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Recensione di Marsilio Ficino, On Dionysius the Areopagite, ed. by M.J.B. Allen

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Marsilio Ficino, On Dionysius the Areopagite, Volume I, Mystical Theology and The

Divine Names, Part I. Volume II, The Divine Names, Part II, edited and translated

by Michael J. B. Allen, Cambridge, MA-London, Harvard University Press, 2015

(The I Tatti Renaissance Library 66-67), pp. lxxiii + 516; xxxviii + 484. [ISBN

9780674058354; 9780674743793]

Dopo i sei volumi della Theologia Platonica,1 il commento a Fedro e Ione2 e al Parmenide,3i

vo-lumi 66 e 67 della prestigiosa collana “The I Tatti Renaissance Library” ospitano l’edizione con traduzione inglese e note di commento della traduzione commentata del De mystica theologia (MT) e del De divinis nominibus (DN) dello pseudo-Dionigi l’Areopagita realizzata da Marsilio Ficino. Il curatore è uno dei principali studiosi contemporanei del pensiero e dell’opera di Fici-no, Michael J. B. Allen (A.).4

Nell’introduzione A. si occupa brevemente della figura di Dionigi l’Areopagita, il discepolo di Paolo a cui, a partire dal VI secolo, furono attributi quattro trattati e dieci lettere composti da un anonimo filosofo cristiano il cui pensiero era profondamente imbevuto di neoplatonismo. Come mostra A., «this misattribution and attendant misdating had the predictable but profoundly important effect of also misattributing the complexities of later Neoplatonism to St. Paul’s Areopagus disciple, and, by association, identifying their origin or at least their inspira-tion as being St. Paul himself» (p. ix). Nonostante fin dalla prima età bizantina fossero sorti mol-ti dubbi riguardanmol-ti l’autenmol-ticità del corpus, solo alla fine dell’Ottocento i lavori di Hugo Koch5

e Josef Stiglmayr6dimostrarono inequivocabilmente la natura spuria di queste opere.

Durante il Medioevo, i trattati di Dionigi l’Areopagita furono tradotti in latino da Ilduino di Saint Denis, da Scoto Eriugena, in parte da Giovanni Saraceno e da Roberto Grossatesta. Negli anni Trenta del Quattrocento Ambrogio Traversari curò una nuova traduzione dei trattati, che probabilmente fu fonte di ispirazione per Ficino.7Tuttavia, quest’ultimo, il quale non mise mai

in dubbio l’autenticità del corpus, sentì l’esigenza di ritradurre e commentare due opere di Dio-nigi, ovvero il De mystica theologia e il De divinis nominibus, «since he saw the treatises as the crowning achievement of Platonism and of Christian philosophy alike» (p. xiii).

Ringrazio sentitamente Pietro Podolak, che con grande gentilezza e disponibilità mi ha consentito di leggere la sua recensione inedita ai due volumi di Allen. Alcuni dei punti sviluppati in questa recen-sione sono trattati in modo più approfondito e organico da Podolak, che mi auguro possa presto dare alle stampe il suo lavoro.

1Marsilio Ficino, Platonic Theology, I-VI, ed. by M. J. B. Allen, J. Hankins, Cambridge, MA

2001-2006.

2Marsilio Ficino, Commentaries on Plato. Volume 1: Phaedrus and Ion, ed. by M. J. B. Allen,

Cam-bridge, MA 2008.

3Marsilio Ficino, Commentaries on Plato. Volume 2: Parmenides, I-II, ed. by M. Vanhaelen,

Cambrid-ge, MA 2012.

4Si vedano, oltre alle opere già menzionate, l’edizione del commento al Filebo (Marsilio Ficino, The

«Philebus» Commentary, Berkeley-Los Angeles-London 1975) e le monografie Marsilio Ficino and the Phaedran Charioteer, Berkeley-Los Angeles-London 1981; The Platonism of Marsilio Ficino. A Study of His «Phaedrus» Commentary, Berkeley-Los Angeles-London 1984; «Icastes»: Marsilio Ficino’s In-terpretation of Plato’s «Sophist», Berkeley-Los Angeles-Oxford 1989; Nuptial Arithmetic: Marsilio Fi-cino’s Commentary on the Fatal Number in Book VIII of Plato’s «Republic», Berkeley-Los Angeles-Oxford 1994; Synoptic Art: Marsilio Ficino on the History of Platonic Interpretation, Firenze 1998.

