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Il laboratorio nell'amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline

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Academic year: 2021

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(1)

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE

DI PATOLOGIA CLINICA E BIOCHIMICA CLINICA

Direttore Prof. Aldo Paolicchi

TESI DI SPECIALIZZAZIONE

Il laboratorio nell’amiloidosi

da catene leggere delle immunoglobuline

Relatore Specializzanda

Prof.ssa Laura Caponi Dott.ssa Margherita Botto

(2)

Indice

INTRODUZIONE 3

L’amiloidosi 3

Epidemiologia 6

AMILOIDOSI AL 9

Patogenesi 9

Cenni di fisiologia delle immunoglobuline 12

Manifestazioni cliniche dell’amiloidosi AL 14

Amiloidosi cardiaca 15

Diagnostica per immagini 16

Analisi istologica dei tessuti 20

DIAGNOSTICA DI LABORATORIO NELLE DISCRASIE

PLASMACELLULARI 23

Mieloma multiplo-MGUS-Smoldering Myeloma 24

Gammopatie a significato incerto 24

(3)

Elettroforesi su siero 26

Immunofissazione su siero 29

Preoteinuria di Bence Jones e immunofissazione urinaria 31

Dosaggio catene leggere libere su siero 33

DIAGNOSTICA DI LABORATORIO NELL’AMILOIDOSI DA

CATENE LEGGERE DELLE IMMUNOGLOBULINE 38

Diagnosi 39

Prognosi 41

Valutazione della risposta alla terapia 43

CONCLUSIONI 46

(4)

INTRODUZIONE

L’amiloidosi

Con il termine amiloidosi si intende un gruppo di malattie causate dal deposito extracellulare di proteine a struttura fibrillare la cui deposizione causa un danno a carico di organi e tessuti.

FIGURA 1

Tutti i depositi di amiloide sono costituiti da fibrille di natura proteica aventi un diametro compreso tra 7-13 nm ed una conformazione strutturale a foglietto beta ripiegato antiparallelo (1) (figura 1) che contengono al loro interno dei costituenti non fibrillari come i glicosamminoglicani (GAG) e i precursori ematici dell’amiloide (SAP) (2). Questa struttura delle fibrille è alla base delle sue particolarità tintoriali: dopo la colorazione con Rosso Congo esse evidenziano la caratteristica birifrangenza verde alla luce polarizzata (figura 2). La ricerca di tale caratteristica rappresenta il Gold Standard per la conferma della presenza di amiloide in un campione di tessuto.

(5)

FIGURA 2

Le diverse forme di amiloidosi vengono classificate sulla base della proteina costituente le fibrille. La forma più comune è l’Amiloidosi AL, una malattia dovuta alla formazione di fibrille a partire da catene leggere delle immunoglobuline secrete da plasmacellule localizzate nel midollo osseo, che presenta per questo molti aspetti riferibili al mieloma multiplo.

In alcuni casi i costituenti non fibrillari, presenti in tutti i depositi di amiloide, sono alla base dell’imaging: un esempio è dato dalla scintigrafia SAP e rappresentano un bersaglio per i nuovi approcci terapeutici.

Talvolta la proteina costitutiva delle fibrille può essere una variante di una proteina normalmente prodotta dall’organismo a partire da una sequenza mutata. La predisposizione alla produzione della proteina amiloidogenica può essere associata a diversi fattori sia ereditari che dipendere da mutazioni del DNA acquisite durante la vita o in seguito ad una malattia infiammatoria cronica (dove grandi quantità di proteine di fase acuta vengono prodotte a seguito del processo infiammatorio) o associata a dialisi renale.

(6)

L’origine ereditaria e le forme di amiloidosi sistemiche ereditarie sono un gruppo di malattie a trasmissione autosomica dominante causate da mutazioni a carico di geni che codificano per specifiche proteine plasmatiche. Rientrano in questo gruppo l’amiloidosi TTR, l’amiloidosi da apolipoproteina I, apolipoproteina A-II, da fibrinogeno e da lisozima (3).

Le proteine che causano la malattia sono diverse e ne sono state individuate più di 20 tipi (vedi Tabella 1).

TABELLA 1

Le tre forme di amilodosi più frequenti sono:

- Amiloidosi AL: causata da una produzione di catene leggere libere da parte di un clone plasmacellulare.

- Amiloidosi AA: causata da un eccesso di produzione da parte del fegato di proteine di fase acuta “infiammatoria” SAA, in seguito a processi infettivi o infiammatori cronici.

(7)

- Amiloidosi TTR: causata da una mutazione genetica del gene che codifica per la Transtiretina, una proteina prodotta dal fegato e responsabile del trasporto della Vitamina A e della Tiroxina. A seguito di tale mutazione la proteina di trasporto alterata si accumula in diversi organi e tessuti, soprattutto nel sistema nervoso e nel cuore. Esistono più di 100 mutazioni di TTR che possono rendere la proteina instabile, la più comune è la Val-30-Met che provoca danni ai nervi e problemi al sistema elettrico-cardiaco. Esiste anche una seconda forma di Amiloidosi ATTR definita senile o “wild type” associata all’invecchiamento la cui proteina non contiene alcuna mutazione.

Epidemiologia

Sono stati pubblicati pochi dati epidemiologici sull’Amiloidosi.

Il primo studio di popolazione sull’Amiloidosi AL è stato elaborato negli USA, è stato pubblicato nel 1992 e riporta un’incidenza di 3-5 casi per milione nella popolazione (4)

Un altro studio condotto nel Regno Unito tra il 2000 e il 2008, in cui sono stati analizzati i certificati di morte di 2543 individui, indicavano che l’amiloidosi ha rappresentato la causa di morte in 0.58 per 1000 individui e aveva un’incidenza di circa uno su 100000 (5). In Svezia è stata registrata un’incidenza di 8.29 casi per milione di persone all’anno per la forma di amiloidosi non-ereditaria e di 3.2 per milione di persone all’anno per l’Amiloidosi AL (6).

