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L’immunofissazione eseguita sul plasma del paziente evidenziava una banda monoclonale a livello delle catene leggere libere di tipo k (FLC-k), in prossimità della banda del fibrinogeno.

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Academic year: 2021

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RIASSUNTO

I disordini del fibrinogeno generalmente sono causati da mutazioni genetiche che possono esitare in ridotti livelli di proteina (ipofibrinogenemia) o in una sintesi di molecola anomala (disfibrinogenemia). Fattori interni al processo coagulativo o microambientali possono determinare l’insorgenza di un difetto acquisito della concentrazione o della funzione del fibrinogeno. Ad esempio gli anticorpi possono legare il fibrinogeno e/o la fibrina interferendo con la polimerizzazione ed inibendo quindi il processo coagulativo.

Lo scopo del nostro studio è stato quello di indagare la causa della disfibrinogenemia acquisita riscontrata in un paziente di 65 anni, clinicamente silente, che presentava un profilo coagulativo anomalo con evidente perdita dell’attività funzionale del fibrinogeno, senza riscontro di alterazioni al tracciato elettroforetico. Avendo eseguito in altra sede un dosaggio immunologico del fibrinogeno, risultato nella norma, si è ipotizzato un interessamento della fase di polimerizzazione.

L’immunofissazione eseguita sul plasma del paziente evidenziava una banda monoclonale a livello delle catene leggere libere di tipo k (FLC-k), in prossimità della banda del fibrinogeno.

Parallelamente, in un gruppo di 20 pazienti affetti da mieloma multiplo (sia micro che macromolecolare), è stato valutato il tempo di trombina (TT), espressione della disfunzione del fibrinogeno, per evidenziare se in alcuni di essi fosse presente un suo allungamento.

Allo scopo di indagare la funzionalità del fibrinogeno del paziente e l’interferenza della FLC-k con esso, abbiamo precipitato e purificato il fibrinogeno del paziente, di un pool di plasmi normali e dei quattro campioni con mieloma multiplo (nei quali il TT risultava alterato) per eseguire prove di mixing.

Ulteriori riscontri sono stati eseguiti utilizzando il dosaggio delle FLC sia su plasma che su siero del paziente in esame.

La terapia con desametasone ha portato alla normalizzazione dei tempi di coagulazione (tempo di protrombina e tempo di tromboplastina parziale attivata) e solo ad una parziale correzione del TT. Due mesi dopo il termine della terapia si è notata una lenta e progressiva riduzione della concentrazione dei livelli di fibrinogeno coagulativo ed un contestuale allungamento del tempo di trombina fino a risultare nuovamente incoagulabile.

Concludendo, l’ipotesi che la catena leggera possa interferire a livello di siti attivi presenti

sulla molecola di fibrinogeno, quali quello per fattore XIII oppure a livello dell’integrina IIB/IIIA per

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il legame con le piastrine, venivano esclusi in quanto il paziente mostrava l’assenza di manifestazioni emorragiche ed una normale funzionalità piastrinica documentata con i test di aggregazione.

Un’ipotesi di lavoro da sviluppare sarà quella di verificare se la FLC-k interferisca nella prima

fase di polimerizzazione alterando il rilascio del fibrinopeptide A e/o B.

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