5H. Koch, Proklus als Quelle des Pseudo-Dionysius Areopagita in der Lehre von Bösen, «Philologus»

54, 1895, pp. 438-454.

6J. Stiglmayr, Der Neuplatoniker Proklos als Vorlage des sog. Dionysius Areopagita in der Lehre vom

Übel, «Historisches Jahrbuch» 16, 1895, pp. 253-273, 721-748.

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A proposito del fatto che nessuno dei più autorevoli Padri della Chiesa avesse citato Dionigi, una delle prove utilizzate da chi metteva in dubbio l’autenticità delle opere a lui ascritte, Ficino affermava, in una lettera a Pier Leone da Spoleto del 12 maggio 1491: «Amo equidem Platonem in Iamblico, admiror in Plotino, in Dionysio veneror; saepe vero suspicor antiquiores Plotino Platonicos, Ammonium atque Eunomium aut his forte priores, legisse Dionysii libros, antequam nescio qua calamitate Ecclesiae delitescerent, atque illinc in Plotinum et Iamblicum Dionysii scintillas vere Platonicas fuisse transfusas, unde tantus sit ignis accensus».8

A. si occupa quindi della datazione delle due traduzioni. Ficino iniziò il suo lavoro dopo aver ul-timato la traduzione di Plotino e quella del De mysteriis di Giamblico, nell’autunno del 1490. Prima tradusse e commentò il De mystica theologia e successivamente il De divinis nominibus, che terminò intorno al 1494, prima della lettera a Germain de Ganay di cui parleremo successi-vamente.

A. nota come Ficino «felt the need to supplement earlier versions that had not plumbed […] the depths of Dionysius’ Platonic wisdom» (p. xx) e si sofferma sull’influenza del Parmenide plato-nico sui trattati di Dionigi. Analizzando le citazioni di Dionigi contenute nel commento al Par-menide, realizzato contemporaneamente alle traduzioni di MT e DN, A. sottolinea come negli ultimi anni di vita Ficino divenne progressivamente «a Pythagorean-Parmenidean monist and a negative theologian» (p. xxii).

Nell’ultima parte dell’introduzione, A. analizza brevemente il contenuto dell’opera. Ficino so-stiene che Dionigi abbia scritto mosso dal divino furore, il quale è collegato alla volontà di anda-re oltanda-re i limiti dell’intelletto per raggiungeanda-re le Verità supanda-reme, come si può leggeanda-re in DN III 1: «Dionysius Areopagita, Platonice discipline culmen et Christiane theologie columen, querens divinum lumen non tam intelligentia perscrutatur quam ardente voluntatis affectu et oratione petit». Per questo motivo, molti capitoli del suo commento «are animated by the solemn rhytms, the exhortatory, precatory, trance-inducing cadences that Ficino obviously found appropriate for […] his Latinizing of some Dionysius’ obscurer sentences» (pp. xxvi-xxvii). Analizzando il rapporto tra uomo e Dio secondo Dionigi, Ficino si concentra soprattutto sul rapporto tra luce e oscurità, tra parola e silenzio, dal momento che «as we approach the zenith of an ascent to God, words begin to fail us» (p. xxviii), e tra divinità e materia, siccome «the darkness of matter thus reflects […] the darkness of the Godhead […]. We cannot understand matter, and neither it nor we can undestand God» (pp. xxviii-xxix).

Infine, A. dedica alcune pagine al dedicatario di entrambe le opere, il figlio di Lorenzo il Magni-fico Giovanni de’ Medici, che diverrà papa con il nome di Leone X. Inoltre, l’appendice del pri-mo volume include l’edizione della versione estesa della lettera di dedica a Giovanni de’ Medici, all’epoca cardinale della basilica di Santa Maria in Domnica.

All’introduzione seguono l’indice dei capitoli di MT e DN, suddivisione che risale allo stesso Fi-cino, e il testo di DN e MT con traduzione inglese a fronte. Le opere sono così strutturate: alla traduzione del brano di Dionigi, introdotta dall’indicazione Dionysius e il titolo del capitolo, se-gue il commento di Ficino, introdotto dal nome Marsilius. Nel 2011, Pietro Podolak ha curato l’edizione critica di quest’opera,9testo che viene sostanzialmente seguito da A. nella sua

edizio-ne, con alcune modifiche segnalate nella nota al testo.

