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Tancredi e i Bizantini. Sui "Gesta Tancredi in expeditione Hierosolymitana" di Rodolfo di Caen

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Luigi Russo

Tancredi e i Bizantini.

Sui Gesta Tancredi in expeditione Hierosolymitana di Rodolfo di Caen1

[A stampa in «Medioevo Greco», 2 (2002), pp. 193-230 © dell’autore - Distribuito in formato digitale da “Reti

Medievali”, www.biblioteca.retimedievali.it].

1. L’autore

Nel 1716 Dom Martène ritrovò nell’abbazia di Gembloux, tra i pochi volumi scampati a un incendio

che aveva distrutto il celebre cenobio, un testo ‒ fino a quel momento sconosciuto ‒ che narrava gli

eventi della prima crociata che avrebbe poi pubblicato l’anno seguente nel terzo tomo del suo

Thesaurus novus anecdotorum.

2

Il testo in questione risultò essere opera di un chierico normanno

nato intorno agli anni ottanta dell’XI secolo,

3

educato alla scuola di Arnolfo di Chocques, futuro

patriarca gerosolimitano.

4

Qui il nostro autore aveva ricevuto una formazione molto accurata

tanto da permettergli di essere ritenuto il migliore tra i suoi contemporanei per «conoscenza delle

letteratura latina, sia per citazioni di autori sia per abile imitazione di stile».

5

Impossibilitato per la

giovane età a partecipare alla vittoriosa conquista di Gerusalemme, Rodolfo avrebbe presto

6

1

1 Le abbreviazioni usate in questo lavoro sono: AA = Alberti Aquensis Historia Hierosolymitana, Recueil des historiens des croisades, Historiens occidentaux [d’ora in poi RHC, Hist. Occ.], IV, Paris 1879; AC = Anna Comnena, Alexias, edd. D.R. Rheinsch, A. Kambylis, I-II, Berlin-New York 2001; FC = Fulcheri Carnotensis Historia Hierosolymitana (1095-1127), ed. H. Hagenmeyer, Heidelberg 1913; GF = Gesta Francorum et aliorum Hierosolimitanorum, ed. R. Hill, Medieval Texts, London 1962 / Histoire anonyme de la première croisade, ed. L. Bréhier, Paris 1924 (nella storiografia francese e anglosassone è invalso fare riferimento a due diverse edizioni, Bréhier e Hill: per tale motivo citeremo entrambe. In caso di discrepanze nel testo si preferirà la lezione proposta nell’edizione francese, basata sul manoscritto più antico, senza aggiunte di materiale estraneo: cfr. p. XLII dell’Introduction); GN = Guitberti abbatis Sanctae Mariae Novigenti Historia quae inscribitur Dei Gesta per Francos, ed. R.B.C. Huygens, Turnhout 1996; OV = Orderici Vitalis Historia Æcclesiastica, ed. M. Chibnall, I-VI, Oxford 1969-1980; RA = Raymond d’Aguilers, Liber, edd. J.H. Hill - L.L. Hill, con trad. Fr. di P. Wolff, Paris 1969; RC = Radulfi Cadomensis Gesta Tancredi in expeditione Hierosolymitana, RHC, Hist. Occ., III, Paris 1866.

2 Vedi la breve descrizione del manoscritto originale presentata dall’editore del testo nella sua introduzione: RC, p. XL; inoltre J.-C. PAYEN, Une légende épique en gestation: les «Gesta Tancredi» de Raoul de Caen, in La chanson de geste et le mythe carolingien. Mélanges René Louis, Mayenne 1982, II, p. 1058 n. 2. Sino a oggi non è stato possibile ritrovare alcuna altra copia: vedi infatti la tabella conclusiva allegata da R. HIESTAND, Il cronista medievale e il suo pubblico. Alcune osservazioni in margine alla storiografia delle crociate, «Annali della facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Napoli» 27, 1984-1985, p. 227.

3 La data di nascita di Rodolfo è ricavabile da RC c. LVII, p. 648, rr. 24-27: "Nox sequens rubore terribili coelum infecit, ut qui in occidente positi cernerent, “Oriens pugnat” illico clamarent. Vidi egomet signum illud quum adhuc in paterna domo, Cadumi, adolescentulus degerem, nondum mihi visa seu nota, nisi nomine tenus, Antiochia, sed nec Roma". Il corsivo è nostro: sapendo che l’autore fa qui riferimento a un prodigioso segno nel cielo - una cometa - apparso contestualmente alle fasi iniziali dell’assedio crociato di Antiochia (fine ottobre 1097) appare verosimile ipotizzare per lui una data di nascita prossima agli anni ottanta dell’XI secolo. Per la datazione dell’apparizione della cometa rimandiamo a Sigeberti Gemblacensis Chronographia, ed. L.C. Bethmann, M.G.H., SS, VI, Hannoverae 1844, p. 367, r. 36, («prima ebdomada Octobris»); Frutolfi et Ekkehardi Chronica, edd. F.-J. Schmale e I. Schmale-Ott, Darmstadt 1972, p. 142 («Nam et nos cometem in plaga meridiana stantem suumque splendorem in obliquum gladii more protendentem tunc circa Nonas Octobris vidimus»); Annales Augustani, ed. G.H. Pertz, M.G.H., SS, III, Hannoverae 1839, p. 135, rr. 9-10 («Stella non nimis fugida apparuit, radium unum sublucidum de se protendens, luna prima [scil. della stagione autunnale]»).

4 RC Praef., p. 604, rr. 20-23. Su questi vedi R. FOREVILLE, Un chef de la première croisade: Arnoul Malecouronne, «Bulletin Philologique et Historique du Comité des Travaux Historiques et Scientifiques» 1953-1954, pp. 377-390. Su Arnolfo i vari cronisti emettono un giudizio molto contrastante: vedi RA c. 18, pp. 153-154, rr. 27 e 1-8 (significativa la descrizione totalmente negativa); GF c. XXXIX, p. 93 (p. 208); Petrus Tudebodus, Historia de Hierosolymitano itinere, edd. J.H. Hill - L.L. Hill, trad. fr, P. Wolff, Paris 1977, p. 142; Roberti Monachi Historia Iherosolimitana, RHC, Hist. Occ., III, Paris 1866, IX, c. XI, p. 870, rr. 12-18 (ne loda le capacità); GN VII, c. XV, pp. 290-291, rr. 637-668 (critica i suoi costumi e la nascita pur riconoscendogli una discreta preparazione culturale); Baldrici episcopi Dolensis Historia Jerosolimitana, RHC, Hist. Occ., IV, Paris 1879, IV, c. XVI, p. 105, rr. 1-26; OV IX, c. XVI, p. 176; AA VI, c. XXXI, p. 489, rr. 20-28 (sua elezione temporanea); RC c. XCIV, p. 673, rr. 12-23 (riferisce che il legato Ademaro sul letto di morte lo nominò suo successore ma omette poi le procedure dell’elezione); [Bartolfo di Nangis], Gesta Francorum expugnantium Iherusalem, RHC, Hist. Occ., III, Paris 1866, c. XXXXVII, p. 516, rr. 26-28 (idem); Chronique de Saint-Pierre-le-Vif de Sens, dite de Clarius, edd. R.-H. Bautier-M. Gilles, Paris 1979, pp. 184-186 (ricorda i poteri conferitigli dal pontefice); Epistulae et chartae ad historiam primi belli sacri spectantes, ed. H. Hagenmeyer, Innsbruck 1901 (rist. Hildesheim-New York 1973)), XXIII, p. 180 (accusa di aver occupato in maniera simoniaca la sede gerosolimitana).

5 La citazione è tratta da R. MANSELLI, Italia e italiani alla prima crociata, Roma 1983, p. 151 (rielaborazione di un articolo originariamente pubblicato nei «Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche» 10, 1955, pp. 1-22]; ma vedi anche L. BOEHM, Die «Gesta Tancredi» des Radulf von Caen. Ein Beitrag zur Geschichtsschreibung der Normannen um 1100, «Historisches Jahrbuch» 75, 1956, p. 52 («Neben Guibert gilt Radulf mit Recht als der gelehrste unter den Kreuzzugs-Historiographen»); esempi dello stile di Rodolfo sono in H. GLAESENER, Raoul de Caen historien et écrivain, in «Revue d’histoire ecclésiastique» 46, 1951, pp. 16 sgg. (ma si tratta di un contributo da usare con cautela per la presenza di alcune ingenuità); una breve analisi è fornita anche da M. MANITIUS, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, III, München 1931, pp. 423-424.

