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La crisi della cittadinanza europea: quali orizzonti tra "catastrofe" e "salvezza"?

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LA CRISI DELLA CITTADINANZA EUROPEA: QUALI ORIZZONTI TRA «CATASTROFE» E «SALVEZZA»?1

1. Introduzione

Alla luce della fase politica, sociale ed economica particolarmente intensa che ha attraversato il biennio 2015-2016, diventa imprescindibile per la ricerca accademica una concettualizzazione della crisi della cittadinanza europea. Al fine di realizzare, almeno parzialmente, questa indagine, prenderemo in considerazione la cittadinanza europea in merito alla sue connessioni con il lavoro e la libertà di movimento. Se la cittadinanza può essere descritta come l’intersezione tra diritti, doveri, partecipazione ed identità,2 scegliamo di sottolinearne un aspetto in quanto, come sarà argomentato, rappresenta precipuamente il processo di costruzione europea ed è rivelatore di molti segni della sua crisi.

Dal punto di vista teorico, riteniamo che la cittadinanza europea rifletta il concetto marshalliano di cittadinanza nel quale il lavoro viene messo in relazione con i diritti civili, politici e sociali.3 Ciononostante, gli assunti teorici di T.H. Marshall contenuti nella cittadinanza europea vacillano di fronte ai recenti provvedimenti adottati dagli Stati membri dell’Unione Europea, provocandone la crisi. A nostro avviso questa situazione d’instabilità è dovuta alla concettualizzazione della crisi stessa e all’ «orizzonte d’aspettativa»4 di cui si dota il pensiero neoliberale europeo.

Per facilitare l’esposizione di quanto brevemente introdotto, il testo sarà diviso in quattro parti. Innanzitutto, descriveremo a grandi linee la libertà di movimento in quanto pilastro della cittadinanza Europa fondata sul lavoro; verranno, a partire da questo, tratteggiate le sue limitazioni attuali provocate dalle politiche di restrizione del welfare nazionale e di intensificazione dei controlli alle frontiere. Inoltre, evidenzieremo gli effetti delle misure in questione che indeboliscono la relazione tra diritti di cittadinanza e lavoro. In secondo luogo, presenteremo delle ipotesi riguardanti i nuclei teorici che stanno alla base delle scelte politiche inerenti la cittadinanza, determinandone una certa configurazione coerente con una prospettiva specifica del fenomeno della crisi. In conclusione, tenteremo di avanzare una significazione differente del concetto di crisi rispetto all’ambiente neoliberale, nella speranza di costruire delle indicazioni preliminari – e certamente non esaustive in questa sede – per ripensare alla cittadinanza europea in termini inclusivi ed universali.

2. La cittadinanza europea entro e oltre il pensiero di Marshall

Il problema della cittadinanza europea - molto prima della sua crisi – è stato trattato nelle opere di studiosi e politici fin dai primi passi della fondazione dell’Unione Europea con il Trattato di

1 Questo testo è una rielaborazione, perlopiù fedele, dell’intervento tenuto dall’autore nel contesto della conferenza MANCEPT workshops tenutasi a Manchester il 7-8-9 settembre del 2016. L’intervento nello specifico si è dato all’interno del panel dal titolo Crisis and Political Theory.

2 Cfr. G. Delanty, Models of Citizenship: Defing European Identity in «Citizenship studies», n. 1:3, pag. 285-303, 1997. 3 Cfr. T.H. Marshall, Citizenship and Social Class, Cambridge University Press, 1950.

4 Cfr. R. Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Marietti Editore, Roma, 1986. L’«orizzonte d’aspettativa» è, assieme allo «spazio di esperienza», una delle categorie analitiche usate da Koselleck per individuare dal punto di vista formale la percezione del tempo storico.