I manoscritti più autorevoli delle due opere sono il Par. lat. 2613 (P) e il Par. lat. 2614 (B). Seba-stiano Gentile10ha dimostrato che P è il manoscritto di Dionigi che Ficino inviò al prelato fran-8Marsilii Ficini Florentini […] Opera et quae hactenus extitere et quae in lucem nunc primo prodiere

omnia, I, Basileae 1576 (rist. a cura di M. Sancipriano, Torino 1962; a cura di S. Toussaint, Ivry sur Seine 2000), p. 925.

9Dionysii Areopagitae De mystica theologia, De divinis nominibus, interprete Marsilio Ficino, ed. P.

Podolak, Napoli 2011.

10Cfr. S. Gentile, Giano Lascaris, Germain de Ganay e la ‘prisca theologia’ in Francia, «Rinascimento»

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cese Germain de Ganay nel 1494.11Il secondo è di mano di Luca Fabiani,12copista e

collabora-tore di Ficino, e contiene solamente la traduzione di MT. Come sostenuto da Podolak, P e B so-no «due portatori di tradizione indipendenti l’uso-no dall’altro» (Podolak, p. xli).

A queste due testimonianze si aggiunge l’editio princeps (I), uscita tra la fine del 1496 e l’inizio del 1497 a Firenze presso Lorenzo de Alopa, che costituisce un ulteriore testimone indipenden-te rispetto a P e B. A quanto detto da A. aggiungiamo che l’editio princeps è sicuramenindipenden-te da da-tare dopo il 2 dicembre 1496. Infatti, nel colofone dell’edizione dei Commentaria di Ficino a Parmenide, Sofista, Timeo, Fedro e Filebo di Platone, usciti il 2 dicembre 1496 presso lo stesso Lorenzo de Alopa, leggiamo: «Nunc autem seorsum hic imprimitur Dionysius de mystica theo-logia divinisque nominibus». A. utilizza l’esemplare dell’edizione conservato presso la Bayeri-sche Staatsbibliothek di Monaco, che contiene correzioni manoscritte marginali, alcune delle quali sono riportate in apparato con l’indicazione in exemplari Monacensi. L’ultimo testimone citato da A. in apparato è l’edizione basileense degli Opera omnia di Ficino (Op).

Il testo base utilizzato da Ficino per la sua traduzione è contenuto nel manoscritto Vat. Borg. gr. 22 e Podolak ha dimostrato non solo la sicura appartenenza del manoscritto alla biblioteca di Fi-cino, ma anche la volontà da parte del filosofo di correggere il testo greco collazionandolo con altri testimoni (Podolak, pp. li-lxiv). La mano è quella di Giovanni Scutariota (RGK I 183), co-pista greco originario della Tessaglia e professore nello Studio fiorentino, il quale ebbe come committenti di manoscritti Poliziano, Giannozzo Manetti e la famiglia Medici.13

Passiamo ora in rassegna alcuni loci critici del testo.14

1. MT II, pp. 4-5.

Eadem prorsus oratione Trinitas obsecranda, ut quod Dionysio pie petenti lumen ad penetranda prophetarum apostolorumque mysteria quondam Deus infudit, idem nobis similiter supplicanti-bus ad illius sensum eloquiumque consequendum et exprimendum feliciter nunc infundat.

We must beseech the Trinity in one and the same prayer that, as God once poured into Dionysius the light of piously seeking in order that he might penetrate the mysteries of the prophets and apostles, so God may now pour the same light into us, who likewise ask in supplication that we may grasp Dionysius’ meaning and eloquence, and express them felicitously here.

11 Cfr. Marsili Ficini Opera, I, p. 957, Marsilius Ficinus Germano Ganaiensi: «Itaque mittam ad te

primo quidem Dionysii Platonicorum multorum libri tibi iam exscriptos, quos iamdiu petisti»; p. 960, Marsilius Ficinus Germano Ganaiensi: «Vidisses et Areopagitam simul Platonicorum culmen, si nunc eo habitu, qui et ipsum et te decebat accedere potuisset, ex scriptoris et librarii negligentia impedivit accessum. Paucos, ut spero, post dies veniet cum epistolis».

12Su Fabiani si vedano i fondamentali contributi di Sebastiano Gentile, Note sullo ‘scrittoio’ di

Marsi-lio Ficino, in J. Hankins, J. Monfasani, F. Purnell Jr. (eds.), Supplementum Festivum. Studies in Honor of Paul Oskar Kristeller, Binghamton, NY 1987, pp. 339-397; Nello «scriptorium» ficiniano: Luca Fa-biani, Ficino Ficini e un inedito, in Marsilio Ficino. Fonti, testi, fortuna. Atti del Convegno Internazio-nale (Firenze, 1-3 ottobre 1999), Firenze 2006, pp. 145-184; Nuove considerazioni sullo ‘scrittoio’ di Marsilio Ficino: tra paleografia e filologia, in R. Black, J. Kraye, L. Nuvoloni (eds.), Palaeography, Ma-nuscript Illumination and Humanism in Renaissance Italy: Studies in Memory of A. C. de la Mare, Lon-don 2016, pp. 385-421.

