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1. Introduzione e scopo della tesi
Il settore conciario nell’immaginario collettivo è visto come uno dei settori a maggiore impatto ambientale. Tale percezione è, in parte, vera dal momento che l’attuale lavorazione della pelle per produrre il cuoio richiede un consumo idrico molto elevato e prevede l’impiego di numerose sostanze chimiche potenzialmente pericolose.
Se si consultano i dati relativi alla produzione dei rifiuti del settore conciario, mostrati nella tabella seguente, si osserva che la parte maggioritaria di essi è costituita dal carniccio (31,2%), che comunque può essere riciclato come concime per l’agricoltura, e da liquidi di concia (19,1%) o fanghi derivanti dalla concia al cromo (22,1%), che invece necessitano di particolare attenzione poiché sono carichi di inquinanti.
Tipologia rifiuto % sul totale prodotto
Carniccio 31,2
Pelo e pezzami da calcinazione 1,3 Rasature, cascami ritagli 17,5
Liquidi di concia 19,1
Bagni di sgrassatura 0,1
Fanghi non contenenti cromo 1,8
Fanghi contenenti cromo 22,1
Rifiuti indifferenziati 6,9
Fonte: UNIC (Unione Nazionale Industria Conciaria) “Rapporto Ambientale 2003”
Gli scarichi dell'operazione di concia al cromo contengono cromo trivalente, cloruri e solfati.
Una questione particolarmente problematica legata all’impiego del cromo in ambito conciario riguarda la tossicità del cromo esavalente, sostanza classificata come cancerogena e per questo la normativa europea UE 301/14 pone il limite di accettabilità del suo contenuto a 3ppm.
Il problema del cromo è dovuto al fatto che la forma esavalente non viene impiegata nel processo conciario, bensì, può formarsi, nel prodotto finito, per ossidazione del cromo trivalente, se si presentano condizioni di forte ossidabilità, ad esempio foto-invecchiamento in presenza di aria, cioè ossidazione favorita dall’esposizione solare, invecchiamento termico, cioè ossidazione in presenza di aria e calore, se non sono state seguite, in fase post concia, le idonee procedure di stabilizzazione.
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Inoltre un altro inconveniente che deriva dalla concia al cromo è rappresentato dallo smaltimento degli scarti di lavorazione, quali la rasatura, la smerigliatura e la rifilatura, contaminati da cromo (III). Tali scarti non possono essere trattati mediante incenerimento, perché ciò provocherebbe l’ossidazione del cromo III a cromo VI, mentre lo smaltimento di tali residui in discarica, oppure il loro riutilizzo, implica analogamente considerazioni di riciclabilità e biodegradabilità.
La tipologia di concia “chrome-free” più largamente impiegata è quella con tannini vegetali. Tuttavia questa alternativa presenta problemi di sostenibilità ambientale non trascurabili, legati al fatto che la maggior parte dei tannini vengono estratti dal legno o dalla corteccia di piante, quali il quebracho coltivato in Argentina, la mimosa del Sudafrica, o il castagno dell’Europa mediterranea. Il loro impiego, nella maggior parte dei casi, implica estensiva deforestazione, soprattutto nei paesi del sud del mondo, significativi costi di trasporto e impatto ambientale non indifferente.
Inoltre gli scarichi idrici della concia al vegetale contribuiscono ad incrementare il COD e i solidi sospesi nelle acque di scarico. Un ulteriore parametro da tenere sotto controllo è legato alla degradazione dei tannini effettuata in fase di depurazione. Tale processo può influire sul contenuto di fenoli nelle acque di scarico, generando effetti di tossicità acuta e cronica sugli organismi viventi.
L’industria conciaria, soprattutto negli ultimi anni, si sta muovendo verso una maggiore sostenibilità ambientale, ricercando tecnologie e strategie che consentano di ridurre i consumi idrici, i volumi e la pericolosità dei rifiuti prodotti e in generale il carico sull’ambiente.
In quest’ottica si inserisce il lavoro di ricerca condotto in questa tesi, in cui è stata studiata la capacità conciante della molecola 5-(idrossimetil)-2-furancarbossialdeide (HMF), ottenuta in soluzione mediante reazione di idrolisi acida di biomasse ricche in zuccheri, ponendo particolare attenzione alla sostenibilità del processo di sintesi. Per questo la sintesi dell’HMF è stata condotta in medium acquoso, l’unico solvente totalmente green, non tossico ed ecologico, ed è stato impiegato il sistema di riscaldamento con le microonde, che, rispetto a quello tradizionale, consente un trasferimento più efficiente dell’energia all’ambiente di reazione, contribuendo al risparmio energetico e alla minimizzazione dei tempi di reazione.
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Sono stati impiegate preferenzialmente elevate concentrazioni del substrato in acqua, superiori a quelle in media attualmente utilizzate in letteratura, e sono state ricercate le condizioni ottimali per la sintesi in autocatalisi o in presenza di quantità minime di catalizzatore.
Tale processo, oltre a essere pienamente sostenibile per i motivi suddetti, può valorizzare una biomassa di scarto, impiegandola in un settore, quale quello conciario, che è attualmente e costantemente alla ricerca di soluzioni green innovative.