(8)

Nel 2012 è stato pubblicato un ulteriore studio (7) condotto nel Regno Unito dal quale è stata estratta la Tabella 2 che mostra le differenti caratteristiche dei diversi tipi di amiloidosi.

TABELLA 2

Lo studio ha preso in considerazione 5100 pazienti con Amiloidosi afferenti al National Amyloidosis Centre del Regno Unito dal 1987 al 2012, da cui si evince che la frequenza relativa per l’Amiloidosi AL è rimasta stabile durante le due decadi in esame aggirandosi attorno al 67% di casi, al contrario per l’Amiloidosi AA è stata osservata una diminuzione di casi: dal 32% tra il 1987 e il 1995 al 6,8% tra il 2009 e il 2012. Nei pazienti con Amiloidosi TTR wild type l’incidenza di cardiomiopatia è notevolmente aumentata da meno di 10 casi dal 1988 al 1999 a più di 100 casi segnalati tra il 2009 e il 2012. Questo dato riflette il contributo della risonanza magnetica cardiaca per la diagnosi che si è affermata negli ultimi anni.

(9)

Tra il 2010 e il 2011 è stata scoperta una nuova forma di amiloidosi denominata ALect2, causata da una chemochina dei leucociti che sembra rappresentare la terza causa più comune di amiloidosi renale verificatasi prevalentemente in pazienti provenienti dall'Asia meridionale, dal Nord Africa, dal Medio Oriente, e Messico (8,9).

I dati epidemiologici per le forme ereditarie di amiloidosi sono scarsi ad eccezione della polineuropatia familiare (ATTR-FAP) che si verifica con una frequenza inferiore a 1 a 100000 (0,00001%) in Europa. Vi sono diverse mutazioni per questo gene, ad esempio la variante Val30Met di TTR ha una prevalenza di 1:538 casi nel Portogallo centrale ed un 4% della Svezia settentrionale, ma la penetranza, per ragioni ancora da chiarire, si differenzia notevolmente tra i due paesi, con un valore dell’80% in Portogallo e uno dell’11% in Svezia (10,11).

In Italia si fa riferimento alla casistica del Centro per l’Amiloidosi del Policlinico S. Matteo di Pavia, il quale indica che nel 2008, su 836 pazienti, il 68% erano dovuti ad amiloidosi AL, confermando che tale forma è quella più frequente.

(10)

AMILOIDOSI AL

Patogenesi

L’amiloidosi AL è una malattia caratterizzata dalla produzione di catene leggere monoclonali libere aventi caratteristiche strutturali identiche da parte di un clone plasmacellulare che precipitano sotto forma di fibrille amiloidi.

Le catene leggere amiloidogeniche che vengono prodotte possiedono una caratteristica unica, quella di causare una “proteotossicità sistemica” ovvero la capacità di determinare danno in molti organi e tessuti. Gli studi che sono stati condotti dimostrano che il clone presente nel midollo è di modeste dimensioni, indolente ed ha una infiltrazione ridotta del 5-7%. (12)

Nell’Amiloidosi AL è molto frequente la traslocazione t(11;14) che fonde il gene CCND1 con il gene che codifica per la catena pesante delle immunoglobuline, producendo un'espressione anomala della ciclina D1 (13), regolatore del ciclo cellulare e suggerendo che la rottura del locus della catena pesante potrebbe anche essere un importante meccanismo, poiché la metà dei pazienti affetti da Amiloidosi AL non presenta una immunoglobulina intatta dall’immunofissazione su siero. La bassa frequenza della traslocazione t(4;14) e della delezione 17p13 (14), che se presenti causano una rapida proliferazione ed una resistenza ai farmaci, sono correlate con l’osservazione della rara progressione di amiloidosi AL in mieloma multiplo. Inoltre l’iperdiploidia presentata dai pazienti con gammopatia monoclonale a significato incerto

(11)

(MGUS) e mieloma multiplo è molto rara, in relazione all’ipotesi che vede il clone amiloidogenico come una fase iniziale di gammopatia monoclonale.

I piccoli cloni indolenti plasmacellulari, responsabili dell’AL, sintetizzano una catena leggera monoclonale anomala che provoca proteotossicità sistemica mediante “misfolding”, aggregazione, distruzione dell’architettura e del metabolismo dei tessuti e deposizione in organi vitali. Pertanto le caratteristiche di AL derivano in primo luogo dalla tossicità sistemica delle catene leggere monoclonali.

Il meccanismo con cui le catene leggere libere interagiscono con le proteine di matrice, cellule ed altri componenti dell’organo bersaglio, determina un “tropismo per i tessuti”. Diverse catene leggere hanno anche una diversa propensione per danneggiare in maniera differente cuore, reni e nervi.

I pazienti con amiloidosi AL, che subiscono un trapianto con cellule staminali autologhe (ASCT), godono di una sopravvivenza superiore rispetto ai pazienti con Mieloma Multiplo che subiscono la stessa procedura. È importante notare che la sopravvivenza complessiva dei pazienti con AL che subiscono un ASCT, è molto simile a quella dei pazienti nelle fasi iniziali di Mieloma Multiplo (15). Pertanto, è probabile che sia il carico delle plasmacellule clonali che le caratteristiche biologiche condivise dalle plasmacellule discrasiche meno proliferative, contribuiscano alle differenti risposte al bortezomib ed ai risultati osservati nei pazienti con AL che subiscono un ASCT.

(12)

Quasi tutti i pazienti il cui clone esprime l’isotipo lambda 6, sviluppano una malattia renale (16,17), mentre l’isotipo lamba 1 è associato con la malattia cardiaca. (18)

Sono sino ad ora sconosciute le proprietà delle catene leggere che determinano il tropismo d’organo. È ancora da chiarire quali molecole organiche specifiche della matrice extracellulare interagiscano con le catene leggere.

