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Rodney Stark, Le città di Dio. Come il cristianesimo ha conquistato l’impero romano, Torino, Lindau, 2010 (recensione)

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Rodney Stark, Le città di Dio

Data: Sabato, 12 novembre 2011 @ 19:25:00 CET Argomento: Recensioni e schede bibliografiche

Rodney Stark, Le città di Dio. Come il cristianesimo ha conquistato l’impero romano, Torino, Lindau, 2010 (ediz. orig. Cities of God. The Real Story of How Christianity Became an Urban Movement and Conquered Rome, San Francisco, Harper, 2006).

Recensione a cura di Andrea Nicolotti.

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La casa editrice Lindau prosegue nella sua opera di traduzione dei saggi del sociologo americano delle religioni Rodney Stark. Come già i saggi precedenti, anche questo è portatore di utili suggestioni accostate ad altri punti perfettibili.

Gli argomenti trattati sono numerosi, e tutti legati dal filo conduttore della misurabilità, della quantificazione degli eventi storici. Cito i più significativi. I concetti di “conversione” e “riaffiliazione”. Il giudaismo della diaspora numericamente predominante e la sua tendenza ad essere una religione missionaria. Motivazioni che attraevano alla conversione al cristianesimo non legate alla dottrina, ma sostanzialmente al miglioramento dei rapporti sociali, alla speranza in una vita migliore. Motivi di crisi del paganesimo, e tipologia delle conversioni. Inesistenza delle cosiddette conversioni di massa, a fronte di un normale tasso di crescita dei cristiani intorno al 3,4%

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annuo. Tipologia di città che tendevano ad essere cristianizzate prima: quelle vicino a Gerusalemme, quelle ellenizzate, quelle più grandi e popolose. Importanza della continuità culturale, e motivo per cui il culto di Iside favoriva l'avanzare del cristianesimo. Efficacia dell’invito alla conversione rivolto alle diverse tipologie di persone, in relazione al loro “capitale religioso” pregresso. La predicazione dell’apostolo Paolo, che pur essendo considerato l’apostolo dei gentili predicò più agli ebrei che ai pagani, concentrandosi principalmente sulle città più ellenizzate, portuali, e nell’ambiente dell’ebraismo della diaspora e dove esistevano già chiese in quanto, sembra di poter ricavare, ellenismo e diaspora avevano positivi effetti sul processo di cristianizzazione. La conversione degli ebrei continua ben oltre il primo secolo, nonostante quanto comunemente ritenuto. Quali sono i movimenti religiosi che si espressero attraverso i manoscritti gnostici, e qual è la possibilità che invece di un movimento essi esprimano un isolato parere personale. Quale rapporto può esserci tra la diffusione delle “scuole eretiche” e la tipologia di città in cui esse fioriscono: pare che le città grandi ne favorissero la diffusione, le città portuali (differentemente che nel caso di Paolo) no. Lo gnosticismo aveva una predilezione per le città già cristiane e non era una derivazione dal giudaismo. Le congregazioni marcionite, antigiudaiche, crescevano più facilmente in città con comunità giudaiche presenti ma non in quelle in cui vi era qualche scuola gnostica; diversamente le congregazioni valentiniane si sviluppavano più velocemente in città popolose e già abitate da gruppi gnostici. I montanisti si diffondevano in grandi città, indipendentemente dalla presenza o meno di altre scuole eretiche, a differenza dei manichei che fiorivano in grandi città specialmente accanto ad altri gruppi eretici. La persistenza del paganesimo nel mondo greco romano fu assai più duratura di quanto solitamente si ritiene, e la politica degli imperatori cristiani spesso continuò a favorire il paganesimo sopravvivente. Il libro è anche un attacco a un certo approccio alla storia della Chiesa primitiva che sopravvaluta o addirittura rimpiange l'impatto della teologia delle comunità cristiane eterodosse dei primi secoli.

In alcune occasioni, però, l’impostazione di Stark mostra le sue debolezze. Quando si tratta di discutere il rapporto tra eresia e ortodossia, le sue posizioni sembrano ignorare i giusti termini del dibattito storiografico (pp. 192-194). L’approccio quantitativo sembra voler fornire, nelle intenzioni dell’autore, un motivo per emettere giudizi azzardati sull’esistenza di un consenso teologico all’interno del cristianesimo primitivo (pp. 224-225). Qualche argomento pare tratto dall’apologetica teologica più che dall’osservazione dei fatti (p. 134).

Detto questo, la parte più ammirevole del saggio è quella in cui l’autore, dopo aver criticato alcuni approcci alla storia antica del cristianesimo fondati su giudizi personali e non su dati di fatto, si sforza di invitare gli storici a fare maggiore affidamento sulle misure osservabili di ciascun fenomeno, e a recepire il metodo di studio proprio della sociologia, spesso ignorato. La conseguenza di tale ignoranza sarebbe la persistenza di interpretazioni storiografiche diverse sul medesimo argomento che si sovrappongono e si annullano a vicenda, essendo proposte sulla base di criteri soggettivi e non verificabili. Delle numerose possibilità di un uso oggettivo e scientifico di questi criteri Stark fornisce un buon esempio in questo libro, attraverso la presentazione di una serie di ipotesi di lavoro, confermate o meno dal confronto con il dato numerico.

Il libro si conclude con un interessantissimo appello agli storici affinché facciano maggiormente ricorso ad analisi di tipo quantitativo (fornendo un esempio: come lo studio quantitativo e tipologico delle iscrizioni lapidarie dovrebbe essere utile per una mappatura delle diverse comunità cristiane) e soprattutto imparino a cercare, a riunire e ancor più ad interpretare questi dati raccolti. La sfida va senz’altro raccolta, e potrebbe portare, in futuro, ad un ripensamento parziale di questo libro il quale, a mio parere, fa affidamento su dati quantitativi che però sono ancora troppo discutibili e frammentari, e talvolta estremamente datati (pensiamo al forzato ricorso gli studi di Adolf von Harnack). La prospettiva di fondo, tuttavia, è estremamente interessante.

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