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Progettazione e implementazione di un serious game per l'apprendimento delle tecniche di grafica d'arte attraverso l'interazione naturale

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Academic year: 2021

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I

NDICE

Indice ... 1

1 Introduzione ... 4

1.1 Il lavoro svolto ... 5

1.2 Organizzazione della tesi ... 7

1.3 Il progetto AMICA ... 8

2 Il patrimonio culturale immateriale ... 10

2.1 La stampa artistica ... 12

2.1.1 Xilografia ... 13

2.1.2 Calcografia ... 14

2.1.3 Litografia ... 15

2.2 Le fasi della calcografia ... 17

2.2.1 Preparazione della lastra ... 17

2.2.2 Incisione (tecnica dell’acquaforte) ... 18

2.2.3 Inchiostratura ... 18

2.2.4 Stampa ... 19

3 La realtà virtuale: una visione d’insieme ... 20

3.1 “Virtual heritage”: il patrimonio incontra il digitale ... 22

4 I serious game ... 25

4.1 I serious game per la preservazione del patrimonio culturale intangibile ... 26

4.1.1 Cultural awareness (sensibilità culturale) ... 26

4.1.2 Historical reconstructions (ricostruzioni storiche) ... 27

4.1.3 Heritage awareness (sensibilità patrimoniale) ... 27

4.2 Contesti d’uso dei serious game ... 27

4.2.1 Serious game in spazi pubblici ... 27

4.2.2 Serious game per il turismo ... 27

4.2.3 Serious game per la didattica ... 28

4.3 L’importanza del senso di presenza ... 28

(2)

2

5.1 Interazione mediata ... 32

5.2 Interazione naturale ... 32

5.2.1 Il Motion Capture ... 34

5.2.2 Leap Motion Controller ... 35

6 Serious game nel virtual heritage: lo stato dell’arte ... 43

6.1 Esempi in Italia ... 44

6.1.1 Imago Bononiae (2015) ... 44

6.1.2 Admotum (2014) ... 45

6.1.3 Museo virtuale della Valle del Tevere (2011-2013) ... 46

6.1.4 MediaEvo (2007-2010) ... 47

6.2 Esempi nel mondo ... 49

6.2.1 Papakwaqa (2013) ... 49

6.2.2 Yong’s China Quest Adventure (2016?)... 49

6.2.3 Building Detroit (2012) ... 50

7 Il progetto Engraving ... 51

7.1 Gli strumenti utilizzati... 52

7.1.1 XVR Studio 2.0 ... 53

7.1.2 Visual Studio 2015 ... 53

7.1.3 Adobe Photoshop CC 2014 ... 53

7.2 Lo storyboard ... 53

7.2.1 Lavorazione sulla lastra ... 55

7.2.2 Riordino fasi ... 55

7.2.3 Domande a risposta multipla ... 55

7.3 L’organizzazione del codice ... 56

7.3.1 Modulo Leap ... 57

7.3.2 Modulo GUI ... 65

7.3.3 Modulo Engraving... 66

8 Valutazione del sistema sviluppato: Leap vs. Mouse ... 73

8.1 Tipologie di questionari utilizzati ... 74

8.1.1 Il Presence Questionnaire (PQ) ... 74

(3)

3

8.1.3 Le domande di verifica ... 76

8.2 Risultati ... 76

9 Conclusioni e sviluppi futuri ... 86

9.1 Appendice A – Questionario di presenza ... 88

9.2 Appendice B – Questionario di usabilità ... 90

9.3 Appendice C – Domande di verifica delle conoscenze acquisite ... 91

9.4 Indice delle figure ... 92

9.5 Indice delle tabelle ... 93

(4)

4

1 Introduzione

Negli ultimi decenni, l’evoluzione tecnologica e la crescente disponibilità dell'accesso all'informazione hanno contribuito a una proliferazione di dati e conoscenze nel dominio digitale. Grazie alla rete Internet e alle tecniche di digitalizzazione, le possibilità di entrare in contatto con tutti gli aspetti del sapere sono sconfinate. Tuttavia, alcuni tipi di conoscenza rimangono difficili da archiviare, conservare e condividere. Rientrano tra queste le abilità manuali, difficili da acquisire e facilmente dimenticabili. Intere classi di abilità manuali sono state progressivamente sostituite da processi industriali, o sono andate perse a causa della progressiva scomparsa degli abili artigiani che le mantenevano in vita.

“L'individuazione di una modalità che consenta di documentare, conservare e trasmettere le abilità manuali collegate alle attività dell'artigianato artistico, simbolo di una cultura locale antica, appare dunque importante al fine di evitare che questo incredibile patrimonio di conoscenza venga disperso.” 1

In questo contesto si inseriscono gli ambienti virtuali, che con le loro potenzialità aprono nuovi scenari su possibilità prima precluse. Acquisendo, modellando e programmando, è ora possibile racchiudere la conoscenza relativa a un bene all'interno di uno spazio virtuale, fruibile in ogni momento. Questa è l'idea che sta alla base del virtual heritage, il patrimonio digitalizzato: la possibilità di salvaguardare beni concreti o immateriali, sfruttando le potenzialità di calcolo e la crescente disponibilità di spazio virtuale, per mettere al sicuro le conoscenze ma anche permetterne una maggiore (e a volte migliore) sfruttabilità. In questi anni si discute non solo delle potenzialità della realtà virtuale come prodotto, ma anche delle sue modalità di fruizione. Esistono infatti tantissimi tipi di prodotti che vengono offerti: musei virtuali, installazioni museali in loco, applicazioni immersive, e così via. Con ognuno di questi prodotti è possibile interagire in modo differente: alcuni non forniscono alcun tipo di interazione (per esempio, molti musei virtuali hanno l’unico scopo di mostrare all'utente le proprie opere), altri consentono di manipolare rappresentazioni virtuali di alcuni oggetti, altri consentono addirittura di muoversi liberamente in un ambiente antico ricostruito. Nel campo della realtà virtuale, le interfacce a interazione naturale (NUI) occupano sicuramente un posto d'onore, fornendo all'utente la capacità di eseguire task in ambiente virtuale senza lo sforzo cognitivo richiesto da una metafora di interazione mediata. Ma non sempre quest'affermazione è vera, soprattutto quando è richiesta una certa precisione. Come alcuni studi hanno già dimostrato [1] [2] [3] [4], per le operazioni di selezione in applicazioni desktop l'interazione mediata con mouse risulta più performante

(5)

5 in termini di tempo di conclusione del task. Ciononostante, in contesti in cui l’obiettivo è la trasmissione di una conoscenza motoria, l’utente potrebbe tendere a favorire un’interazione che riproduca nel modo più fedele possibile la gestualità originale, ottenendo così migliori risultati in termini di presenza2.

Tra questi due grandi ambiti, ovvero modalità di interazione e patrimonio culturale digitalizzato, i serious game (SG) si stanno facendo sempre più spazio come strumento così detto di “edutainment” – un mix tra educazione e entertainment – per la trasmissione della conoscenza attraverso il coinvolgimento dell’utente. È stato questo il modello scelto per l’implementazione dell’applicazione proposta, in quanto la componente di engagement (coinvolgimento) offerta dai SG può attivamente aiutare gli utenti a favorire la memorizzazione e dunque la trasmissione di informazioni. [5]

1.1 I

L LAVORO SVOLTO

L’applicazione proposta in questa tesi è stata sviluppata in relazione al progetto AMICA, realizzato dal laboratorio PERCRO (Perceptual Robotics – Simultaneous Presence, Telepresence and Virtual Presence) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, sotto il patrocinio di Fondazione Telecom Italia.

Il progetto AMICA ha come scopo primario la realizzazione di una piattaforma di fruizione digitale basata sulla tecnologia degli ambienti virtuali immersivi per la valorizzazione delle attività tecniche artigianali e tradizionali dell’incisione e della stampa artistica. L’applicazione immersiva è stata sviluppata dai ricercatori del laboratorio PERCRO, ed è tutt’ora in fase di completamento. Il suo scopo è di immergere l’utente in un ambiente didattico da cui possa apprendere passivamente le varie fasi della lavorazione calcografica della stampa artistica.