L’ipotesi “amiloide” descrive il processo attraverso il quale le proteine si aggregano e causano un danno meccanico da deposizione nei tessuti. Recenti studi suggeriscono che non è solo l’effetto meccanico delle fibrille a causare la morte cellulare e la disfunzione tissutale a seguito dell’occupazione di spazio, ma interviene anche l’attività di intermedi oligomerici con attività tossica. Uno studio condotto dal laboratorio di Ronflish Liao ha permesso di verificare questi effetti tossici; prelevando le catene leggere libere da pazienti affetti da cardiomiopatia e successivamente purificate; queste una volta messe in contatto con cuori isolati di topo, hanno causato una rapida disfunzione diastolica ed una produzione di specie reattive dell’ossigeno (19). Ulteriori studi hanno dimostrato che questa risposta è mediata dal segnale p38 MAPK ed una sua inibizione può risultare protettiva (20).

In uno studio pubblicato nel 2013 è stato dimostrato che l’iniezione di catene leggere amiloidogeniche in zebrafish causa una disfunzione cardiaca ed una morte precoce dell’animale (21). Così, per la prima volta, c’è un modello animale in cui questo processo può essere studiato e il segnale di p38 e gli effetti della disfunzione cardiomiocitaria possono ora essere testati in un

(13)

Nel rene, gli effetti delle catene leggere libere sull’espressione proteica delle cellule mesangiali, possono contribuire alla patogenesi della disfunzione di quell’organo. Le catene leggere amiloidogeniche causano un’aumentata produzione di proteine che inducono la degradazione della matrice extracellulare, come il collagene IV e le metalloproteinasi MMP, a discapito di quelle di sintesi (71,72).

Anche se il coinvolgimento renale non è grave quanto il coinvolgimento cardiaco, nell’amiloidosi AL l’insufficienza renale è una delle cause principali di morbilità se non di mortalità.

Cenni di fisiologia delle immunoglobuline

FIGURA 3

La molecola immunoglobulinica (figura 3) è costituita da due catene pesanti polipeptidiche identiche e da due catene leggere polipeptidiche identiche, legate insieme da un numero variabile di ponti di solfuro e da legami non covalenti.

(14)

Le catene pesanti sono costituite da 3 o 4 regioni definite costanti dotate di notevole omologia e da una regione variabile nella porzione N-terminale, mentre le catene leggere contengono una regione costante e una variabile.

Le differenze strutturali della parte costante delle catene pesanti determinano la presenza di differenti classi: IgG, IgA, IgM, IgD e IgE, mentre le catene leggere sono di due tipi: kappa o lambda e ogni molecola immunoglobulinica completa può contenere catene leggere di un tipo o di un altro. Le catene pesanti e le catene leggere delle immunoglobuline sono sintetizzate a partire da geni differenti posti su cromosomi diversi. L’assemblaggio della molecola avviene dopo la liberazione delle singole catene nelle cisterne del reticolo endoplasmatico. Le catene leggere sono sintetizzate in leggero eccesso rispetto a quelle pesanti; questo comporta un loro passaggio nel circolo sanguigno, filtrazione glomerulare e successivo riassorbimento renale.

Il rene rappresenta quindi la sede del catabolismo delle catene leggere (22-24), sia poli che monoclonali, al pari di altre microproteine aventi una massa molecolare inferiore a 40 kDa. Queste microproteine vengono filtrate a livello glomerulare e dall’ultrafiltrato sono poi captate dalle cellule del tubulo prossimale, dove sono degradate a livello lisosomiale a oligopeptidi e amminoacidi, i quali vengono immessi in circolo e riutilizzati.

(15)

Manifestazioni cliniche dell’amiloidosi AL

Le manifestazioni cliniche dell’amiloidosi AL possono essere molto eterogenee.

I sintomi più frequenti sono: dispnea anche per sforzi minimi, astenia e perdita di peso e a seconda dell’organo coinvolto, il paziente può presentare differenti quadri clinici:

1. La cardiomiopatia restrittiva interessa gran parte dei pazienti affetti da Amiloidosi AL è determinata dall’ispessimento del setto interventricolare e delle pareti cardiache e causa una grave insufficienza cardiaca. La misurazione della troponina I e del NT-pro-BNP (del frammento N-terminale del precursore proteico NT-pro-BNP, peptide natriuretico, sostanza prodotta dalle cellule dei ventricoli cardiaci in risposta allo stiramento dei ventricoli) fornisce un utile e precoce indicatore di coinvolgimento cardiaco alla diagnosi.

2. Il coinvolgimento renale, presente nel 65% dei casi, si manifesta per lo più sotto forma di sindrome nefrosica

3. La neuropatia periferica, mista sensitiva e motoria provoca, nei pazienti in cui si presenta (15-20% dei casi), forti dolori e parestesie. Talvolta si può verificare una neuropatia autonomica con ipotensione ortostatica, alterazione della funzionalità del colon e della vescica. Inoltre la compromissione dei nervi periferici dovuta ai depositi di amiloide può essere responsabile della comparsa della sindrome del tunnel carpale.

(16)

4. Il fegato è coinvolto nel 20% dei casi con epatomegalia e possono presentarsi alterazioni degli enzimi epatici e di colestasi.

5. La macroglossia è caratteristica dell’amiloidosi Al; anche se non è molto frequente la deposizione di sostanza amiloide all’interno dei muscoli può causare pseudoipertrofia mentre all’interno delle articolazioni può determinare artropatie.

6. La porpora al viso è presente in una minoranza di pazienti ma è suggestiva di amiloidosi AL, soprattutto quando si presenta con una distribuzione periorbitale.

7. La sintomatologia emorragica è frequente ed è causata dalla riduzione nel sangue di uno dei fattori della coagulazione, il fattore X, determinata dal suo legame con la sostanza amiloide.

Amiloidosi cardiaca

L’amiloidosi cardiaca è una condizione patologica molto diffusa tra i pazienti affetti dall’amiloidosi AL, essendo presente in circa la metà dei casi. Essa si presenta come una “cardiomiopatia restrittiva” associata ad aumento degli spessori parietali ventricolari (25,26).

L’amiloide può infiltrare qualsiasi struttura cardiovascolare, inclusi il sistema di conduzione, il miocardio atrio-ventricolare, il tessuto vascolare, le coronarie e i grandi vasi. (25,26).

