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L'universo femminile in agricoltura : una preziosa risorsa : Giornata mondiale delle donne rurali, 15 ottobre 2013

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L’ UNIVERSO FEMMINILE IN AGRICOLTURA

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Il volume è frutto dell’operato di un gruppo di lavoro composto da:

Micaela Conterio, Simonetta De Leo, Annalisa del Prete, Federica Giralico, Catia Zumpano e Barbara Zanetti.

La cura del volume è di Micaela Conterio

I testi sono stati redatti da: Capitolo 1: Micaela Conterio

Capitolo 2: Micaela Conterio con il prezioso contributo di Catia Zumpano

Capitolo 3: Micaela Conterio con il prezioso contributo di Catia Zumpano e Barbara Zanetti Capitolo 4: Simonetta De Leo

Capitolo 5: Annalisa Del Prete

Supporto grafico: Benedetto Venuto

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come un’affamata. E il cibo è molto

più utile a chi è affamato rispetto a

chi è già saturo.”

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Premessa 5

1. Il contesto Internazionale 7

2. E in Italia? 10

3. Le imprese 12

4. Le donne in agricoltura attraverso un’analisi Rica 14

5. Le politiche di genere nei PSR 16

(5)

premessa

il

15 ottobre ricorre laGiornata Mondiale della Donna Rurale. La giornata nasce con lo scopo di rimarcare il ruolo delle donne nella produzione alimentare e, contemporaneamente, le condizioni di difficoltà in cui spesso sono costrette ad agire. È un’occasione concreta, quindi, di veder riconosciuto l’operato significativo ricoperto da esse, capaci di promuovere lo sviluppo agricolo e rurale e di migliorare le condi-zioni per la sicurezza alimentare contribuendo alla crescita economica nelle zone più vulnerabili e remote della terra.

Più di un quarto della popolazione mondiale è costituito dalle donne rurali, che collaborano al benessere familiare e allo sviluppo delle economie rurali, risultando un elemento fondamentale per la lotta alla fame, la malnutrizione e la povertà. Nella maggior parte dei paesi in via di svilup-po, infatti, partecipano alla produzione agricola e alla cura del bestiame e svolgono funzioni vitali per la famiglia provvedendo al cibo e alle cure dei bambini, degli anziani e dei malati.

Ma, nonostante ciò, spesso manca loro un accesso equo a opportunità e risorse. Testimonian-za di questo è data dal fatto che, pur svolgendo la maggior parte del lavoro agricolo, raramente sono incluse nei processi decisionali inerenti alla loro stessa esistenza, a causa dell’analfabetismo e della povertà estrema in cui versano. Donne che partecipano allo sviluppo dunque, ma all’in-segna dell’invisibilità.

Il lavoro delle donne è un motore dell’economia e costituisce oggi uno dei più importanti fattori dello sviluppo mondiale. Secondo la FAO, infatti, se le donne avessero le stesse oppor-tunità di accesso alle risorse produttive degli uomini, le persone in grado di uscire dallo stato di povertà sarebbero più di 100 milioni. Ma non solo. La produttività delle fattorie gestite da donne aumenterebbe del 30% e il numero di persone che soffrono la fame diminuirebbe del

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17%. Queste cifre, al di là del dato numerico, hanno un grande significato, perché si traducono nel miglioramento delle condizioni di vita di almeno 150 milioni di individui.

E’quindi necessario garantire loro educazione, accesso a tutti quei settori che consentano loro di agire in un mercato del lavoro che permetta un’equa remunerazione, a beneficio del benessere dei loro figli, della loro famiglia e della comunità tutta.

Il presente quaderno, quindi, si inserisce nel filone di attività di valorizzazione del prezioso apporto che sistematicamente le donne rurali forniscono alla crescita dell’economia del loro Paese ed è il frutto della collaborazione di un gruppo di ricercatrici che, ormai da anni, si occupa del tema, animate dalla consapevolezza di partecipare ad un progetto di studio utile alla collet-tività degli studiosi, degli amministratori pubblici e degli operatori del settore agricolo.