L’applicazione proposta in questa tesi è stata inizialmente pensata per fare da appendice al progetto appena descritto, ma con uno scopo diverso. Engraving è stata sviluppata seguendo il modello del serious game, ovvero un gioco digitale, concepito come strumento didattico di supporto, che abbia come obiettivo la verifica della trasmissione di conoscenza attraverso l'engagement. L’applicazione non può essere definita “di training” in quanto non mira a riprodurre fedelmente ogni singolo passaggio della lavorazione, ma riassume e permette di sperimentare le fasi più significative attraverso due possibili modalità di interazione: con Leap Motion Controller (un dispositivo a interazione naturale) e con mouse. In fase di progettazione, ci si è resi conto che il serious game Engraving ha

2 Il cosiddetto “senso di presenza”, definizione coniata da K. Nowak [35] come una serie di elementi che

contribuiscono alla creazione della stessa, rappresenta una misura del coinvolgimento dell’utente nell’ambiente virtuale, ma più generalmente nell’attività che sta svolgendo: la lettura di un libro può causare un alto senso di presenza, che dunque non necessita di tecnologie per manifestarsi.

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6 potenzialmente una doppia valenza: sia come prodotto “a completamento” dell’applicazione immersiva, sia come serious game stand-alone da proporre in contesti differenti da quello didattico.

L'applicazione Engraving è stata sviluppata seguendo due modalità:

 "assistita": è la modalità principale, e ricostruisce un ambiente didattico simulativo combinato a fasi di valutazione, dove gli utenti possono eseguire tramite interfaccia a interazione naturale (NUI) o a interazione mediata (con mouse) il lavoro artigiano suddiviso in diverse fasi di lavorazione su una lastra digitale; in un momento successivo vengono poi verificate le conoscenze acquisite tramite esercizi di vario tipo. La caratteristica principale di questa modalità è la forzatura del percorso (storyboard), ma anche la presenza di un feedback visivo che viene fornito agli utenti tramite messaggi informativi nel momento in cui eseguono un’azione sbagliata;

 "avanzata": in questa modalità, i soggetti sono lasciati liberi di sperimentare l’applicazione nell’ordine che preferiscono, e vengono fornite loro meno informazioni didattiche; funge quindi da ambiente di test per soggetti che non hanno bisogno di supporto, e ne misura le conoscenze.

L’implementazione di due modalità e la fruizione con due diversi dispositivi consentono anche l’adattamento dell’applicazione stessa in diversi contesti: un gioco può essere facilmente impiegato come strumento di verifica in una classe, ma anche reinventato come installazione museale per attirare l’attenzione e la curiosità dei visitatori (tenendo conto anche del fatto che l’interazione col mouse può facilmente essere convertita in interazione con dispositivi touchscreen, come tablet o schermi, spesso presenti proprio in ambienti pubblici).

Quindi, lo scopo della tesi non è stato soltanto quello di produrre un’applicazione necessaria al completamento del progetto AMICA, ma anche quello di verificare tre ipotesi: di usabilità, di conoscenza, e di presenza.

Prima di tutto, è stato ritenuto importante verificare l’usabilità dell’applicazione mettendo a confronto i due dispositivi di interazione, attraverso un apposito questionario [6]. Numerose ricerche [7] [8] [9] [10] asseriscono che le applicazioni virtuali, forti della proprietà intrinseca dell’engagement, favoriscono il passaggio di conoscenza nell’utente, che è più predisposto a passare del tempo divertendosi. Questa tesi si rafforza nel momento in cui l’applicazione viene sviluppata seguendo il modello del serious game. Si ritiene plausibile infatti che all'aumentare delle componenti di attenzione e focus sull'attività svolta in quel dato momento (caratteristiche che influiscono positivamente sul senso di presenza), aumentino anche la qualità e la memorizzazione dell'esperienza e, conseguentemente, la conoscenza che si intende tramandare. [5] Si sono volute verificare

(7)

7 quindi sia la capacità del serious game di facilitare la trasmissione di conoscenza, sia la sensazione di presenza percepita dagli utenti mettendo a confronto l’utilizzo dell’applicazione nelle due diverse modalità di interazione (naturale e mediata).

Per verificare o meno queste ipotesi, successivamente alla parte di sviluppo, è stata eseguita una fase di sperimentazione con studenti della classe 3ª del liceo artistico “Franco Russoli” di Pisa. I test sono stati eseguiti quindi per la valutazione dei seguenti obiettivi:

 didattico, per capire l’efficacia dello strumento serious game a scopo educativo, misurando la conoscenza effettivamente trasmessa tramite il numero di errori totali commessi dagli utenti;

 senso di presenza, per capire se l’intensità della sensazione di "being-there" dell'utente sia strettamente correlata al tipo di interazione (NUI o desktop);

 usabilità, per capire se i giocatori riescono a eseguire determinati task in maniera efficace ed efficiente nel contesto d’uso, a seconda dello strumento di interazione utilizzato.

1.2 O

RGANIZZAZIONE DELLA TESI

Nel capitolo 2 si introducono i concetti di patrimonio culturale immateriale e stampa artistica, ponendo l’attenzione soprattutto sulle diverse fasi della calcografia, tecnica analizzata e sviluppata nel contesto del progetto AMICA.

Nel capitolo 3 si fa un breve resoconto della realtà virtuale e delle sue componenti principali, i suoi scopi e le sue applicazioni pratiche, arrivando dunque a focalizzare l’ambito del virtual heritage, ovvero il patrimonio digitalizzato.

Nel capitolo 4 si analizza una specifica categoria di applicazioni di realtà virtuale, considerata uno dei migliori strumenti didattici e di trasmissione della conoscenza grazie alla loro primaria caratteristica dell’edutainment: i serious game. Ne vengono esposte la categorizzazione e le differenze, ma soprattutto si analizza l’importanza del senso di presenza nelle applicazioni con approccio pratico (learning-by-doing).

Nel capitolo 5 vengono esposte le differenze fondamentali tra due tipologie di interazione: mediata e naturale. Le interfacce NUI sono considerate la nuova frontiera dell’intrattenimento, dunque meritano un’attenzione speciale anche dal punto di vista dei dispositivi. In questo capitolo viene anche presentato il Leap Motion Controller, ponendo l’attenzione soprattutto sulle sue potenzialità di interazione ed esponendo alcune applicazioni pratiche in cui viene attualmente utilizzato in campo didattico.

Nel capitolo 6 vengono presentati alcuni tra i serious game più rilevanti nel campo del virtual heritage, sviluppati da varie istituzioni dentro e fuori dall’Italia.

(8)

8 Nel capitolo 7 viene introdotto il progetto Engraving, frutto del lavoro svolto dall’autrice della tesi presso il laboratorio PERCRO. Ne vengono presentate le motivazioni, gli strumenti utilizzati, le scelte implementative e alcuni punti chiave del codice.

Nel capitolo 8 vengono esposte le informazioni raccolte dalle operazioni di testing in termini di conoscenze acquisite e sensazione di presenza.

Infine, nel capitolo 9 si tirano le somme del lavoro, traendo le dovute conclusioni e proponendo potenziali sviluppi futuri.

1.3 I

L PROGETTO

AMICA

"AMbienti virtuali Immersivi per la Comunicazione delle maestrie dell’Artigianato": in una parola AMICA, il progetto al servizio delle maestranze artigianali. Questo progetto rientra tra i vincitori del bando “Beni invisibili, luoghi e maestria delle tradizioni artigianali” di Fondazione Telecom Italia, per sostenere progetti di valorizzazione di beni culturali che non godono di adeguata visibilità, nonché delle “maestrie” artigianali necessarie alla loro conservazione.

L’idea nasce dalla nota necessità di mantenere in vita e conservare saperi ed abilità intangibili ed effimere, come quelle legate alla tradizione dell’artigianato artistico. L’artigianato affonda le sue radici negli albori della storia dell’Umanità, e l’Italia – ma più precisamente la Toscana – ha sicuramente interpretato una parte da protagonista nella composizione di questo immenso patrimonio di conoscenze, abilità manuali, cultura e qualità tale da dover essere preservato nel tempo. Questo “bene invisibile” del nostro patrimonio culturale è il frutto del rapporto tra uomo e ambiente, mezzo di espressione fondante del nostro territorio regionale, nazionale e non solo. Un patrimonio immenso ma fugace, difficilmente acquisibile,

conservabile e quindi tramandabile. AMICA nasce così, per documentare le maestrie artigianali, conservare, valorizzare e rendere fruibili queste attività culturali “intangibili” per far sì che non vengano disperse.