13Come ulteriore bibliografia sul manoscritto e sul suo copista segnalo M. Sicherl, Zwei Autographen

Marsilio Ficinos: Borg. gr. 22 und Paris. gr. 1256, in G. C. Garfagnini (ed.), Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, I, Firenze 1986, pp. 221-228, e G. De Gregorio, Manoscritti greci patri-stici fra ultima età bizantina e umanesimo italiano. Con un’appendice sulla traduzione latina di Atanasio Calceopulo dell’Omelia «In principium Proverbiorum» di Basilio Magno, in C. Leonardi, M. Cortesi (edd.), Tradizioni patristiche nell’umanesimo. Atti del Convegno. Istituto Nazionale di Studi sul Rina-scimento-Biblioteca Medicea Laurenziana. Firenze, 6-8 febbraio 1997, Firenze 2000, p. 367.

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La traduzione non rende in maniera efficace il testo latino. Ficino chiede a Dio, il quale un tem-po infuse in Dionigi il lume che egli ricercava per comprendere i misteri delle Scritture («Diony-sio pie petenti»), di concedere la stessa grazia a lui («nobis similiter supplicantibus»); «lumen» è inserito in un costrutto ajpo; koinou' ed è retto sia da «petenti» sia da «infudit». Si potrebbe per-ciò tradurre, cercando di mantenere il parallelo presente nel testo latino tra «Dionysio pie pe-tenti» e «nobis similiter supplicantibus»: «as God once poured into Dionysus the light which he was piously seeking […] so God may now pour the same light into us»

2. MT VIII 3, pp. 20-21.

Quemadmodum igitur multitudo differt a nihilo, ita unum differens est ab ente. De firmitate vero rationis huius agimus in Parmenide. Item entis natura multitudinem intus accipere non repugnat, unius vero natura repugnat.

entis natura Op : entis nature I P B Podolak unius vero natura Allen : unius vero nature I P B Podolak

Si può in questo caso mantenere il testo tradito intendendo «multitudinem intus accipere» come infinitiva soggettiva, con «repugnat» che regge i dativi «(entis) nature» e «(unius) nature». 3. MT XIX 3, pp. 56-57.

At in auferendo vicissim a postremis ad prima dispositis gradibus ascendentes omnia tollimus, ut submoto velamine ignorationem illam cognoscamus que sub omnibus cognobilibus in entibus om-nibus delitescit; illamque caliginem essentia superiorem perspiciamus que ab universo lumine in his que sunt emicante nobis occulitur.

cognobilibus I B Op : cognoscibilibus P Podolak

Il testo greco tradotto da Ficino così recita (Myst. theol. II): ejntau'qa de; ajpo; tw'n ejscavtwn ejpi; ta; ajrcikwvtata ta;" ejpanabavsei" poiouvmenoi ta; pavnta ajfairou'men, i{na ajperikaluvptw" gnw'men ejkeivnhn th;n ajgnwsivan th;n uJpo; pavntwn tw'n gnwstw'n ejn pa'si toi'" ou\si perikekalummevnhn kai; to;n uJperouvsion ejkei'non i[dwmen gnovfon to;n uJpo; panto;" tou' ejn toi'" ou\si fwto;" ajpokruptovme-non. Le due varianti sono adiafore, ma si può concordare con A. nello stampare «cognobilibus», che si adatta perfettamente all’usus scribendi di Ficino (cfr. In Procli de anima et daemone, in Opera, II, p. 1919).

4. DN XXXIV 1, pp. 186-189.

Spiritui quoque supreme divino communicabiliter uniteque attribuunt: deificas operationes, vene-rationem, fontanam indeficientemque causam, optimorum munerum distributionem.

fontanam Allen : fontiam I P Podolak Op

Da accogliere la proposta di A. «fontanam», che rende phgaivan del testo greco, contro la forma «fontiam», che, benché comprensibile, non trovo attestata altrove. Così s. Tommaso nel suo com-mento al De divinis nominibus (II 1, 120, p. 164 Mondin): «fontanam et indeficientem causam et distributionem benignorum donorum». L’immagine di una “causa sorgente” mi sembra poter de-rivare da quella dell’“anima sorgente” universale di ascendenza medioplatonica (cfr. Apul. Plat. I 9; Or. chald. fr. 34 des Places; Psell. Philosophica minora, II 40, pp. 150-151 O’Meara).