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è

essenziale tenere a mente che nelle aree rurali vive l’80% della popolazione più pove-ra al mondo e nei paesi in via di sviluppo l’agricoltupove-ra è la principale attività lavopove-rativa delle donne, che rappresentano il 43% della forza lavoro agricola: dal 20% in America Latina a quasi il 50% nell’Asia orientale e sud-est asiatico e Africa sub-sahariana, registrando in alcuni Paesi, quali Lesotho, Mozambico o Sierra Leone, la quota di oltre il 60%. Complessiva-mente, nel mondo in via di sviluppo le donne economicamente attive in agricoltura ammontano a 1,14 miliardi. Questi dati emergono dall’ultimo rapporto FAO (2011), che sottolinea a più riprese come l’eliminazione di ogni forma di discriminazione di genere sia cruciale per vincere la lotta contro la fame e la povertà.

Le condizioni di lavoro delle donne sono di gran lunga peggiori rispetto a quelle degli uomini, essendo impiegate in occupazioni inferiori o a basso salario. Ma non si tratta solo di questo. L’accesso e il controllo delle risorse, a cominciare dalla terra, è fortemente penalizzante (me-diamente le donne hanno appezzamenti più piccoli e di qualità inferiore), usano meno input moderni (sementi migliorate, macchinari, fertilizzanti), meno credito e servizi finanziari, con la conseguenza anche di un limitato accesso alle nuove tecnologie. Questa discriminazione investe anche il settore dell’allevamento con circa i due terzi di allevatori che versano in condizioni di povertà costituito da donne.

Questi svantaggi comportano anche una sostanziale esclusione dalle nuove tipologie di ac-cordi contrattuali con la grande distribuzione, dal momento che non sono in grado di garantire in maniera adeguata la loro capacità produttiva, in quanto gestiscono la terra, il lavoro familiare e le altre risorse in maniera poco soddisfacente. La ripercussione diretta è ripartizione dei com-piti, che vede le donne sempre più confinate nella coltivazione dei campi e gli uomini impegnati nella gestione dei contratti.

Lo sforzo di eliminare il gender gap impatta positivamente non solo sulla produzione agricola, ma il fatto di aumentare il potere negoziale delle donne potrebbe indirizzare l’orientamento familiare verso l’istruzione e la salute dei bambini e la sicurezza alimentare, migliorandone le

1. il contesto

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condizioni sociali, inscindibili dalla sfera economica della capacità produttiva. Non va assoluta-mente trascurato il fatto che la cura e la gestione degli affari domestici continuano a gravare sulle spalle delle donne, impedendo loro di impegnarsi maggiormente in attività più produttive.

La situazione che emerge dai dati FAO (2011) è la seguente:

Dati più aggiornati (56° session della CSW – Commission on the Status of Women delle Nazioni Unite 2012) scattano questa fotografia:

1. il contesto internazionale

• il tasso di occupazione nei paesi in via di sviluppo è il 70% per gli uomini e il 40% per le donne • le donne si occupano in prevalenza dell’agricoltura: quasi il 70% delle occupate in Asia meridionale e oltre il 60%

in Africa sub-sahariana, con l’eccezione dell’America latina dove rappresentano a mala pena il 10%

• le donne sono impiegate nel cosiddetto settore informale in una percentuale sul totale delle occupate più alta rispetto a quanto capita nel caso degli uomini.