Come poter trasmettere tutto questo alle future generazioni? I ricercatori del Laboratorio di Robotica Percettiva (PERCRO) della Scuola Superiore Sant’Anna, utilizzando telecamere “normali”, GoPro HD e telecamere di profondità 3D hanno registrato le attività degli artigiani del centro di grafica 2RC impegnati nella creazione di una stampa d’arte. Le risorse così acquisite sono state utilizzate per la ricostruzione di un laboratorio artigiano di incisione, visualizzabile interattivamente grazie al supporto del visore Oculus Rift, nel quale

Figura 1: logo del progetto AMICA. (fonte: http://www.amicaproject.eu/)

(9)

9 l’utente si può muovere liberamente, osservare, ascoltare e interagire naturalmente con le proprie mani, grazie all’integrazione col device Leap Motion. Può anche sperimentare diversi punti di vista, compreso quello dell’artigiano, per capire meglio come l’opera viene creata e quali sono le azioni necessarie a tal scopo.

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10

2 Il patrimonio culturale immateriale

Dopo un lungo e laborioso percorso di carattere giuridico-legislativo3, il termine

“patrimonio culturale” viene odiernamente definito come un insieme di beni che per particolare rilievo storico, culturale e artistico, sono di interesse pubblico e costituiscono la ricchezza tangibile o intangibile di un luogo e della relativa popolazione. Con l’uso del termine “patrimonio”, si allude esplicitamente alla ricchezza economica attribuita ai beni che lo compongono, in relazione alla loro artisticità e storicità, nonché limitatezza oppure addirittura unicità. Inoltre, con questo termine si allude anche alla presenza di una normativa che regola l’insieme dei beni culturali, di cui il patrimonio è composto.

I beni culturali, dunque, “compongono” il patrimonio culturale e possono caratterizzarsi sotto diversi aspetti: storico, artistico, ambientale, architettonico, archivistico, antropologico, culturale e così via. I beni che entrano a far parte del patrimonio culturale esprimono la propria unicità e irripetibilità grazie ai forti connotati estetici e espressivi, e dunque non solo rappresentano la testimonianza materiale del valore della civiltà umana (seguendo la definizione tutt’oggi valida della Commissione di studio Franceschini4 del

1967), ma gli si riconosce anche un valore economico. Il luogo di cui questi beni costituiscono ricchezza può essere un paese, una città, una nazione, o un settore territoriale circoscritto, ma anche un soggetto a cui il patrimonio fa capo. In tutti questi casi, la caratteristica del patrimonio culturale è la destinazione alla fruizione collettiva: l’interesse pubblico è dato dalla possibilità universale di godere della visione del patrimonio, e delle conoscenze ad esso legate. [11]

L’interesse istituzionale nei confronti dei beni culturali è rivolto alla tutela, alla conservazione e alla valorizzazione di questi. L’UNESCO, nella Convenzione sulla Protezione

del Patrimonio Mondiale, culturale e naturale dell'Umanità5 del 1972, prende in

considerazione unicamente i beni materiali come appartenenti al patrimonio culturale di un Paese; ma nel 1989, nella “Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura tradizionale e del folklore”, spinge affinché le diversità e le caratteristiche peculiari delle popolazioni dell’umanità siano riconosciute e affermate, con lo scopo di renderle fonte di scambio, innovazione e creatività, per il bene delle generazioni presenti e future.

Finalmente, durante la 32° conferenza generale tenutasi a Parigi dal 29 settembre al 17 ottobre 2003, con l’adozione della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio

culturale immateriale (ratificata dall’Italia solo il 24 ottobre 2007) l’UNESCO riveste il

3 L’iter legislativo è consultabile online all’indirizzo http://www.patrimonioculturale.net/bacultBC.htm. 4 Gli atti della Commissione Franceschini (1967) sono consultabili online all’indirizzo

http://www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/Studi/franceschini.pdf.

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11 patrimonio culturale immateriale di maggior importanza, rendendolo imprescindibile dal patrimonio culturale materiale e i beni naturali. I capolavori immateriali si affiancano ai siti patrimonio dell’umanità: mentre questi ultimi rappresentano cose tangibili (come una città, o un complesso archeologico) i primi rappresentano anche tradizioni che spesso non hanno una codifica scritta, e che vengono invece tramandate oralmente nel corso delle generazioni. Gli scopi primari della Convenzione sono la salvaguardia degli elementi e delle espressioni del patrimonio culturale immateriale, e la promozione (a livello locale, nazionale e internazionale) della consapevolezza del loro valore in quanto fondamenta delle culture tradizionali di tutto il mondo.

In particolare, nell’art. 2 della Convenzione, il patrimonio culturale immateriale viene ufficialmente6 definito come:

“[...] le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi

culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal

modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.”

ART.2-CONVENZIONE PER LA SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE

Il patrimonio immateriale copre diversi ambiti, tra cui:

a) tradizioni ed espressioni orali (compreso il linguaggio in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale);

b) arti dello spettacolo;

c) consuetudini locali, eventi rituali e festivi;

d) cognizioni e prassi relative alla natura e all’universo; e) saperi e pratiche legate all’artigianato tradizionale. [12]

Quindi, la normativa internazionale riconosce come beni immateriali le usanze, le rappresentazioni, le espressioni, i comportamenti che gli esseri umani in quanto comunità ritengono degni di essere trasmessi di generazione in generazione, in quanto determinano un sentimento di identità e continuità. [13]

6 Il documento della convenzione è consultabile online all’indirizzo

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12 Mancando di tangibilità, il patrimonio culturale immateriale risulta ancor più suscettibile alla perdita di memoria da parte della comunità. L’industrializzazione, la spinta alla modernità, gli spostamenti di massa verso le grandi città e lo svuotamento dei piccoli paesi minacciano il mantenimento dell’identità culturale di interi territori. Per queste ragioni, secondo l’Art. 13 (d) della Convenzione, l’UNESCO incentiva i Paesi a promulgare nuove leggi tecniche, amministrative e finanziarie affinché si istituiscano dei dipartimenti nazionali predisposti alla documentazione del loro patrimonio culturale immateriale, favorendone l’accessibilità.

Inoltre, L’UNESCO incoraggia la partecipazione degli artisti tradizionali e dei creatori locali ad identificare e rivitalizzare il patrimonio immateriale e dunque le proprie conoscenze lavorative, incoraggiando altresì gli enti pubblici, le associazioni non governative e le comunità locali a identificare, a salvaguardare e a promuovere tale patrimonio. Un esempio tutto italiano è quello del Comitato per la Promozione del Patrimonio immateriale, che suddivide le azioni di salvaguardia in:

- identificazione e documentazione dei beni culturali immateriali e dei loro custodi (viventi o estinti), nonché opere di finanziamento e sostentamento ai detentori del patrimonio stesso;

- promozione e protezione del contesto storico, culturale e sociale che ha prodotto il patrimonio immateriale;

- trasmissione attraverso l’insegnamento e l’educazione, grazie ad attività che siano in grado di suscitare consapevolezza riguardo l’importanza del sapere trasmesso; - cooperazione con organizzazioni di altri paesi e nazioni, al fine di migliorare la

conoscenza reciproca, grazie anche alla promozione di piattaforme fisiche e virtuali. [14]

2.1 L

A STAMPA ARTISTICA

Tra le tradizioni e le arti considerate fonte di ricchezza nazionale, l’artigianato è sicuramente una tra le attività lavorative che si manifesta più concretamente nel risultato tangibile di un artefatto. Gli oggetti utili e decorativi ottenuti sono fatti completamente a mano o per mezzo di semplici attrezzi, motivo per cui tutti gli articoli prodotti con l’uso di macchine o tramite il procedimento di fabbricazione in serie non possono essere considerati prodotti artigianali.