5. DN XLI 1, pp. 200-201.

Si in aula lucernis tribus illustri deambules, tres umbre resultant preterea si ingentem tabulam lu-cernis illis opponas, cuius in medio sit foramen, lucerne tres per foramen illud tria lumina e trans-verso trahiciunt in oppositum.

Sebbene A. non riporti alcuna indicazione in apparato, in P e I leggiamo «lucerne tris», che era già stato corretto da Podolak in «lucerne tres». Qualora volessimo basarci sulla percentuale del-le attestazioni deldel-le due forme nell’opera ficiniana, dovremmo senza dubbio accogliere la corre-zione di Podolak; tuttavia bisogna notare che la forma tris per tres è ben attestata negli autori umanistici (cfr. ad es. Francesco Filelfo, Collected Letters. Epistolarum Libri XLVIII, ed. J. De

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Keyser, Alessandria 2015, rist. 2016, I, p. 298, PhE.05.20, 2 «Commentationum Florentinarum dedi ad te libros tris» e passim) e anche in Ficino (cfr. Marsilii Ficini Epistula de rationibus musi-cae, in Supplementum Ficinianum, I, ed. P. O. Kristeller, Florentiae 1937, p. 51: «Precipue vero tertia, quinta, octava ceteris gratiores tris nobis Gratias referent»; Marsilii Ficini Expositio de tri-plici vita et fine tritri-plici in Supplementum Ficinianum, I, cit., p. 80: «Huic tris dee: Pallas, Iuno, Venus se offerunt tanquam iudici de forme prestantia inter se certantes»).

6. DN XLII 1, pp. 202-203.

Erat enim (ut diximus) illic totorum ad tota exacta quidem unio nec ullo modo commixta nec ulla ex parte confusa. Id quidem ita se habet, quamvis lumen sit in corpore aereo atque ex igne mate-riali dependeat.

aereo P Op : aere I Podolak

Da preferire la variante di I accolta da Podolak contro la lectio facilior «aereo». Così il testo gre-co (Div. nom. II 4): kai; tau'ta o[ntw" ejn swvmati tw'/ ajevri, kai; ejx ejnuvlou tou' puro;" hjrthmevnou tou' fwtov". Così san Tommaso nel commento al De divinis nominibus (II 2 47, p. 172 Mondin): «Et haec totaliter ex corpore aere et ex materiali igne pendente lumine».

7. DN XCV 6, pp. 328-329.

Si animus a mundo separatus esset, invisibilia Dei per proprios ipsorum radios primum intueretur, deinde per illa etiam mundana conspiceret. Cum vero sit creatura mundi – natus videlicet in mun-do et ex munmun-do – per mundana instrumenta corporea nimirum que supra mundum sunt excogitat: per solem quidem Deum, per stellas vero fixas angelos, per erraticas autem animas, maxime vero per lunam.

natus I Op : nactus P per mundana transposuit Allen : instrumenta corporea… excogitat per mundana I P

If the rational soul were separated from the world, it would first see the invisible things of God through their own particular rays and then through those invisibles it would see worldly things too. But since the soul is a creature of the world – has been born, that is, in the world and from the world – it thinks of course by way of this world’s corporeal instruments about the [incorporeal] things which are above the world: it thinks about God through the sun, about angels through the fixed stars, and about souls through the wandering stars [the planets], but also, and mainly, through the moon.

Se noi accogliamo «natus» di I invece di «nactus» di P, la proposta di A. è l’unica plausibile, giacché, senza la trasposizione di «per mundana», «instrumenta corporea» risulterebbe irrelato. Tuttavia si potrebbe proporre anche un’altra soluzione: se noi accogliessimo «nactus» di P e modificassimo la punteggiatura proposta da A., eviteremmo non solo lo spostamento della peri-cope, ma anche la stridente identificazione degli «instrumenta corporea» con i corpi celesti elen-cati da Ficino («per mundana instrumenta corporea […]: per solem […], per stellas vero fixas […], per erraticas […], per lunam»). Credo invece che gli «instrumenta corporea» debbano es-sere interpretati come i sensi grazie ai quali l’«animus» può percepire i «mundana», attraverso i quali ha infine accesso a «que supra mundum sunt». Così il testo da me proposto:

Cum vero sit creatura mundi, nactus videlicet in mundo et ex mundo instrumenta corporea, nimi-rum que supra mundum sunt excogitat per mundana: per solem quidem Deum, per stellas vero fixas angelos, per erraticas autem animas, maxime vero per lunam.

