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Valutazione delle proprieta cardioprotettive dell' H2S-donor erucina, in un modello sperimentale in vivo di infarto acuto del miocardio

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Tesi di Laurea

VALUTAZIONE DELLE PROPRIETÀ CARDIOPROTETTIVE DELL'H

2

S-DONOR ERUCINA, IN UN MODELLO SPERIMENTALE IN VIVO DI

INFARTO ACUTO DEL MIOCARDIO

Relatori:

Prof. Vincenzo Calderone

Prof.ssa Lara Testai

Dott. Lorenzo Flori

Candidata:

Claudia Giunti

ANNO ACCADEMICO 2019/2020

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I

INDICE

1. INTRODUZIONE 1 1.1 Biosintesi di H2S 2 1.2 Catabolismo 3 1.3 H2S e la sulfidrazione 4

1.4 Fisiopatologia dell’ischemia miocardica e del danno da ischemia/riperfusione 6

1.5 H2S e cardioprotezione 8

1.5.1 Cross talk fra H2S e NO nella cardioprotezione 13

1.6 Ruolo di H2S nelle patologie cardiovascolari croniche 14

1.6.1 H2S e lo scompenso cardiaco 16

1.6.2 Fibrosi cardiaca e H2S 21

1.6.3 Cardiomiopatia diabetica e H2S 25

1.7 H2S donors 27

1.7.1 Sali di solfuro 28

1.7.2 H2S donors di origine sintetica 29

1.7.2.1 Derivati del reattivo di Lawesson 29

1.7.2.2 Derivati ammidici 32

1.7.2.3 Tiouree 35

1.7.2.4 Derivati del ditioltione 36

1.7.2.5 Polisolfuri ciclici 38

1.7.3 H2S donors di origine naturale 41

1.7.3.1 Derivati dell’aglio 41

1.7.3.2 Polisolfuri naturali 42

1.7.4 Gli isotiocianati 44

1.7.4.1 Isotiocianati di origine sintetica 45

(3)

II

2. SCOPO DELLA RICERCA 54

3. MATERIALI E METODI 57

3.1 Sperimentazione in vivo 57

3.1.1 Esperimento in vivo: procedura sperimentale 57

3.1.2 Strumenti 61

3.1.3 Analisi dei dati 62

3.2 Dosaggio della troponina I 62

3.2.1 Esecuzione del kit 64

3.2.2 Analisi dei dati 66

3.2.3 Strumenti 66

4. RISULTATI E DISCUSSIONE 68

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1 1. INTRODUZIONE

L’acido solfidrico (H2S) è un gas inizialmente conosciuto a causa dei suoi effetti tossici sulla

respirazione cellulare che però, nel corso degli anni, ha acquisito sempre più importanza in campo medico e farmacologico (Fig. 1) (Abe & Kimura, 1996; Moore et al., 2003). Infatti, numerosi studi dimostrano che H2S viene sintetizzato a livello endogeno e risulta coinvolto

nella regolazione di numerose funzioni fisiopatologiche; per questo motivo ad oggi è classificato come gas trasmettitore endogeno, insieme al monossido di azoto (NO) e al monossido di carbonio (CO)(Abe & Kimura, 1996; Elrod et al., 2007; Martelli et al., 2012a; Martelli et al., 2012b). Tali gas, prodotti in opportuna quantità dai tessuti, ricoprono un ruolo fondamentale nel mantenimento e nella regolazione delle funzioni fisiologiche dell’organismo (Moody et al., 2011). In particolare, il ruolo biologico di H2S si esplica in

vari distretti, per esempio a livello gastroenterico, respiratorio e del sistema nervoso centrale (SNC) (Calderone et al., 2016), ma soprattutto si rivela essenziale a livello cardiovascolare, laddove H2S permette il mantenimento dell’omeostasi ed induce vasodilatazione ed effetti

cardioprotettivi (Cheng et al., 2004; Yan et al., 2004; Li et al., 2011; Li et al., 2012). Per questo motivo la conservazione dei livelli fisiologici di H2S sembra essere essenziale per

prevenire numerose patologie cardiovascolari, come l’aterosclerosi, l’ipertrofia cardiaca, l’ipertensione, l’infarto del miocardio e la cardiomiopatia diabetica (Li et al., 2012; Li et al., 2015). Infatti, numerosi studi riportati in letteratura hanno dimostrato la presenza di livelli fisiologici alterati di tale mediatore in concomitanza con patologie cardiovascolari come l’insufficienza cardiaca e le coronaropatie (Jiang et al., 2005; Liu et al., 2012; Polhemus et al., 2014), sottolineando ulteriormente l’importanza biologica di H2S.

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2

Figura 1 (Polhemus et al., 2014): Timeline di H2S come mediatore fisiologico nell’omeostasi cardiovascolare.

Uno studio di Ward, P. sostiene che H2S possa essere responsabile dell’estinzione di massa che si è verificata

più di 250 milioni di anni fa, in quanto gas tossici fuoriuscirono dalle profondità del terreno. Nel 1700, H2S fu

associato a danni riportati da alcuni lavoratori delle fogne. Nel 1989, fu individuato a livello del cervello dei

mammiferi da svariati gruppi di ricerca e fra il 1996 e il 1997 venne evidenziata la capacità di H2S di modulare

il tono vascolare e le funzioni neuronali, infine nel 2002 venne caratterizzata l’azione di questo mediatore di regolare la funzionalità vascolare e la pressione sanguigna. Successivamente, il gruppo del Dr. S. Snyder

scoprì il meccanismo di s-sulfidrazione per mezzo del quale H2S era in grado di modificare le proteine.

1.1 Biosintesi di H2S

La biosintesi endogena di H2S può avvenire sia attraverso una via non enzimatica, sia

attraverso una via enzimatica. La via non enzimatica prevede un’ossidoriduzione fra lo zolfo elementare, che viene ridotto ad H2S, ed il glucosio, che viene ossidato a lattato, secondo la

seguente reazione (Searcy et al., 2015):

2 C6H12O6 + 6 S0 -> 3 C3H6O3 + 6 H2S + 3 CO2

La via enzimatica è responsabile della produzione della maggior parte dell’H2S endogeno

ed è mediata da tre enzimi principali: cistationina-β-sintasi (CBS), cistationina-γ-liasi (CSE) e 3-mercaptopiruvato sulfurtransferasi (3-MST). Sia CBS che CSE sono enzimi piridossal-5-fosfato dipendenti e sfruttano come substrato l’amminoacido L-cisteina (Chen et al., 2004), mentre 3-MST utilizza il 3-mercaptopiruvato, che è un prodotto della reazione catalizzata dalla cisteina aminotrasferasi (CAT) fra L-cisteina e l’α-chetoglutarato. Comunque, la principale fonte di H2S endogeno deriva proprio dall’attività enzimatica di

CBS e CSE e infatti l’inibizione di questi due enzimi porta ad una significativa riduzione dei livelli di tale mediatore (Mikami et al., 2011; Vandiver et al., 2012). Questi enzimi presentano una distribuzione piuttosto variegata nell’organismo: CBS è stata individuata a livello del SNC (Robert et al., 2003), ma anche nei reni, nel fegato, nell’utero e nell’intestino (Kimura, 2003), mentre CSE è localizzata principalmente a livello cardiovascolare (Ishii et al., 2004; Lefer, 2007). 3-MST e CAT sono espresse principalmente a livello dei reni, del cuore, dei polmoni, del SNC e del tessuto vascolare (Olson et al., 2010). In totale si possono identificare almeno 4 vie biosintetiche di H2S, schematizzate in Figura 2: nella prima via,

l’enzima CBS idrolizza la L-cisteina con formazione di H2S e L-serina (Porter et al., 1974),

la seconda via invece coinvolge un dimero di L-cisteina, la L-cistina, che è convertito da CBS in piruvato, con formazione di ammoniaca (NH3) e tiocisteina, la quale, attraverso una

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3

via non enzimatica, è convertita nuovamente in L-cisteina con produzione di H2S.

Altrimenti, in presenza di gruppi tiolici (R-SH) come nel glutatione o nella cisteina, CSE catalizza la formazione di H2S e cysSR (Yamanishi & Tuboi, 1981; Stipanuk & Beck, 1982).

Nella terza via biosintetica, CSE converte l’amminoacido L-cisteina e l’anione solfito (SO3

2-) in L-cisteato e H2S (Li et al., 2009a). Infine, nell’ultima via biosintetica, 3-MST converte

il 3-mercaptopiruvato, ottenuto dalla reazione fra L-cisteina e α-chetoglutarato catalizzata da CAT, in piruvato e H2S (Kuo et al., 1983; Shibuya et al., 2009), oppure, in presenza di

alte concentrazioni di SO32-, il 3-mercaptopiruvato è convertito in piruvato e tiosolfato

(S2O32-) che reagisce con il glutatione ridotto (GSH) per produrre nuovamente H2S, SO32- e

glutatione ossidato (GSSG) (Li et al., 2009a).

Figura 2: Vie di biosintesi di H2S.