6 Quasi certamente Rodolfo entrò nel seguito di Boemondo durante la campagna di reclutamento organizzata in terra francese nell’anno 1106. Su questa rimandiamo al § 6, 1 del primo capitolo della nostra tesi di dottorato Ricerche sui cronisti della «Prima Crociata», tutor G.M. Cantarella, Torino 2001; ma vedi anche G. RÖSCH, Der «Kreuzzug» Bohemunds gegen Dyrrachion 1107-8 in der latinischen Tradition des 12. Jahrhunderts, «Römische Historische Mitteilungen» 26, 1984, pp. 181-190; W.B. MCQUEEN, Relations between the Normans and Byzantium 1071-1112, «Byzantion» LVI (1986), pp. 458 sgg.

(2)

rimediato prendendo parte alla spedizione di Boemondo del 1107-1108 contro l’Impero bizantino

7

per poi trasferirsi, probabilmente al termine delle operazioni belliche, presso il reggente della

signoria antiochena Tancredi

8

con il quale entrò in stretta familiaritas.

9

Proprio lo stretto

rapporto instauratosi con il proprio dominus avrebbe spinto l’autore a comporre un’opera, che

sebbene esplicitamente richiesta in vita da Tancredi,

10

venne intrapresa solo all’indomani della

morte di costui al fine di mettere a tacere ‒ sostiene Rodolfo ‒ ogni malevola voce di un possibile

fine adulatorio da parte dello scrittore.

11

Tenuto conto anche del fatto che i Gesta Tancredi sono

indirizzati al vecchio maestro Arnolfo

12

è inoltre possibile datare il testo tra la fine del 1112

(Tancredi morì infatti il 12 dicembre di quell’anno) e la fine del mese di aprile del 1118 (data della

morte di Arnolfo).

13

Rivelatasi palesemente infondata la notizia che voleva Rodolfo dopo il 1130 asceso al soglio

patriarcale di Gerusalemme,

14

nessun altro dettaglio sicuro è possibile aggiungere alla sua

biografia nonostante le varie proposte di identificazione avanzate al riguardo già dai primi editori

del testo.

15

2. Nobile studium

Per comprendere il taglio conferito da Rodolfo alla sua operazione storiografica occorre

soffermarsi brevemente sull’incipit del prologo dell’opera:

Nobile est studium res probe gestas principum recensere, cujus beneficii largitas nihil temporis immune

praeterit, sepultos celebrat, oblectat superstites, posteris longe ante vitam praestruit doctrinam: dum quod

transiit refert, dum victorias profert, dum victoribus defert, segnitiem aufert, probitatem affert, vitia

transfert, virtutes infert, plurimum confert.

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Qualè l’utilità della storia? È questa la prima questione che si pone all’attenzione del nostro autore:

per lui la narrazione storiografica coincide con un resoconto veritiero delle «res [...] gestas

principum». Appare quindi sin da subito evidente il divario che divide la sua opera da quella degli

7 RC Praef., p. 603, rr. 13-15: “Huius tam praeclari laboris (scil. della prima crociata) cooperatoribus me contigit militare: Boamundo, quuum Dyrachium obsideret; Tancredo paulo post quum Edessam ab obsidione Turcorum liberaret [...]”.

8 Vedi il testo citato nella nota precedente. Notiamo al proposito che, se le indicazioni di Rodolfo sono esatte, la campagna vittoriosa di Tancredi a cui Rodolfo partecipò fu in realtà uno scontro avvenuto tra la fine del 1108 e l’inizio dell’anno seguente scatenato dalle rivalità tra il suo signore e quello di Edessa, Baldovino di Bourcq (il futuro Baldovino II, re di Gerusalemme), quando il normanno riuscì a riprendersi la signoria di Marasch (oggi Maras, Turchia). Cfr. M. AMOUROUX-MOURAD, Le comté d’Edesse 1098-1150, Paris 1988, pp. 66-67.

9 RC Praef., p. 603, r. 24.

10 L’interesse dimostrato dai principi normanni per la redazione di opere in cui venissero trattate le loro vicende rappresenta una caratteristica peculiare nell’ambito della storiografia pienomedievale, come rimarcato da P. BOUET, Les Normands: le nouveau peuple élu, in in P. Bouet e F. Neveux (edd.), Les Normands en Méditerranée dans le sillage des Tancrède, Caen 1994, p. 239.

11 RC Praef., pp. 603-604, rr. 25-30 e 1-2: «[...] huic inquam, vehementius instanti, tacita sic respondebat mens mea: “Quod petis (scil. Tancredi) vivus, si superfuero, accipies sepultus: non te laudabo in vita tua; laudabo post mortem, magnificabo post consummationem: tunc enim neque laudatus, neque laudans, aut in elationem surgit, aut corruit in adulationem. Porro invidus tacebit, ommutiscet susurro, quum, te exstincto, munera cessabunt, quibus nunc incessanter a superstite muneratum, venenosae linguae fabularum me venditorem circumagerent, te emptorem”». Il passo in questione è commentato da G.M. CANTARELLA, Principi e corti. L’Europa del XII secolo, Torino 1997, pp. 234-235. A questo motivo l’autore aggiunge immediatamente di aver atteso, invano, nella speranza che qualcun altro attendesse al compito di narrare le gesta del suo signore. Vedi infra, n. 20.

12 RC Praef., p. 604, rr. 16-23.

13 Sulla morte di Arnolfo di Chocques vedi FC II, c. LXIII, 4, p. 608 (per la datazione vedi pp. 608-609 n. 15). Sulla questione seguiamo BOEHM, Die “Gesta Tancredi”, cit., p. 51; MANSELLI, Italia e italiani, cit., p. 142, sostiene invece una datazione posteriore adducendo alcuni riferimenti nel testo a eventi riconducibili agli anni trenta del XII secolo. In realtà si tratta di interpolazioni posteriori alla redazione originale del testo: in particolare vedi RC c. LXXI, p. 657, n. c dell’editore («Quae hoc numero continentur, exstant in charta Gestis Tancredi assuta, sive ab eodem auctore, sive ab alio postmodum addita: quae tamen narrationis seriem interrumpere videntur»); RC c. CXLIV, pp. 706-707, quando l’autore definisce la città di Laodicia in rovina (in questo caso l’editore non da alcuna informazione al riguardo). Difficilmente infatti Rodolfo avrebbe potuto indirizzare un testo a una persona morta da più di un decennio! Ma si vedano anche le osservazioni di G.M CANTARELLA, La frontiera della crociata: i Normanni del sud, in Il Concilio di Piacenza e le Crociate, Piacenza 1996, p. 246 n. 102.

14 Così il GLAESENER, Raoul de Caen, cit., p. 7; la svista è sottolineata dal MANSELLI, Italia e italiani, cit., p. 140; la BOEHM, Die “Gesta Tancredi”, cit., p. 50 n. 16, ricostruisce attentamente l’origine dell’errata attribuzione.

15 Per tali congetture vedi l’introduzione dell’editore dei RC, p. XXXIX. Sulla loro confutazione vedi la discussione del MANSELLI, Italia e italiani, cit., pp. 141-142.

16 RC Praef., p. 603, rr. 1-5. Appare evidente l’uso anaforico del verbo fero qui presentato nelle più svariate forme composte. Per un riassunto del prologo vedi PAYEN, Une légende épique, cit., pp. 1052-1053. Sull’importanza della riflessione proemiale è ritornata di recente F. RAGONE, Giovanni Villani e i suoi continuatori. La scrittura delle cronache a Firenze nel Trecento, Roma 1998, pp. 107-108; ma vedi anche l’importante lavoro di B.GUENÉE, L’histoire entre l’éloquence et la science. Quelques remarques sur le prologue de Guillaume de Malmesbury à ses «Gesta regum Anglorum», «Comptes rendus de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres» 1982, pp. 357-370, che ha sottolineato come la riflessione proemiale sia stata a lungo sottovalutata da studiosi ed editori.

(3)

altri autori dedicatisi alle gesta della prima crociata:

17

mentre per questi ultimi (senza con ciò

negare l’esistenza di gerarchie riconosciute o di preferenze accordate a un condottiero o l’altro)

tutti i pellegrini apparivano in definitiva accomunati dalla medesima chiamata divina, Rodolfo

costruisce il suo lavoro nell’individuazione di un personaggio intorno al quale imperniare tutte le

vicende. Poco interessato a Dei Gesta, egli manifesta invece l’intenzione di scrivere Gesta

Tancredi.