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Maastricht del 1992.5 Una generica indicazione giuridica contenuta nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea riporta che «è istituita una cittadinanza dell’Unione. E’ cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce».6 Da una parte, la sovranità dello Stato-nazione non viene esautorata rispetto alla giurisdizione sui confini e alla distribuzione dei diritti di cittadinanza basilari, quali il diritto di eleggere i propri rappresentanti politici nazionali e di accedere al sistema di welfare. Dall’altra, le istituzioni sovra-nazionali determinano delle norme comuni che si applicano parallelamente alle decisioni nazionali. Queste due dimensioni politico-giuridiche possono trovare una convergenza o una divergenza nella definizione della cittadinanza in base a situazioni politiche contingenti. Data la possibilità di contraddizione o di mancata congruenza tra le due, la cittadinanza europea non conferisce omogeneamente su tutto il territorio dell’Unione dei diritti, doveri, garanzie e tutele ben definiti, con l’unica eccezione della libertà di movimento, di residenza e di diritto di voto amministrativo. A riprova di ciò, nei primi anni Duemila la Commissione Europea ha sentito l’urgenza di dare un «contenuto pieno alla cittadinanza europea»7, ma negli anni nessuna istituzione europea è riuscita a raggiungere tale obiettivo. Il fallimento di questo proposito può forse essere ricondotto alle concezione della cittadinanza europea che traspone semplicemente quella nazionale su di una scala più larga.8

Per quanto riguarda una generale definizione dei diritti di cittadinanza, possiamo proporre la formulazione di Marshall elaborata nel suo Cittadinanza e Classe Sociale.9 Lo studioso afferma, riprendendo le parole di Alfred Marshall, che potenzialmente le società occidentali tendono ad universalizzare lo status di «gentleman».10 Estremamente distante da una condizione di uguaglianza sostanziale, lo status di gentleman può essere raggiunto attraverso la promozione ed il miglioramento dei rapporti di lavoro. La formazione storica della forza-lavoro, continua Marshall, porta a concepire gli individui come cittadini aventi diritti di cittadinanza completi: i diritti civili (le libertà individuali concernenti la persona), i diritti politici (elettorato passivo ed attivo) ed i diritti sociali (sistema di welfare e di sussidi pubblici). Il lavoro diviene allora il dispositivo che apre alla «piena appartenenza alla comunità».11 Eppure, «c’è una sorta di inuguaglianza di base […] che non discorda con le inuguaglianze che distinguono i vari livelli economici nella società».12 In altre

5 In particolare il dibattito sulla cittadinanza europea si è sviluppato a partire dall’idea politica, giuridica ed economica dell’istituzione europea; è poi riemerso fortemente durante la discussione sulla Costituzione europea, rifiutata dai due referendum in Francia e in Olanda nel 2005. Il dibattito si è articolato attorno a tre assi principali concernenti la struttura europea: la possibilità di avere una Costituzione formale o un insieme di accordi e trattati; il modo con il quale si deve completare politicamente la governance europea multilivello, ovvero l’integrazione tra istituzioni nazionali e sovra-nazionali; infine, come i valori e le norme giuridiche di un territorio possono essere rappresentati all’interno di un panorama condiviso nella dimensione europea. Il problema della libertà di movimento e dei confini derivano da quest’ultimo asse, per il quale l’ordine e la sicurezza nazionali possono essere anteposti al diritto europeo. Per ulteriori chiarimenti si rimanda a E. Pacinotti, La Costituzione europea. Luci ed ombre, Meltemi, Roma, 2003.

6 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, Parte Seconda, art. 20, 2008. In questo testo giuridico viene assunta la cittadinanza europea del Trattato di Mastricht del 1992.

7 Commissione Europea, COM 2004.

8 Cfr. J.Painter, European Citizenship and the Regions, «Political Theory», n. 15:1, pag. 5-19, 2008. Nell’articolo si muove una critica alla cittadinanza europea perché pensata come «a national citizenship scaled up».

9 Op.cit.

10 La traduzione letterale in italiano di «gentiluomo» non rende ciò che intendono sia T.H Marshall che Alfred Marshall. Con gentleman si vuole riconoscere non solo un’educazione culturale e pedagogica dei cittadini ma un’appartenenza alla classe media dal punto di vista sociale ed economico.