(17)

La manifestazione più comune della cardiomiopatia amiloidogenica è lo scompenso cardiaco congestizio (25-27). Talvolta il corretto inquadramento diagnostico può risultare difficoltoso a causa di un prevalente interessamento vascolare coronarico e la comparsa di sintomi anginosi. Talvolta invece la bradicardia può essere uno dei primi sintomi, mentre le tachicardie sopra ventricolari sono tipiche delle fasi tardive della cardiomiopatia. (25).

Generalmente, nei pazienti con amiloidosi AL le concentrazioni plasmatiche di NT-proBNP e di BNP sono aumentate e sono espressione della compromissione emodinamica ed anche di quella quota di danno cardiaco determinato dalla tossicità delle catene leggere (28), in molti casi possono aumentare anche i livelli di troponina. Questi biomarker ricoprono un ruolo cruciale nel monitoraggio e nella prognosi del paziente, nonché per impostare la giusta terapia.

Diagnostica per immagini

L’ecocardiogramma rappresenta il principale strumento per la diagnosi non invasiva di cardiomiopatia amiloidotica ( figura 4). Con questo tipo di esame è possibile valutare l’interessamento cardiaco e rilevare la precisa presenza di una coorte di caratteristiche ecocardiografiche:

 Spessore tele-diastolico del setto interventricolare >1,2 cm.  Ispessimento diffuso delle valvole atrioventricolari.

(18)

 Aumentata ecoriflettenza del miocardio ventricolare.

FIGURA 4 Generalmente una ipertrofia ventricolare sinistra all’ecocardiogramma, accompagnata da un possibile versamento pericardico, rappresentano segni indicativi di amiloidosi cardiaca (29,30).

La presenza di infiltrazione amiloidotica nel miocardio può essere visualizzata da diversi traccianti scintigrafici, ciascuno dei quali si lega ad una specifica parte della sostanza amiloide (31). La scintigrafia 123I-SAP (figura 5) offre una stima semiquantitativa attendibile dell’estensione e della distribuzione dei depositi di amiloide, ma non è in grado di definire al meglio l’interessamento cardiaco (32).

(19)

FIGURA 5

La scintigrafia con 99m Tc-DPD (99m-Tc-3,3 diphosphono-1,2-propanodcarboxylic acid) è in grado di rilevare la deposizione di amiloide nel miocardio, a parità di interessamento cardiaco, nelle forme transtiretina correlate (mutata e wild-type) ma non nella forma AL (33), di conseguenza questa metodica risulta utile per fare una diagnosi differenziale (figura 6).

(20)

FIGURA 6

A: Amiloidosi AL B: ATTR-wt

La risonanza magnetica cardiaca si è imposta recentemente come metodica di imaging per la diagnosi di amiloidosi cardiaca. Grazie alla capacità del gadolinio di accumularsi all’interno dell’interstizio infiltrato di amiloide (34-35) (figura 7).

(21)

FIGURA 7

Analisi istologica dei depositi

La diagnosi di amiloidosi deve fondarsi sul riscontro istologico di materiale con birifrangenza verde mela all’osservazione in luce polarizzata dopo colorazione con Rosso Congo. L’indagine migliore prevede l’utilizzo dell’agoaspirato di grasso periombelicale (FIGURA 8 a e b), che ha buona sensibilità (82%) e specificità (94%). Se l’indagine sul grasso periombelicale non è diagnostica, in presenza di un quadro clinico suggestivo, devono essere analizzati altri tessuti. In primo luogo si consiglia la biopsia delle ghiandole salivari labiali. Se anche questa indagine dà esito negativo, ed il sospetto diagnostico persiste, dopo aver considerato il rischio emorragico, si può procedere alla biopsia dell’organo coinvolto (36).

(22)

FIGURA 8

I vetrini di grasso periombelicale devono essere esaminati al microscopio ottico in luce polarizzata.

La tipizzazione immunoistochimica dei tessuti o proteomica dei depositi di amiloide è indispensabile per il completamento della diagnosi, la caratterizzazione immunoistochimica richiede l’impiego di anticorpi diretti contro le diverse proteine amiloidogeniche. Per il momento l’immunoistochimica in microscopia elettronica e l’immunofluorescenza su preparati renali non sono abbastanza sensibili e specifici da permettere una chiara tipizzazione dei depositi nell’amiloidosi AL; mentre gli anticorpi

(23)

anti-L’immunogold, tecnica immunoistochimica che utilizza anticorpi diretti contro le proteine amiloidogeniche e usa come mezzo di rilevazione anticorpi secondari coniugati con particelle di oro, è attualmente impiegato per una più precisa caratterizzazione ultrastrutturale delle fibrille di amiloide.

(24)

DIAGNOSTICA DI LABORATORIO

NELLE DISCRASIE

PLASMACELLULARI

Mieloma Multiplo – MGUS - Smoldering Myeloma

Il mieloma multiplo è una discrasia plasmacellulare caratterizzata dalla proliferazione clonale di plasmacellule (PC) maligne nel midollo osseo. Le PC mielomatose, oltre a produrre una elevata quantità di immunoglobuline monoclonali che rappresentano il “marker” di laboratorio più caratteristico della malattia, generano una notevole e variegata quantità di citochine che stimolano le cellule stromali presenti nel microambiente midollare e che a loro volta favoriscono la proliferazione e sopravvivenza del clone mielomatoso. Come conseguenza di questa aberrante interazione, si determina una attivazione degli osteoclasti che sono responsabili delle lesioni ossee che si associano frequentemente al mieloma multiplo (37) (FIGURA 10).

(25)

La gammopatia monoclonale di incerto significato (MGUS) e il mieloma asintomatico o smoldering (SMM) sono condizioni patologiche che rappresentano i diretti precursori del MM e sono caratterizzati dall’assenza di manifestazioni cliniche (38). La prevalenza dell’MGUS si attesta al 4% dei soggetti caucasici sopra i 50 anni di età, con rischio annuale di progressione verso il Mieloma maligno dell’1% annuo (39).