Nel corso del tempo, l’artigianato si è distinto sia per la sua caratteristica di utilità, grazie alla produzione di oggetti predisposti all’utilizzo nel quotidiano, sia per la sua caratteristica più pregiata e distinta: quella artistica. È in quest’ultimo contesto che si inserisce la stampa artistica, un insieme di tecniche ampiamente discussa e snocciolata nei saggi raccolti da

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13 Maltese [15], con cui vengono create opere d’arte attraverso il processo di stampa di un’immagine.

La stampa d’arte comprende tre tecniche fondamentali, che corrispondono ai materiali usati per la preparazione della matrice, ovvero la superficie originale su cui viene svolta la lavorazione:

 xilografia, o stampa in rilievo, ovvero tratta da una matrice incisa in rilievo (perlopiù in legno);

 calcografia, o stampa in cavo, ovvero tratta da una matrice di metallo incisa in cavo (perlopiù in rame);

 litografia, o stampa in piano, ovvero tratta da una matrice di pietra.

In tutti i casi esposti sopra, l’immagine è ottenuta premendo a mano o a macchina il foglio di carta contro la matrice inchiostrata. Le stampe ottenute da xilografia e calcografia vengono dette “in rilievo”, poiché la matrice viene incisa con appositi strumenti; invece, nel caso della litografia l’immagine viene disegnata sulla matrice con una matita o un pennello.

Queste tre tecniche hanno in comune il carattere industriale del procedimento tecnico, in quanto:

1. il momento creativo non si prolunga al di là della preparazione della matrice e precede interamente le operazioni di stampa;

2. il procedimento esecutivo consente di produrre numerose serie di esemplari identici di buona qualità, in termini di centinaia e a volte anche migliaia;

3. la carta usata per la stampa, essendo economica, contribuisce a abbassare sensibilmente i costi di produzione.

Spesso, però, dopo l’impiego di una matrice si può procedere alla sua “punzonatura”, con lo scopo di non renderla più utilizzabile: questo consente agli artefatti finali di essere considerati prodotti unici ed originali, togliendo la possibilità di un riutilizzo per altre riproduzioni.

2.1.1 X

ILOGRAFIA

La xilografia (dal greco ξύλον “legno” e γράϕειν “scrivere”) è il più antico procedimento di stampa, che si sviluppa agli inizi del Quattrocento nei Paesi Bassi, in Germania e in Francia, probabilmente legata alle tecniche della decorazione dei tessuti. In Italia si diffonde nella variante del “chiaroscuro” fino alla metà del Cinquecento, per poi essere abbandonata per più di tre secoli e ripresa alla fine dell’Ottocento in clima postimpressionista. Si basa sulla possibilità di trarre un disegno scavando su una superficie dura. Questa superficie, come già specificato, è in legno duro e gli strumenti utilizzati sono comuni coltellini, con cui si

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14 eseguono le operazioni di taglio e contro-taglio (quest’ultimo viene eseguito con la lama obliqua sul primo taglio in modo da far saltare via il legno e creare l’incisione vera e propria). Sulla tavoletta di legno ben levigata si riporta o si esegue direttamente il disegno a matita, che sarà poi contornato dall’intaglio. Infine, si passa l’inchiostro con un rullo sulla matrice, e si procede alla stampa su foglio tramite l’uso di una pressa: le parti che non vengono incise e rimangono perciò al livello originario della superficie ricevono l’inchiostro e danno origine, sul foglio, ai neri, mentre le parti che vengono scavate corrispondono sul foglio ai bianchi. Tale disegno sarà rovesciato come sempre nell’incisione rispetto all’immagine che si vuole ottenere. Dal punto di vista tecnico, ottenere segni molto sottili vicini tra loro – o, peggio ancora, finemente incrociati – risulta praticamente impossibile, rendendo così il disegno bidimensionale nella sua totale mancanza di variazioni chiaroscurali (ovvero i grigi).

Figura 2: un esempio di stampa ottenuta da xilografia. (fonte: Wikipedia.it)

2.1.2 C

ALCOGRAFIA

La calcografia si diffonde in Italia e Germania con qualche decennio di ritardo rispetto alla xilografia, ma presenta uno sviluppo che perdura tutt’oggi. È la forma più importante di stampa dalla metà del Quattrocento fino al secondo decennio dell’Ottocento, lasciando breve respiro alla diffusione della litografia, per poi riprendersi massicciamente dalla metà dell’Ottocento. La matrice utilizzata più frequentemente è in rame, la cui altezza varia tra 1 e 2 mm di spessore per ogni lastra. In passato si è fatto uso anche di lastre in acciaio e zinco. La carta utilizzata per la stampa deve essere il più possibile soffice e elastica, in modo che riesca a entrare nei solchi, cercandovi l’inchiostro.

A differenza della xilografia, il procedimento di calcografia prevede che lo spazio vuoto ottenuto tramite l’incisione venga pienato con l’inchiostro, per cui il disegno ricalcato corrisponderà ai neri sul foglio. Ecco il perché si parla di “incisione in cavo”. In questo caso quindi è l’artista a eseguire direttamente l’operazione di incisione sulla matrice, a differenza del caso della xilografia, dove l’artista si limitava a disegnare su un foglio la sua

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15 opera, e un artigiano doveva pazientemente mettersi a incidere il legno su tutta la parte della matrice che non avrebbe ricevuto l’inchiostro. Inoltre, i segni incisi direttamente sulla lastra con la punta di uno strumento possono essere sottili e vicini tanto quanto l’artista riesce a essere preciso, mentre sarà invece difficile creare solchi molto grandi e pieni di colore in quanto l’inchiostro tende a disperdersi. Infine, è importante ricordare che nella lastra di metallo ogni incisione ha un proprio spessore, dentro cui l’inchiostro aderisce in modo differente, permettendo così una diversa resa nella gamma di neri. Per tutte queste ragioni, la calcografia è considerata la tecnica più adatta per una resa tridimensionale dell’opera.

Figura 3: opera calcografica intitolata "Soffioni", di Elisabetta Damianti. (fonte: exibart.com)

La lastra metallica può essere incisa in modo “diretto”, ovvero attraverso l’ausilio solo di strumenti con cui eseguire le incisioni, oppure in modo “indiretto”, ovvero incidendo solo uno strato di vernice sovrapposto alla lastra e lasciando l’azione di incisione vera e propria a un acido corrosivo. Fa parte di quest’ultima categoria l’acquaforte, tecnica analizzata nello studio e realizzazione del progetto AMICA.

2.1.3 L

ITOGRAFIA

Il procedimento litografico rappresenta la naturale conclusione, sotto il profilo tecnico, dei tentativi e delle ricerche condotti durante l’intero arco del diciottesimo secolo. Infatti, gli stessi effetti di colore ottenuti macchinosamente nelle varie tecniche di xilografia e calcografia, nella litografia possono essere raggiunti disegnando direttamente con una matita, una penna o un pennarello sulla superficie piana della pietra litografica. La rapidità e l’economicità del procedimento rendono la litografia nota al grande pubblico, in quanto nel primo Ottocento le migliori litografie erano quelle concepite come illustrazioni dei giornali.

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16 La matrice litografica è ricavata dalla pietra calcarea porosa di Solnhofen in Germania, tagliata in lastre di dimensioni variabili (tra i 5 e i 10 cm), anche se oggi la pietra è stata quasi del tutto sostituita con lastre di metalli porosi, come zinco e alluminio, molto più economiche e maneggevoli e che garantiscono lo stesso risultato. La lastra di pietra, dato il notevole spessore, può essere reimpiegata abbassandone leggermente il livello e levigandola. Per disegnare si usa o una matita, o un gessetto, o inchiostro, purché sia un materiale grasso. Una volta eseguito il disegno la pietra viene bagnata con l’acqua, in modo che passandovi sopra un rullo inchiostrato l’inchiostro grasso aderisca alla parte disegnata e venga respinto dalla parte bagnata: la litografia si basa quindi sull’incompatibilità dell’acqua per il grasso. A questo punto, si può procedere con ulteriori passaggi per il miglioramento del fissaggio del disegno, come la copertura della lastra con uno strato di mordente leggero, allo scopo di rendere più porosa la pietra e far penetrare meglio gli acidi grassi.