• il 70% dell’1,4 miliardi di persone estremamente povere nei paesi in via di sviluppo vive in aree ru-rali. L’Africa sub - sahariana è la patria di quasi un terzo di questi, mentre Asia del Sud attualmente ne ospita circa la metà

• nel 2010, 925 milioni di persone hanno patito in maniera cronicala fame, di cui il 60% era rappresentato da donne

• l’agricoltura fornisce il sostentamento per il 86% delle donne e degli uomini rurali, e occupazione per circa 1,3 miliardi di piccoli agricoltori e lavoratori senza terra, di cui il 43% è dato da donne

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1. il contesto

internazionale go del termine “genere” piuttosto che di “sesso”. Questo fatto non è affatto un elemento da La portata del ruolo delle donne ha comportato un ripensamento del concetto con

l’impie-sottovalutare perché sta a significare che l’origine delle discriminazioni non deve essere cercata solo nella biologia (essere uomo o donna), ma soprattutto nella componente ideologica, reli-giosa, etnica, economica e culturale. Elementi questi necessari alla definizione dei ruoli sociali, e conseguentemente alla diversa suddivisione di responsabilità e risorse.

La sottostima culturale e politica del ruolo della donna nello sviluppo rurale riverbera anche sulle politiche rurali, che dovrebbero proporre riforme per eliminare le discriminazioni di ge-nere: miglior accesso a risorse agricole, istruzione, servizi finanziari e divulgativi (informazione, formazione, addestramento, consulenza tecnica, collaudo e adattamento delle innovazioni) e mercato del lavoro.

Non è un caso se tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite ci sia da un lato sradicare la povertà estrema e la fame (obiettivo 1) dall’altro promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne (obiettivo 3). Sono obiettivi di carattere generale, tesi a promuovere l’empowerment delle donne in tutti i settori e non specificamente al settore agricolo. In ogni caso i progressi ottenuti rispetto a quest’ultimo obiettivo si possono valutare misurando l’uguaglianza tra i sessi in tre aree specifiche: l’istruzione, l’occupazione, i processi decisionali nella politica. La comunità internazionale considera, quindi, il superamento delle differen-ze di genere come uno dei passi fondamentali per un miglioramento sociale mondiale: tutelare la donna e promuovere la sua partecipazione all’interno della società, può contribuire a creare un modello differente per la lotta alla povertà, che attivi processi di inclusione sociale.

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N

el corso degli ultimi decenni, il ruolo assunto dalle donne nelle aree rurali ha subìto alcune radicali trasformazioni sia per l’attività effettivamente svolta, sia per dina-miche interne. Si sono sempre più affrancate, infatti, dalle mansioni scarsamente specializzate, affermandosi progressivamente come imprenditrici.

Dati alla mano (Censimento Popolazione ISTAT, 2011), le aree rurali italiane ospitano circa 11 milioni di persone (19% della popolazione nazionale) di cui il 51% è costituito da donne. Nelle “province rurali italiane” le donne rap presentano il 40% degli occupati (+2% rispetto al 2005 con il 38%); analogamente a quanto accade nelle “province italiane non rurali” dove si sono attestate rispettivamente al 41% e al 39%. La percentuale di donne che lavora nelle “province rurali italiane” è pari al 33% del totale delle lavoratrici e al 36% nelle province non rurali. Nelle aree ru rali 1/3 dei 3,7 milioni di donne occupate vive nel Meridione in situazioni di discriminazione e lavoro sommerso.

Sono state circa 256mila le donne impiegate nel settore agricolo nel 2010, circa il 29% del totale degli addetti, seguendo l’andamento progressivamente negativo dell’occupazione che si sta registrando da ormai un ventennio: si è passati infatti dal 36% del 1990 al 29% del 2010.

Le figure lavorative ricorrenti sono diverse: ma nodopera dipendente impegnata nella raccol­ ta e prima trasformazione dei prodotti, donne che hanno la titolarità dell’azienda, ma non la gestione vera e propria, donne che, pur lavorando a tempo pieno nell’a zienda familiare, rico-prono il ruolo di coadiuvante, imprenditrici che hanno creato imprese agricole sostenibili e concorrenziali.

Secondo l’ultimo Censimen to dell’Agricoltura (Istat 2010) la manodopera femminile ri sulta

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nell’Italia centro-meridionale (60%).