1.2 Catabolismo

H2S è principalmente metabolizzato nei mitocondri laddove è ossidato a S2O32- ad opera di

vari enzimi mitocondriali: tale prodotto, in presenza di un anione cianuro (CN-), è convertito a solfito per mezzo di una rodanasi, con produzione di tiocianato. Infine, la solfito ossidasi media la conversione di SO32- in solfato (Goubern et al., 2007, Hildebrandt & Grieshaber,

2008). Un’altra via catabolica vede la metilazione di H2S da parte dell’enzima tiolo

S-metiltransferasi (TSMT) con formazione di dimetansolfuro e metantiolo, tuttavia questa reazione avviene esclusivamente nel citoplasma e rappresenta una via catabolica meno importante (Furne et al., 2001). Infine, H2S può legare l’emoglobina dando luogo alla

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4

Figura 3: Vie cataboliche endogene di H2S.

1.3 H2S e la sulfidrazione

H2S rappresenta un gas trasmettitore in grado di mediare alcuni effetti biologici attraverso

una modifica post-traduzionale, la S-sulfidrazione, per la quale i gruppi tiolici (-SH) e derivati (-S-S-; -SOH), tipici dei residui di cisteina vengono convertiti in gruppi -SSH (Fig. 4): tale modifica comporta una variazione della funzione e dell’attività della proteina interessata (Mustafa et al., 2009; Paul & Snyder, 2015; Meng et al., 2018).

Figura 4 (Meng et al., 2018): Meccanismo di reazione per la S-sulfidrazione. Tale modifica può essere indotta

da H2S a carico di gruppi -SH in presenza di un ossidante (D), ma anche -SOH (A), -S-S- (B) oppure può

essere mediata da polisolfati (C).

La reattività dei residui di cisteina alla sulfidrazione dipende principalmente dalla costante di dissociazione acida (pKa), che è influenzata dall’ambiente cellulare e dalla struttura della proteina: generalmente la reazione avviene sui residui di cisteina con una pKa bassa, in quanto esistono come anioni tiolati (R-S-) in condizioni fisiologiche (Paul & Snyder, 2015; Meng et al., 2018). Questa modifica si esplica a livello di vari target sistemici e rappresenta il meccanismo chiave attraverso il quale H2S è in grado di regolare numerose funzioni

fisiologiche. In particolare, a livello cardiovascolare la S-sulfidrazione permette l’apertura dei canali KATP, grazie alla modifica a carico della subunità Kir6.1 (Sivarajah et al., 2009;

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Mustafa et al., 2009). Questa categoria di canali ionici è espressa a livello della muscolatura vasale laddove la loro apertura determina vasodilatazione, con conseguente abbassamento della pressione arteriosa (Cheng et al., 2004). La S-sulfidrazione si esplica anche a livello dei canali al calcio di tipo L (Zhang et al., 2012), la cui regolazione, insieme ai canali KATP,

è coinvolta nella risposta antiipertensiva e cardioprotettiva mediata da H2S (Cheng et al.,

2004; Citi et al., 2018). A livello cardiovascolare la S-sulfidrazione è responsabile anche della modulazione di specifici effetti cardioprotettivi riconducibili ad H2S, in quanto

interessa proteine target la cui attivazione induce, in ultima analisi, effetti citoprotettivi. In particolare, attraverso la sulfidrazione H2S è in grado di arrestare gli effetti inibitori di PTEN,

permettendo quindi l’attivazione del pathway cellulare antiapoptotico che coinvolge PI3K/Akt (Wu et al., 2017). Alcuni studi hanno inoltre rivelato che la sulfidrazione riveste un ruolo fondamentale nell’attivazione di specifici pathway con attività antiossidante: infatti un ulteriore target è rappresentato da Keap1, una proteina che a livello cellulare lega Nrf2, un fattore di trascrizione vitale per la protezione contro lo stress ossidativo. La S-sulfidrazione a carico di Keap1 determina la dissociazione del complesso, con conseguente attivazione della fosforilazione di Nrf2 e successiva traslocazione a livello nucleare, laddove induce la sintesi di fattori antiossidanti (Fig. 5) (Guo et al.2014; Yuqi et al., 2020).

Figura 5 (Adattata da De Freitas Silva et al., 2018): Azione della S-sulfidrazione mediata da H2S sul

complesso Keap1/Nrf2).

Infine, uno studio di Karwi et al. ha evidenziato che, per mezzo della sulfidrazione, H2S

possa regolare l’attività dell’ATP-sintetasi, il che suggerisce che possa essere coinvolto nel mantenimento dell’omeostasi cellulare così come nella regolazione della produzione dei ROS a livello mitocondriale (Mòdis et al., 2016; Karwi et al., 2017a).

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1.4 Fisiopatologia dell’ischemia miocardica e del danno da ischemia/riperfusione Il danno miocardico da ischemia/riperfusione è responsabile della morte cellulare dei miocardiociti e compromette irreversibilmente la funzione e la struttura del miocardio. Con il termine ischemia, in medicina, si fa riferimento alla totale o parziale assenza di afflusso di sangue in un organo o in un tessuto, che determina ipossia, ovvero carenza di ossigeno in corrispondenza della parte colpita. A livello cardiovascolare, si parla quindi di ischemia miocardica, che si verifica quando un’arteria coronaria viene ostruita: a causa dell’occlusione, l’apporto di ossigeno a livello del miocardio si riduce drasticamente fino ad esaurirsi, causando la necrosi dei cardiomiociti e degli altri tipi cellulari (Olivetti et al., 1996; Anversa et al., 1998), conseguentemente ad una serie di alterazioni metaboliche e ioniche che affliggono le cellule colpite. In questo contesto, la riperfusione, ovvero il ripristino del flusso di sangue, dovrebbe alleviare e bloccare l’ischemia, tuttavia paradossalmente induce un peggioramento del quadro clinico patologico. Il danno miocardico da ischemia/riperfusione è quindi caratterizzato da una fase iniziale di ipossia, che provoca morte per necrosi cellulare, e da una seconda fase di riperfusione, che è responsabile di ulteriori danni cellulari provocati da processi apoptotici (Kalogeris et al., 2012) (Fig. 6).

Figura 6: Eventi intracellulari che si verificano durante la riperfusione.

L’ipossia iniziale comporta un crollo dei livelli di ATP intracellulare, poiché la respirazione mitocondriale e la fosforilazione ossidativa vengono bloccate (Halestrap, 2010). La deplezione di ATP così generata, a sua volta, determina il blocco della pompa Na+-K+ ATP-asica, con conseguente aumento dei livelli di sodio nel citosol (Konstantinidis et al., 2012) a cui segue l’inibizione dell’antiporto Na+-H+: questo comporta un abbassamento del pH

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metabolismo anaerobico che si attiva durante l’ischemia, per il quale si registra un accumulo di lattato a livello del citosol. L’abbassamento del pH intracellulare determina l’alterazione dell’attività degli enzimi cellulari e l’inversione del flusso della pompa Na+-Ca2+, per

smaltire l’eccesso di sodio a livello del citosol, a cui corrisponde un aumento dei livelli di calcio che diffonde all’interno dei mitocondri. Nel miocardio, l’insieme di questi cambiamenti intracellulari sono accompagnati dall’attivazione di proteasi che danneggiano le miofibrille e inducono necrosi. In generale, il grado di lesione tissutale varia a seconda dell’entità della diminuzione dell’apporto di sangue e della durata dell’evento ischemico (Kalogeris et al., 2012). Durante la riperfusione invece, i livelli di ATP sono ristabiliti per cui la pompa Na+-K+ ATP-asica viene riattivata e l’attività degli antiporti viene ricostituita

(Murphy & Steenbergen, 2008). Tuttavia, quando viene ripristinato l’afflusso di ossigeno, si osserva un incremento della produzione delle ROS (Kalogeris et al., 2012), le quali possono interagire con le proteine del reticolo sarcoplasmatico, inducendo un aumento dei livelli di calcio intracellulare e all’interno dei mitocondri: l’accumulo delle ROS, insieme all’elevata concentrazione di calcio, determina l’apertura del poro di transizione della permeabilità mitocondriale (MPTP), che è responsabile dello swelling mitocondriale, causando il rilascio di una serie di fattori pro-apoptotici, fra cui il citocromo c, responsabili dell’apoptosi cellulare (Webster, 2012). L’apertura di MPTP durante la riperfusione è favorita dal ripristino dei livelli del pH cellulare: infatti, in condizioni di acidosi, tale poro rimane chiuso (Citi et al., 2018). Il danno da ischemia/riperfusione può inoltre portare all’attivazione di un’intensa risposta infiammatoria, che amplifica ulteriormente la lesione a livello del miocardio portando alla morte dei miocardiociti, con conseguente riduzione della funzionalità (Frangogiannis, 2014). La morte cellulare promuove l’assemblamento dell’inflammosoma, una struttura macromolecolare che amplifica la risposta infiammatoria attraverso l’attivazione della caspasi-1 (Franchi et al., 2009) e conseguente rilascio di citochine proinfiammatorie, fra le quali IL-1β e IL-18, che innescano processi di morte cellulare (Franchi et al., 2009). Uno studio di Dinarello del 2000 ha evidenziato il coinvolgimento anche di IL-6 e IL-8, che aumentano l’adesione dei neutrofili durante l’infarto acuto del miocardio, e del fattore di necrosi alfa (TNF-α), che promuove l’apoptosi ed è coinvolto nel meccanismo molecolare del danno ischemico. Il danno da ischemia/riperfusione rappresenta quindi un quadro patologico complesso, che provoca inevitabilmente una lesione irreversibile a livello del miocardio, conseguente ai processi necrotici e apoptotici che interessano i miocardiociti.