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17

2.2 L

E FASI DELLA CALCOGRAFIA

Nel progetto AMICA, la tecnica artistica analizzata è quella della calcografia, in particolare la tipologia di incisione dell’acquaforte. Lo studio effettuato dai ricercatori del laboratorio PERCRO e da Manfredi [16] in collaborazione con gli allievi del Master accademico di primo livello in “Management e tecnica nella stampa e nell’editoria d’arte” promosso dall’Accademia di belle arti di Firenze, ha permesso una suddivisione metodica delle fasi dall’inizio alla fine della lavorazione, in quanto è stato necessario raccogliere tutto il materiale utile per una comprensione approfondita. Lo scopo è stato quello di realizzare un ambiente virtuale immersivo, che ricostruisse i locali, gli strumenti e gli stessi artigiani intenti a eseguire passo dopo passo il processo artistico.

Possiamo identificare quattro fasi fondamentali, strutturate a loro volta in più parti.

2.2.1 P

REPARAZIONE DELLA LASTRA

La lastra scelta è tipicamente in rame, e il suo spessore può variare da 1 a 2 mm. Lo spessore del metallo dipende dal tipo d'incisione che si vuole praticare: se si pensa di stampare con una sola lastra, anche con profonde incisioni, nella norma non si dovrebbero superare i 2 mm di spessore; se si pensa di utilizzare più lastre per lo stesso soggetto, lo spessore non dovrebbe superare 1 mm. In quest’ultimo caso, le lastre devono essere sempre uguali e segnate (incise con una punta) con un numero progressivo sul retro di ognuna nella stessa posizione.

Prima di tutto, l’artigiano deve pensare a proteggere il retro della lastra di rame, ricoprendolo di nastro adesivo per evitare che durante l’acidatura possa subire danni; infatti, essendo il rame un materiale abbastanza costoso, si tende a proteggere il retro della lastra per riutilizzarlo in un lavoro successivo.

Poi si procede lucidando la lastra, eliminando fattori esterni con cui potrebbe essere entrata in contatto. Per fare questo, l’artigiano applica sulla lastra una pasta abrasiva, utilizzando una spatola con del feltro, attraverso dei movimenti circolari e costanti atti a distribuire la pasta sulla lastra fino al completo assorbimento.

Una volta consumata la pasta abrasiva, l’artista procede alla pulitura della lastra con un panno di cotone imbevuto di benzilux (un potente smacchiatore per metalli) o acquaragia. Anche in questo caso, i movimenti da effettuare sono circolari e costanti. Dopo aver proceduto con la bisellatura dei lati taglienti della lastra (in quanto in fase di stampa potrebbero danneggiare il foglio), l’artista procede con la sgrassatura della lastra. Prima di tutto, l’artista la bagna con un getto d’acqua corrente e procede spalmando con dei feltrini un po’ di polvere bianca di Meudon. La pasta viene nuovamente lavata con acqua corrente, e successivamente con una soluzione acetosa composta da acqua, aceto e sale. Una volta sgrassata, la lastra viene lasciata a sgocciolare dall’eccesso di soluzione acetosa e successivamente spostata su un piano

(18)

18 dove viene asciugata prima con della carta, e successivamente con un getto d’aria calda. Questo passaggio deve avvenire velocemente in modo che la lastra di rame non si ossidi.

2.2.2 I

NCISIONE

(

TECNICA DELL

ACQUAFORTE

)

La lastra è pronta per la fase di incisione, che rappresenta il cuore della tecnica. Prima di tutto la lastra viene verniciata con un pennello morbido: la parte della lastra su cui viene mantenuta la vernice è quella che non subisce la corrosione dell’acido. L’operazione viene effettuata seguendo movimenti omogenei, e la direzione è indifferente. È consigliato mantenere una direzione orizzontale o verticale in modo coerente. Successivamente è necessario far asciugare la vernice, per cui l’artista provvede all’inserimento della lastra in un forno.

Finalmente, l’artista può riprodurre l’opera d’arte sulla lastra. Nel caso in cui l’artista abbia prima realizzato la propria opera su altro supporto cartaceo, egli può procedere al ricalco con diversi strumenti a seconda delle proprie preferenze (matite, pennarelli, e così via).

Per l’incisione vera e propria, gli strumenti utilizzabili sono matite, punte in plastica, punte in metallo, aghi in istrice e così via. Avendo caratteristiche e spessori diversi, questi vengono scelti dall’artista a seconda della linea che deve seguire. Tipicamente, per evitare di sporcare la lastra poggiandosi a essa durante l’esecuzione dell’incisione, vengono usati panni di cotone o fogli di carta bianca.

L’artigiano deve poi preoccuparsi di rendere permanenti i segni lasciati sulla lastra, e questo avviene con la fase di acidatura. Nella prima fase di morsura, l’artista procede all’immersione della lastra in una vasca contenente l'acido, ovviamente facendo attenzione a indossare guanti resistenti. È necessario che egli attenda un certo periodo di tempo per permettere all’acido di agire, e nel frattempo deve “cullare” la vasca con all'interno acido e lastra per far mordere l'acido in modo omogeneo su tutte le parti intagliate, per evitare che vi siano dei solchi meno profondi rispetto ad altri dello stesso spessore. Dopo aver estratto la lastra dalla vasca, l’artista procede alla sciacquatura facendo uso di acqua corrente e composto acetoso.

Dopo l’asciugatura, la lastra viene osservata e controllata con una apposita lente di ingrandimento per miniature chiamata “lentino”. Questo strumento viene posizionato sul disegno per osservare nel dettaglio se l'acido ha agito a dovere, mordendo tutte le linee incise secondo la profondità data al momento dell’intaglio. Nel caso in cui l'artista non sia soddisfatto, può decidere di ripassare la lastra nell'acido una seconda volta.

2.2.3 I

NCHIOSTRATURA

Quando l’artista è soddisfatto del proprio lavoro, procede con il passaggio dell’inchiostro sui segni incisi.

(19)

19 Dopo aver rimosso i residui di nastro adesivo sulla parte posteriore, l’artista pulisce accuratamente con un panno imbevuto di benzilux tutta la lastra con movimenti circolari e costanti.

A questo punto è necessario preparare il colore scelto e procedere alla coloratura facendo uso di una spatolina in gomma morbida, in modo da non graffiare la superficie; l’artista può procedere a piacimento sull’intera lastra o solo sulla parte del disegno. Una volta steso l’inchiostro in maniera omogenea sulle linee, l’artista si munisce di tarlatana sporca e procede con movimenti rotatori sia per eliminare la vernice in eccesso, sia per farla penetrare nelle fessure. Successivamente viene usata della tarlatana pulita per ripassare la lastra nei punti desiderati. Dopo la tarlatana viene passata anche della carta velina, con un lato più ruvido e l’altro più liscio.

2.2.4 S

TAMPA

L’ultima fase è quella della stampa, in cui il disegno viene pressato su un foglio. Dovendo far uso di una pressa, è necessario che l’artigiano tenga in considerazione le misure della propria lastra e del foglio scelto per stampare. Essendo tutte le lastre di altezza diversa, l’artista deve allargare o stringere la pressa in modo che la lastra possa scorrere senza problemi, con la giusta adesione al foglio, per la stampa finale. Quando sul foglio delle prove si crea un bassorilievo ben visibile in corrispondenza dei bordi, la pressa è stata sistemata nel giusto modo ed è pronta per la stampa.

L’artista posiziona sul piano scorrevole della pressa prima la lastra e poi il foglio, sopra i quali viene messo un panno di feltro pulito; dopodiché abbassa il blocco di protezione della pressa e la mette in funzione. Nella pressa in azione, il piano entra da un lato ed esce dall’altro scorrendo sotto il rullo. Se l’artista, sollevando con delicatezza il foglio ed usando apposite presine, non è soddisfatto del colore, può inchiostrare nuovamente la lastra o passare la tarlatana nei punti che vuole più chiari. Se invece la stampa risulta soddisfacente, viene messa ad asciugare per un paio di giorni per essere successivamente siglata e numerata dal suo creatore.