Allora, ripetiamo, qual’è l’utilità della storia per Rodolfo? Imbevuto di letture di autori classici tra i

quali spiccano su tutti Virgilio e Tito Livio,

18

il nostro autore concepisce le proprie fatiche

storiografiche come rimedio all’oblio del tempo, sempre all’opera nel distruggere ogni traccia delle

azioni umane. Riportando dunque per iscritto le nobili gesta del suo signore egli è certo da un lato

di conferire immortalità a costui, perpetuandone un glorioso ricordo (lo storico del resto non ha il

compito di «dominare la memoria»?),

19

consentendo contemporaneamente ai posteri di godere,

mediante il suo scritto, di vestigia che spronino all’emulazione e allontanino dai vizi. Per il dotto

chierico di Caen la sua storia sarebbe dunque stata testimonianza per il futuro, ma anche

ammonimento per un presente popolato da persone sovente impegnate solo in vane frivolezze

(«fucis astruendi»).

20

Una volta presa la decisione di dedicarsi a una simile narrazione, Rodolfo ci

rivela che:

[...] utriusque [scil. Boemondo e Tancredi] sermo quotidianus Turcos fugisse, institisse Francos, nunc

peremptos hostes, nunc captas urbes, Antiochiam noctu dolis, Jerusalem die armis memorabat [...].

21

Si tratta di una notazione preziosa. Da un lato permette infatti di intravedere, seppure in maniera

cursoria, la dimensione orale che sovente sostanzia e alimenta la redazione di un testo scritto.

22

Vittorie clamorose, iperboliche descrizioni di nemici uccisi, mirabili conquiste: sono questi gli

argomenti intorno ai quali ruota con piacere il ricordo dei due capi normanni a distanza di pochi

anni dallo svolgimento di quegli eventi per loro straordinari. E proprio questi saranno dunque gli

argomenti privilegiati da Rodolfo: gli exploits dei suoi eroici signori, quei gabs così in voga nella

letteratura cavalleresca del XII secolo.

23

Allo stesso tempo nelle poche righe citate il dotto chierico di Caen enfatizza la sua vicinanza a

Boemondo e Tancredi, dalla cui bocca aveva potuto abitualmente raccogliere quelle storie,

godendo quindi dell’incondizionata fiducia da parte di costoro. Rodolfo ci tiene quindi a far sapere

che lui è stato vicino a quegli illustri principes, ha maturato una significativa esperienza con i

detentori del potere, i quali davanti a lui avevano dischiuso il loro cuore, confessando le gesta

compiute (di certo già trasfigurate e circonfuse da sfumature leggendarie

24

). La testimonianza

riportata ‒ dichiara implicitamente l’autore ‒ sarebbe perciò stata priva di filtri e mediazioni,

diretta espressione di chi aveva calcato il proscenio degli eventi della crociata, e ciò che più conta

veritiera.

17 Per un panorama dei quali rimandiamo a L. RUSSO, Le fonti della «prima crociata», in(a c. di) M. Meschini, Mediterraneo Medievale. Cristiani, musulmani ed eretici tra Europa e Oltremare (secoli IX-XIII), Milano 2001, pp. 51-65.

18 Per esempi concreti di tale influsso vedi GLAESENER, Raoul de Caen, cit., pp. 16-20; sulla sua dimestichezza con gli autori classici vedi anche MANSELLI, Italia e italiani, cit., p. 143 n. 27.

19 Al riguardo sono illuminanti le considerazioni di CANTARELLA, Principi e corti, cit., pp. 219-224 (la citazione è a p. 220).

20 RC Praef., p. 603, rr. 18-21: «“Papae! aiebant [scil. Boemondo e Tancredi] quonam modo nos segnities perdit; quum priscis summa vatibus fuerit scribere voluptas? Et illi quidem adinventiones fabulosas ordiuntur; militiae Christi victorias tacent hodierni: ignavum equidem pecus, et fucis astruendi”»; ma anche ivi, p. 604, rr. 2-4: “[...] sed et aliam habuit causam dilatio: quod meis ipse viribus diffidens, interim exspectabam, si quis ad haec sollertior [stylum], si quis Tancredi muneribus obligatior anhelaret. Alios autem negligere, alios torpere, quosdam, proh nefas! reniti comperio susurrones”. Tra parentesi un’aggiunta interlineare.

21 RC Praef., p. 603, rr. 15-17. Il corsivo è nostro.

22 Nel discutere l’importanza del materiale orale alla base dell’identità della classe cavalleresca normanna G.A. LOUD, The “Gens Normannorum” - mith or reality [1982], in Conquerors and Churchmen in Norman Italy, Aldershot 1999, I, p. 115, ha a ragione definito la produzione scritta niente altro che «the tip of the iceberg». Sui rapporti tra oralità e scrittura vedi poi W.J. ONG, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, trad. it. Bologna 1986.

23 Esemplificativo è il successo riscosso da Il Viaggio di Carlomagno in Oriente, ed. M. Bonafin, Parma 1987, tutto imperniato sulle vanterie (gabs) dei paladini di Francia a Costantinopoli.

24 Cfr. PAYEN, Une légende épique, cit., pp. 1051-1062.

(4)

La conclusiva dichiarazione di umile sottomissione dei proprie fatiche storiografiche al vecchio

maestro Arnolfo

25

per un’eventuale correzione non deve allora trarre in inganno: difficilmente

Rodolfo avrebbe ancora accettato per sé un semplice ruolo di discepolo.

3. Tancredi

Come appena visto, Rodolfo presenta ex professo il proprio testo come una narrazione intenta a

riferire le gesta dei principi, e in particolare quelle del signore

26

a cui fu più legato da intima

familiaritas, vale a dire Tancredi d’Altavilla.

27

Di conseguenza, l’intera strutturazione seguita nel

testo si conforma sin dall’inizio a tali coordinate interpretative. Per primo viene quindi trattata la

stirpe da cui il protagonista discende:

Tancredus, clarae stirpis germen clarissimum, parentes eximios Marchisum habuit et Emmam: a patre

quidem haud ignobilis filius, a maternis autem fratribus nepos longe sublimior: nam cetera familiae illius

praedecessio a contermina satis esse duxit laudari vicinia; matris vero fratres militiae suae gloriam extra

supraque patriam, id est Normanniam, extulerunt.

28

Scarsamente interessato alla discendenza paterna del suo signore (il padre Odone Marchisio

apparteneva all’aristocrazia subalpina), Rodolfo concentra invece tutte le proprie attenzioni nei

riguardi della discendenza normanna rappresentate dal ramo materno con la madre Emma, sorella

del Guiscardo.

29

L’aspetto che interessa maggiormente allo storiografo di Caen è sottolineare come

le virtù del suo signore confermino («probare») quelle manifestate da Roberto il Guiscardo,

universalmente conosciuto per aver sfidato le due massime autorità temporali dell’epoca, il

basileus bizantino e l’imperatore germanico.

30

Il messaggio veicolato appare chiaro: il genus

25 Su Arnolfo vedi supra, n. 4.

26 Significativo di tale approccio è anche RC c. LIII, p. 646, rr. 27-30: «Celebrent suos Normannia, Flandria, Robertos; reliquos duces occidens reliquus; mihi unus Marchisides sufficit, cui non sufficio vel totus. Ignosce, Gallia, scriptoribus dives, juvat me Antiocheno vacare principi; praesente me gesta liberius persolvam debitor creditori», testo sottolineato dalla BOEHM, Die “Gesta Tancredi”, cit., p. 63.