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8 1.5 H2S e cardioprotezione

Fin dalla scoperta della presenza di enzimi endogeni deputati alla sintesi di H2S (Geng et al.,

2004; Wang, 2012; Polhemus & Lefer, 2014), l’interesse verso questo mediatore è aumentato sempre di più, tant’è che nel corso degli anni sono stati individuati e valutati numerosi possibili meccanismi d’azione ed effetti biologici associati ad H2S a livello

cardiovascolare, sia in condizioni fisiologiche, sia in condizioni patologiche. Numerosi studi hanno infatti dimostrato che, a livello endogeno, H2S esplichi un’azione cardioprotettiva

attraverso il “precondizionamento”(Yong et al., 2008) e il “postcondizionamento” ischemico (Huang et al., 2012a), fenomeni che coinvolgono una serie di risposte fisiologiche complesse che intervengono prima dell’evento ischemico e durante la riperfusione (Citi et al., 2018): la produzione endogena di questo mediatore è necessaria in questo contesto, in quanto si osservano effetti citoprotettivi e cardioprotettivi quando la concentrazione di H2S aumenta

nel miocardio ischemico o riperfuso (Pan et al., 2006; Pan et al.; 2008; Pan et al., 2009), mentre, in seguito al trattamento con propargilglicina (PAG), un inibitore della CSE, i danni tissutali aumentano e gli effetti protettivi associati al postcondizionamento e al precondizionamento sono notevolmente ridotti (Bian et al., 2006; Huang et al., 2012a). Un effetto cardioprotettivo viene riscontrato anche attraverso la somministrazione, prima e dopo l’induzione dell’ischemia, di H2S per mezzo di H2S-donors inorganici, come NaHS e Na2S,

e sintetici, per i quali si osserva una riduzione significativa dell’area infartuata in vari modelli animali (Osipov et al., 2009; Kang et al., 2016; Karwi et al., 2016; Lougiakis et al., 2016), come evidenziato dalla metanalisi di Karwi et al. del 2017, che ha comparato i risultati ottenuti in vari studi pubblicati nel corso degli anni (Karwi et al., 2017a). Inoltre, nel 2007 il lavoro di Elrod et al. ha identificato un effetto protettivo di H2S, per mezzo di una

sovraespressione di CSE e di una somministrazione esogena di H2S donors, per il quale si

osserva una riduzione dell’area infartuata, sottolineando ulteriormente il ruolo di questo mediatore. Perciò, grazie alle numerose evidenze sperimentali pubblicate nel corso degli anni, il coinvolgimento di H2S nella cardioprotezione è riconosciuto in numerose patologie

cardiovascolari e nel danno miocardico da ischemia/riperfusione (Zhu et al., 2007; Zhang et al., 2007a; Li et al., 2012; Lu et al., 2013; Li et al., 2015). Queste scoperte presentano una potenziale applicazione clinica, dato che un’alterazione dei livelli fisiologici di H2S è stata

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Polhemus et al., 2014). Alla base della cardioprotezione mediata da H2S vi sono numerosi

effetti (Fig. 7).

Figura 7 (Yaqui et al., 2014):Pathway cellulari attivati da H2S che mostrano effetti cardioprotettvi. H2S è in

grado di proteggere il cuore dalle condizioni patologiche attraverso vari meccanismi: previene la risposta infiammatoria mediata dalle citochine pro-infiammatorie, stimola l’angiogenesi aumentando l’espressione di VEGF e dei suoi recettori e attivando la fosforilazione della fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K) and Akt, attiva la sintasi eNOS endoteliale (eNOS) e aumenta la biodisponibilità di NO, inoltre impedisce l’apoptosi dei cardiomiociti attraverso la soppressione dell’attivazione della caspasi-3, aumentando l’espressione della

glicogeno sintasi chinasi-3(GSK-3𝛽) e aumentando l’espressione del miRNA-21. H2S inoltre protegge la

funzione mitocondriale attraverso l’inibizione della respirazione mitocondriale ed esplica un’azione antiossidante attraverso l’attivazione del pathway associato a Nrf2 e un’azione scavenger diretta sui ROS.

Infine, H2S media l’apertura di alcuni canali ionici, a cui corrisponde un’azione cardioprotettiva.

A livello cardiovascolare H2S, attraverso un meccanismo di S-sulfidrazione (Mustafa et al.,

2009) covalente che coinvolge residui di L-cisteina (Gadalla & Snyder, 2010), è in grado di modificare l’attività dell’enzima gliceraldeide 3-fosfato deidrogenasi (GAPDH) e di una categoria di canali ionici fondamentali per la regolazione del potenziale di membrana, ovvero i canali KATP, localizzati a livello del sarcolemma (sarcoKATP) e dei mitocondri

(mitoKATP), i canali Ca2+ e i canali Na+ voltaggio dipendenti (Citi et al., 2018): la regolazione

dell’attività di questi canali ionici, espressi nei cardiomiociti, è coinvolta negli effetti protettivi sul danno da ischemia/riperfusione del miocardio indotti proprio da H2S (Citi et

al., 2018). Per quanto riguarda i canali KATP, attraverso la loro attivazione, H2S può modulare

numerose funzioni fisiologiche, in quanto sono espressi anche a livello della muscolatura vasale laddove la loro apertura determina vasodilatazione, con conseguente abbassamento

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della pressione arteriosa (Cheng et al., 2004). Oltre ai canali KATP, un altro target

farmacologico coinvolto nella riposta vasodilatatoria mediata da H2S è rappresentato dai

canali Kv7 (in particolare i canali Kv7.4) (Martelli et al., 2013a) e dai canali BKCa, ovvero dei canali del potassio calcio-attivati ad alta conduttanza (Mustafa et al., 2011; Telezhkin et al., 2016). Sia i mitoKATP che i sarcoKATP sono coinvolti nell’effetto cardioprotettivo contro

il danno miocardico da ischemia/riperfusione in quanto la loro attivazione induce un effetto ionotropico negativo nel miocardio stesso (Hide & Thiemermann, 1996a; Hide & Thiemermann, 1996b; Galid et al., 1997; Downey & Cohen, 2000; Das & Sarkar, 2005), inoltre i mitoKATP sono coinvolti nel meccanismo di “precondizionamento” ischemico

mediato da H2S (Breschi et al., 2008; Ji et al., 2008; Szabo et al., 2011). Infine, l’apertura

dei sarcoKATP provoca l’uscita di potassio, che favorisce la ripolarizzazione, diminuisce la

durata del potenziale d’azione e riduce l’ingresso di calcio (Noma, 1983; Cole et al., 1991). L’aumento della concentrazione del calcio intracellulare, infatti, è uno dei molteplici fattori responsabili della morte cellulare che incombe nel danno da ischemia/riperfusione, perché tale ione diffonde all’interno dei mitocondri, inducendo la sintesi e l’esposizione di MPTP (Kalogeris et al., 2012): l’apertura di MPTP comporta l’aumento della permeabilità delle membrane mitocondriali a cui segue il rigonfiamento del mitocondrio stesso (“swelling”) che, in ultima analisi, provoca lisi con rilascio di fattori pro-apoptotici, fra cui il citocromo c, con conseguente morte cellulare per apoptosi o necrosi, a seconda delle condizioni patologiche in cui vessa la cellula (Webster, 2012). L’azione di H2S si rivela centrale in

questo contesto patologico, in quanto attraverso l’attivazione dei canali mitoKATP e

l’inibizione dei canali del Ca2+, in particolare quelli di tipo L (Sun et al., 2008; Hang et al.,

2012; Zhang et al., 2012), porta ad una riduzione dell’ingresso di calcio all’interno della cellula, con conseguente effetto cardioprotettivo sul danno da ischemia/riperfusione (Tang et al., 2012), inoltre viene modulata anche la funzione contrattile del miocardio (Bers, 2008). L’apertura dei canali KATP mediata da H2S può esplicare anche un effetto antiapoptotico

indiretto attraverso l’attivazione della proteina chinasi C (PKC), responsabile dell’attivazione delle reticolo sarcoplasmatico Ca²⁺ ATPasi (SERCA) che permettono l’ingresso del calcio all’interno del reticolo sarcoplasmatico: questo evento determina un potenziamento del metabolismo dei cardiomiociti e, durante l’ischemia del miocardio, rappresenta un meccanismo compensatorio che permette di inibire l’ingresso del calcio in eccesso all’interno dei mitocondri, con conseguente preservazione mitocondriale (Murata et al., 2001; Wang et al., 2001). L’ischemia e gli eventi post-ischemici presentano una serie di meccanismi che determinano infine un deterioramento della struttura del miocardio,