8. DN CXXXIII 4, pp. 426-427.

Plotinus una cum Platone ipsam simpliciter malorum originem esse vult materiam, malorum vero nostrorum inclinationem anime ad materiam, sive ex ipsa, sive incitamento demonum pronior ad hanc evadat. Sit igitur vel materia vel mutatio quedam in demonibus aut animis accidens origo ma-lorum, dummodo non sit principium malorum efficiens, sed deficiens.

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Along with Plato, Plotinus wants the matter itself to be the origin itself of evils absolutely, but the origin of our particular ills to be the soul’s inclination toward such matter, whether this inclination comes from itself or we become more prone to it by the demons’ prompting. Therefore, let the ori-gin of ills be either matter, or some change in the demons, or an accident in souls, provided it is not the efficient but the deficient principle of evils.

Come nota A. (p. 485), Ficino in questo passo fa riferimento a Plot. En. I 8 (Povqen ta; kakav) e II 4 (Peri; tw'n duvo uJlw'n). A. giustamente accoglie «sit» di B, I e Op, contro «si» di P stampato da Podolak, in parallelo con il seguente «sit»; in caso contrario, difficilmente si spiegherebbe il «dummodo» (bisogna dire però che già Podolak suggeriva questa soluzione in apparato). La traduzione risulta però claudicante, giacché sintatticamente «accidens» non è un altro mem-bro dell’elenco di cui fanno parte «materia» e «mutatio», bensì un participio con valore attribu-tivo da riferire a «mutatio» («let the origin of ills be either matter, or some change that involves the demons or souls»).

9. DN CLXXXI, pp. 96-97.

Mala nec immobilia sunt neque semper eodem modo se habent, sed infinita et indeterminata et in aliis aliter pervagantia atque et his insuper infinitis.

atque et P : atque I

L’espunzione di «et», assente anche in Op, è necessaria. Probabilmente in P è confluita a testo una varia lectio, che in questo caso non dà senso (cfr. Div. nom. IV 31: ou[te ajkivnhta kai; ajei; wJ-sauvtw" e[conta ta; kakav, ajll∆ a[peira kai; ajovrista kai; ejn a[lloi" ferovmena kai; touvtoi" ajpeiv-roi"). Si preferisce mantenere «atque» e non «et» poiché «his insuper infinitis» è coordinato con «in aliis aliter» e non con «infinita et indeterminata et pervagantia».

10. DN CCII 2, pp. 120-121.

Cum igitur finis quidem agentem movere soleat et agens exemplar adducere, merito Deum primo contemplatus est ut bonum, deinde ut essentiam atque vitam, tertio ut intellectum et sapientiam et exemplar. Nusquam vero tractare hec audet ea ipsa supereminentisssima ratione qua in ipso sunt Deo; ita enim nec per intellectum nec per unitatem mentis apicem intelligentia superiorem attingi possunt.

audet Allen : audeatur I audeat P Podolak

Thus, since the end customarily moves the agent and the agent adduces the exemplar, Dionysius duly contemplates God in the first place as the good, then as essence and life, and thirdly as intel-lect, wisdom, and exemplar. But nowhere does he venture to engage these, and for the super-emi-nent reason that they are in God Himself. Thus they can be attained neither through the intellect nor through the unity which is the mind’s apex and superior to understanding.

Sebbene non venga segnalato in apparato, «audet» è correzione di A. Poco sostenibile è la lezio-ne di P: siccome non è esplicitato, il soggetto della frase dovrebbe essere quello della preceden-te, ovvero Dionigi l’Areopagita, che nelle sue opere non osa discutere («tractare», in opposizio-ne al precedente «contemplatus est») di entità che l’umano intelletto non può cogliere; risulte-rebbe invece forzato pensare che Ficino consigli a Dionigi di non osare affrontare questi argo-menti («nusquam vero tractare hec audeat»). Se pensiamo che l’esortazione sia rivolta ad un ge-nerico lettore, più perspicua è la lezione di I («nusquam vero tractare hec audeatur»); tuttavia, in questo modo «nusquam» sarebbe difficilmente spiegabile.