La conduzione delle imprese nel nostro Paese è tradizionalmente di tipo familiare con una gestione condivisa dai coniugi, elemento che comporta difficoltà per la definizione dell’effettivo ruolo ricoperto dalle donne: sono 415.000 le donne che si trovano nella condizione di “coniuge del conduttore”, fatto che impedisce di misurare il loro ruolo decisionale nelle scelte aziendali. La componente femminile all’interno dell’universo familiare, (composto da circa 4,2 milioni di persone, di cui circa il 45% donne), emergente dai dati censuari è la seguente:

Questa realtà si delinea, pertanto, come un quadro estremamente complesso e diversificato, che dovrebbe essere esplorato di più per comprenderne la reale portata, dal momento che le limitate conoscenze al riguardo inibiscono anche la programmazione di interventi tesi a soddi-sfare i fabbisogni di genere del mondo agricolo.

2. e in Italia?

• 532.000 donne circa (28% del totale della componente femminile dell’universo

familiare) sono conduttrici di aziende agricole (circa il 33% del totale dei conduttori)

• 617.000 donne (32% del totale della componente femminile “dell’universo

fami-liare”) lavorano in azienda in qualità di: coniuge (432 mila, circa il 62% dei coniugi rilevati) e altro familiare e parente (184 mila) del conduttore

• 749.000 donne (39% del totale della componente femminile “dell’universo

familia-re”) non lavorano in azienda, ma sono legate al conduttore da rapporti di parentela (coniuge e altri familiari che non lavorano in azienda).

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d

al confronto degli ultimi due Censimenti Agricoltura emerge un lieve incremento di conduttrici di aziende agricole che si attesta al 2010 ad una quota di 497.847. Il trend positivo si spiega sia con il ricambio generazionale in agricoltura, con l’ingresso quindi di nuove giovani imprenditrici, sia come subentro “ufficiale” nella gestione aziendale al posto del marito. Questo dato non solo è l’attestazione della presenza femminile nel tessuto impren-ditoriale agricolo, ma anche la testimonianza di capacità gestionali in contesti ancora molto “maschili”.

Il profilo della conduttrice d’azienda agricola presenta le seguenti caratteristiche:

3. le imprese

• soltanto il 9% di esse ha meno di 40 anni, le giovani agricoltrici rappresentano il 32% dei giovani agricoltori; il 42% ha un’età compresa fra i 40 e i 60 anni; il 49% ha oltre 60 anni

• la quota di conduttrici agricole con laurea è pari al 6% ; il 18% ha conseguito un di-ploma, mentre, all’estremo opposto dello spettro, è degno di nota il dato che il 6% permane ancora in una situazione di analfabetismo

• solo per lo 0,33% sono straniere, e rappresentano circa il 47% del totale degli im-prenditori/trici agricoli stranieri.

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ve, agri-nido, accoglienza e assistenza a portatori di handicap e anziani, fattorie didattiche, ecc.), settori in cui le donne si stanno distinguendo sia per l’attività produttiva sia per la salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, la tutela delle tradizioni locali e il miglioramento della qualità della vita. Questo fattore ha consentito di raggiungere delle buone performance economiche con il 70% dei ricavi provenienti dalla silvicoltura, il 64% dalla produzione di energia, il 59% dall’attività agricola e il 58% dalla ristorazione (Banca Dati Movimprese 2010).

Da un confronto con le aziende nazionali, quelle condotte dalle donne risultano essere più piccole (rispettivamente 8 e 5,1 ettari) e con una produzione pari alla metà

di quella nazionale.

Infine, per quanto riguarda il carico di lavoro, le giornate di lavoro delle don-ne conduttrici sono 56 a fronte delle 97 lavorate dagli uomini con un’intensi-tà di lavoro, calcolata sulla base delle giornate di lavoro per ettaro di SAU, supe-riore dello 0,5 rispetto alla media nazionale (11 giornate contro 10,5)1. Questo

elemento indica una propensione all’impiego part time per poter conciliare l’attività lavorativa con gli impegni familiari.