27 Nell’impossibilità di analizzare tutti i passi relativi riportiamo qui l’elenco completo degli appellativi conferiti a Tancredi (si intende sempre RC): Benignior dominus: Praef., p. 603, rr. 24-25; «Clarae stirpis germen clarissimum»: c. I, p. 605, r. 1; «Sapientis viri: c. I, p. 606, r. 1»; «Semper utilis»: c. III, p. 607, r. 11; «Piissimo et ad omnem promptissimo strenuitatem duci»: c. V, p. 608, r. 37; «Vir prudens»: c. VII, p. 610, r. 23; «Vir prudens»: c. XVII, p. 618, r. 12; «Vir providus»: Ibidem, r. 18; «Magnanimi»: c. XVIII, p. 619, r. 15; «Impiger»: c. XXI, p. 621, r. 10; «Bellatorem stupendum»: c. XXXIII, p. 629, r. 37; «Victor nobilis»: c. XXXVI, p. 632, r. 14; «Quantus foret Christiani nominis deffensor, quantus gregis incredulae expugnator, quantae mansuetudinis erga subditos, quantae in rebelles duritiae»: c. XXXIX, p. 634, rr. 4-5; «Ad cetera constantem, hic pertinacem»: c. L, p. 643, r. 28; «Tam clarissimus bellator»: c. LII, p. 645, r. 29; «Armis praecipuus»: c. LXXXV, p. 666, r. 20; «Proba [...] strenuitas»: c. XCI, p. 670, rr. 29-30; «Astutior»: c. XCVIII, p. 675, r. 20; «Cor ipse leonis: c. CXXVIII, p. 695, r. 2; «Vir sapiens»: c. CXXX, p. 696, r. 14; «Virtus audaciae [...] in utroque liberalitas, discretionis, sollicitudinis, justitiae, prudentiae»: c. CXXXVII, pp. 702-703, rr. 34 e 1-2; «Ditator civium, hostium pauperator»: c. CXXXIX, p. 703, r. 28; «Paratus, providus, armatus: c. CXLVIII, p. 710, r. 16). Abbiamo complessivamente individuato 23 passi in cui il normanno è elogiato. A titolo di raffronto si considerino le occorrenze per gli altri condottieri: Boemondo d'Altavilla (4), Raimondo di Saint-Gilles (4), Goffredo di Buglione (4), Roberto di Fiandre (6), Roberto di Normandia (3), Ugo di Vermandois (7), Baldovino di Buglione (2), Stefano di Blois (1) e Ademaro vescovo di Le-Puy (1).

28 RC c. I, p. 605, rr. 1- 5.

29 Sui genitori di Tancredi vedi E. JAMISON, Some Notes on the «Anonymi Gesta Francorum», with Special Reference to the Norman Contingent from South Italy and Sicily in the First Crusade [1939], in D. Clementi, T. Kölzer (edd.), Studies on the History of Medieval Sicily and South Italy, Aalen 1992, 7, pp. 196-197]; MANSELLI, Italia e italiani, cit., p. 116 (rielaborazione di un articolo originariamente pubblicato in «Archivio Storico per le Province Napoletane» n.s. 34, 1953-1954, pp. 3-12). Si noti che entrambi gli studiosi forniscono il nome di Odobono per il padre di Tancredi invece di Odone (ma lo studioso italiano ha corretto tale svista nella voce da lui stesso curata, Emma d’Altavilla, in Dizionario Biografico degli Italiani, II, Roma 1960, pp. 541-542). Accettiamo invece l’interpretazione fornita dalla studiosa inglese (ma prima di lei anche Hagenmeyer, p. 393 n. 7 dell’edizione di FC) che vede in Emma, la sorella e non la figlia di Roberto il Guiscardo (dunque Tancredi era cugino e non nipote di Boemondo) basandosi sul passo di Rodolfo qui citato e su OV VII, c. 7, p. 32 (dove Odone è definito nei confronti del Guiscardo «sororium suum»). Contra S. SCHEIN, Tankred von Tarent, in Lexicon des Mittelalters, VIII, München 1997, coll. 457-458, e le testimonianze di Roberti Monachi Historia Iherosolimitana, cit., II, c. XI, p. 744, r. 20; Baldrici episcopi Dolensis Historia Jerosolimitana, cit., I, c. VIII, p. 17, r. 25 (entrambi lo ritengono «nepos» di Boemondo); AA IV, c. XV, p. 399, rr. 24-25 (che lo indica come «filium sororis» di Boemondo); AC XI 3, 2, (o| deè tou% Bai=mouéntou a neyiadhèv Taggrhév). Ambiguo è invece Frutolfi et Ekkehardi Chronica, cit., p. 138, r. 22 (ritiene Boemondo «avunculus» di Tancredi; ma il termine ha una duplice accezione, «zio paterno» e «cugino»: cfr. J.F. NIERMEYER, Mediae latinitatis lexicon minus, Leiden 1976, s.v).

30 RC c. I, p. 605, rr. 5-8: «Quis enim Wiscardi probitatem non probet, cujus signa sub uno, ut aiunt, die Graecus Alemannusque imperator tremuerunt victricia? Romam namque praesens ab Alemanno liberavit; Graecorum autem, in Boamundi prole bellica, vincendo regem, subjugavit regionem [...]». L’esaltazione delle gesta del Guiscardo ritornano anche in seguito in RC c. CXIII, p. 685, rr. 17-20, c. CXXXV, p. 700, rr. 21-22 e c. CXXXVI, p. 701, rr. 14-17; ma vedi anche la Historia peregrinorum euntium Jerusolimam ad liberandum Sanctum Sepulcrum, RHC, Hist. Occ., III, Paris 1866, c. CXI, p. 217, rr. 37-39 e c. CXXVIII, p. 224, rr. 44-46; Guillaume de Pouille, La Geste de Robert Guiscard, ed. M. Mathieu, IV, Palermo 1961, p. 234, vv. 566-570; nonché l’epitafio riportato da William of Malmesbury, Gesta Regum Anglorum, edd. R.A.B. Mynors, R.M. Thomson, M. Winterbottom, Oxford 1998. III, c. 262, p. 484: «Hic terror mundi Guiscardus. Hic expulit urbe/ quem Ligures regem, Roma, Lemannus habent./ Parthus, Arabs Macetumque falanx non texit Alexin, / at fuga; sed Venetum nec fuga nec pelagus». Le principali fonti latine relative alle conquiste del condottiero normanno sono state raccolte e tradotte da P. DELOGU, I Normanni in Italia. Cronache della conquista e del

regno, Napoli 1984, pp. 87-114; sulla sua duratura fama vedi E. JAMISON, The Sicilian Norman Kingdom in the Mind of Anglo-Norman

Contemporaries [1938], in Clementi, Kölzer (edd.), Studies on the History, cit., 6, pp. 8-16]; J.-M. MARTIN, Une «Histoire» peu connue de Robert

(5)

normanno non rappresenta più agli occhi del cronista motivo ideologico sufficiente per inquadrare

le gesta di Tancredi. Rispetto ai restanti undici fratelli del Guiscardo ‒ l’unica eccezione è fatta per

Ruggero, conquistatore della Sicilia e poi conosciuto col titolo di Gran Conte

31

‒ «Campaniam,

Calabriam, Apuliam contenti debellare»,

32

il protagonista dei Gesta Tancredi è perciò definito

«longe sublimior»; il suo campo di azione oltrepassa infatti gli ambiti regionali per proiettarsi

verso uno spazio politico di più ampio respiro, verso un palcoscenico che fino a quel momento era

stato calcato dal solo Roberto.

3. 1. Dilemma interiore

Una volta dato conto delle origini familiari del proprio signore, Rodolfo può dunque concentrarsi

da vicino sulla persona di Tancredi allo scopo di delinearne un ritratto morale, nei suoi tratti

salienti già precocemente manifestatosi: l’«agilitas armorum» giovanile e la «morum gravitas»

adulta sono infatti in Tancredi parimenti compresenti sin dalla tenera età.

33

Nell’ambito di questo

ritratto ‒ senza alcun paragone per intensità e ampiezza con l’intero corpus di fonti relative alla

prima crociata ‒ emergono prepotentemente alcuni aspetti sui quali ci soffermeremo più

distesamente. In primo luogo

sola erat laudis gloria quae juvenis [scil. Tancredi] mentem agitaret, cujus quotidianos mercando titulos,

facilem crebri vulneris dicebat jacturam: eoque nec suo parcebat sanguini, nec hostili [...].

34

È un passo degno di nota in quanto si inscrive in un contesto tematico ampiamente sviluppato

dalla storiografia normanna nei secoli XI-XII, mirante a rintracciare nelle gesta vittoriose dei suoi

cavalieri una strenuitas, espressione di una «forza vitale in espansione».

35

Siffatto tema, però, si

serve qui di una terminologia di tipo economico abilmente piegata dal cronista per esprimere

valori quali ardimento e spregiudicatezza tipici dell’ethos guerriero, nell’evidente effetto di

suggerire un’antitesi tra stili di vita tra loro diametralmente opposti.

36

Ma proprio l’impavida

determinazione dimostrata da Tancredi al momento dello scontro permette all’autore un ulteriore

arricchimento descrittivo del ritratto a tutto tondo da lui elaborato:

[...] disputabat secum [scil. Tancredi] in dies animus prudens, eoque frequentior eum coquebat anxietas,

quod militiae suae certamina praecepto videbat obviare dominico. Dominus quippe maxillam percussum

jubet et aliam percussori praebere; militia vero saecularis, nec cognato sanguini parcere. Dominus tunicam

auferenti dandam esse et penulam admonet; militiae necessitas ambabus spoliato reliqua quae supersunt

esse auferenda urget.

