento d'urgenza nel quale si ingiungeva al governo federale e alle autorità regionali di intraprendere alcune misure per assicurare l'accesso al cibo e all'acqua potabile ad alcune comunità indigene. Nel 2013 in Guatemala il tribunale 11 minorile di Zacapa ha condannato lo Stato per la violazione del diritto al cibo di alcuni fanciulli sottonutriti, in una causa promossa nel quadro della campagna Guatemala Sin Hambre, imponendo alle autorità pubbliche l'adozione di una serie di misure concrete. La questione è stata trattata in termini innovativi anche dalle corti supreme di Stati industrializzati. Da richiamare anche un'importante sentenza pronunciata nel 1995 dal Tribunale federale della Confederazione elvetica. Questo caso riguardava

Pulc v. Union of India and others, Civil Writ Petition 196 of 2001. 10

Argentina, Corte Suprema de Jusitia de la Nacionn Defensor del Publo 11

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tre individui di nazionalità ceca ai quali era stata rifiutata assistenza da parte delle autorità amministrative cantonali perché non in possesso del permesso di soggiorno. Nella sentenza la suprema giurisdizione federale ha affermato che nell'ordinamento svizzero vi è un principio costituzionale non scritto che riconosce il diritto fondamentale di ogni individuo a condizioni minime di esistenza, compresa la garanzia dei bisogni umani elementari quali cibo, vestiario e alloggio: questo al fine di prevenire uno stato di mendicità indegno della condizione umana. Diritto che è stato 12 poi riconosciuto espressamente nell'art. 12 della Costituzione federale del 1999.

Alla luce delle pronunce predette, quello che è importante da sottolineare è il fatto che ormai i governi nazionali sono chiamati in causa non solo in presenza di azioni deliberatamente dirette ad ostacolare l'accesso al cibo degli individui ma anche per violazioni dell'obbligo "positivo" di prendere misure per soddisfare il diritto al cibo.

Dovrebbe inoltre essere ravvisata una violazione del diritto al cibo nei casi nei quali è evidente, in riferimento ad un territorio o popolazione, un deterioramento nella situazione riguardante l'accesso dei soggetti al cibo, quanto meno qualora non risulti

Urteil der. offentlichrechtlichen Abteilung vom 27. Oktoberfest 1995 12

i.S. V. Gemendo Einwohnergemeinde X. und Regierungsrat des Kantos Bern (staatrechtliche Beshwerde) DTF 121 1 367.

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possibile per lo Stato addurre giustificazioni ragionevoli. Pensiamo poi al caso dell'impiego delle risorse disponibili in modo chiaramente irrazionale o tale da mettere in luce un abuso di potere da parte dell'autorità pubblica (ad esempio, destinazione delle risorse pubbliche disponibili al personale arricchimento del sovrano) ovvero nell'ipotesi, messa in luce dalle decisioni indiane, nelle quali l'autorità statale non proceda all'attuazione di misure da essa precedentemente decise.13

Proseguendo nell'analisi delle fonti internazionali che disciplinano il diritto all'alimentazione, non si può non richiamare, sempre a livello universale, la Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, del 1979, la Convenzione di New York sui diritti del bambino, del 1989, nonché, più recentemente, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata nel 2006. In ciascuno di questi atti sono inserite disposizioni che riconoscono il diritto ad un'alimentazione adeguata configurandolo nei contesti della tutela della salute, del diritto ad un livello di vita adeguato, nonché della protezione della maternità.

Allo stesso modo, a livello regionale, il suddetto diritto è sancito in numerosi strumenti internazionali a carattere vincolante. Vengono in evidenza, ad esempio, il Protocollo addizionale alla

GESTRI, Il diritto fondamentale al cibo: quale il contributo della Carta 13

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Convenzione americana sui diritti dell'uomo relativo ai diritti economici, sociali, culturali, conosciuto come Protocollo di San Salvador, del 1986, la Carta africana sui diritti ed il benessere del minore, adottata nel 1990, nonché il Protocollo addizionale alla Carta africana sui diritti dell'uomo e dei popoli riguardante i diritti delle donne del 2003.

1.6. La Carta di Milano

Il primo maggio 2015, in occasione dell'inaugurazione di EXPO Milano 2015, è stata aperta alla firma la "Carta di Milano". Questo documento, promosso dal Governo italiano, è stato consegnato al Segretario generale dell'ONU e dovrebbe costituire l'eredità immateriale dell'Esposizione Universale, il cui tema centrale è "Nutrire il pianeta. Energia per la vita".

Quest'ultima edizione dell'Esposizione Universale è stata infatti preceduta da attività di studio e da un dibattito nella comunità scientifica, nelle istituzioni e nella società civile sul tema della manifestazione, che ha portato alla definizione della Carta di Milano.

Gli obiettivi che si prefigge il documento sono piuttosto ambiziosi: "riuscire a garantire cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti i popoli, nel rispetto del pianeta e dei suoi equilibri". Si intende infatti

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