In ultima analisi, è necessario rilevare anche il tasso di mortalità delle im-prese guidate da donne, pari al 43% (di cui il 18% riguarda le aziende

condotte da giovani donne) e la difficoltà incontrata delle im-prenditrici tra i 35 e 40 anni di continuare l’attività

lavorati-va a causa della responsabilità familiare.

3. Imprese

capi azienda uomini capi azienda donne

1) Si tratta di due informazioni: la prima giustifica il part time, la seconda, invece, mette in evi-denza che le aziende femminili, a differenza di quelle giovanili, tendono a conservare una gestione dell’azienda prevalentemente tradizionale ancorata all’apporto del capitale umano e che con difficoltà introduce innovazioni e macchinari.

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Secondo i dati RICA2 2011 sono 2.084 le aziende con capo azienda donna, pari al 19% del

campione complessivo RICA. Nel 97,5% dei casi il capo azienda donna coincide con il condut-tore dell’azienda, ovvero con il responsabile giuridico ed economico dell’azienda. Qualora il capoazienda donna non coincida con il conduttore, risulta avere un legame di parentela con il conduttore e in più della metà dei casi è la moglie.

Le aziende femminili sono dislocate prevalentemente nel Nord (23% del totale a Nord-Ovest e 16% a Nord-Est), nel Meridione rappresentano il 31% , mentre sono poco presenti nelle isole (8%).

Guardando alla specializzazione produttiva la distribuzione delle aziende gestite dalle donne riflette la distribuzione del campione complessivo: sono maggiormente diffuse tra le aziende con coltivazioni permanenti (32% del campione capo donne), in particolare vitivicoltura di qualità e alla olivicoltura, e tra le specializzate in seminativi (25%).

% Aziende con % Aziende con capoazienda Donna capoazienda Donna& Uomo

Seminativi 25,1 26,1

Ortofloricole 9,4 7,5

Permanenti 32,1 30,3

Erbivori 13,9 17,2

Granivori 2,7 3,6

Miste con policoltura 7,4 6,5

4.

le

donne in

agricoltura

attraverso

un’analisi RICA

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Caratterizzate da dimensioni fisiche inferiori rispetto al totale (la superficie agricola utilizzata media risulta di 26 ettari contro 32 ettari del campione totale) le aziende femminili sono dotate inoltre di forza lavoro minore: 1,6 unita di lavoro totali contro 1,9 e 1,1 unità di lavoro familiare contro 1,3 del campione totale. La conseguenza diretta delle ridotte dotazioni strutturali è an-che l’inferiore performance produttiva e reddituale rispetto al campione totale.

I dati evidenziano, inoltre, una maggiore propensione delle aziende gestite da donne alla di-versificazione delle attività produttive: le attività connesse, infatti, interessano l’11% delle aziende femminili, il cui valore relativo a queste attività di diversificazione rappresenta il 32% del valore totale della produzione. La produzione agricola è considerata dalle donne come una delle atti-vità dell’azienda da affiancare ad altre quali accoglienza, cucina e preparazioni alimentari: per le aziende femminili, infatti, la percentuale di agriturismi rispetto alle attività connesse è pari al 42%, diversamente da quanto accade per il campione complessivo (26%).

La manodopera, familiare e salariata, impiegata nelle aziende RICA è costituita per il 25% da donne, con il 28% di manodopera femminile familiare e il 13% di salariata.

Inoltre, è stato possibile analizzare i salari percepiti dai dipendenti (tempo indeterminato, de-terminato o co.co.co.), che, in base ai dati RICA non evidenziato differenze di genere riguardo la remunerazione oraria. Entrambi i generi sono, infatti, prevalentemente occupati con la qualifica di operaio comune con una tariffa di 8 euro all’ora. Da notare una maggiore presenza delle don-ne con la qualifica di impiegato, che prevede una remudon-neraziodon-ne maggiore (risulta 11 euro/ora).