Gammopatia monoclonale a significato incerto

La MGUS è la più comune discrasia plasmacellulare che interessa circa il 4% della popolazione al di sopra dei 50 anni e la sua incidenza aumenta con l’aumentare dell’età. Essa è caratterizzata dalla proliferazione di un singolo clone plasmacellulare secernente nella maggior parte dei casi una proteina monoclonale M, costituita da una catena pesante e da una catena leggera, cioè una immunoglobulina intera. È una condizione asintomatica caratterizzata da:

 Proteina monoclonale < 3g/dl.

 Plasmacellule monoclonali nel midollo osseo <10%.  Assenza di danno d’organo attribuibile alle PC (40).

La MGUS è associata a un rischio di progressione a MM di circa l’1% annuo. Talvolta questa condizione viene occasionalmente riscontrata in seguito all’esecuzione dell’elettroforesi delle sieroproteine per un controllo occasionale. Al sospetto indotto da una alterazione del tracciato elettroforetico potrà seguire l’accertamento della componente monoclonale a seguito di immunofissazione.

(26)

I soggetti vengono stratificati in base al rischio e per decidere la frequenza di follow-up ci si deve basare sull’entità del picco monoclonale, sul tipo di componente monoclonale, sulla percentuale di plasmacellule del midollo osseo e sul rapporto delle catene leggere libere sieriche (41).

Smoldering Myeloma

Il SMM è una condizione asintomatica che talvolta può essere diagnosticata durante un controllo di routine ed è caratterizzata da:

 Proteina monoclonale > 3 g/dl

 Infiltrato plasmacellulare monoclonale a livello midollare >10%

 Assenza di danno d’organo attribuibile alla proliferazione delle plasmacellule.

Il rischio di evoluzione a mieloma multiplo è 10% per anno per i primi 5 anni, 3% per anno per i successivi 5 anni e 1-2% per anno nei successivi 10 anni. Come per l’MGUS, l’entità e il tipo di proteina monoclonale sono correlati con il rischio di progressione (42).

Mieloma multiplo

(27)

da un’evidenza di danno d’organo attribuibile alla proliferazione plasmacellulare. I sintomi del Mieloma Multiplo vengono definiti dall’acronimo CRAB e sono i seguenti:

 C: ipercalcemia: Ca > 11,5 mg/dl

 R: insufficienza renale: creatininemia > 2 mg/dl  A: anemia: emoglobina < 10 g/dl

 B: lesioni ossee caratterizzate dalla presenza di lesioni litiche, osteopenia severa o fratture patologiche (43).

Elettroforesi su siero

L’elettroforesi delle sieroproteine consente di separare le proteine del siero in base alla loro carica elettrica. La separazione può essere effettuata su supporto solido (elettroforesi zonale su gel di agarosio), nel quale le proteine sono evidenziate mediante un colorante specifico e la loro concentrazione percentuale è misurata mediante densitometria oppure mediante elettroforesi capillare dove la composizione percentuale delle proteine viene determinata senza colorazione misurando direttamente l’assorbimento della luce da parte delle proteine nella zona della radiazione ultravioletta dopo separazione in campo elettrico. L’elettroforesi di tipo capillare è la tecnica elettroforetica maggiormente utilizzata dai laboratori di analisi cliniche per la separazione delle proteine sieriche.

Con elettroforesi capillare le proteine si distribuiscono a formare 6 bande elettroforetiche: albumina, alfa1-globuline, alfa2-globuline, beta1-globuline,

(28)

beta2-globuline e gammaglobuline. Nella Tabella 3 sono riportate le frazioni con i rispettivi valori di riferimento espressi in percentuali rispetto alle proteine.

TABELLA 3 Dall’elettroforesi capillare si ottiene un grafico, chiamato “tracciato elettroforetico”, in cui le varie zone di migrazione delle proteine sono rappresentate da picchi di diversa altezza e base più o meno larga che rispecchiano la quantità proporzionale delle proteine sieriche.

La figura 11 mostra un tracciato elettroforetico normale e un tracciato “patologico” in cui è possibile osservare un picco monoclonale in regione gamma che altera caratteristicamente il profilo del tracciato.

FIGURA 11

Attualmente il principale impiego dell’elettroforesi è quello della ricerca di componenti monoclonali, (44, 45) e, una volta accertata la presenza di componente monoclonale, di quantificare la componente monoclonale rivestendo

(29)

Per quantificare la componente monoclonale occorre evidenziare il picco, ottenere il suo valore in percentuale e quantificare le proteine totali.

Con i valori ottenuti viene impostato il seguente calcolo:  Percentuale picco x proteine totali= CM gr/dl

La concentrazione della CM rappresenta un criterio diagnostico per porre diagnosi differenziale tra MGUS (CM<3 gr/dl) e MM (CM >3 gr/dl).

La quantificazione della componente monoclonale non può essere eseguita quando il picco si trova in regione beta, a causa della presenza in questa frazione di altre proteine che potrebbero sovrastimare il calcolo.

L’assenza di proteina monoclonale all’elettroforesi non esclude però la presenza di una neoplasia a carico dei linfociti B. Pertanto, in caso di un fondato sospetto clinico, occorre richiedere indagini più approfondite (immunofissazione sierica e urinaria).

(30)

Immunofissazione su siero

L’immunofissazione, che consente la conferma o l’esclusione della presenza di una componente monoclonale, combina la migrazione elettroforetica con la precipitazione selettiva di proteine mediante l’uso di antisieri specifici.

Questa tecnica permette di identificare e tipizzare la componente monoclonale. I campioni di siero vengono seminati su più solchi lineari su supporto di agarosio e sottoposti ad elettroforesi. Per ogni solco viene seminato un antisiero specifico per le catene pesanti e leggere. Quando l’antisiero incontra l’antigene specifico determina un’immunoprecipitazione che rimane sul supporto di gel, successivamente viene effettuato un lavaggio per allontanare le proteine non precipitate. Una opportuna colorazione permette di evidenziare l’eventuale componente monoclonale (FIGURA 12).