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secondaria alla morte cellulare dei miocardiociti (Dhalla et al., 2000; Hausenloy & Yellon, 2013). All’interno di questo quadro intricato H2S rappresenta un mediatore protettivo

fondamentale, in quanto è in grado di inibire direttamente i processi apoptotici, attraverso l’induzione della fosforilazione del dominio di reclutamento delle caspasi (ARC) e sopprimendo l’attivazione della caspasi-3 (Elrod et al., 2007; Sodha et al., 2008; Yao et al., 2012). Inoltre, come evidenziato dal lavoro di Karwi et al., nel 2017, l’aumento della concentrazione di H2S è associato ad un effetto cardioprotettivo indiretto, perché induce

l’attivazione di molecole segnale e pathways per mezzo dei quali si ottiene l’effetto. Attraverso questo meccanismo, vengono attivati principalmente i componenti del pathway “RISK”, soprattutto nei primi minuti della riperfusione (Calvert et al., 2009; Osipov et al., 2009; Yao et al., 2010; Predmore et al., 2012; Chatzianastasiou et al., 2016; Donnarumma et al., 2016, Lougiakis et al., 2016; Karwi et al., 2017a), per mezzo del micro-RNA-21 (Toldo et al., 2014). Infatti, l’attivazione del miRNA-21 mediata da H2S porta ad una

downregulation della PTEN a cui corrisponde l’attivazione del pathway delle chinasi “RISK”, ovvero PI3k, Akt ed ERK1/2 che mediano la risposta antiapoptotica e il blocco dell’apertura di MPTP (Yellon et al., 1999; Churchill & Mochly-Rosen, 2007), favorendo in ultima analisi la preservazione della funzione mitocondriale. I mitocondri rappresentano un target di H2S altrettanto importante nel quadro patologico: infatti, come evidenziato dallo

studio di Karwi et al. del 2017, l’aumento della concentrazione di H2S protegge contro

l’infarto del miocardio attraverso la preservazione della funzione mitocondriale, che viene esplicata attraverso il mantenimento dell’integrità di membrana (Elrod et al., 2007; Yao et al., 2010; Karwi et al., 2017a), limitando la produzione mitocondriale delle ROS (Karwi et al., 2017a) e inibendo l’apertura di MPTP (Yao et al., 2010; Chatzianastasiou et al., 2016) attraverso vari meccanismi, fra i quali l’aumento della fosforilazione della glicogeno-sintetasi chinasi-3 (GSK-3𝛽) (Osipov et al., 2009). Inoltre, H2S contribuisce alla

preservazione mitocondriale attraverso l’inibizione della citocromo c ossidasi e migliorando la respirazione e promuovendo la biogenesi (Blackstone et al., 2005): numerosi studi dimostrano che basse concentrazioni di H2S possono aumentare l’efficacia della catena di

trasporto degli elettroni agendo sui complessi 1 e 2, per cui si ottiene una riduzione della respirazione mitocondriale e quindi della richiesta di ossigeno (Blackstone et al., 2005; Blackstone et al., 2007), con conseguente riduzione della formazione dei ROS (Elrod et al., 2007). Un altro target dell’azione cardioprotettiva è rappresentato appunto dalle ROS, che contribuiscono alla morte cellulare durante l’ischemia e la riperfusione: questi composti sono

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particolarmente reattivi e determinano perossidazione lipidica a carico dei lipidi di membrana, con conseguente lisi cellulare (Girotti, 1997), e denaturazione delle proteine mediante interazione con i residui amminoacidici (Davies, 1987). H2S possiede proprietà

antiossidanti in quanto agisce come scavenger radicalico, portando all’inattivazione di specie reattive quali il superossido e il perossido di idrogeno (Jones et al., 2002; Carballal et al., 2011), oltretutto esplica un’azione antiossidante indiretta aumentando l’attività della superossido-dismutasi (Sun et al., 2012) e l’espressione di enzimi antiossidanti, attraverso un pathway cellulare che coinvolge Nrf2 (Fig. 8) (Corsello et al., 2018), la cui attivazione è regolata dalla sulfidrazione di Keap1, ad opera di H2S (Guo et al., 2014). Nrf2 è un fattore

di trascrizione che, interagendo con specifiche sequenze geniche, media l’espressione di numerosi enzimi, fra i quali la glutatione-reduttasi, la glutatione-perossidasi, l’eme-ossigenasi-1 (HO-1) e la tioredossina (Trx), tutte implicate nella risposta antiossidante (Yuqi et al., 2020).

Figura 8: Riassunto degli effetti antiossidanti e antiinfiammatori mediati da H2S attraverso l’attivazione della

traslocazione nucleare di Nrf2 e l’inibizione di NF-κB.

Un altro meccanismo analogo attribuito ad H2S sembra coinvolgere i canali al cloruro e i

canali KATP: in un modello di cellule neuronali in cui viene indotto stress ossidativo

attraverso la somministrazione di glutammato, la citoprotezione viene persa al momento della somministrazione di glibenclamide (un inibitore dei canali KATP) e di NPPB (un

bloccante dei canali al cloruro), dimostrando un possibile coinvolgimento di questi canali nell’effetto citoprotettivo (Kimura et al., 2006), tuttavia non ci sono studi che attestano tale ruolo per i canali al cloruro nei miocardiociti. H2S esplica un effetto cardioprotettivo anche

per mezzo di un’azione antiinfiammatoria (Fig. 8): infatti, conseguentemente all’ischemia e alla riperfusione, si instaura una forte risposta infiammatoria che incrementa la morte dei

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miocardiociti e conduce ad un danno miocardico irreversibile (Frangogiannis et al., 2002; Frangogiannis, 2014). H2S inibisce lo scorrimento, l’adesione e l’infiltrazione dei leucociti,

che è associata alla produzione di radicali liberi e proteasi che danneggiano il miocardio (Sodha et al., 2009), con un meccanismo che coinvolge i canali KATP (Zanardo et al., 2006),

in quanto la somministrazione di glibenclamide inattiva l’effetto (Zanardo et al., 2006; Fiorucci et al., 2006; Zhang et al., 2007b). La somministrazione di H2S prima e durante la

riperfusione previene la traslocazione del fattore nucleare κB (NF-κB) (vedi Fig. 8) (Sodha et al., 2009; Pan, 2011), determinando una riduzione della quantità di mediatori pro-infiammatori: fra questi, i principali coinvolti sono IL-1β e IL-6 (Kukielka et al., 1995a; Sodha et al., 2009), che sono dannosi per la funzione miocardica (Hennen et al., 1994; Kukielka et al., 1995a), IL-8, coinvolti nell’adesione dei neutrofili (Kukielka et al., 1995b) e TNF-α (Sodha et al., 2009). L’azione cardioprotettiva di H2S comprende anche un altro

effetto, ovvero la stimolazione dell’angiogenesi a livello dell’area ischemica del miocardio, laddove l’angiogenesi gioca un ruolo fondamentale nel rimodellamento cardiaco (Shen et al., 2014; Chen et al., 2020) e può migliorarne la funzionalità, ridurre il danno cellulare (Citi et al., 2018) e quindi prevenire lo sviluppo di insufficienza cardiaca, sia in modelli ex vivo che in vivo di ischemia/riperfusione miocardica. Infatti, la somministrazione di H2S-donors

e la produzione endogena di H2S induce marcati effetti pro-angiogenici che sono

notevolmente ridotti nelle cavie soggette a KO-genico per la CSE o pretrattate con un inibitore selettivo (Papapetropoulos et al., 2009; Szabo & Papapetropoulos, 2012). Il meccanismo attraverso il quale H2S induce l’angiogenesi coinvolge l’attivazione di alcune

chinasi, fra le quali PI3K e Akt (Szabo & Papapetropoulos, 2012) e la regolazione del signaling del fattore di crescita endoteliale (VEGF), in quanto ne regola la sintesi, agendo sul binomio metalloproteinasi/inibitori tissutali delle metalloproteinasi (MMP/TIMP) (Givvimani et al., 2011) ed aumenta l’attività e l’espressione di VEGF e dei suoi recettori, VEGFR1 e VEGFR2 (King et al., 2012). Infine, Papapetropoulos et al. hanno dimostrato un possibile coinvolgimento dei canali KATP nella risposta angiogenica mediata da H2S, in

quanto dopo la somministrazione di glibenclamide si osserva una marcata riduzione dell’effetto (Papapetropoulos et al., 2009).