4. le donne in agricoltura attraverso un’analisi RICA

2) L’indagine RICA, istituita con Regolamento (CEE) n.79/65, è uno strumento comunitario finalizzato a monitorare la situazione economica delle aziende agricole. In Italia la RICA è gestita dall’INEA e ogni anno raccoglie informazioni sia di natura economica e finanziaria, che fisica, strutturale e a carattere sociale. Nello specifico è possibile rilevare informazioni sul genere della persona a capo della azienda agricola o che ne assicura la gestione, analizzarne le performance e rilevare anche il genere delle persone che a vario titolo (lavoratori familiari, lavoratori dipendenti, coadiuvanti) forniscono il loro contributo nelle attività aziendali, consentendo così di fotografare l’universo femminile che ruota attorno alle aziende agricole.

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Nell’analisi delle politiche di genere è bene tener conto della distinzione tra le tre fasi in cui esse si sviluppano: orientamento/strategia, programmazione e infine attuazione. Il presente contributo si concentrerà principalmente sulla seconda fase, ovvero cercherà di capire in quale misura e con quali modalità gli orientamenti comunitari vengono recepiti in fase di programma-zione dalle Regioni.

L’articolo 8 del Regolamento FEASR3 (1698/2005) ribadisce la necessità per la

programma-zione di sviluppo rurale 2007­2013 di garantire la “Parità tra uomini e donne e non discrimi-nazione” nella fasi di diagnosi (individuazione dei fabbisogni), progettazione (definizione degli obiettivi e degli interventi), monitoraggio e valutazione. Nonostante ciò, pur essendo richiamate nei diversi programmi sotto forma di enunciazione di principio, in passato, sono mancate indica-zioni specifiche e puntuali nella concretizzazione di questo principio. Inoltre la mancanza di indi-catori specifici per la raccolta di informazioni di genere ha spesso impedito di valutare l’effettivo impatto avuto dall’attuazione degli interventi nel perseguimento degli obiettivi di non disparità. Attraverso la lettura dei 21 PSR (Programma di Sviluppo Rurale) italiani sono indagati questi aspetti e sono state individuate tendenze ed eccezioni lungo la penisola per ognuno delle tre fasi suindicate, ovvero: diagnosi, progettazione, monitoraggio e valutazione.

La fase di diagnosi riguarda le analisi del contesto in cui andranno ad essere implementate le politiche gender. Le informazioni raccolte in questa sezione consentono di definire il panorama in cui si innesteranno gli interventi in programmazione, nonché di delineare un quadro dell’effi-cacia delle azioni messe in campo precedentemente. Nella maggior parte dei casi, le Regioni si

5. le politiche di

genere nei PSR

(17)

limitano a fornire una fotografia della popolazione, come il tasso di disoccupazione femminile o il livello di istruzione, ma non si tratta di una vera e propria rilevazione dei fabbisogni di genere. La fase di progettazione è composta dall’individuazione delle strategie e la definizione degli interventi, comprese le modalità di attuazione.

L’identificazione delle strategie consiste nel tracciare il percorso attraverso il quale si in-tendono perseguire gli obiettivi di genere con gli Assi del PSR. Attraverso l’Asse I, ad esempio, viene perseguito l’obiettivo di incremento dell’occupazione femminile, supportando il primo insediamento e il ricambio generazionale. L’Asse III concorre all’obiettivo di inclusione delle donne attraverso il supporto ad attività di diversificazione dell’economia, ma anche attraverso la creazione di servizi di facilitazione (es: agrinido, assistenza per anziani etc.).