(31)

Osservando la seduta di IFE siero in figura 12, è possibile dedurre che:  Nel campione 1 non vengono evidenziate componenti monoclonali.

 Il campione 2 presenta una componente monoclonale di tipo IgG-Lambda e una ulteriore banda attribuibile alle sole catene leggere Lambda libere prodotte dallo stesso clone.

 Il campione 3 presenta una componente monoclonale tipizzata come IgA-Kappa.

 Il campione 4 presenta una componente monoclonale tipizzata come IgM-Lambda.

Quando si riscontra la presenza di una componete monoclonale di sole catene leggere, Kappa o Lambda è opportuno ripetere una nuova seduta dove verranno saggiati anche gli antisieri per le catene pesanti IgD e IgE (FIGURA 13).

FIGURA 13

Nella figura 13 è possibile osservare il siero di un paziente nel quel è presente una rara componente monoclonale IgD-Lambda.

(32)

Proteinuria di Bence Jones e Immunofissazione

Urinaria

La proteinuria di Bence Jones consiste nella presenza di catene leggere immunoglobuliniche monoclonali libere nelle urine. Nelle discrasie plasmacellulari può essere accentuato lo sbilanciamento, già presente fisiologicamente, fra sintesi di catene pesanti e catene leggere, fino a superare la capacità di riassorbimento e metabolizzazione renale.

La Proteinuria di Bence Jones è associata a lesioni a livello renale, infatti a causa del loro basso peso molecolare le catene leggere vengono filtrate dal glomerulo, riassorbite e catabolizzate a livello tubulare e quando il carico filtrato è eccessivo, la capacità di riassorbimento tubulare viene superata e le catene leggere compaiono nelle urine. (46) Se la quantità di catene leggere riassorbite a livello tubulare supera la capacità catabolica delle cellule stesse, le catene leggere si accumulano nelle cellule tubulari causando una sofferenza cellulare per effetto tossico diretto e indiretto causato dal rilascio di enzimi lisosomiali intracellulari. (47)

Per la ricerca della Proteinuria di Bence Jones viene utilizzata l’immunofissazione su campione di urina. Questa procedura è analoga a quella utilizzata per il siero.

(33)

FIGURA 14

FIGURA 15

In figura 14 si riporta un caso di Proteinuria di Bence Jones positiva in cui è possibile osservare la presenza di una banda monoclonale di catene leggere libere e legate di tipo Kappa. La banda monoclonale di catene leggere legate è spesso più marcata, sia per la maggior affinità di legame dell’anticorpo usato sia per la capacità delle catene leggere libere di dimerizzare tra di loro, lasciando esposti i siti di legame per gli antisieri diretti contro le catene leggere legate (sempre accessibili) e nascondendo al contempo i siti di legame usati per l’individuazione delle catene leggere libere.

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In figura 15 è riportato un caso di Proteinuria di Bence Jones negativa, in cui non compaiono bande monoclonali in corrispondenza delle catene leggere libere. La presenza di una banda relativa alle catene pesanti GAM dimostra la presenza nelle urine di una immunoglobulina intera monoclonale, detta anche paraproteina.

Dosaggio catene leggere libere su siero

Le immunoglobuline presenti nel siero vengono sintetizzate dalle cellule B e dalle plasmacellule residenti nel midollo emopoietico.

Durante la loro sintesi vi è un eccesso di produzione di catene leggere libere (FLC) policlonali che hanno una emivita molto breve di circa 2-6 ore e sono rapidamente eliminate dal rene.

La clearance renale delle catene leggere kappa e lambda è influenzata dal loro stato di aggregazione nel siero; le catene kappa, prevalentemente monomeriche, hanno una clearance 3 volte più rapida rispetto alle lambda. Ne consegue che la concentrazione plasmatica delle lambda sia leggermente superiore alle kappa, nonostante queste ultime siano sintetizzate in maggiore quantità. La concentrazione plasmatica delle catene leggere può aumentare per ridotta clearance renale in presenza di insufficienza renale o per un incremento della loro sintesi in seguito ad una iperproduzione di immunoglobuline policlonali in corso di malattie infettive o autoimmuni, o monoclonali in

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tumorali di grande utilità clinica (47); il loro dosaggio ricopre un ruolo fondamentale nelle diagnosi, prognosi e monitoraggio nei pazienti affetti da discrasie plasmacellulari, soprattutto, come vedremo in seguiti, in quelli con Amiloidosi AL. Inoltre, il rapporto tra le catene leggere libere Kappa e Lambda, quando fortemente sbilanciato, viene generalmente utilizzato come marcatore di monoclonalità.

Lo sviluppo di un metodo per la misurazione delle FLC è stato molto complesso, a causa della unicità delle immunoglobuline monoclonali, della loro bassissima concentrazione rispetto alle catene leggere legate, alla possibilità di una sovrastima dovuta alla polimerizzazione tra catene leggere e al comportamento non sempre lineare durante le diluizioni seriali.

Per dosare le FLC occorre utilizzare un metodo che possieda delle immunoglobuline ad alta affinità specifiche per gli epitopi delle catene leggere libere, i quali solitamente sono nascosti dal contatto con le catene pesanti e sono esposti solo nelle FLC (FIGURA 16).

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Il primo test che si è reso disponibile è il metodo Freelite, messo in commercio dalla The Binding Site nel 2011 (48-49). Esso utilizza immunoglobuline ad alta affinità, specifiche per gli epitopi delle catene leggere nascosti dalle immunoglobuline intere, questi anticorpi sono stati ingegnerizzati in pecore rese tolleranti nei confronti delle regioni delle catene leggere legate alle immunoglobuline intere, attraverso protocolli di tollerizzazione intensivi. Le pecore trattate sono state successivamente immunizzate con proteine kappa e lambda purificate da urine Proteinuria di Bence Jones positive ed hanno così prodotto anticorpi policlonali ad alta affinità e diretti contro epitopi nascosti delle catene leggere.

Il sistema Freelite, oltre ad utilizzare immunoglobuline policlonali di pecore tollerizzate, sfrutta una metodica nefelometrica o immunoturbidimetrica amplificata al lattice.