11 T.H. Marshall, op. cit., pag. 8.

12 Ibidem, traduzione mia: «there is a kind of basic inequality […] which is not inconsistent with the inequalities which distinguish the various economic levels in the society» (cit.)

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parole, la cittadinanza coesiste con l’inuguaglianza: garantisce soltanto il medesimo accesso e status – attraverso il lavoro – a tutti i membri di una società.

Muovendo da queste considerazioni, la cittadinanza europea sembra accordarsi con la definizione di Marshall in quanto conferisce un’appartenenza comune transnazionale a tutti i cittadini e, allo stesso tempo, non interferisce con le differenze sostanziali di classe tra cittadini. L’appartenenza comune è ampiamente accordata dalla circolazione e mobilità di persone e merci. Successivamente all’assimilazione dell’Accordo di Schengen nel Trattato di Amsterdam del 199913, la libertà di movimento viene posta come uno dei pilastri dell’Unione Europea e diviene criterio discriminante per l’entrata nell’Unione da parte di altri Stati. I risultati preminenti dell’Accordo permettono ai cittadini europei e alle merci di muoversi liberamente all’interno dell’area dell’Unione Europea e di stabilire la propria residenza in un altro territorio al di fuori della propria nazione. La rimozione dei controlli e dell’obbligo dei visti per migrare da un paese ad un altro indebolisce, così, le divisioni interne operate dalle frontiere. Per i cittadini diventa più semplice accedere al mercato del lavoro di un altro Stato e, conseguentemente, beneficiare delle istituzioni del welfare e dei diritti sociali altri da quelli del paese di origine. La connessione tra le libertà di Schengen ed il lavoro è dunque evidente. Proprio la trasformazione del mercato europeo conduce all’assimilazione di ogni cittadino nella forza-lavoro. Soltanto facendo parte della nuova forza-lavoro internazionale un cittadino con una certa nazionalità acquisisce lo stesso status giuridico di europeo di un cittadino con un’altra nazionalità.

Sebbene Schengen garantisca efficacemente una dimensione europea della cittadinanza, è anche rivelatore di aspetti irrisolti che conseguono al riconoscimento della cittadinanza europea. Innanzitutto, Schengen – e tutti i trattati su cui l’Unione Europea si è fondata – non ha creato una cittadinanza autonoma e pienamente indipendente: per essere titolari dei suoi diritti un individuo deve detenere lo status di cittadino in almeno uno degli Stati membri, con la solo eccezione degli stranieri non-comunitari legalmente residenti in Europa da cinque anni.14 In breve, prima di essere europeo, un individuo deve avere una nazionalità specifica. Pertanto, il principio dell’ethnos nazionale (ottenuto attraverso lo jus sanguinis o lo jus soli) storicamente legato alla cittadinanza non si è mai dissolto con la fondazione delle istituzioni e del sistema giuridico sovra-nazionali.15 A ciò segue che molti dei diritti civili, sociali e politici derivanti dalla nozione tradizionale di cittadinanza siano ancorati allo Stato-nazione. Alla luce dei primi anni di entrata in vigore del Trattato di Maastricht, lo studioso Gerard Delanty16 mostra come la cittadinanza europea, basando il suo discorso su diritti e leggi, manchi di espandere la sua portata oltre i confini nazionali. La forma dei diritti è strettamente legata allo Stato e, dunque, alla nazionalità; quest’ultima rimanda sempre

13 L’Accordo di Schengen venne introdotto inizialmente da cinque paesi europei (Germania dell’Ovest, Lussemburgo, Olanda, Francia e Belgio) nel 1985 dato che non fu possibile provvedere ad una convenzione universalmente riconosciuta in tutta la Comunità Economica Europea per quanto riguardava confini e libertà di movimento. L’Accordo fu implementato dalla Convenzione di Schengen nel 1990 che creò l’area Schengen e sancì l’abolizione completa dei controlli interni alle frontiere. Nel 1995 la maggioranza dei paesi europei adottarono l’Accordo di Schengen pervenendo infine alla sua incorporazione nel Trattato di Amsterdam. Oggigiorno può essere chiamato l’acquis di Schengen perché è stato assunto dall’acquis communautaire essendo divenuto legge europea, ovvero una disposizione giuridica modificabile solo dalle procedure europee.