1.5.1 Cross talk fra H2S e NO nella cardioprotezione

Molti studi riportano che un ulteriore meccanismo cardioprotettivo attribuito ad H2S, nel

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mediatore endogeno gassoso, ovvero NO: sembrerebbe infatti che si instauri un cross-talk positivo fra i due gas, per il quale possono influenzare e amplificare l’uno gli effetti dell’altro, in questo modo H2S è in grado di potenziare i pathway segnaletici mediati da NO

a livello cardiovascolare e viceversa, inducendo in ultima analisi un’ulteriore citoprotezione. L’interazione potrebbe verificarsi grazie alla similitudine dei profili biologici dei due mediatori. A livello endoteliale, NO è sintetizzato dall’enzima eNOS e attiva la guanilato ciclasi, il suo target principale, che è responsabile della sintesi della guanosina monofosfato ciclica (cGMP), il secondo messaggero del pathway cellulare. H2S, così come gli H2

S-donors, è in grado di attivare l’enzima eNOS in maniera indiretta attraverso l’inibizione della PTEN (Greiner et al., 2013), a cui corrisponde un aumento dell’attività di Akt (Papapetropoulos et al., 2009), che è responsabile della fosforilazione della serina-1177 a livello di eNOS, portando ad un significativo aumento dei livelli di NO e dei suoi segnali citoprotettivi (Kondo et al., 2013; King et al., 2014). Inoltre, H2S esplica un’azione inibitoria

nei confronti della fosfodiesterasi-5 (PDE-5), aumentando l’emivita del cGMP, il secondo messaggero della via attivata da NO (Bucci et al., 2010; Coletta et al., 2012). Infine, H2S

previene la nitrosazione sulla cisteina-443 espressa da eNOS, perciò permette all’enzima di mantenere la sua forma attiva con conseguente aumento della produzione endogena di NO (Coletta et al., 2012; King et al., 2014; Altaany et al., 2014). La capacità di NO di regolare i livelli endogeni di H2S è stata dimostrata grazie ad uno studio di Lowicka e Beltowoski del

2007, nel quale viene evidenziato che i livelli plasmatici di H2S, l’attività enzimatica e

l’espressione di CSE erano ridotti negli animali dopo la somministrazione di un inibitore della eNOS: questo permette di ipotizzare il sinergismo positivo fra i due mediatori, che può risultare efficace nel danno da ischemia/riperfusione, per via degli effetti cardioprotettivi a loro attribuiti.

1.6 Ruolo di H2S nelle patologie cardiovascolari croniche

H2S è riconosciuto come un agente protettivo in numerose patologie cardiovascolari e loro

complicazioni (Fig. 9), infatti numerosi studi rivelano che questo mediatore è in grado di migliorare la funzione cardiaca e di contrastare l’ipertrofia e la fibrosi del miocardio, che possono portare allo sviluppo di cardiomiopatie croniche come lo scompenso cardiaco (Shen et al., 2014; Polhemus et al., 2014; Donnarumma et al., 2016b; Donnarumma et al., 2017; Kang et al, 2020). Un’altra forma di cardiomiopatia è quella diabetica, che può svilupparsi in pazienti affetti da diabete mellito indipendentemente dalla presenza di altri fattori di

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rischio cardiovascolari ed è il risultato di una serie di alterazioni metaboliche, fisiologiche e neurologiche secondarie all’iperglicemia: questo quadro complesso contribuisce alla morte dei miocardiociti con conseguente assottigliamento della muscolatura cardiaca, ipertrofia compensatoria e fibrosi (Miki et al., 2013; Kar et al., 2019), responsabili dello sviluppo e della progressione dell’insufficienza cardiaca (Asghar et al., 2009; Kar et al., 2019).

Figura 9 (Shen et al., 2014):Azione cardioprotettiva di H2S in varie patologie cardiovascolari: H2S protegge

il cuore dal danno da ischemia/riperfusione, dalla fibrosi del miocardio, dall’ipertrofia cardiaca e dalla cardiomiopatia diabetica.

Molteplici studi evidenziano che esiste una stretta correlazione fra i livelli fisiologici di H2S

e la progressione di tali condizioni patologiche: infatti, è stata individuata una riduzione della concentrazione plasmatica e della sintesi endogena di tale mediatore in pazienti affetti da diabete mellito, in topi sottoposti ad una dieta ipercalorica e in ratti con diabete mellito indotto da streptozotocina (Jain et al., 2010; Dutta et al., 2014; Barr et al., 2015); mentre la somministrazione esogena di H2S comporta un miglioramento della cardiomiopatia

diabetica (Barr et al., 2015; Zhou et al., 2015). Analogamente, uno studio di Calvert et al. del 2010 ha osservato che l’incremento della produzione endogena di H2S, secondaria alla

sovraespressione di CSE a livello cardiaco nei topi, permette un’importante protezione nei confronti dello scompenso cardiaco indotto dall’ischemia, diminuendone anche la mortalità, mentre il knock-out genico di CSE in modelli murini di insufficienza cardiaca determina un peggioramento della funzione del miocardio e un aumento dell’area infartuata (Kondo et al., 2013). Queste scoperte presentano un’importanza clinica elevata, suggerendo che H2S

potrebbe rappresentare un valido agente cardioprotettivo anche nelle malattie cardiovascolari croniche, come lo scompenso cardiaco e la cardiomiopatia diabetica, che presentano un’eziologia ed una patogenesi complessa e multifattoriale.

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16 1.6.1 H2S e lo scompenso cardiaco

Lo scompenso cardiaco, o insufficienza cardiaca, è caratterizzato dall'incapacità del cuore di pompare il sangue in maniera efficace e con la giusta pressione, perciò l’ossigenazione a livello di organi e tessuti si riduce drasticamente, compromettendo la loro funzionalità e vitalità. La riduzione della quantità di sangue pompata dal cuore innesca una cascata di cambiamenti fisiologici, in particolare viene attivato il sistema nervoso simpatico, a seguito della riduzione della pressione arteriosa sistemica, e il sistema renina-aldosterone-angiotensina (SRAA), conseguentemente alla riduzione del flusso di sangue a livello renale: questi due rappresentano dei meccanismi compensatori, messi in atto per riportare l’afflusso di sangue ai normali livelli, tuttavia sul lungo periodo possono causare alterazioni a carico dell’apparato cardiovascolare, come il rimodellamento anomalo del ventricolo sinistro, che determinano un aggravamento dello scompenso cardiaco e successivamente una riduzione drastica della funzione ventricolare (Donnarumma et al., 2017). In questo complesso quadro patologico, un ruolo fondamentale è sicuramente giocato dai peptidi natriuretici, ovvero il peptide natriuretico atriale (ANP), il peptide natriuretico cerebrale (BNP) ed infine il peptide natriuretico di tipo C (ANC): questi sono sintetizzati rispettivamente negli atri, nei ventricoli e a livello endoteliale e sono secreti in risposta allo stiramento meccanico delle pareti del miocardio. Oltre a rappresentare dei validi marcatori diagnostici e prognostici per lo scompenso cardiaco e le complicazioni ad esso associate, come l’ipertrofia e la disfunzione ventricolare, laddove si osserva un innalzamento dei loro livelli, esplicano numerosi effetti protettivi a livello cardiovascolare, in quanto aumentano la diuresi, la natriuresi, possono contrastare l’ipertrofia e la fibrosi del miocardio, perciò il mantenimento dei livelli fisiologici di questi peptidi potrebbe rivelarsi fondamentale (Rubattu et al., 2008). I fattori che contribuiscono alla genesi e alla progressione dello scompenso cardiaco sono numerosi e fra le principali cause si possono annoverare l’ischemia del miocardio, l’ipertensione, l’infarto acuto del miocardio (Shen et al., 2014; Donnarumma et al., 2017), ma anche la fibrosi del miocardio e l’ipertrofia cardiaca (Indolfi et al., 2002; Donnarumma et al., 2017; Kang et al., 2020): solitamente questa rappresenta un meccanismo compensatorio messo in atto per ripristinare la funzionalità miocardica e incrementare l’afflusso di sangue a livello sistemico. Tuttavia, nel tempo l’ipertrofia persistente causa una dilatazione ventricolare, che comporta la riduzione della massa muscolare e della frazione di eiezione, con conseguente aggravamento dello scompenso cardiaco (Indolfi et al., 2002). La prevenzione dell’ipertrofia sembra quindi rappresentare una strategia chiave per limitare la progressione di questa

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condizione patologica. I meccanismi che inducono questa forma di rimodellamento cardiaco sono numerosi e, all’interno di questo complesso quadro patologico, un largo numero di studi in letteratura evidenzia che il trattamento a base di H2S donors, è in grado di inibire lo

sviluppo e la progressione dell’ipertrofia cardiaca in svariati modelli patologici sperimentali, producendo in ultima analisi un effetto cardioprotettivo. Ad esempio, uno studio di Kondo et al., condotto in un modello di ipertrofia secondaria alla legatura dell’aorta, ha dimostrato che una carenza nella produzione endogena di H2S favorisce l’esacerbazione della

disfunzione cardiaca, mentre l’aumento dell’espressione genica di CSE e, di conseguenza, della biodisponibilità di H2S, favorisce la preservazione ventricolare (Kondo et al., 2013);

un lavoro analogo di Shao et al., eseguito nel medesimo modello, ha confermato che i livelli di H2S e l’espressione dell’enzima CSE sono notevolmente ridotti negli animali che

presentano l’ipertrofia, inoltre il gruppo non trattato con NaHS mostra un’evidente rimodellamento del miocardio, a differenza del gruppo sottoposto al trattamento, laddove si osserva un abbassamento dei livelli plasmatici di specifici marcatori biologici dell’ipertrofia, come il BNP, confermando l’azione protettiva del mediatore all’interno di questo contesto patologico (Shao et al., 2017). Infine, uno studio simile di Yang et al., condotto in un modello

in vivo di ipertrofia indotta dalla somministrazione dell’endotelina, ha dimostrato la capacità

di H2S di diminuire la massa del ventricolo sinistro, il volume del collagene interstiziale e di

quello del miocardio, per cui si osserva un miglioramento dell’ipertrofia (Yang et al., 2014). H2S è in grado di migliorare la funzione cardiaca e di prevenire l’apoptosi dei miocardiociti

riducendo la produzione dei ROS a livello mitocondriale (Lu et al., 2013), infatti l’apoptosi e lo stress ossidativo rappresentano due fattori coinvolti nella patogenesi dell’ipertrofia e possono favorire la progressione dell’insufficienza cardiaca (Maytin & Colucci, 2002; Shah et al., 2004); questa importante azione protettiva esplicata dal mediatore gassoso coinvolge l’attivazione di Nrf2, per mezzo del pathway PI3K/Akt, a cui corrisponde una notevole risposta antiossidante che permette di ridurre lo stress ossidativo e il rimodellamento cardiaco, come evidenziato da Shao et al. (Shao et al., 2017). In un modello di scompenso cardiaco indotto sperimentalmente attraverso una tecnica di legatura dell’aorta, Givvimani e colleghi hanno riportato la capacità di H2S di impedire la transizione dall’ipertrofia

compensatoria allo scompenso cardiaco, attraverso un’azione angiogenica, osservata dopo 8 settimane dall’inizio del trattamento, che coinvolge l’aumento dell’espressione della metalloproteinasi della matrice di tipo 2 (MMP-2) e del fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF). Inoltre, promuove la riduzione dell’inibitore tissutale della metalloproteinasi della matrice di tipo 3 (TIMP-3), di MMP-9, dell’endostatina e