37

Come il prodigo spargimento di sangue marca la professione guerriera, così il medesimo liquido

vitale

38

incarna il tabù più visibile che evidenzia per chi combatte un tangibile impedimento al

totale rispetto del messaggio cristiano; problema il cui ciclico ripropoporsi rappresenta di certo

Guiscard, «Archivio Storico Pugliese» 31, 1978, pp. 47-66; ma soprattutto V. D’ALESSANDRO, Roberto il Guiscardo nella storiografia medievale, in C.D. Fonseca (a c. di), Roberto il Guiscardo tra Europa, Oriente e Mezzogiorno, Galatina 1990, pp. 181-196.

31 RC c. I, p. 605, rr. 10-11: «Excipiendus est Rogerius, cui subacta gentilitas Sicula gloriam peperit inter fratres a Wiscardo secundam». Per quanto riguarda Ruggero rimandiamo ai contributi di S. FODALE, Il Gran Conte e la Sede apostolica, e C.G. MOR, Ruggero Gran Conte e l’avvio alla formazione dell’ordinamento normanno, in Ruggero il Gran Conte e l’inizio dello Stato normanno. Atti delle seconde giornate normanno-sveve, Bari 1991 (già Roma 1977), rispettivamente alle pp. 25-42 e 105-116; nonché a H. HOUBEN, Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra Oriente e Occidente, trad. it. Roma-Bari 1999, pp. 13 sgg.

32 RC c. I, p. 605, rr. 9-10.

33 RC ivi, rr. 14-16. La descrizione di Tancredi è debitrice delle profonde letture classiche di Rodolfo (nello specifico Tito Livio e Sallustio) come sottolineato dai parallelismi segnalati da GLAESENER, Raoul de Caen, cit., pp. 16-17; e MANSELLI, Italia e italiani, cit., p. 152.

34 RC ivi, rr. 22-24.

35 Cfr. M. OLDONI, Mentalità ed evoluzione della storiografia normanna fra l’XI e il XII secolo in Italia, in Ruggero il Gran Conte, cit., pp. 169 sgg. (la citazione è a p. 170); O. CAPITANI, Motivazioni peculiari e linee costanti della cronachistica normanna dell’Italia meridionale: secc. XI-XII, «Atti della Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali. Rendiconti» 65, 1976-1977, fasc. I, pp. 67-69 e le relative note. Si noti inoltre che l’interesse mostrato da Rodolfo per le alterne sorti della Fortuna (RC c. LXIX, p. 656, rr. 20-23 e c. CXLV, p. 708, rr. 20-21) confermano le acute analisi del Capitani che ritiene caratteristica della storiografia normanna dei secoli XI-XII il fatto che le «doti di forza umana» trovino «riscontro nella fortuna» (p. 70).

36 La predilezione per la moltiplicazione delle antitesi è sottolineata dal GLAESENER, Raoul de Caen, cit., p. 16. 37 RC c. I, p. 605, rr. 24-29.

38 Sulle complesse valenze che legano la professione guerriera e il sangue rimando alle mie Ricerche sull’“Historia Iherosolimitana” di Roberto di Reims, in «Studi Medievali», in corso di stampa.

(6)

uno degli snodi cruciali della riflessione cristiana sin dalle sue origini.

39

Qui tuttavia preme

sottolineare l’immagine proposta al lettore-ascoltatore, quella cioè di un Tancredi che con lucida

preoccupazione vede la propria «militia [...] saecularis» in netto disaccordo con i precetti dettati

dal messaggio cristiano. Impossibilitato a risolvere tale dilemma interiore, il normanno non può

allora far altro che sopire i propri scrupoli.

40

Proprio il livello intorno al quale viene prospettato il dissidio interiore del guerriero rende tuttavia

alquanto azzardato avanzare ipotesi sul reale grado di autocoscienza di tale conflitto: Rodolfo

compie qui un’operazione di introspezione psicologica la cui lucidità ha colpito, per la sua

perspicuità, alcuni studiosi,

41

ma sulla cui reale portata sembra opportuno avanzare le debite

cautele. E questo non per emettere giudizi di valore sul grado di sincerità di uno dei più eminenti

partecipanti della spedizione gerosolimitana, quanto piuttosto alla luce del carattere “riflessivo”

insito nell’opera di un autore sorvegliato quale il nostro. A fronte di un complesso di eventi ormai

trascorsi, Rodolfo esplora e ricostruisce nel suo testo le connessioni per lui più significative; sicché

la partecipazione del suo signore alla prima crociata è riletta alla luce del tormentato rapporto da

costui nutrito nei confronti del «sistema di valori»

42

condiviso dal ceto combattente; è proprio

siffatto atteggiamento che lo predispone a recepire la chiamata, una volta divenuta pubblica la

«sententia» di papa Urbano II che «peccatorum omnium remissionem ascripsit» nei confronti dei

partecipanti alla spedizione crociata contro i pagani.

43

Tutto sommato ci sembra che il chierico di Caen, attento a sondare i recessi angoli dell’animo del

suo protagonista, ricostruisca con efficacia un’immagine pienamente emblematica della temperie

di inizio XII secolo. Il suo “specchio” riflette quindi una preziosa riproduzione di tutto un universo

di discorso presente in vario modo all’orizzonte degli appartenenti al ceto guerriero

pienomedievale.

44

Attraverso le parole del suo biografo la figura di Tancredi risulta allora plasmata

intorno al modello del pio combattente cristiano affermatosi compiutamente con la crociata.

3. 2. “Quasi dux sub rege”

Quali furono i rapporti intercorsi al momento della partenza per l’Oriente tra i due combattivi

cugini, un tempo entrambi signori di Rodolfo? Anche Boemondo nei Gesta Tancredi è presentato ‒

almeno inizialmente ‒ con ogni riguardo: al normanno, «magni nominis heros»,

45

viene infatti

riservata una posizione di risalto immediatamente dopo Tancredi, sia mettendolo in rapporto al

Guiscardo della cui audacia è «strenuissimus aemulator» sia soffermandosi sulle operazioni

belliche compiute contro l’Impero bizantino, nel corso delle quali si era mostrato il più fidato

compagno d’armi del padre.

46

Sollecitato a partecipare alla liberazione della Città Santa in virtù

39 Senza alcuna pretesa di esaustività sull’argomento ricorderemo solo P. PARTNER, Il Dio degli eserciti. Islam e Cristianesimo: le guerre sante, trad. it. Torino 1997, pp. 29-36 e 69-98; R.A. MARKUS, Saint Augustine’s Views on the ‘Just War’, in W.J. Sheils (ed.), The Church and War, Oxford 1983, pp. 1-13; F. PRINZ, Clero e guerra nell’Alto Medioevo, trad. it. Torino 1994, pp. 3-45; C. ERDMANN, Alle origini dell’idea di Crociata, trad. it. Spoleto 1996, pp. 7-36; J. FLORI, La guerre sainte. La formation de l’idée de croisade dans l’Occident chrétien, Paris 2001, passim.

40 RC c. I, pp. 605-606, rr. 29 e 1.

41 J. RILEY-SMITH, The First Crusaders, 1095-1131, Cambridge 1997, pp. 70-71, nel soffermarsi sui dubbi di Tancredi sembra accettare tout court le affermazioni del suo biografo; così anche J. BRADBURY, The Medieval Siege, Woodbridge 1992, pp. 95 e 97; particolarmente acritico è poi il quadro fornito dal GLAESENER, Raoul de Caen, cit., pp. 7-8, il quale riporta di peso la descrizione di Rodolfo. Al contrario P. DELOGU, La ‘militia Christi’ nelle fonti normanne dell’Italia meridionale, in ‘Militia Christi’ e Crociata nei secoli XI-XIII. Atti dell’undecima Settimana internazionale di Studio della Mendola, Milano 1992, p. 149, ha giustamente rimarcato la mancata sintesi tra i differenti «sistemi dei valori», militari e spirituali.

42 Su tale espressione importanti precisazioni sono state fornite da G. DUBY, Le società medievali, trad. it. Torino 1985, pp. 111-124.

43 RC c. I, p. 606, rr. 1-7. Il ruolo conferito al pontefice è nell’economia generale del testo fortemente marginale, in linea del resto con gli intenti narrativi chiariti nel prologo.

