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Guarda Yohanna Jaramillo - Non era la mia ora (traduzione)

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Academic year: 2021

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la rivista di CRIAR - Università degli Studi di Milano ---

CRIANDO 2/2018 102

Yohanna Jaramillo

Non era la mia ora

traduzione di

Anna Marta Marini

Sì, come cominciano sempre le storie: Stavamo proprio per andarcene. E così comincia questa. Nove e venti di sera, posto il Zacaz, vi racconto soltanto la mia versione.

Lite al bancone, mi stranisce, perché in quel posto non ne avevo mai viste, cattura la mia attenzione e osservo la zuffa, cercano di bloccare qualcuno, gli schiacciano la faccia sul bancone e così vedo che uno di loro, quello con la felpa arancione, ha un’arma, al volo mi giro verso le mie amiche e dico: Il tipo ha un'arma, stiamo scherzando dobbiamo telare.

Un attimo dopo si portano via un uomo (il figlio di Panchito).

La gente sa che si sono portati via il figlio del padrone, io dico: Fuga, le mie amiche dicono: É già finita, una birra e andiamo, a cui acconsento come sempre. Non erano passati manco quattro minuti quando scendono di nuovo i tipi e gridano: Nessuno si muova, restate

al vostro posto e tirate fuori l’erba stronzi. Se qualcuno ha dell’erba che la tiri fuori. Uno a uno passerete di là con un documento in mano. Cazzo, dico, non ho la carta d’identità, sono nella merda. Intanto portano il figlio di Pancho, lo fanno sedere sui gradini, la camicia

bianca gli copre il volto, all’altezza di naso e occhi piena di sangue, fanno sedere l’altro cameriere dietro di lui. É stato lì che non ho capito cosa stava succedendo. Perché ci mettevano lì davanti il tipo, perché erano venuti in borghese, perché non si identificavano?

Al tavolo di fronte un ragazzo da solo comincia a cantare: Todo se derrumbó, dentro de

mí, dentro de mí, al che la gente lo segue in coro, e quello che ci controllava sulla sinistra

arriva con delle bacchette e le picchia contro il muro in mezzo al bar e li zittisce.

Ho pensato che fossimo fottuti. Mi vedevo come notizia di giovani morti per mano di un commando armato in un bar della Zona Centro della città, collegandoci di sicuro con il narco. Ho cominciato a tremare, la gente al mio tavolo a disperarsi, un’amica voleva andare in bagno, ricominciavano i canti, il figlio di Panchito stava lì seduto sanguinando con gli occhi coperti con una guardia col cappellino della coach taroccato. E, a quel punto, le grida di una donna isterica stavano chiedendo perché stavano facendo questo a suo figlio. Le grida si sentono più forte, già si sentono le sirene fuori e io mi giro verso Mavi e le dico: Non

preoccuparti, non moriremo così, questa non è la mia morte.

Il signore che vende le caramelle con la paura nello sguardo, una ragazza (coraggiosa o immatura) si è alzata a comprare dei leccalecca, io l’ho vista e le ho detto, Non fermarti per

favore. Mi inquietava molto che sta gente si innervosisse e cominciassero gli spari.

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la rivista di CRIAR - Università degli Studi di Milano ---

CRIANDO 2/2018 103

Siamo usciti subito, molte autopattuglie, la gente correva. Non ho mai capito cos’era successo. E che diritto è quello di privare qualcuno così della sua libertà. L’immagine del ragazzo seduto non si cancella né dalla mia mente né da questa pagina. Però non hanno neanche seminato in me il terrore che pensavano di provocarci ieri sera.

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