Molto efficace è invece la correzione di A., il quale mantiene «Dionysius» come soggetto della proposizione; essa, infatti, si accorda perfettamente con la lettura data a DN da Ficino, il quale «sees in the Divine Names the supreme validation of the Neoplatonic metaphysical hierarchy with its emphasis on the experience of union beyond being with a God who is no longer the Creator God, or the God of being, but the invisible, transintellegible God of our unknowing» (p. xxiv).

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11. DN CCXV 2, pp. 152-153.

Si igitur hec essentie participatione existunt, multo magis et horum participia omnia participatione entis existent.

existunt P Podolak : existent I existent I : existunt P Podolak

Therefore, if these principles exist by participation of essence, much more so will all the partici-pants of these principles exist by participation of essence too.

Così il testo greco (Div. nom. V 5): Eij de; tau'ta th'/ metoch'/ tou' ei\nai e[sti, pollw'/ ge ma'llon ta; aujtw'n metevconta. Sebbene la proposta di A. sia suggestiva, sulla base del modello possiamo con Podolak mantenere il testo tradito da P con entrambi i verbi al presente. Da rifiutare invece il te-sto di I con i verbi al futuro.

12. DN CCCXXXIX 9, pp. 364-365.

Denique, si de re minus universali natura universalior neque falso neque ridicule predicatur, pro-babile videtur ampliorem in angustiore sic inesse ut nec omnino duo sint quasi seorsum, nec sint penitus unum.

sint penitus unum Allen : sit penitus unum I sic penitus unum P Podolak

Finally, if it is neither false nor ridiculous to predicate a more universal nature of something less universal, it seems [in turn] probable that the more ample can be in the more confined in such a way that the two are neither entirely apart as it were, nor entirely one.

Non necessaria la correzione di Allen, in quanto il testo è perfettamente intellegibile se mante-niamo la lezione tradita da P e stampata da Podolak. Inoltre, il nesso «sic penitus» è legittimato dall’usus ficiniano (cfr. In Plotinum, in Opera, II, p. 1690).

13. DN CCCXLIV 2, pp. 394-395.

Nihil denique in rebus invenies quod non ipso uno, secundum quod deitas omnis superessentiali-ter nominatur, et sic hoc ipsum quod est et perficiatur atque servetur.

sic Op : sit I P Podolak

Sulla base del testo greco (Div. nom. XIII 3: kai; e[sti tou'to, o{per ejstiv, kai; teleiou'tai kai; dia-swvzetai), non dobbiamo accogliere la variante testimoniata solamente da Op, in quanto «sit» tra-duce e[sti. Inoltre, occorre un verbo in parallelo con «perficiatur atque servetur», senza il quale non si spiegherebbero le congiunzioni coordinanti «et (sit)… et (perficiatur atque servetur)». Secondo la consueta struttura delle edizioni della collana, ogni volume si chiude con la nota al testo seguita dall’elenco delle varianti rispetto al testo stampato e dalle note di commento alla traduzione; seguono una tavola di concordanze tra l’edizione Allen e le edizioni della traduzione e del commento ficiniani15e tra l’edizione Allen e le edizioni del testo greco di Dionigi

l’Aeropa-gita,16una ricca bibliografia17e un indice dei nomi propri. 15Si tratta delle già citate edizioni basileense e Podolak.

16Per entrambe le opere vengono messe a confronto la numerazione introdotta da Balthasar Cordier

in S. Dionysii Areopagitae Opera, Antverpiae 1634, e dal Migne (MT: PG III, coll. 586-996; DN: PG III, coll. 997-1048); MT è stato poi edito da G. Heil, A. Martin (Hrsgg.), Pseudo-Dionysius Areopagi-ta, De coelesti hierarchia, De ecclesiastica hierarchia. De mystica theologia. Epistulae, Berlin 2012, pp. 141-150, e DN da B. R. Suchla (Hrsg.), Pseudo-Dionysius Areopagita, De divinis nominibus, Berlin 1990, pp. 107-231. È stata recentemente ristampata la traduzione italiana completa del Corpus Diony-siacum a cura di E. Turolla (Corpus DionyDiony-siacum: La gerarchia celeste. La gerarchia ecclesiastica. Circa i nomi divini. La teologia mistica. Epistole, Milano 2014 [Padova 19561]).

17Da aggiungere come ulteriore bibliografia su Ficino e Dionigi l’Areopagita due contributi di P.