44 Abbiamo ricavato varie suggestioni dalla lettura di CANTARELLA, Principi e corti, cit., pp. 239 sgg.; RILEY-SMITH, The First Crusaders, cit., pp. 68-75, ha dal canto suo evidenziato i vantaggi spirituali che i pellegrini confidavano di ottenere partecipando alla spedizione.

45 RC c. II, p. 606, r. 12.

46 Per tutta l’esposizione su Boemondo vedi RC ivi, rr. 12-27. Per le vicende belliche della campagna normanna degli anni 1081-1083 rimandiamo a MCQUEEN, Relations, cit., pp. 442-444 e M. ANGOLD, The Byzantine Empire, 1025-1204. A political history, London-New York 19972, pp. 130-131 (preferiamo citare dalla seconda ed. originale aggiornata, piuttosto che dalla trad. it. Napoli 1992, condotta sull’ed. del 1985). Altre fonti: AC I, 10-16; William of Malmesbury, Gesta Regum Anglorum, cit., III, c. 262, pp. 482-484; OV VII, c. 7, pp. 26-28; RC c. II, p. 606, rr. 19-22; e l’orazione di lode per le vittorie di Alessio sui Normanni (Loégov ei v toèn au tokraétora ku%rin }Aleéxion toèn Komnhnoén) tenuta da Teofilatto d’Ocrida il 6 gennaio 1088 (Theophylacti Achridensis Orationes, Tractatus, Carmina, ed. P. Gautier, Thessalonicae 1980, pp. 219-221; per la datazione vedi p. 96).

(7)

della «apostolica praedicatio»,

47

Boemondo è informato della contemporanea decisione del

cugino. Allora

multis itaque opibus blanditiisque praemissis, apud Tancredum obtentum est, ut sub Boamundo ipse,

quasi dux sub rege, secundus ab eo militaret: nam praeter blanditias oblatasque opes, urgebant eum alia

duo: propinquitas generis et difficultas transfretationis: quarum quidem haec amoris, illa timoris poculum

vicissim ei propinabant [...].

48

Spinto dalla necessità di giustificare il ruolo inizalmente subordinato di Tancredi nei confronti di

Boemondo,

49

il nostro biografo modella gli eventi in maniera tale da presentare il suo protagonista

come il più importante componente della spedizione normanna dopo il figlio del Guiscardo. Allo

stesso tempo particolare interesse è dedicato all’analisi dei motivi alla base del reciproco accordo

siglato tra i due, vale a dire i comuni vincoli di sangue e, soprattutto, le convenienze del momento

viste le difficoltà operative connesse con lo sbarco oltre Adriatico; è per assicurarsi una «facilem

viam» che lo stesso Boemondo acconsente alle richieste di mutua collaborazione avanzate dal

cugino.

50

In tal modo il chierico di Caen riesca a presentare il patto tra i due normanni come un

accordo tra pari, sollecitato sì da Tancredi, ma in cui la controparte, a capo delle operazioni

militari, non risalta incontrastata visto che è proprio Boemondo a trovarsi nella necessità di

usufruire dei servigi del giovane parente.

51

È perciò la comune necessità a cementare il patto

stipulato tra i due cugini, non l’inferiorità di una a fronte della superiorità dell’altro ‒ questa

dunque la conclusione verso la quale conducono le calibrate argomentazioni di Rodolfo.

3. 3. Sul fiume Vardar

Nonostante che per esplicito ordine del figlio del Guiscardo fosse stato intimato al contingente

normanno

52

di non favorire il sorgere di alcun motivo di attrito con le popolazioni locali e le truppe

imperiali di scorta

53

durante l’attraversamento delle regioni bizantine, nei pressi dell’attuale fiume

Vardar (Macedonia) vi fu uno scontro con gli ausiliari turchi in forza all’esercito bizantino,

54

pronti

ad approfittare delle operazioni di trasbordo per attaccare i Normanni in un frangente in cui questi

erano particolarmente vulnerabili per la divisione dei loro effettivi in due tronconi. Tutto sommato

si trattò di una scaramuccia di scarsa rilevanza che sotto la penna del nostro autore assunse però

una valenza pregnante. La chiave per comprendere la ratio di tanto interesse si trova nel ruolo

allora svolto da Tancredi, fatto del resto riconosciuto anche dagli altri cronisti che hanno riportato

l’episodio.

55

Occorre a questo punto ripercorrere l’articolazione degli eventi.

Dopo un indugiato di «dies aliquot»,

56

il passaggio delle truppe normanne, seguite da vicino dalla

minacciosa presenza dei Turcopoli (che ostacolavano ogni tentativo di avanzata bersagliandole con

47 RC c. II, p. 606, rr. 14-16: «[...] hujus quoque animos eadem quae ceteros per orbem principes apostolica praedicatio ad liberandum ad infidelium jugo Hierusalem excitaverat».

48 RC c. III, p. 607, rr. 1-5.

49 Si noti che GF c. IV, pp. 7-8 / p. 20, nel riportare i principali componenti al seguito di Boemondo al momento del passaggio dell’Adriatico, metta Tancredi in prima posizione ma non gli attribuisca alcuna rilevanza particolare.

50 RC c. III, p. 607, rr. 5-7: «[...] nisi enim Boamundo in his quae rogabatur morem gereret, facile et de invidia argui, et a littore dignus videretur qui deberet repelli. Proinde facilem viam ad impetrandum meruit precibus donisque cumulata petitio».

51 L’importanza del contributo dato da Tancredi («semper utilis») alle sorti dell’impresa è sin dall’inizio enfatizzata da RC ivi, rr. 9-16.

5

522 Sul carattere etnico del contingente guidato da Boemondo preziose notazioni sono in B. FIGLIUOLO, Ancora sui Normanni d’Italia alla prima

crociata, «Archivio Storico per le province napoletane» 104, 1986, pp. 1-16, soprattutto alle pp. 9-10: «Al tirar delle somme, sembra dunque di poter sostenere che la prima crociata fu un fatto interno alla cavalleria normanna, anzi ad alcune frange di essa, le più giovani e irrequiete e le meno ricche, potenti e stabilmente insediate sul territorio».

53 Cfr. GF c. IV, p. 8 / pp. 20-22: «Tunc Boamundum ordinauit concilium cum gente sua, confortans et monens omnes ut boni et humiles essent; et ne depredarentur terram istam quia Christianorum erat, et nemo acciperet nisi quod ei sufficeret ad edendum».

54 Sul crescente impiego di ausiliari turchi in età comnena vedi C.M. BRAND, The Turkish Element in Byzantium, Eleventh-Twelfth Centuries, «Dumbarton Oaks Papers» 43, 1989, pp. 1-25.

55 L’episodio è brevemente riportato da GF c. IV, pp. 8-9 / pp. 22-24: «Postea peruenimus ad flumen Bardarum. Denique perrexit dominus Boamundus ultra cum sua gente, sed non tota. Remansit enim ibi comes de Russignolo, cum fratribus suis. Venit exercitus imperatoris, et inuasit comitem cum fratibus suis, et omnes qui erant cum eis. Quod audiens Tancredus rediit retro, et proiectus in flumen natando peruenit ad alios, et duo milia miserunt se in flumen sequendo Tancredum. Tandem inuenerunt Turcopolos et Pinzinacos dimicantes cum nostris. Quos repente fortiter inuaserunt, et prudenter eos superauerunt». Ma vedi anche Petrus Tudebodus, Historia, cit., pp. 41-42; Roberti Monachi Historia Iherosolimitana, cit., II, c. XIV, p. 746, rr. 1- 11; Baldrici episcopi Dolensis Historia Jerosolimitana, cit., I, c. XVII, p. 23, rr. 14-26; GN III, c. II, pp. 139-140, rr. 95-107; Historia peregrinorum euntium, cit., c. X, p. 177, rr. 26-34. Cfr. S. RUNCIMAN, Storia delle Crociate, trad. it. Torino 19932, pp. 137-138.

56 RC c. IV, p. 607, rr. 17-21 (la citazione è al r. 18).

(8)

ripetuti lanci di frecce), avvenne grazie un rapido attacco guidato da Tancredi:

57

costui, brandendo

infatti la propria spada e seguito da un certo numero di compagni rincuorati da quel gesto, si aprì

un varco, mietendo tante vittime che i cadaveri dei nemici arrivarono a intralciare gli stessi

spostamenti.

58

Approfittando dello scompiglio creatosi nelle fila nemiche, il grosso del contingente

normanno riuscì allora a compiere in un breve lasso di tempo le operazioni di attraversamento.