La definizione degli interventi “di genere” è rivolta soprattutto alle misure degli Assi I e III. Le soluzioni adottate dalle Regioni allo scopo di indirizzare gli aiuti alla popolazione femminile in particolare, consistono spesso nell’assegnazione di punteggi aggiuntivi alle imprenditrici (ad esempio Valle d’Aosta e Umbria), o il riconoscimento della priorità per le attività ammissibili e relative spese sostenute da donne (Basilicata) o addirittura di una riserva di fondi destinata alle giovani imprenditrici (5% in Puglia per la misura 112). Laddove gli interventi sono finalizzati al miglioramento della qualità della vita (misura 321), risulta interessante la premialità attribuita ai progetti in grado di creare servizi di conciliazione e family friendly (Marche), o i progetti presen-tati da donne o compagini femminili (Sardegna).

La fase relativa alla sorveglianza, comprende le attività propedeutiche all’esame dell’attuazio-ne del programma, pertanto riguarda le attività di monitoraggio e valutaziodell’attuazio-ne. La Commissiodell’attuazio-ne Europea ha stabilito una serie di indicatori per i quali è prevista obbligatoriamente la distinzione di sesso ed età dei beneficiari, che non interessano l’intero spettro di misure del PSR. Le misure monitorabili in tal senso sono sette: per l’Asse 1, la 111 “Formazione, Informazione e Diffusione della conoscenza”, la 112 “Insediamento giovani agricoltori”, la 113 “Prepensionamento degli imprenditori e dei lavoratori agricoli” e la 121 “Ammodernamento aziende agricole”; mentre

5. le politiche di genere nei PSR

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per l’Asse 3 la 311 “Diversificazione in attività non agricole”, la 312 “Sostegno allo sviluppo e alla creazione di imprese” e la 331 “Formazione e informazione”.

In alcune Regioni, la suddivisione per genere è stata assegnata ad ulteriori indicatori, allo sco-po di valutare al meglio l’impatto delle sco-politiche gender. È il caso del Veneto, dove all’interno del PSR questo provvedimento viene previsto per la misura 132 “Sostegno agli agricoltori che par-tecipano ai sistemi di qualità alimentare” (Asse I), per le misure 211, 213, 214, 215 e 216 (Asse II) e infine per la misura 311 “Diversificazione in attività non agricole” (Asse 3). E’ interessante, in questo caso, il tentativo di raccogliere informazioni sullo stato di attuazione del programma di sviluppo tra le donne per le attività economiche in senso stretto, ma soprattutto per l’Asse II “Miglioramento dell’ambiente e dello spazio rurale”, per il quale gli indicatori comuni non pre-vedono dettaglio di genere. A queste indicazioni non corrisponde però una effettiva attuazione, dal momento che all’interno del Rapporto di Valutazione Intermedia del Veneto di giugno 2010, non si riportano informazioni sul sesso dei beneficiari delle suddette misure.

Dettaglio di genere degli indicatori previsti dalla Commissione Europea

Misure Dettaglio Maschi Maschi/Femmine persone organismi azioni/beneficiari Femmine giuridiche legali

<25 e >25 <40 e >40 55-64 e>64 111 * 112 * 113 * * 121 * * * 311 * * * 5. le politiche di genere nei PSR

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l’importanza degli stessi come strumento di lettura valutativa delle politiche di genere. Dall’analisi effettuata, è evidente che nonostante i progressi compiuti nella definizione di po-litiche non discriminanti, l’uguaglianza di genere si configura nella programmazione come un’at-tenzione rivolta alle beneficiarie di interventi generici piuttosto che come un reale impegno delle istituzioni preposte all’attuazione. La mancanza di dettagli sul sesso dei destinatari delle azioni è indice di questo scollamento tra le premesse strategiche e la loro effettiva traduzione in interventi sul territorio, dal momento che è solo attraverso una valutazione degli strumenti messi in campo e del loro utilizzo che è possibile calibrare e modificare le misure da adottare per perseguire gli obiettivi di inserimento nel mercato occupazionale nonché un miglioramento delle condizioni di vita delle donne nelle aree rurali.

5. le politiche di genere nei PSR

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