È stato segnalato che questa metodica può risentire di una elevata variabilità tra i lotti dei reagenti e di una ridotta linearità nella determinazione delle FLC monoclonali (50).

Una seconda metodica disponibile è stata messa in commercio nel 2011, è il metodo N-Latex, che determina le FLC in immunonefelometria amplificata al lattice che utilizza anticorpi monoclonali murini.

Il dosaggio delle catene leggere libere, con una metodica che utilizza anticorpi policlonali, ha come vantaggio la capacità di riconoscere una ampia gamma di epitopi, mentre per definizione un anticorpo monoclonale riesce a legare solo un epitopo. Tuttavia, gli esami basati sugli anticorpi monoclonali, usano

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riportati nella letteratura sino ad ora suggeriscono che gli esami basati sugli anticorpi policlonali rilevano una percentuale maggiore di FLC monoclonali rispetto ai dosaggi con immunoglobuline monoclonali (51-54). Poiché questi studi hanno esaminato pazienti trattati e non trattati, soltanto studi futuri ben definiti, saranno in grado di dare risposte definitive. Ulteriori studi hanno dimostrato che gli esami eseguiti utilizzando anticorpi policlonali hanno una maggiore probabilità di andare incontro a reazioni crociate. (55) È stato anche suggerito che l’utilizzo delle metodica con immunoglobuline monoclonali può portare a una riduzione della variabilità “lot-to-lot” tra i reagenti, assicurando uniformità nell’analisi, prestazioni necessarie per il monitoraggio del paziente. Il confronto diretto tra Freelite e N-Latex, (figura 17) utilizzando un gran numero di campioni clinici non selezionati (monoclonali e non), dimostra che ci sono differenze numeriche soprattutto con alte concentrazioni di FLC lambda. Il fenomeno è ancora più pronunciato quando i pazienti hanno una insufficienza renale (56).

FIGURA 17

In mancanza di uno standard internazionale per le FLC è impossibile determinare se Freelite sottostima o N-Latex sovrastima le FLC lambda. Studi

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che comparano i due saggi nei pazienti con componente monoclonale mostrano risultati simili; in termini generali i due saggi sono paragonabili per sensibilità e specificità nella rilevazione della componente monoclonale, quando il gold standard è l’immunofissazione sierica. (52-54).

Tuttavia, i valori assoluti non sono interscambiabili perché talvolta mostrano una scarsa concordanza, il che suggerisce che i pazienti devono farsi monitorare i livelli di FLC sempre con lo stesso metodo.

Nei pazienti affetti da Amiloidosi AL (57,58) è stato dimostrato che N-Latex ha una sensibilità diagnostica paragonabile a quella del Freelite e può essere usato per la stratificazione prognostica. Tuttavia sia N-Latex che Freelite possono non riconoscere casi di amiloidosi AL, però i test di ruotine prevedono anche l’impiego di IFE siero e IFE urine, garantendo così l’identificazione del clone amiloidogenico nel 98% dei casi (59).

(39)

DIAGNOSTICA DI LABORATORIO

NELL’AMILOIDOSI DA CATENE

LEGGERE DELLE

IMMUNOGLOBULINE

L’amiloidosi da catene leggere è caratterizzata dalla disfunzione progressiva di uno o più organi ed ha esito fatale se non è arrestata tempestivamente da una terapia efficace (60). La sopravvivenza dei pazienti è determinata soprattutto dalla presenza e dalla gravità del danno cardiaco.

È stato osservato che l’infusione di catene leggere ottenute da pazienti affetti da amiloidosi cardiaca in cuori di ratto isolati, causa in breve tempo, un aumento della pressione telediastolica, prima ancora che si possano formare i depositi di amiloide (61). Inoltre nei pazienti sottoposti a chemioterapia la concentrazione delle FLC diminuisce e la disfunzione cardiaca migliora tuttavia i depositi di amiloide rimangono immutati (62,63), dimostrando che nell’amiloidosi AL il danno cardiaco è causato principalmente da un effetto tossico diretto esercitato dalle FLC amiloidogeniche. Ne consegue che le FLC non sono soltanto un marcatore delle dimensioni del clone, ma rappresentano l’agente responsabile della disfunzione d’organo. Per questo motivo, la possibilità di dosare le FLC ha rappresentato un grande miglioramento per la cura dei pazienti affetti da amiloidosi AL ed ha acquisito un ruolo

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fondamentale nella diagnosi, nella stratificazione prognostica e nella determinazione della risposta alla terapia.

Diagnosi

La diagnosi di amiloidosi richiede la dimostrazione della presenza dei depositi di amiloide nella biopsia di un organo coinvolto oppure come accede più frequentemente, di una sede più accessibile come il grasso periombelicale e le ghiandole salivari.

Nell’amiloidosi AL il passo successivo consiste nell’individuare la catena leggera monoclonale che causa la malattia.

Come abbiamo visto precedentemente, per diagnosticare le discrasie plasmacellulari occorre eseguire i seguenti esami: l’elettroforesi su siero, l’immunofissazione su siero, l’immunofissazione su urine e il dosaggio delle catene leggere libere.

Il tracciato elettroforetico, per indagare la presenza di una componente monoclonale di sole catene leggere, non sempre fornisce dei risultati apprezzabili, in quanto il picco in queste condizioni può presentarsi in regione beta, può trovarsi in regione gamma ma essere molto piccolo, oppure il picco può addirittura non comparire nel tracciato.

L’immunofissazione su siero consente di tipizzare la componente monoclonale di sole catene leggere. Il risultato di questo esame permette di verificare la presenza di una banda monoclonale in regione kappa o lambda (vedi figura 18), che può presentarsi da sola oppure assieme ad una

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Qualora l’immunofissazione sierica non evidenziasse componenti monoclonali, in presenza di una forte sospetto clinico, è utile eseguire anche una immunofissazione delle urine. A causa della breve emivita delle catene leggere libere, la componente monoclonale potrebbe non essere visibile dal solo esame sul siero, quindi l’immunofissazione urine permetterebbe di trovare e tipizzare la componente monoclonale di sole catene leggere libere.