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dell’angiostatina, fattori che inibiscono l’angiogenesi. Conseguentemente a questi effetti, gli autori hanno evidenziato un miglioramento notevole della funzione ventricolare e una riduzione del rimodellamento cardiaco (Givvimani et al., 2011). Infatti, durante l’iniziale fase di ipertrofia compensatoria, si assiste alla sintesi della MMP-2 che favorisce la produzione di VEGF, promuovendo l’angiogenesi; tuttavia il persistere di tale condizione stimola la sintesi di MMP-3 e di TIMP-3, che contribuiscono alla liberazione di fattori come l’endostatina e l’angiostatina: questo quadro complesso conduce all’apoptosi ed è in parte responsabile della transizione dall’ipertrofia compensatoria allo scompenso cardiaco (Givvimani et al., 2010). Alcuni studi hanno osservato che l’azione inibitoria sullo sviluppo e la progressione dell’ipertrofia associata ad H2S può dipendere anche dalla capacità di tale

mediatore di interagire con il metabolismo cellulare; infatti, Chhabra e colleghi hanno evidenziato che il trattamento a base di NaHS in vitro permette l’attivazione dell’enzima glucosio-6-fosfato-deidrogenasi, per la quale si osserva una riduzione dell’attivazione di meccanismi associati allo sviluppo dell’ipertrofia (Chhabra et al., 2018). D’altra parte, un lavoro di Liang et al. ha riportato la capacità di H2S di aumentare l’utilizzo e l’espressione

dei trasportatori di membrana del glucosio, per cui si osserva un’azione antiipertrofica (Liang et al., 2015); tuttavia, questi studi necessitano di ulteriori approfondimenti. Alla luce dei risultati ottenuti nei numerosi lavori pubblicati nel corso degli anni, nel 2020 Ellmers e colleghi hanno pensato di valutare gli effetti di un H2S donor sintetico, GYY4137,

somministrandolo dopo 2 ore dall’induzione dell’infarto e quotidianamente per i 28 giorni successivi, in modo tale da valutare gli effetti di H2S sul lungo periodo. L’area infartuata

risultava notevolmente ridotta, ma soprattutto il trattamento a base di GYY4137 ha permesso di preservare la funzione cardiaca e di prevenire il rimodellamento cardiaco; inoltre, gli autori hanno eseguito analisi approfondite per valutare i livelli di specifici geni correlati all’apoptosi (Casp3, Akt1), alla fibrosi (Col1a) e all’ipertrofia (Nppa, Myh6), i quali sono risultati notevolmente ridotti negli animali sottoposti al trattamento, confermando il ruolo protettivo di H2S nel contesto dell’ipertrofia (Ellmers et al., 2020). Uno studio analogo di

Kondo et al. ha invece analizzato gli effetti del noto H2S donor sintetico SG-1002, un

ottansolfuro, in un modello di insufficienza cardiaca secondaria alla legatura dell’aorta; in particolare la somministrazione di questo composto preserva la funzione cardiaca, sopprime il rimodellamento e inibisce la fibrosi, dopo 6 settimane dalla legatura, attraverso l’innesco del signalling pathway che coinvolge VEGF-Akt-eNOS-NO-cGMP, per cui si osserva un aumento nella biodisponibilità del gas trasmettitore NO a livello del miocardio. Quest’evidenza è importante in quanto fornisce un’ulteriore prova dell’esistenza del

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talk positivo tra i H2S e NO in vivo e degli effetti cardioprotettivi ad esso associato, inoltre

permette di dimostrare che parte dell’effetto attribuito all’acido solfidrico, manifestato nel modello in vivo della patologia, può dipendere dall’aumento della biodisponibilità di NO. Questa conclusione viene ulteriormente corroborata dal fatto che, nei topi soggetti a KO genico per l’enzima eNOS, SG-1002 non esplica alcun effetto, perciò l’attivazione del suddetto enzima è necessaria ai fini dell’azione protettiva (Kondo et al., 2013). Il ruolo positivo del cross-talk fra H2S e NO nello scompenso cardiaco è stato ulteriormente

approfondito da Donnarumma et al. in un modello di insufficienza cardiaca sperimentalmente indotta dall’ischemia, laddove la somministrazione cronica di nitrito di sodio (NaNO2) aumenta l’espressione e l’attività di CSE e CBS, determinando l’incremento

dei livelli plasmatici di H2S. Quest’azione conduce all’attivazione del pathway di Nrf2, per

cui si osserva un miglioramento della performance cardiaca ed un’importante riduzione del processo di rimodellamento del ventricolo sinistro (Donnarumma et al., 2016a). Il cross-talk così descritto è schematizzato nella Figura 10.

Figura 10: Schema del cross-talk tra H2S e NO a livello cardiaco.

In più, SG-1002 aumenta l’espressione di HO-1 e riduce quella di Nox4, per cui si osserva un effetto protettivo riconducibile all’inibizione dello stress ossidativo e alla preservazione

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della respirazione mitocondriale (Kondo et al., 2013). Infatti, Nox4 è un enzima appartenente alla famiglia delle NAPDH ossidasi ritenuto responsabile del danno ossidativo che può causare la disfunzione cardiaca (Kuroda et al., 2010), mentre anomalie a carico della catena respiratoria mitocondriale possono aumentare lo stress ossidativo, alterare il metabolismo cellulare e quindi aggravare la condizione patologica (Rosca & Hoppel, 2010). Infine, dalla valutazione dei livelli circolanti di BNP viene confermato che, negli animali trattati con il veicolo e quelli sham, dopo 6 e 12 settimane dalla legatura si osserva un incremento notevole della concentrazione plasmatica di BNP, e la somministrazione di SG-1002 ne riduce significativamente i livelli, confermando la sua azione protettiva (Kondo et al., 2013). L’efficacia e la sicurezza di SG-1002 sono state validate e corroborate anche in un trial clinico, sottoponendo al trattamento pazienti affetti da scompenso cardiaco e pazienti sani con dosi crescenti del composto in esame: le analisi hanno confermato un incremento dei livelli di H2S e di NO in entrambi i gruppi, inoltre SG-1002 ha permesso il mantenimento

dei livelli fisiologici di BNP, che nei pazienti affetti da insufficienza cardiaca risultano patologicamente aumentati, senza alterare quelli del glutatione, concludendo che è ben tollerato e può favorire il mantenimento della funzionalità cardiaca (Polhemus et al., 2015). Nel complesso quadro patologico dello scompenso cardiaco, i peptidi natriuretici possono rappresentare anche un target farmacologico, oltre ad essere dei validi marcatori biologici della malattia e delle eventuali complicazioni ad essa associate infatti, oltre agli effetti sistemici come l’azione diuretica, natriuretica e vasodilatatoria da questi esplicati, è stato osservato che ANP è in grado di ridurre il rimodellamento cardiaco patologico, attraverso un’azione antiipertrofica e antifibrotica, può prevenire il danno da ischemia/riperfusione ed esercita anche un’azione antiinfiammatoria e angiogenica, mentre BNP in grado di esercitare unicamente un’azione antifibrotica (Rubattu et al., 2008). Una possibile correlazione fra il rilascio dei peptidi natriuretici ed H2S è stata ipotizzata nel 2015 da

Lilyanna e colleghi, che hanno studiato i probabili effetti cardioprotettivi del donatore GYY4137 inerenti alla modulazione della risposta neurormonale successiva all’infarto acuto del miocardio, indotto sperimentalmente attraverso la legatura dell’arteria coronaria discendente. Sorprendentemente, negli animali trattati si evidenziava un incremento dei livelli di BNP e ANP, a 2 giorni e a 7 giorni di distanza dall’induzione dell’infarto, perciò parte degli effetti protettivi evidenziati dallo studio, fra cui l’azione antifibrotica, la riduzione del rimodellamento e la preservazione della funzionalità cardiaca, potrebbe dipendere proprio dalla secrezione dei peptidi (Lilyanna et al., 2015). Successivamente, Yu e colleghi

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hanno pensato di approfondire circa questa correlazione, usando atri spontaneamente battenti isolati da ratti, perfusi e soggetti ad uno stiramento per indurre il rilascio di ANP. Il pretrattamento con NaHS e Na2S aumentava il rilascio di ANP, presumibilmente attraverso

l’attivazione dei canali KATP e del pathway di PI3K/Akt/NOS/sGC, in quanto la

somministrazione di inibitori selettivi bloccava l’effetto. La stessa conclusione non viene raggiunta per quanto riguarda la somministrazione dell’altro H2S donor, GYY4137,

probabilmente a causa di un più modesto rilascio del gastrasmettitore (Yu et al., 2019). Secondo gli autori, questo può dipendere dalla quantità di H2S rilasciata (Yu et al., 2019),

inoltre i modelli sperimentali che sono stati utilizzati sono diversi, perciò sono sicuramente necessari degli studi più approfonditi.