Dall’altra parte del fiume erano però rimaste attardate seicento persone appartenenti al «vulgus

inerme»;

59

è su costoro che si venne ad abbattere la furia dei «Graeci, qui missi fuerant Latinorum

insidiari vestigiis»:

60

fit clamor, moeret ripa utraque, hinc et inde nec querelae desunt nec gemitus. [...] Tancredus interea

adhuc fugientibus Graecis instans, sequentium instantiam celeri cursu accipit nuntiatam: neminem

resistere, succurrere neminem, armatos ultra fluvium remigasse, inermes citra, ipsos jam fere quasi

mordicus dissipatos. Haec ut piissimo et ad omnem promptissimo strenuitatem duci comperta sunt, haud

secus ab aliis ad alios se convertit intrepidus [...].

61

La scena è resa con tonalità molto vivide: di fronte alle disperate richieste di aiuto degli sventurati

pellegrini abbandonati in balia dei nemici (dov’era in quel frangente Boemondo?), solo Tancredi è

in grado di dimostrare rapidità decisionale e strenuitas necessaria

62

per tornare sui propri passi e

andare in soccorso degli inermi compagni in pericolo. La metafora della leonessa, pronta ad

abbandonare la preda appena catturata per correre in aiuto dei propri «catuli»,

63

non fa altro che

conferire alla decisione del protagonista tutta un’aura di cristiana nobiltà oltrepassante il semplice

valore guerriero,

64

e tale da costituire un valore aggiunto alla sua persona, pronta a rinunciare

all’agognato bottino di guerra ormai a portata di mano.

65

Lanciatosi con irruenza nelle acque del fiume con il cavallo, per non indugiare nell’attesa

dell’arrivo delle imbarcazioni di appoggio, e seguito dai commilitoni pronti a emularne le gesta,

Tancredi raggiunse in un batter d’occhio l’altra sponda

66

. La mossa repentina e azzardata ‒ vista

anche la pericolosità delle impetuose acque del Vardar

67

‒ sortì un clamoroso successo:

Graeca phalanx perterrita Tancredi simul adventu et nomine (id enim unum utraque personabat ripa),

caedi metuens, caedere desistit, ad consuetum fugae praesidium studio redacto. Fugitur per abrupta, per

avia, per omne quod victs promittere latebras, victoribus accessum negare videbatur.

68

Contrariamente a quanto avvenuto all’inizio del confronto armato, quando gli imperiali avevano ‒

secondo Rodolfo ‒ superbamente presupposto di poter annientare con poco sforzo il contingente

normanno numericamente inferiore,

69

i Turcopoli erano ormai a conoscenza della tattica bellica

normanna: la disciplinata e ben armata schiera aveva infatti dimostrato una forza d’urto a loro

57 RC ivi, pp. 607-608, rr. 21-29 e 1-11. Ma si ricordi che maggiori erano state le difficoltà incontrate dal contingente provenzale guidato da Raimondo di Saint-Gilles: cfr. RA c. 1, pp. 36-38.

58 RC ivi, p. 608, rr. 15-19: «Tancredus viam gladio aperit; et quot aggreditur caedendos, tot praterit caesos. Illum sequentibus facile, qua se vertisset, vestigia declarabant. Trunci semineces a dextra et laeva medio cruoris alveo supplebant ripas. Nec passim vagandi licentia; sed per effusoris semitam currere dabatur».

59 RC c. V, p. 608, rr. 27-29. Come appare evidente dalla testimonianza dell’autore dei Gesta in realtà era rimasta attardata anche una parte dei combattenti normanni. Vedi il testo citato supra alla n. 55.

60 RC ivi, rr. 29-30.

61 RC ivi, rr. 31-32 e 34-38. I corsivi sono nostri. 62 Su questa rimandiamo a quanto detto supra, § 3. 1.

63 RC c. V, pp. 608-609, rr. 38 e 1-2: «[…] quasi nacta praedam lea, si quas ex adverso paratas relictis catulis insidias respicit, e vestigio ad praedonem versa, praedam siccis faucis relinquit».

64 Si noti al riguardo che la pietas, insieme alla prudentia, rappresenta per la storiografia normanna in generale la prerogativa che meglio identifica la figura del capo. Cfr. BOUET, Les Normands: le nouveau, cit., p. 250.

65 Per l’importanza di questo aspetto vedi W.G. ZAJAC, Captured property on the First Crusade, in J. Phillips (ed.), The First Crusade. Origins and Impact, Manchester 1997, pp. 153-180.

66 RC c. VI, p. 609, rr. 3-9.

67 In precedenza RC c. IV, p. 607, r. 19, aveva definito il Vardar «flumen rapax». 68 RC c. VI, p. 609, rr. 9-12.

69 RC c. IV, p. 607, rr. 27-28.

(9)

sconosciuta,

70

suscitando quindi vive apprensioni. Quanto emerge con vigore dalle righe di

Rodolfo è la descrizione compiaciuta del terrore che il suo signore era in grado di incutere con la

sua presenza nella «Graeca phalanx» (l’influsso delle letture classiche fatte dall’autore si rivela

nello specifico piuttosto evidente

71

), messa in fuga dal solo suo «adventu et nomine».

72

Da ciò

consegue il minuzioso resoconto delle varie fasi della caotica disfatta nemica, ove i vinti «spes

totam ab armis in pedum velocitatem transierat».

73

Il trionfale ritorno dei vincitori al proprio

accampamento, carichi del bottino sottratto al nemico,

74

suggellava oltre ogni dubbio il successo

dell’improvvisato scontro condotto dal normanno alla testa dei compagni d’arme, consentendo al

cronista di elevare un enfatico elogio:

O quantis excipitur laudibus! Quantus ipse, quum major sese cordibus omnium futurus apparet, quanta

simul nobilitatis et plebis veneratione donatur! Una quippe omnium et mens haec erat et fabula: «O ubi et

quando, et quis in filiis hominum par tibi, Tancrede! a quo tam remota segnities? tam disjuncta quies? tam

aliena formido? tam elimata superbia? tam eliminata luxuria? Quis vocatus velocior, quis rogatus facilior,

quis offensus placabilior? Felices tanto pignore atavi, tanto atavo posteri, tanto alumno Calabri, tanta

sobole Normanni! felices illi quibus tu contigisti gloria sua: at nos longe felicior, quibus est pro muro

audacia tua! [...]».

75

Il lungo passo qui riportato per esteso rappresenta un ulteriore pezzo di bravura del dotto chierico

di Caen: le allitterazioni, i parallelismi, i richiami all’interno delle frasi sono talmente insistiti che

risulterebbe alquanto prolisso il solo sottolinearli tutti. Rivolgendosi direttamente al suo signore,

dopo aver concluso la narrazione delle sue imprese belliche, il cronista eleva un peana di lode per

sublimare il carattere dello scontro sul Vardar al livello di uno straordinario exploit.

76

Alcuni

spunti meritano però di essere qui analizzati con maggiore attenzione.

In primo luogo, l’accenno alle «plebs» e alla «nobilitas» che accolgono il vittorioso Tancredi indica

ancora una volta il forte influsso esercitato dagli autori classici sul vocabolario dello scrivente, il

quale plasma la sua descrizione seguendo griglie di lettura prese in prestito dalla romanità.

Secondo aspetto, il versante elogiativo che risulta maggiormente sottolineato nel ritratto di

Tancredi è quello relativo la sua incessante attività che si opppone costantemente alla tanto

esecrata segnities

:77

nelle righe del suo biografo il normanno è a più riprese elogiato soprattutto

per la velocitas di cui appare dotato in maniera eminente

78

. V’è dunque in Tancredi ‒ o meglio, è

l’immagine proposta ai potenziali lettori-ascoltatori del testo ‒ la rappresentazione di una persona

spinta dal frenetico desiderio di oltrepassare ogni ostacolo. Terzo e ultimo aspetto da sottolineare è

poi l’inquadramento del protagonista, proposto all’interno della «soboles Normanni»

79

, alla cui

pur nobile tradizione il nipote del Guiscardo dimostra di conferire un lustro ineguagliabile

80

. La

risposta alla domanda enfaticamente rivolta a Tancredi intorno cui gravita l’intero testo ‒ «quis in

70 L’efficacia di tale forza d’urto è stata sottolineata da C.R. BOWLUS, Tactical and strategic weaknesses of horse archers on the eve of the first crusade, in M. Balard (ed.), Autour de la Première croisade, Paris 1996, pp. 159-166.