Po-dolak, «Unitas apex anime». Il commento ficiniano allo ps. Dionigi Areopagita fra aristotelismo, plato-nismo e mistica medievale, «Accademia» 11, 2009, pp. 27-60, e «Flores delibare platonicos»: per la

(8)

rice-I pochissimi errori di stampa18e refusi19non inficiano la qualità dell’opera, che si pone come un

utile strumento sia per gli specialisti sia soprattutto per chi voglia accostarsi per la prima volta a queste due opere ficiniane, grazie alla densa introduzione e alle efficaci note di commento. Inol-tre, se l’edizione critica di riferimento per quest’opera rimane quella curata da Podolak, l’accu-rata traduzione inglese sicuramente promuoverà la conoscenza di queste traduzioni, fondamen-tali per comprendere il pensiero dell’ultimo Ficino, il quale nel 1497 iniziò a commentare pub-blicamente le epistole di san Paolo, presunto maestro di Dionigi, ma si arrestò all’inizio dell’Epi-stula ad Romanos «senza poter completare il commento agli scritti cristiani che avevano forse maggiormente influenzato il suo pensiero».20

Gianmario Cattaneo

zione di Dionigi l’Areopagita in Marsilio Ficino, in B. R. Suchla (ed.), Von Homer bis Landino. Beiträge zur Antike und Spätantike sowie zu deren Rezeptions- und Wirkungsgeschichte. Festgabe für Antonie Wlosok zum 80. Geburtstag, Berlin 2011, pp. 319-354. Molto interessante per gli studiosi di bizantini-stica è un altro studio di Podolak su Dionigi l’Areopagita, L’agiografia di Dionigi fra Oriente e Occi-dente: breve studio del suo sviluppo ed edizione del panegirico di Michele Sincello (BHG 556), «Byzan-tion» 85, 2015, pp. 179-258.

18 Per esempio Intr. p. xi: «Josef», e non «Joseph» Stiglmayr; DN XXVIII 2, p. 78: «<subá>» per

«<sub>»; DN XXXIV 3, p. 188: eliminare l’a capo tra «deinceps» e «quacumque»; DN LXVIII 1, p. 262: eliminare l’a capo tra «bonorum» e «principium»; DN LXXXIX 4, p. 308 «cm» per «cum»; DN CCLXXI 3, p. 254 «ceunt» per «coeunt».

19Come mi fa giustamente notare Podolak, Nicolaus Scutellius da Trento (1490-1542), che a p. xi

vie-ne incluso tra i teologi protestanti che dubitarono dell’autenticità del Corpus Dionysiacum¸ fu un frate agostiniano, quindi cattolico. Su costui vd. in partic. J. Monfasani, Nicolaus Scutellius, O.S.A., as Pseu-do-Pletho. The Sixteenth-Century Treatise «Pletho in Aristotelem» and the Scribe Michael Martinus Stella, Firenze 2005.

20 C. Vasoli, Ficino, Marsilio, in DBI, XLVII, Roma 1997, coll. 392-393; cfr. anche P. O. Kristeller,

Supplementum Ficinianum, I, cit., pp. XXXIII-LXXXII; C. Catà, Il Rinascimento sulla via di Dama-sco. Il ruolo della teologia di San Paolo in Marsilio Ficino e Nicola Cusano, «Bruniana e Campanellia-na» 14, 2008, pp. 523-534.

Paolo Garbarino, Andrea Trisciuoglio, Enrico Sciandrello (edd.), Diritto Romano

D’Oriente. Scritti scelti di Fausto Goria, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2016, pp.

XXII + 1180 [ISBN 9788862746274].

To honour Antecessor Fausto Goria on the occasion of his becoming emeritus at the University of Turin, at the end of October 2015, the present substantial book was published. This homage presents a selection of Professor Goria’s impressive scholarly production on Justinianic and Byzantine law from his beginning as a scholar to this very day (pp. VII-VIII).

After the Presentazione by the editors follows Goria’s bibliography from 1973 to 2016: more than 80 articles, reviews and other offsprings of his scholarly work (pp. IX-XVI). To say it in a few words: the content of this compilation covers various aspects of the legal practice of Justinian Ro-man law in the East RoRo-man Empire over centuries until the fall of Constantinople. This concerns a world not explored on a large scale, although it is a vital link to modern days. The editors un-derline the advantage of having the collection in one, be it sizeable volume, which makes it easy to acquire knowledge of the way Justinian’s Corpus iuris was applied in and formed part of the East Roman civilization. In his Prefazione Dieter Simon also emphasizes the value of this collec-tion – still actual and not caught up with younger findings – in honouring the scholar and the op-portunity to value the scholar’s contribution to the science of the field of his expertise (p. XVII).

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