1.6.2 Fibrosi cardiaca e H2S

Nel contesto patologico dello scompenso cardiaco, l’ipertrofia rappresenta una forma avversa di rimodellamento, la cui eziologia risulta essere complessa e multifattoriale, tuttavia si può identificare un tratto patogeno caratteristico, ovvero la fibrosi del miocardio (Ho et al., 2010). Questo processo, oltre ad essere coinvolto nello sviluppo dell’ipertrofia, è responsabile di alterazioni strutturali irreversibili e della compromissione della funzionalità cardiaca che inducono la genesi e la progressione dell’insufficienza cardiaca (Mishra et al., 2010; Huang et al., 2012b; Segura et al., 2014; González et al., 2018). La fibrosi, in condizioni fisiologiche normali, rappresenta un processo riparativo essenziale, messo in atto per ripristinare e mantenere l’integrità di un organo o di un tessuto, successivamente ad un danno o stimoli lesivi, attraverso l’apposizione controllata di matrice extracellulare; tuttavia, tale processo può essere alterato, causando la deposizione aberrante e incontrollata della matrice extracellulare che può danneggiare irreversibilmente la funzionalità e la vitalità dell’organo colpito, con successivo sviluppo di insufficienza d’organo (Donnarumma et al., 2017; Kang et al., 2020). In particolare, la fibrosi del miocardio rappresenta un evento che si manifesta a lungo termine associato all’ipertensione, all’infarto del miocardio, al diabete, a stimoli neuro-ormonali (Urban et al., 2015; Piek et al., 2016; Kang et al., 2020) e viene messa in atto in risposta a stimoli lesivi come l’infiammazione, l’ischemia, l’alterazione di parametri emodinamici (Donnarumma et al., 2017; Chen et al., 2020), per prevenire la morte dei miocardiociti e preservare l’integrità dell’organo; tuttavia nel tempo l’eccessiva apposizione del tessuto fibroso, soprattutto a livello interstiziale e perivascolare, comporta un rimodellamento anomalo della struttura del cuore con alterazione morfologica

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irreversibile e dunque compromissione della funzionalità cardiaca (Wynn & Ramalingam, 2012; Donnarumma et al., 2017; González et al., 2018). Infatti, la fibrosi interstiziale del miocardio è stata individuata in un largo numero di pazienti affetti da scompenso cardiaco di eziologia varia (Segura et al., 2014; Frangogiannis, 2017). In generale, la fibrosi del miocardio è un processo alquanto complesso in cui si possono riconoscere due eventi chiave, ovvero l’attivazione e la differenziazione dei miofibroblasti a partire dai fibroblasti (Liu, 2011), che è ottenuta attraverso il coinvolgimento e l’attivazione di numerosi pathway: in particolare, alcuni studi hanno rivelato l’implicazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA) e del fattore di crescita trasformante β1 (TGF-β1). Questo rappresenta uno dei fattori coinvolti nell’attivazione della risposta profibrogenica durante lo scompenso cardiaco in quanto determina la differenziazione dei fibroblasti, promuove la deposizione della matrice extracellulare e partecipa alla sintesi e alla secrezione di altre citochine pro-fibrogeniche (Ma et al. 2018a), infatti i livelli plasmatici del TGF-β1 risultano notevolmente aumentati nell’insufficienza cardiaca e in modelli di ipertrofia sperimentalmente indotta (Villareal & Dillmann, 1992; Rosenkranz, 2004). Tra il SRAA e il TGF-β1 esiste una correlazione diretta in quanto l’angiotensina 2 stimola la produzione del TGF-β1, il quale a sua volta determina la proliferazione dei fibroblasti e la loro differenziazione (Kang et al., 2020; Ma et al., 2018a).

In questo contesto patologico intricato, H2S sembra rivestire un ruolo cardioprotettivo

importante, in quanto numerosi studi hanno rivelato la presenza di livelli plasmatici inferiori di tale mediatore e degli enzimi adibiti alla sua sintesi in vari modelli in vivo di fibrosi cardiaca sperimentalmente indotta (Mishra et al., 2010; Qipshidze et al., 2012; Huang et al., 2012b), mentre la somministrazione di H2S in modelli analoghi ha dimostrato di avere un

effetto inibitorio sulla progressione della fibrosi e del rimodellamento cardiaco (Mishra et al., 2010; Givvimani et al., 2011; Qipshidze et al., 2012; Wu et al., 2017). In particolare, uno studio di Huang et al. ha permesso di evidenziare la capacità di H2S di prevenire lo sviluppo

della fibrosi del miocardio e di diminuire l’accumulo di collagene nei tessuti cardiaci (Huang et al., 2012b). H2S è in grado di bloccare il processo fibrotico in numerose patologie

cardiovascolari, come evidenziato da innumerevoli studi in letteratura, ad esempio l’infarto del miocardio (Ge et al., 2016; Shimizu et al., 2016; Chatzianastasiou et al., 2016; Karwi et al., 2017b), l’ipertensione (Shi et al., 2007; Meng et al., 2015a; Jin et al., 2017), il diabete (El-Seweidy et al., 2011) e lo scompenso cardiaco (Mishra et al., 2010; Kondo et al., 2013; Polhemus et al., 2013) e ha mostrato proprietà antiproliferative in vari modelli cellulari in

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vitro (Schwer et al., 2012; Song et al., 2014): per questo motivo, nel corso degli anni tali

capacità sono state ulteriormente approfondite. Infatti, alcune evidenze in letteratura riportano che H2S è in grado di prevenire significativamente lo sviluppo della fibrosi e la

deposizione del collagene bloccando l’azione del SRAA: in particolare, la somministrazione di H2S inibisce la differenziazione dei fibroblasti in miofibroblasti mediata dall’angiotensina

2, come dimostrato dalla riduzione dei livelli del collagene e della α-actina della muscolatura liscia (α-SMA) (Pan et al., 2013), uno specifico marcatore della fibrosi, dell’ipertrofia e dello scompenso cardiaco (Campbell & Katwa, 1997; Suurmeijer et al., 2003), la cui espressione è correlata all’attivazione dei miofibroblasti (Cherng et al., 2008). Uno studio di Liu et al. rivela la capacità di H2S di migliorare l’insufficienza cardiaca attraverso il blocco della

degranulazione dei mastociti e del rilascio della renina (Liu et al., 2014a). Infatti, è stato scoperto che i mastociti a livello cardiaco costituiscono una fonte ed una riserva locale di renina, determinandone la sintesi, il rilascio e l’accumulo nel cuore (Silver et al., 2004). La renina gioca un ruolo importante nella progressione dello scompenso cardiaco, in quanto può favorire il rimodellamento anomalo attraverso svariati meccanismi che coinvolgono la deposizione aberrante di matrice extracellulare e l’attivazione di pathway responsabili dell’ipertrofia e dell’apoptosi dei cardiomiociti (Krum, 2001). Nel modello di scompenso cardiaco sperimentalmente indotto dalla somministrazione di isoprotenerolo, Liu et al. hanno verificato che la somministrazione giornaliera di NaHS, negli animali sottoposti al trattamento, determina un’inibizione del rimodellamento cardiaco accompagnato dalla diminuzione del numero dei mastociti e dei livelli della renina, che risultavano aumentati negli animali sottoposti al trattamento (Liu et al., 2014a). Infine, altre pubblicazioni evidenziano che H2S esplica proprietà antiproliferative relative all’inibizione diretta del

TGF-β1 (Sheng et al., 2013; Zhang et al., 2015a), in particolare la somministrazione di H2S,

tramite appositi donatori, sopprime l’espressione del TGF-1 e inibisce la proliferazione dei fibroblasti in vitro in risposta alla stimolazione mediata dalla citochina, inoltre H2S attenua

la differenziazione in miofibroblasti e riduce l’espressione della -SMA (Zhang et al., 2015a; Meng et al., 2015b). In più, il potenziale antifibrotico di H2S si può manifestare

attraverso un’azione cardioprotettiva che coinvolge la regolazione dello stress ossidativo, principalmente attraverso la regolazione dell’attività della Nox-4, per cui si verifica un’inibizione del rimodellamento cardiaco (Pan et al., 2013): infatti, questo enzima è responsabile della produzione di ROS associata all’attivazione di risposte profibrotiche nei fibroblasti cardiaci ed è coinvolto nei processi di rimodellamento che caratterizzano