14 Cfr. E. Rigo, Europa di confine. Trasformazione della cittadinanza nell’Unione allargata, Meltemi, Roma, 2007, pag. 84.

15 Nazionalità e cittadinanza sono due concetti differenti che si sono interrelati nel corso della storia dell’Occidente. In breve, la prima implica un’appartenenza ad una comunità basata su valori comuni; la seconda, invece, indica uno status eguale ed universale tra persone. Evidentemente, la nazionalità è sempre stata imprescindibile per accedere ai diritti di cittadinanza.

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ad un’esclusione perché inseparabile da concetti quali «nascita, sangue e residenza»17 che sono costruite sull’opposizione ad un’altra nazionalità. L’ethnos nazionale è, secondo Delanty, una forma di chiusura dell’universalità e inclusività dell’idea di cittadinanza, dato che prende in considerazione soltanto un gruppo di individui e non un soggetto collettivo inter-gruppi. La «sovra-nazionalità esclusiva»18 è dunque la configurazione ottenuta dalla cittadinanza europea per quanto riguarda i diritti basilari.

Per quanto la cittadinanza comunitaria garantisca la libertà di movimento tra gli Stati membri, il diritto materiale ed effettivo di accedere al sistema di welfare, una volta avvenuta la migrazione, deve essere fornito da uno Stato-nazione. Inoltre, il diritto di voto dei propri rappresentanti nei Parlamenti regionali e nazionali non è una conseguenza immediata della migrazione; l’unico diritto acquisito in questo senso è l’elettorato attivo per il voto locale o municipale. Certo, le modalità di accesso ai diritti politici e sociali sono facilitate per i migranti comunitari; ma il problema di una cittadinanza europea internamente differenziata non viene risolto. Le differenze interne alla cittadinanza sono conseguenza degli sviluppi nazionali della previdenza sociale, così come ai diritti civili riguardanti le libertà personali. Al di fuori dei diritti legati della libertà di movimento, i cittadini beneficiano di diversi diritti in base alla loro nazionalità.

La piena appartenenza all’Unione Europea inerisce solo il momento effettivo della circolazione: la cittadinanza europea adempie alla sua condizione di eguaglianza perché garantisce il diritto formale di movimento del lavoro all’interno dell’area Schengen. I cittadini sono formalmente eguali perché liberi di circolare e di fare richiesta per l’accesso al welfare in un territorio altro. Al di fuori della libertà di movimento, però, si danno gerarchie tra cittadini dell’Unione Europea i quali occupano posizioni non omogenee da due punti di vista: l’appartenenza ad una nazionalità specifica, come abbiamo mostrato; e la qualificazione sociale dell’attività lavorativa per quanto riguarda le possibilità economiche. Mancando una concezione universale del welfare europeo, i costi individuali per sostenere la libertà di movimento e la migrazione non sono indipendenti dalla classe e dal luogo.

Secondo il pensiero di Marshall, il lavoro rende disponibile una sfera condivisa di diritti civili, sociali e politici in quanto è l’attività umana che egualizza ogni persona essendo fondata sullo scambio accordato da un contratto volontario. Ciononostante, come abbiamo visto, questo tipo di eguaglianza non incide sulle differenze di classe: stabilisce semplicemente uno standard minimo per la riproduzione sociale della forza-lavoro ed i suoi bisogni vitali, ma non abbatte in alcun modo la distanza di posizioni tra cittadini. Per giustificare la differenza di classe, Marshall si rifà alla nozione di surplus19. La ricchezza eccedente di alcuni cittadini, dovuta alla qualità della professione

individuale, rende indipendenti dalle risorse pubbliche e dal welfare statale definendo una sorta di privilegio in termini di riconoscimento sociale e di potere politico-economico. Tuttavia, tramite l’abbandono delle differenze di status la cittadinanza moderna genera un valore collettivo di civilizzazione, creando un senso comune di appartenenza ad una stessa eredità culturale.20 Scrive a questo proposito Marshall:

17 Ivi, pag. 287; traduzione mia: «birth, blood, residence». 18 Ivi, pag. 288; traduzione mia: «exclusivist supranationality».