Come ultima cosa, l’artista può decidere di rendere la lastra inutilizzabile eseguendo una bullonatura sulla stessa, garantendo quindi il risultato della stampa un pezzo unico.

(20)

20

3 La realtà virtuale: una visione

d’insieme

Dopo quasi 30 anni dall’introduzione del termine “Realtà Virtuale” da parte del visionario Jaron Lanier7, molti altri hanno tentato di dare una definizione a questo concetto così

apparentemente chiaro, ma al contempo difficile da identificare. Certamente l’evoluzione tecnologica degli strumenti di supporto ha concesso un notevole ampliamento delle possibilità: la VR può essere propriamente definita come una tecnologia complessa che sfrutta più tecnologie a basso livello (informatica, grafica 3D, robotica, ecc.) per creare un ambiente digitale in cui gli utenti possano sentirsi completamente immersi e con cui – non sempre – interagire8.

Nonostante abbia da sempre avuto tutte le carte in regola per diventare uno strumento tra i più rilevanti della scena informatica, negli anni si è riscontrato un certo attrito che non le ha (ancora) permesso di diventare un fenomeno di massa. Stando alle previsioni di Mark Zuckerberg, secondo una sua dichiarazione a pochi mesi dall’acquisto di Oculus (avvenuta a marzo 2014), la VR è destinata a occupare un posto in prima linea entro 10-15 anni. [17] Non è facile dar torto al CEO di Facebook, anche se alcuni dei più grandi ostacoli della realtà virtuale possono sembrare ad ora insormontabili. Per fare un esempio, la riluttanza della maggior parte delle persone verso i dispositivi indossabili (necessari per esempio per la realizzazione di sistemi aptici) è paragonabile allo stesso diniego che ha caratterizzato gran parte della popolazione quando sono stati introdotti i primi dispositivi mobili touch. Eppure, dopo circa 10 anni, in giro non si trova praticamente altro, e anche persone di una certa età si sono ormai “informatizzate”. Questo segnale dà certo buone speranze per l’avanzamento della VR nella quotidianità, anche se viene spontaneo chiedersi se riusciremo davvero a integrarla in modo da non riuscire più a farne a meno.

Le applicazioni della realtà virtuale sono ormai numerosissime: spaziano dalla prototipazione al training medico, dalle simulazioni militari ai videogame (mercato su cui

7 “We are speaking about a technology that uses computerized clothing to synthesize shared reality. It

recreates our relationship with the physical world in a new plane, no more, no less. It doesn't affect the subjective world; it doesn't have anything to do directly with what's going on inside your brain. It only has to do with what your sense organs perceive. The physical world, the thing on the other side of your sense organs, is received through these five holes, the eyes, and the ears, and the nose, and the mouth, and the skin. They're not holes, actually, and there are many more senses than five but that's the old model, so wÈll just stick with it for now.” - Jaron Lanier nell’intervista “A portrait of the young visionary”, consultabile online all’indirizzo http://www.jaronlanier.com/vrint.html

8 Ad oggi, non esiste un’unica definizione universale per il termine “realtà virtuale”. Il famoso lavoro di Steuer

(21)

21 si investe notevolmente in questi ultimi anni), dallo studio di piani di emergenza alla diffusione culturale.

Le tre componenti fondamentali della VR rappresentano anche i motivi per cui le sue applicazioni “funzionano” bene:

 immersività (misura del livello di percezione dell’ambiente da parte dell’utente attraverso adeguate interfacce);

 interazione (misura del realismo della simulazione, grazie alla possibilità di interagire e ricevere feedback);

 presenza (misura del coinvolgimento dell’utente, ovvero quanto egli si sente parte dell’ambiente che lo circonda).

Esistono molti livelli di immersività nella realtà virtuale, così come ne esistono altrettanti di interattività. La realtà virtuale immersiva si distingue dalla non immersiva per il suo scopo primario: ricreare un ambiente che possa essere percepito come realistico dall'utente, ovvero che massimizzi la sensazione di presenza (being-there). Nelle applicazioni di RV che puntano all'immersività totale, vengono utilizzati infatti appositi visori o caschetti, chiamati head mounted display (HMD), che grazie alla propria conformazione aiutano l'utente a sentirsi parte dell'ambiente che gli viene mostrato. Gli HMD sono dotati di appositi sensori che permettono a chi li indossa di replicare il movimento della testa nell'ambiente ricreato (generando il cambiamento del punto di vista), ma anche di essere tracciati posizionalmente e dunque muoversi e camminare nell’ambiente. Per un risultato meno immersivo, si possono scegliere grandi schermi stereoscopici per ottenere comunque una visione tridimensionale, sebbene non esente da difetti. Per quanto riguarda invece gli altri sensi, si può far uso di cuffie auricolari o di casse in grado di dirigere i suoni alle orecchie a partire da una certa fonte sonora; ci si affida a degli speciali guanti (wired gloves, in quanto sono fisicamente collegati da cavi su cui viaggiano le informazioni di rilevazione) per interagire con l'ambiente eliminando gli altri dispositivi di input come mouse o tastiera; ma anche strumenti diversi come il Phantom, strumento in grado di fornire un ritorno aptico grazie alla rilevazione della propria posizione nel mondo virtuale e rispetto agli oggetti che vogliamo poter toccare. Anche i sensi dell'olfatto e del gusto possono essere stimolati, ma le tecnologie utilizzate sono ancora ben poco all'avanguardia.

L'utilizzo di un'applicazione di realtà virtuale immersiva prevede anche svantaggi. Prima di tutto, è tipicamente accompagnata da alti costi legati allo sviluppo di buon software, e all'acquisto di dispositivi performanti, necessari affinché il risultato finale possa apparire realistico. Alcuni di questi possono risultare a dir poco ingombranti: si pensi al CAVE (Cave Automatic Virtual Environment), composto da un numero di schermi retroproiettati almeno pari a quattro all’interno dei quali l’utente può fisicamente camminare: la visione

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22 3D stereoscopica legata ad un sistema di rilevamento della posizione permette una corretta lettura degli spazi, dei volumi e delle distanze simulate, dando la sensazione di essere fisicamente all’interno della scena virtuale. Oltre a un problema di spazi, si va incontro anche a problemi di budget. Per un corretto e sufficiente posizionamento dell'utente all'interno di una scena 3D può essere necessario disporre dalle due alle quattro camere OptiTrack, il cui prezzo non scende al di sotto dei 1000€ per pezzo. Negli ultimi anni stiamo però assistendo ad un naturale decremento dei costi dei devices, grazie alla loro commercializzazione ed utilizzo in molti contesti diversi.

Nonostante ciò, anche se l’immersività sembra essere una caratteristica imprescindibile della RV, la non-immersività è da non sottovalutare. Per molte applicazioni, come riportato dallo studio di Robertson, gli stessi risultati possono essere ottenuti con “trucchi” visivi per la simulazione del 3D e animazioni interattive. Quando l’utente riesce a controllare e concentrarsi su queste caratteristiche, come dimostrano i videogiochi di ultima generazione per PC, egli viene trascinato nel mondo virtuale, a dispetto della mancata immersività. Inoltre, la realtà virtuale non-immersiva ha dei punti di forza da non sottovalutare: i suoi dispositivi sono largamente conosciuti e il loro funzionamento è noto agli utenti; non si ha a che fare con i limiti tecnici imposti da dispositivi relativamente recenti (ad esempio il malessere fisico dovuto all’utilizzo prolungato di HMD); non è necessario forzare l’utente ad utilizzare wearable, dispositivi verso i quali le persone sono risaputamente restìe. [18]

Dunque, quando ci si trova a dover valutare quale tipo di RV adottare per una determinata applicazione, una possibile soluzione spesso adottata è quella di ricorrere ad ambienti ibridi, in cui si fa uso di entrambi i tipi di dispositivi. Per esempio, a seconda del task che si vuole far eseguire agli utenti, si può scegliere un device tipicamente immersivo (VPL Data Gloves) abbinato a uno non immersivo (normale schermo del computer). Questa configurazione rispecchia la definizione di realtà virtuale desktop, ovvero non immersiva e che fa uso di device piuttosto comuni.