FIGURA 18

Nello studio condotto dal gruppo del Mayo Clinic e dal Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche di Pavia, è stata analizzata la sensibilità diagnostica dei sopracitati metodi di rilevazione della componente monoclonale nell’amiloidosi AL (64,65). I risultati sono riassunti nella tabella 4, ed entrambi i gruppi hanno dimostrato che, per garantire la massima sensibilità diagnostica è necessario combinare l’immunofissazione sierica, con l’immunofissazione urinaria e la quantificazione delle FLC.

(42)

TABELLA 4

Occorre constatare che questo approccio è diverso dalla prassi seguita nella diagnostica del mieloma multiplo, dove la combinazione di elettroforesi sierica, immunofissazione siero e quantificazione delle FLC, ha una sensibilità diagnostica del 100% e consentirebbe di non esaminare le urine (65).

Prognosi

L’amiloidosi AL è una malattia dalla presentazione clinica molto eterogenea, che dipende dagli organi coinvolti e dall’entità del danno (60). Ci possono essere pazienti con una buona prognosi ed una aspettativa di vita relativamente lunga e pazienti invece in uno stadio avanzato della malattia che purtroppo, nella maggior parte dei casi, non sopravvivono abbastanza a lungo.

Per queste ragioni la stadiazione prognostica dei pazienti affetti da amiloidosi AL è fondamentale. Il principale fattore che determina la sopravvivenza dei pazienti è la presenza di un danno cardiaco, che viene indagato per mezzo della misurazione dei peptidi natriuretici, in particolare la porzione ammino-terminale del peptide natriuretico di tipo B (NT-proBNP) (62) e delle

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Questi marcatori possono essere combinati in un sistema di stadiazione molto efficace che consente di dividere i pazienti in 3 gruppi: basso, intermedio e ad alto rischio (66). Questo sistema di stadiazione non tiene conto delle caratteristiche del clone amiloidogenico. Tuttavia, può risultare utile nelle fasi avanzate della malattia in cui la sopravvivenza a breve termine dipende dal danno cardiaco avanzato, mentre, nelle fasi iniziali o intermedie della malattia, le caratteristiche del clone amiloidogenico acquistano un’importanza rilevante ai fini di una sopravvivenza a lungo termine.

Secondo uno studio condotto dal Mayo Clinic, la differenza tra le concentrazioni delle FLC amiloidogeniche e non amiloidogeniche (dFLC) rappresentano un marcatore prognostico indipendente dell’amiloidosi AL (67). Nelle casistiche del Centro di Pavia, i pazienti, in cui la dFLC è superiore al valore mediano (180 mg/L), hanno una sopravvivenza più breve (figura 19).

FIGURA 19

I ricercatori della Mayo Clinic hanno incorporato le dFLC nel sistema di stadiazione basato sui marcatori cardiaci, dimostrando che in questo modo è

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possibile migliorare il potere di discriminazione distinguendo 4 gruppi di sopravvivenza diversi (68).

La figura 20 mostra il grafico che mette assieme i marcatori cardiaci e la dFLC prodotto dal Centro di Pavia con la sua casistica.

FIGURA 20

Valutazione della risposta alla terapia

Il trattamento dell’amiloidosi AL si basa su regimi di chemioterapia rivolti contro il clone plasmacellulare che produce il precursore amiloidogenico con l’obiettivo di indurre un miglioramento della funzione degli organi coinvolti e migliorare la sopravvivenza dei pazienti.

La riduzione della FLC è associata ad un miglioramento di diversi parametri della malattia. Il gruppo del Mayo Clinic ha mostrato che il miglioramento delle

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condizioni cliniche è strettamente correlato al valore assoluto delle FLC raggiunto dopo la chemioterapia (69).

Il gruppo di studio di Pavia ha dimostrato che la riduzione delle FLC è accompagnata anche ad una riduzione simultanea del NT-proBNP, ad un miglioramento dei sintomi di scompenso cardiaco e a un beneficio in termini di sopravvivenza. (63).

Ulteriori studi (70) hanno dimostrato che la sopravvivenza di pazienti con amiloidosi AL è strettamente legata alla concentrazione delle FLC ed è tanto migliore quanto sono basse le concentrazioni raggiunte dopo la chemioterapia. I pazienti che raggiungono la remissione completa (Kappa/Lambda nei limiti e immunofissazione siero e urine negativa) hanno una sopravvivenza eccellente, si è capito che la prognosi è favorevole anche per chi raggiunge una dFLC < 40 mg/L.

I nuovi criteri di risposta sono riportati in figura 21, ed in questi compare la nuova categoria di “risposta parziale molto buona” in cui vengono inclusi i pazienti con una dFLC al di sotto del limite precedentemente citato, senza che sia raggiunta la risposta completa.

FIGURA 21

La risposta parziale, in cui si ha una riduzione del 50% delle dFLC rallenta l’evoluzione della malattia, ma non è considerato un risultato soddisfacente.

(46)

La figura 22 (74) mostra l’esempio di 4 casi di risposta ematologica prima e dopo il trattamento, in cui è possibile osservare in quale modo vengono attribuiti i criteri di risposta alla terapia.

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CONCLUSIONI

Il laboratorio di analisi cliniche svolge un ruolo insostituibile nella gestione del paziente con amiloidosi AL, dal momento che risulta essenziale per la diagnosi e per il monitoraggio, nonché nella valutazione della risposta alla terapia. Il dosaggio delle FLC, assieme con l’immunofissazione siero e urine, ha permesso di raggiungere una elevata sensibilità diagnostica nell’individuazione delle componenti monoclonali amiloidogeniche. Tutto ciò ha contribuito alla stratificazione prognostica ed ha permesso di seguire in modo accurato i pazienti nel corso della terapia, consentendo una rapida valutazione della risposta al trattamento e un eventuale cambiamento di strategia terapeutica nel caso in cui si riveli necessario.

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