19 Secondo Marshall il surplus rende accettabile le differenze di classe, non motivandole come privilegio ereditario: «[…]differences can receive the stamp of legitimacy in terms of democratic citizenship provided they do not cut too deep, but occur within a population united in a single civilisation; and provided that they are not an expression of hereditary privilege. This means that inequalities can be tolareted within a fundamentally egalitarian society provided they are not dynamic, that is to say that they do not create incentives which spring from disatisfaction and the feeling that ‘this kind of life is not good enough for me’ […]» (cit. Marshall, op.cit, pag. 76)

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«What matters is that there is a general enrichment of the concrete substance of civilised life, a general reduction of risk and insecurity, an equalisation between the more and the less fortunate at all levels – between the healthy and the sick, the employed and the unemployed, the old and the active, the bachelor and the father of a large family. Equalisation is not so much between classes as between individuals within a population which now treated for this purpose as though it were one class. Equality of status is more important tha equality of income.»21

Possiamo trovarvi delle analogie con la cittadinanza europea. Il surplus collegato all’appartenenza di classe e alla qualità del lavoro può materialmente sostenere in misura diversa la pratica della libertà di movimento, colmando le lacune della cittadinanza europea in merito ai diritti sociali universali. Il principio formale dell’eguale appartenenza all’Unione Europea, fornito dalla libertà di movimento, è di conseguenza sostanziato da opportunità differenziate per i cittadini. Di più, l’ethnos nazionale, in assenza di circolazione, fornisce diritti basilari di cittadinanza differenti tra i membri dell’Unione Europea. I cittadini sono concepiti come «occupanti di posizioni»22 eterogenee secondo linee di classe e di nazionalità; il principio della eguale condivisione di uno status si realizza nel movimento all’interno dello spazio europeo, un diritto universale che virtualmente apre i diritti di cittadinanza legati ad una nazionalità a chiunque intenda installarsi in un altro territorio. La cittadinanza europea esiste allora solo in riferimento ad uno «spazio circolato».23

Con la definizione di Europa come «spazio circolato» la studiosa Enrica Rigo intende fornire un’analisi dello spazio europeo nel decennio successivo alla firma del Trattato di Amsterdam. Il concetto proposto è utile per cogliere il motivo per cui il lavoro fornisce un’appartenenza comune in Europa. La studiosa mostra come, entro il quadro della governance multilivello europea, il processo di fondazione istituzionale non sia riuscito a superare delle prerogative, ad esempio i principi di ordine e sicurezza pubblici. L’Accordo di Schengen inserisce la sicurezza nazionale come principio per il quale le frontiere esterne debbano essere difese, ma non solo: la libertà di movimento può essere derogata qualora venga dichiarata una situazione di pericolo per l’ordine pubblico.24 L’Unione Europea non ha una sovranità alternativa agli Stati membri, come detto più sopra. Essa esiste nella misura in cui, tra le altre funzioni, permette la circolazione tra gli Stati; ma la decisione sulla partenza e la permanenza di un cittadino in un territorio rimane sotto la giurisdizione di uno Stato, che può avocare ragioni penali o di sicurezza. La difesa dell’ordine pubblico e della sicurezza – anche nel caso in cui fosse chiamata a causa di migrazione esterne – compromette la libertà di movimento, dunque la cittadinanza europea.

«[…] si può dunque guardare a come lo “spazio di libertà sicurezza e giustizia” dell’Unione europea si posizioni in relazione ad altri spazi. Innanzitutto, dove si posizioni e in quale relazione si ponga con la territorialità degli Stati membri, rispetto alla quale, nella sua funzione di spazio di circolazione, non esercita certo una sovranità alternativa […] Lo spazio di “libertà sicurezza e giustizia” si dà politicamente e giuridicamente solo come spazio “circolato”, vale a dire quando la circolazione attraversa i confini degli Stati membri, 21 Ivi, pag. 56.