71 Per un altro esempio di tale influsso vedi anche l’«auriga currus Tancredici» (RC c. CCXIX, p. 688, r. 31). Su questo vedi il commento di CANTARELLA, Principi e corti, cit., p. 192.

72 Per un altro esempio di terrore suscitato dalla sola evocazione del nome di un guerriero vedi Guillaume de Pouille, La Geste de Robert Guiscard, cit., IV, p. 234, v. 570, dove il basileus «nominis (scil. di Roberto il Guiscardo) auditi sola formidine cessit».

73 RC c. VI, p. 609, rr. 12-21 (la citazione è al r. 16). 74 RC cc. VI-VII, pp. 609-610, rr. 28-30 e 1. 75 RC c. VII, p. 610, rr. 1-9.

76 Esiste una chiave di lettura dell’episodio che ci sembra non sia stata finora considerata e che emerge solo nel prosieguo del testo (cfr. RC cc. CXII-CXIII, pp. 684-685). Infatti quando Tancredi incontra sul monte degli Ulivi un eremita che colà conduceva una vita d’ascesi si legge la seguente affermazione elogiativa della stirpe del Guiscardo da parte dell’asceta: «[…] cujus imperio (scil. di Roberto) tota usque Bardal Bulgaria paruit […]» (RC c. CXIII, p. 685, rr. 19-20). Da questo punto di vista diventa chiaro che l’episodio sul fiume Vardar non segna altro che la ripresa e il proseguimento da parte di Tancredi della gloriosa eredità dell’illustre guerriero.

77 Vedi anche in precedenza RC Praef., p. 603, r. 18: «”Papae! aiebant (scil. Boemondo e Tancredi) quonam modo nos segnities perdit [...]?”»; RC c. VI, p. 609, rr. 3-5: «Reversus igitur ad flumen, Tancredus, remige spreto, gurgitem insilit, equi navis, equo remigis obsequium supplente: segnis quippe mora visa est viro, et cognata timori, si dum navigium pararet, parantes sequi milites exspectaret».

78 RC c. V, p. 608, r. 35 («celeri cursu»); c. VI, p. 609, r. 7 («cursu rapido»); c. VII, p. 610, r. 6 («Quis vocatus velocior […] ?»).

79 Questo concetto è stato enfatizzato molto appropriatamente da BOUET, Les Normands: le nouveau, cit., p. 250: «En Méditerranée, comme en Normandie, c’est le lignage qui constitue le fondement de la grandeur normande».

80 Vedi anche RC c. VII, p. 610, rr. 11-13: «“Benedictus Deus qui te reservavit praesidium plebi suae, et tu benedictus qui eam protegis in brachio virtutis tuae“».

(10)

filiis hominum par tibi [...]?» ‒ appare scontata, se vista alla luce delle argomentazioni prodotte in

maniera così incalzante da Rodolfo.

A ulteriore conferma della rilevanza delle imprese compiute contro le truppe imperiali bizantine, il

cronista infine annota le reazioni suscitate da queste nei Normanni:

unde plurimi, de magnis quae viderant majora conjectantes, ejus [scil. di Tancredi] dominio tam se quam

sua mancipabant. Ipse vero audaciam viresque juvenum captabat pretio, alliciebat merito, merebatur

exemplo.

81

Il brano appena citato esprime efficacemente il coacervo di motivazioni che legava un condottiero

e il suo seguito: speranza di bottino, riconoscimento della personalità carismatica del leader, vivo

desiderio di emulazione. Insieme complesso che nel caso di Tancredi attrae un nutrito strato di

affiliati, nel testo indicati come «juvenes», termine questo che includeva il considerevole numero

di cavalieri non ancora stabilmente collocati all’interno delle strutture familiari aristocratiche, la

cui sete di affermazione sociale spingeva a coagularsi in masnade gravitanti intorno a un capo,

anch’egli membro di tale irrequieta «gioventù».

82

E che il nipote del Guiscardo possedesse

veramente la stoffa del capo lo testimonia la sua stessa generosità per cui nessuno dei suoi

sottoposti avrebbe potuto lamentarsi delle sue elargizioni, tanto da costringerlo talvolta a chiedere

denaro in prestito «a ditioribus sociis».

83

Proprio quest’ultima notazione permette di riesaminare l’intero episodio dello scontro sul Vardar

alla luce di una progettualità testuale più ampia; le vicende narrate da Rodolfo nei capitoli IV-VII

lasciano trasparire un coerente modello di leadership imperniato sui valori cardini della

strenuitas, velocitas, pietas, largitas. Tutti i tasselli del mosaico in questo modo vengono a

collocarsi al loro posto: l’immagine che ne deriva non può che risultare coincidente con quello

dell’ormai defunto Tancredi.

84

3. 4. Tarso

Mentre la gran parte dei contingenti crociati s’incamminava alla volta di Antiochia, Tancredi – allo

stesso modo di Baldovino di Buglione

85

– dava inizio, nel settembre del 1097, a una serie di

incursioni in Cilicia, regione a maggioranza armena nonostante la nominale dominazione turca

86

.

La decisione di intraprendere un’azione di tale respiro è enfaticamente lodata dal nostro

storiografo:

O bellatorem stupendum, cui voluptati labor, cui securitati bellum, cui otium difficile, cui facilis quaevis

difficultas, cui postremo nihil dulce nisi fuerit sudore conditum! Stupeamus interim hominem qui

numquam stupuit; eique metuamus, quia nil metuit.

87

81 RC c. VII, p. 610, rr. 16-19.

82 Su questo gruppo sociale ricco di spunti è il celebre lavoro di G. DUBY, Nella Francia nord-occidentale del XII secolo: i «giovani» nella società aristocratica, in Terra e Nobiltà nel Medio Evo, trad. it. Torino 1971, pp. 135-148.

83 RC c. VII, p. 610, rr. 19-21: «Eo abundante, nemo qui ei militaret egebat: eo egente, a ditioribus sociis mutuabatur, pecunia quae pauperiorum indigentiam ditaret erogata». Molto significativo RC c. LI, p. 644, rr. 28-31: «[…] ita enim dicebat (scil. Tancredi) in corde suo: “Thesaurus meus sint milites mei; egeam ego dum ipsi abundent: non sollicitor habere, sed habentibus imperare. Onerent ii argento marsupia: ego eos curis, armis, sudore, tremore, grandine, pluvia”»; inoltre vedi RC c. CXXX, p. 696, rr. 8-17. Molto pertinenti al riguardo le considerazioni di A.J. GUREVIC, Le categorie della cultura medievale, trad. it. Torino 1983, p. 231: «La generosità è la qualità determinante del capo, non meno essenziale della fortuna in guerra. La generosità era considerata un segno di nobiltà, inevitabilmente presente in ogni persona di origine nobile». Ma tutto il capitolo dedicato ai concetti di ricchezza e lavoro (pp. 224 sgg.) merita attenzione.

84 Non ci soffermiamo ad analizzare altri episodi in cui il normanno viene esaltato da Rodolfo per le doti belliche dimostrate in battaglia. Vedi comunque RC c. XVI, p. 617 (assedio di Nicea); cc. XCI-XCII, pp. 670-672 (scontro finale sotto Antiochia); c. CXIV, pp. 685-686 (sconfigge da solo cinque cavalieri nemici); inoltre c. CXX, pp. 689-690 (miracoloso ritrovamento da parte sua del legname necessario alla costruzione delle macchine per assediare Gerusalemme).

85 RC c. XXXIII, p. 629, rr. 35-37. Importanti informazioni sono fornite al riguardo anche da AA III, c. III, pp. 340-341 e cc.V-XXVI, pp. 342-357; FC I, c. XIV, pp. 205-215 (quest’ultimo partecipò agli eventi in veste di «capellanus» di Baldovino). In generale vedi J. FRANCE, Victory in the East. A military history of the First Crusade, Cambridge 1994, pp. 193-195, nonché la cartina a p. 94.

86 Cfr. G. DEDEYAN, Les princes arméniens de l’Euphratèse et l’Empire byzantin (fin XIe - milieu XIIe s.), in L’Arménie et Byzance. Histoire et culture, Paris 1996, pp. 79-88.

87 RC c. XXXIII, pp. 629-630, rr. 37-39 e 1. I corsivi sono nostri e indicano il registro meravigliato con cui Rodolfo commenta le nuove gesta del suo eroe; ma vedi anche RC c. XXXIV, p. 630, r. 29 (l’assedio di Tarso determina lo «stupor universis»).

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