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l’insufficienza cardiaca (Kuroda et al., 2010; Zhang et al., 2015b). Inoltre, Pan et al. hanno dimostrato che la somministrazione di H2S produce anche un’azione antiinfiammatoria, che

può contribuire all’azione antifibrotica (Pan et al., 2013), mentre uno studio di Ying et al. ha evidenziato la capacità di H2S di sopprimere la fibrosi attraverso l’inibizione dello stress del

reticolo endoplasmatico (Ying et al., 2015), il quale sembra giocare un ruolo critico nello sviluppo dello scompenso cardiaco. Infatti, lo stress del reticolo endoplasmatico è il risultato di una serie di alterazioni nell’omeostasi cellulare che può favorire lo sviluppo della fibrosi (Liu et al., 2014b; Ortega et al., 2015) e condurre all’attivazione dell’apoptosi, che può contribuire alla progressione della patologia cardiaca (Okada et al., 2004; Ying et al., 2015). Uno studio di Sheng e colleghi ha evidenziato che anche alcuni canali ionici possono essere coinvolti nello sviluppo e nella progressione della fibrosi (Sheng et al., 2013): infatti, a livello dei fibroblasti cardiaci sono stati individuati vari tipi di canali al potassio, ovvero i BKCa2+, i canali del potassio transient outward (It0) e infine i canali del potassio inward

rectifier (IKir) (Li et al., 2009b; He et al., 2011). Il lavoro di Sheng et al. ha permesso di

mettere in luce il coinvolgimento di questi canali nella progressione della fibrosi in quanto, sottoponendo al trattamento a base di NaHS le colture di fibroblasti atriali umani, ne viene inibita l’attivazione e ciò si traduce in una soppressione della proliferazione e della differenziazione dei fibroblasti, accompagnata da una graduale riduzione dei livelli della α-SMA (Sheng et al., 2013).

L’azione protettiva di H2S nello scompenso cardiaco può essere esplicata anche attraverso

l’inibizione dell’apoptosi: infatti, all’interno del complesso quadro eziologico dell’insufficienza cardiaca, l’apoptosi dei cardiomiociti è considerata una delle cause dello sviluppo e della progressione della malattia, perciò la soppressione di questo meccanismo di morte cellulare potrebbe aumentare il tasso di sopravvivenza, migliorare la disfunzione ventricolare e arrestare la progressione della patologia (Wang et al., 2011). In un modello di insufficienza cardiaca sperimentalmente indotta attraverso la legatura dell’arteria coronaria discendente sinistra, Wang et al. hanno osservato che il trattamento a base di NaHS produce un effetto antiapoptotico, confermato dal test TUNEL per il quale si evidenzia una riduzione dei cardiomiociti apoptotici, che è accompagnato da una significativa riduzione della fibrosi e da un miglioramento della funzione ventricolare (Wang et al., 2011).

Infine, l’azione protettiva di H2S relativa allo scompenso cardiaco si può manifestare

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ha dimostrato che la somministrazione di H2S aumenta la vascolarizzazione e rallenta la

progressione del rimodellamento del ventricolo sinistro, analogamente in un’altra pubblicazione di Givvimani et al. il trattamento con NaHS migliora la funzione cardiaca, riduce la fibrosi e inibisce la transizione dall’ipertrofia compensatoria all’insufficienza cardiaca, aumentando il grado di vascolarizzazione a livello del miocardio (Givvimani et al., 2011). L’azione angiogenica di H2S è stata oggetto di numerosi studi, effettuati su molteplici

modelli animali in vivo (Papapetropoulos et al., 2009; Givvimani et al., 2011; Kohn et al., 2012; Szabo & Papapetropoulos, 2012; Qipshidze et al., 2012; Polhemus et al., 2013) e all’interno di ciascuno di essi viene confermata la correlazione fra l’aumento del grado di vascolarizzazione, mediato da H2S, e il miglioramento della funzione cardiaca: questo

permette di dimostrare il potenziale proangiogenico cardioprotettivo, che può impedire la progressione dell’insufficienza cardiaca (Givvimani et al., 2011; Polhemus et al., 2013) e favorire la riduzione della fibrosi (Givvimani et al., 2011; Qipshidze et al., 2012). I meccanismi coinvolti nell’azione angiogenica di H2S sono pertanto numerosi, come

l’attivazione dei canali KATP (Papapetropoulos et al., 2009) e del pathway PI3K/Akt (Kohn

et al., 2012), in più è in grado di modulare l’espressione di VEGF, dei suoi recettori e dei fattori anti-angiogenici (Givvimani et al., 2011; Qipshidze et al., 2012).

1.6.3 Cardiomiopatia diabetica e H2S

La fibrosi e l’ipertrofia del miocardio rappresentano i segni caratteristici anche della cardiomiopatia diabetica (Falcão-Pires & Leite-Moreira, 2012; Pappachan et al., 2013), una malattia cardiovascolare cronica che si instaura indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio e si sviluppa conseguentemente ad una serie di alterazioni fisiologiche, neurologiche e metaboliche dovute all’iperglicemia, all’iperinsulinemia e all’iperlipidemia. L’insieme di queste alterazioni contribuiscono ad innescare una serie di anomalie cellulari, strutturali e funzionali che danneggiano irreversibilmente il miocardio (Falcão-Pires & Leite-Moreira, 2012; Miki et al., 2013) e possono contribuire allo sviluppo dell’ipertrofia, della fibrosi del miocardio e alla conseguente genesi dell’insufficienza cardiaca (Piccini et al., 2003; Falcão-Pires & Leite-Moreira, 2012). All’interno di questo complesso quadro patologico, numerosi studi in letteratura testimoniano l’importante effetto cardioprotettivo associato ad H2S, in un modello di cardiomiopatia diabetica indotta da streptozotocina: in

tali condizioni sperimentali, El-Seweidy e colleghi hanno verificato che la somministrazione intraperitoneale di NaHS e quella orale di H2S determina una riduzione dell’ipertrofia e dello

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sviluppo della fibrosi, con conseguente miglioramento del quadro istologico del cuore malato ed abbassamento dell’espressione cardiaca di MMP-2 e del TGF-β1 (El-Seweidy et al., 2011). Successivamente, in un modello analogo, lo studio di Xiao et al. del 2016 ha dimostrato che, negli animali sottoposti al trattamento a base di streptozotocina, la fibrosi è più marcata e l’espressione di CSE risulta notevolmente ridotta, mentre la somministrazione di NaHS riduce notevolmente il grado di fibrosi a livello del miocardio, in confronto al gruppo non trattato. Per investigare ulteriormente il ruolo di H2S nel contesto patologico, gli

autori hanno valutato i livelli del collagene di tipo I e di tipo III nel gruppo dei ratti diabetici, prima e dopo la somministrazione di NaHS, osservando che inizialmente sono risultati molto elevati, confermando che il diabete è associato ad una marcata fibrosi del miocardio, ma successivamente si verifica una notevole riduzione, suggerendo che H2S può esercitare un

effetto protettivo nei confronti della complicazione patologica (Xiao et al., 2016). Questo risultato è accompagnato da un abbassamento dei livelli della MMP, del TGF-β1 e della TIMP, che rappresentano dei marcatori biologici del processo fibrotico. L’azione protettiva di H2S associata alla cardiomiopatia diabetica è stata quindi oggetto di numerosi studi, ad

esempio il lavoro di Li et al. ha permesso di evidenziare che la somministrazione di NaHS, nel medesimo modello di diabete sperimentalmente indotto, promuove la riduzione dell’ipertrofia associata all’iperglicemia (Li et al., 2016), mentre Sun et al. nel 2020, hanno evidenziato che la somministrazione di H2S migliora la frazione di eiezione ventricolare e

previene sia la fibrosi che l’ipertrofia dei cardiomiociti dei ratti e dei topi affetti da diabete, indotto dalla somministrazione di glucosio. Alla base della cardioprotezione mediata da H2S

nella cardiomiopatia diabetica sono coinvolti numerosi target; in particolare nel corso degli anni è stata oggetto di numerosi studi l’azione antifibrotica esplicata da tale mediatore, che si rivela essenziale per prevenire l’alterazione della struttura del miocardio e che viene esplicata attraverso una pletora di meccanismi, come la regolazione dell’autofagia (Zhou et al., 2015; Xiao et al., 2016; Yang et al., 2017), l’inibizione dell’azione del TGF-β (Yang et al., 2017; Liu et al., 2018) e del pathway canonico di Wnt (Yang et al., 2019). In particolare, le proteine Wnt agiscono come molecole segnale per accelerare la proliferazione, la differenziazione e la migrazione cellulare e partecipano a due vie di trasduzione cellulare, il pathway canonico e quello non canonico: il pathway canonico partecipa nella fibrosi del miocardio in quanto è responsabile dell'attivazione di determinati target cellulari che in ultima analisi inducono la proliferazione dei fibroblasti, la deposizione della matrice extracellulare e l'ipertrofia dei cardiomiociti (Tao et al., 2016). Inoltre, H2S è in grado di

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