3.1 “V

IRTUAL HERITAGE

”:

IL PATRIMONIO INCONTRA IL DIGITALE

Da diversi anni, uno degli strumenti più efficaci nel raggiungimento degli obiettivi di manutenzione, trasmissione e promozione del patrimonio culturale, è sicuramente quello della realtà virtuale, tanto da creare una nuova terminologia in cui confluiscono i due ambiti: il “virtual heritage” o “patrimonio virtuale”.

L’espressione inglese “virtual heritage” è l’equivalente del nostro “tecnologie digitali integrate per la conoscenza, la valorizzazione e la comunicazione dei beni culturali attraverso sistemi di realtà virtuale”: questo significa che il VH può trarre vantaggio dalla tecnologia informatica per incrementare non solo l’accessibilità e la comprensione del

(23)

23 patrimonio, ma anche rafforzare il dibattito per la spinta al continuo miglioramento di questi metodi. Dunque, lo scopo primario del VH è registrare, preservare e ricreare oggetti e processi di significato culturale [7] attraverso ambienti virtuali per generare, navigare, esplorare e indagare scenari interattivi, in cui si visualizzano informazioni storiche, culturali o artistiche.

L’importanza della trasmissione della conoscenza non è soltanto una prerogativa dell’UNESCO. Numerosi studiosi, tra cui Stone e Ojika [8], suggeriscono che il patrimonio dovrebbe essere presentato al pubblico in modo del tutto trasparente, e a più persone possibili, puntando anche su un’esperienza di tipo didattico. Tost e Champion [7] fissano cinque obiettivi del VH:

1. individuare con precisione gli elementi del patrimonio culturalmente significativi; 2. virtualizzare le informazioni fondamentali e presentarle il più accuratamente e

fedelmente possibile;

3. distribuire queste informazioni sotto forma di uno o più progetti il più robusti possibile, indirizzandoli a un pubblico ampio;

4. provvedere alla costruzione di un ambiente che sia in grado di comunicare e insegnare efficacemente, perseguendo lo scopo didattico;

5. valutare con accuratezza i risultati raggiunti nelle precedenti fasi, cercando di migliorare costantemente.

Gli strumenti per raggiungere questi obiettivi possono essere molteplici, ma per molti studiosi la VR rimane uno dei migliori. Basti pensare alle possibilità che tali applicazioni possono offrire: un ambiente virtuale, essendo programmabile e dunque personalizzabile, può rappresentare una copia fedele di un ambiente già esistente, ma non deve necessariamente esserlo. Esso può essere infatti essere oggetto di una rappresentazione realistica quanto di una ricostruzione astratta e schematica di ciò che viene simulato. La versatilità di questi strumenti di simulazione rende i virtual environments utilizzabili in moltissimi settori (la visualizzazione scientifica, il design industriale, la prototipazione, il

training medico, lʼindustria dellʼintrattenimento, lʼaddestramento di piloti e soldati, lo

studio dei piani di emergenza in caso di catastrofi naturali, la cura di patologie psico-fisiche e, in generale, in tutti quei settori in cui la simulazione digitale permette di risparmiare risorse umane e capitali o eseguire azioni e attività rischiose in modo sicuro, perché virtuale).

Gli studi di Romano e Brna [9] e di Ott e Pozzi [19] dimostrano come la VR abbia un grande potenziale come strumento educativo in quanto abile a catturare facilmente l’attenzione degli utenti e accrescere la loro motivazione: nel momento in cui uno studente riesce a rivivere, per esempio, un sito archeologico muovendosi al suo interno, o può manipolare un artefatto di cui avrebbe potuto trovare informazioni solamente documentandosi sui libri, queste informazioni finiscono per essere non più insegnate, ma scoperte. Questo aiuta

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24 da una parte il cosiddetto “experiential learning approach”, ovvero l’approccio educativo basato sull’esperienza e sulla partecipazione attiva dello studente, e dall’altra gli fornisce la possibilità di costruirsi autonomamente il proprio percorso didattico, basato sui propri interessi, scopi, necessità e così via.

La realtà virtuale permette di conoscere il mondo attraverso un approccio di tipo "senso-motorio", più naturale per l'essere umano rispetto all'apprendimento "simbolico-ricostruttivo" mediato dalla scrittura. In quest'ottica, la realtà virtuale può essere considerata un'interfaccia esperienziale, in cui la componente percettiva e quella interattiva si fondono: l'esperienza diretta e in tempo reale permette all'utente di interagire con gli oggetti e osservarne le reazioni in funzione delle azioni subìte. [5]

Come analizzato da Lercari, lʼunicità della simulazione del virtual heritage si manifesta nella possibilità di rappresentare contemporaneamente, e su una stessa piattaforma, una pluralità dʼinformazioni provenienti da fonti di diversa natura. In questo modo si riescono a integrare in un unico sistema di visualizzazione elementi differenti quali rappresentazioni iconografiche, fotografie di opere dʼarte, testi antichi, dati GIS, informazioni stratigrafiche, informazioni storiografiche, considerazioni estetiche e molto altro ancora. La specificità di questo campo è la forte propensione multidisciplinare. Tale caratteristica è dovuta alla grande eterogeneità delle informazioni che possono essere utilizzate nella simulazione e, ovviamente, alla complessità della loro rappresentazione mediante tecnologie informatiche. Numerose competenze teoriche e capacità tecniche sono necessarie per svolgere ricerca in un settore come il virtual heritage, in cui lʼapproccio metodologico

multivocale e la trans-disciplinarità sono i principali elementi dʼinnovazione. [10]

Le fasi per la realizzazione di un buon progetto di VH sono così riassumibili:

a) ricerca delle informazioni (storiche, archeologiche, culturali) che si vogliono rappresentare. Si possono reperire fonti provenienti da archivi, collezioni o altre istituzioni; dopo un’analisi preliminare, si procede alla catalogazione e inserimento in appositi database relazionali o in sistemi GIS;

b) studio e progettazione di un piano di comunicazione adatto a realizzare gli obiettivi definiti in fase preliminare, analizzando le diverse forme mediali utilizzabili per la visualizzazione, le interazioni e più in generale le diverse componenti della user experience;

c) trattamento e ottimizzazione dei dati, seguita da implementazione vera e propria (questa fase prevede lavoro interdisciplinare a stretto contatto); d) analisi della fruizione e accertamento degli esiti, ovvero verifica di come il

pubblico percepisce la simulazione, raccolta di tali dati e analisi per scovare margini di miglioramento.

(25)

25

4 I serious game

L’ossimoro serious game (letteramente “gioco serio”, abbreviato SG) è la terminologia utilizzata per indicare quelle applicazioni che hanno le caratteristiche di un gioco, ma che non hanno (solamente) scopo ludico. Djaouti [20] raccoglie alcune definizioni date nel corso degli anni, che sembrano convergere verso un unico concetto: qualsiasi tipo di risorsa digitale il cui scopo non sia il puro divertimento, ma che utilizza il divertimento come medium per il raggiungimento di uno scopo differente, è un serious game.

I serious game sono stati utilizzati nel corso degli anni per diversi scopi: illustrare risultati scientifici, formazione (training) di professionisti e studenti, diffusione di conoscenza, e così via. Come è già stato introdotto nei capitoli precedenti, le applicazioni di RV sono state (e sono tutt’ora) utilizzate ampiamente in contesto culturale, ma la loro utilità può risultare limitata dal fatto che gli utilizzatori tendono a essere più spettatori passivi dell’ambiente che utilizzatori attivi, il che svilisce l’esperienza didattica. Una qualità che invece non manca ai giochi è proprio quella di mantenere l’attenzione dell’utilizzatore attiva anche per lunghe sessioni. Inoltre, ancor meno da sottovalutare è l’engagement (ovvero il coinvolgimento) ottenuto grazie al divertimento, che consente il raggiungimento di obiettivi didattici attraverso un’esperienza divertente.

Possiamo quindi vedere i SG come composti da due grandi componenti: quella didattica e quella ludica. La prima è ovviamente fondamentale, ma la qualità delle interazioni e la scelta di particolari devices possono fare la differenza nel risultato finale.

Come in tutti i giochi, esistono diversi generi, più o meno applicabili al contesto del virtual

heritage.

 Giochi d’azione. Com’è intuibile, questa tipologia non si applica frequentemente nei SG in quanto prevedono movimenti precisi e azioni veloci. Questi task danno buoni risultati per l’engagement, ma non per i processi cognitivi, motivo per cui questa tipologia di giochi può essere efficacemente utilizzata solo come “sub-task”.  Giochi di simulazione. Come nel role-playing, questa categoria di gioco aiuta

l’utente a sentirsi parte di una realtà sintetica, e risulta utile in casi di ricostruzioni di particolari eventi storici. Il meccanismo di simulazione favorisce l’identificazione nel personaggio impersonificato, necessaria a favorire la presa di coscienza relativa a cause e conseguenze delle proprie azioni. Il motivo per cui le simulazioni vengono maggiormente utilizzate nelle ricostruzioni di eventi importanti è proprio la capacità di suscitare empatia e creare consapevolezza morale.

 Giochi a quiz. Tipicamente sotto forma di domanda-risposta o risposta multipla, l’utente si confronta con argomenti più o meno mirati, con l’obiettivo di testare la

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26 propria preparazione. L’applicazione può aiutare l’utente nella comprensione degli errori commessi, per esempio attraverso finestre popup con messaggi relativi al task che ha sbagliato. Questo tipo di giochi è sicuramente adatto in un contesto educativo in cui si vogliono mettere alla prova le conoscenze acquisite.

 Giochi di puzzle. Come nei relativi giochi in scatola, l’utente deve risolvere problemi di logica, o riordinare fasi, o far combaciare parti di immagini, e così via. Questa tipologia di giochi è particolarmente adatta all’utilizzo via smartphone.

 Giochi d’avventura. Sviluppatisi dai primi anni del 1970, quando l’interazione era puramente testuale, gli adventure games si sono evoluti in termini di grafica e interfacce. Ai giorni d’oggi, tra i più diffusi ci sono i point-and-click giocabili online direttamente sul browser. Lo scopo è arrivare alla fine risolvendo enigmi e rompicapo, collezionando oggetti e combinandoli, ma anche interagendo con gli agenti del gioco. Ovviamente, l’interazione può ampliarsi e distaccarsi da mouse e tastiera, avvicinandosi a tipologie più accattivanti come quella naturale. Questa tipologia di giochi è particolarmente adatta all’approccio “learning-by-doing” e dunque al training, dove l’utilizzatore costruisce la propria conoscenza attraverso attività concrete che svolge nell’applicazione, cercando e interagendo con oggetti che utilizzerà per completare il task assegnatogli.

4.1 I

SERIOUS GAME PER LA PRESERVAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE

INTANGIBILE

Come è già stato discusso, preservare e mantenere il patrimonio culturale intangibile può risultare complicato proprio per la sua natura immateriale. Mortara e altri [21], studiando le applicazioni dei serious game nell’ambito del virtual heritage, suddividono in tre categorie i possibili scenari ricostruibili:

 “cultural awareness”;  “historical reconstructions”;  “heritage awareness”.

4.1.1 C

ULTURAL AWARENESS

(

SENSIBILITÀ CULTURALE

)

In questa categoria vengono inserite le tipiche tradizioni immateriali, come il linguaggio, le credenze religiose, il folklore locale, tradizioni artigianali, netiquette sociale, e così via. In questi contesti, i SG hanno il potenziale di ricreare accuratamente non solo l’ambiente fisico, ma soprattutto l’esperienza in prima persona, dando l’opportunità di sperimentare codici comportamentali, abitudini e molto altro.

(27)

27

4.1.2 H

ISTORICAL RECONSTRUCTIONS

(

RICOSTRUZIONI STORICHE

)

In questa categoria, i giochi hanno il principale obiettivo di trasmettere la storia basandosi su una ricostruzione il più possibile fedele e coerente al periodo, all’evento o al processo che si vuole narrare. È dunque importante rendere l’utente partecipe del gioco stesso, come in un gioco di ruolo, facendo leva sull’engagement e sul senso di appartenenza che può nascere in lui, in modo che riesca a comprendere e acquisire le cause che hanno provocato lo sviluppo dell’evento in sé.

4.1.3 H

ERITAGE AWARENESS

(

SENSIBILITÀ PATRIMONIALE

)

In questa categoria rientrano tutti quei beni architettonici e naturali, per i quali i giochi devono ricostruire la vera location con lo scopo di offrire un’esperienza visiva soddisfacente, per apprezzare e imparare il valore artistico e naturale del sito, o semplicemente garantire l’engagement per spingere l’utente a usufruire dell’applicazione. I giochi possono quindi essere costruiti sfruttando gli ambienti immersivi, oppure sfruttando tecnologie di realtà aumentata (difatti è molto diffuso il termine “virtual/augmented cultural tourism games”) proprio per godere dell’esperienza direttamente dal sito, utilizzando lo smartphone o il tablet.

4.2 C

ONTESTI D

USO DEI SERIOUS GAME

A seconda del contesto in cui il gioco verrà utilizzato, devono essere considerati diversi tipi di requisiti tecnologici e metodologici. Mortara e altri [21] consigliano una tripla suddivisione con relativi consigli per produrre SG efficaci.

4.2.1 S

ERIOUS GAME IN SPAZI PUBBLICI

Quando lo scopo è creare un SG per il pubblico (per esempio all’interno di un museo), bisogna tenere in considerazione alcuni punti chiave che ne favoriscano l’utilizzo. A differenza di un’applicazione da utilizzare a casa, dove si ha più tempo per prendere confidenza con lo strumento, in un contesto pubblico si ha la necessità di creare un oggetto intuitivo e facilmente utilizzabile, per il quale non siano necessarie operazioni di training, e che consentano l’interazione da parte di più di una persona contemporaneamente. Questo prevede la scelta di dispositivi di interazione specifici (nello specifico, non troppo invasivi) e che incoraggino gioco di gruppo e comunicazione tra i partecipanti.

4.2.2 S

ERIOUS GAME PER IL TURISMO

I giochi creati per il turismo culturale – che quindi comprendono le applicazioni di realtà aumentata – sono creati per arricchire l’esperienza di visita di un sito (città, scavi archeologici, paesaggi naturali, musei, ecc.) nel momento stesso in cui la visita avviene. La convenienza di questa scelta sta nel fatto che i musei non hanno bisogno di investire altri

(28)

28 soldi in tecnologia, visto che la fruizione avviene tramite gli smartphone in possesso degli utenti; inoltre, gli utenti hanno la possibilità di collegarsi e scollegarsi quando vogliono, proprio perché il medium di interazione è sempre in loro possesso.

4.2.3 S

ERIOUS GAME PER LA DIDATTICA

Dal punto di vista scolastico, è molto importante che i giochi siano costruiti tenendo conto delle conoscenze di partenza di tutti gli studenti, adattandosi al loro livello. Inoltre, vanno considerati eventuali limiti tecnologici software e hardware a cui la scuola potrebbe dover sottostare. Per il resto, se il gioco funge da integrazione del curriculum scolastico annuale, deve essere strutturato in modo da garantirne l’utilizzo sia in orario scolastico sia a casa, per lo svolgimento di approfondimenti e esercizi.

Figura 5: istogramma in pila rappresentante le tipologie di serious game utilizzate in contesto educativo in relazione all'obiettivo dell'applicazione (CA: cultural awareness; HR: historical reconstruction; A/A HA: artistic/archaeological

heritage awareness; A/N HA: architectural/natural heritage awareness). [21]

4.3 L’

IMPORTANZA DEL SENSO DI PRESENZA

Come è già stato introdotto nel capitolo relativo agli ambienti virtuali, le applicazioni di RV sono analizzabili sotto tre aspetti di fondamentale importanza: l’immersività, l’interazione e la presenza. Mentre l’immersività dà una misura della percezione dell’ambiente che l’utente riesce ad avere grazie alle interfacce a lui fornite, la presenza è un concetto che rappresenta il coinvolgimento (“being-there”) dell’utente, raggiunto utilizzando l’ambiente virtuale come medium, seguendo lo stesso processo che potenzialmente avviene leggendo un libro, e che quindi non ha bisogno di tecnologie per manifestarsi. [22]

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