22 Cfr. Chakrabarty in E. Rigo, op. cit., pag. 58. 23 Ivi, pag. 101.

24 «Tuttavia, per esigenze di ordine pubblico, o di sicurezza nazionale, una Parte contraente può, previa consultazione delle altre Parti contraenti, decidere che, per un periodo limitato, alle frontiere interne siano effettuati controlli di frontiera nazionali adeguati alla situazione. Se per esigenze di ordine pubblico o di sicurezza nazionale s'impone un'azione immediata, la Parte contraente interessata adotta le misure necessarie e ne informa il piu` rapidamente possibile le altre Parti contraenti» (cit., Accordo di Schengen, Titolo II, Parte III, art. 2, 1985).

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ma anche quando ha luogo attraverso spazi diversi da quello europeo al fine di raggiungere quest’ultimo.»25

L’esistenza dello «spazio circolato» non è difficile da comprendere: costruire uno spazio per la libertà di movimento della forza-lavoro anche in assenza di corrispondenti diritti di cittadinanza, è stato necessario per le esigenze del mercato europeo. Rigo sottolinea come questo genere di contraddizione tra sicurezza da una parte e libertà dall’altra sia spesso causa di conflitti istituzionali in Europa.26

Seguendo quanto stabilito da Schengen, la sovranità nazionale può interferire con l’unico principio di eguaglianza della cittadinanza europea: la libertà di movimento. Se ciò avvenisse, le premesse stesse di Marshall andrebbero a vacillare generando una profonda crisi nella cittadinanza contemporanea. Nel prossimo paragrafo proporremo una breve analisi degli eventi che nel biennio 2015-2016 hanno provocato un tale intensificarsi della contraddizione.

3. L’irrevocabile crisi della cittadinanza europea

L’ordine pubblico e la sicurezza nazionale possono essere interpretati in diversi modi. La nozione di sicurezza è spesso presa in considerazione dal milieu neoliberale europeo come equilibrio economico e pacificazione sociale.27 Nel quadro dell’ultimo biennio possiamo delineare due approcci che le classi dirigenti dell’ambiente neoliberale stanno impiegando per affrontare alcuni problemi economici, sociali e finanziari in Europa. In primo luogo, il rafforzamento dei controlli sui confini andando in deroga a Schengen, per timore che i migranti non comunitari possano entrare nei territori statali ed essere causa di antagonismi sociali e scarsità economica. In secondo luogo, molti governi neoliberali hanno applicato o sono in procinto di restringere l’accesso ai sistemi nazionali di welfare per i migranti comunitari. Anche in questo caso vengono avanzate come ragioni la scarsità delle risorse e la pace sociale, sebbene le soluzioni adottate siano differenti.

La deroga da Schengen è stata utilizzata negli ultimi anni per stabilire controlli a fronte delle migrazioni dei rifugiati provenienti dagli spazi extra-europei. In alcuni casi l’introduzione formale dello stato d’emergenza, ad esempio in Francia, ha instaurato controlli sulle frontiere interne anche per i cittadini comunitari. Il timore che rifugiati o richiedenti asilo potessero entrare in Francia dalla città di confine di Ventimiglia ha fatto impedire il transito anche ad alcuni cittadini italiani.28 Nella città del Brennero, al confine tra Austria ed Italia, vi sono stati casi in cui le forze dell’ordine austriache hanno bloccato il passaggio ad alcuni viaggiatori italiani e hanno riattivato controlli per gli stessi motivi della Francia.29

La prerogativa dell’ordine pubblico è invocata su di una situazione emergenziale che conduce allo stato d’eccezione, per il quale la sovranità statuale ottiene una preminenza sugli accordi comunitari

25 Ivi, pag. 102.

26 Il filosofo francese Michel Foucault (Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France, Feltrinelli, Milano, 1979; Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France, Feltrinelli, Milano, 1978) individua nell’intersezione dei due fattori la fondazione storica del liberalismo ed il nucleo del suo funzionamento.

27 Cfr. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, cit.

28 Da anni Ventimiglia è stata causa di dispute legali tra la Francia e l’Italia rispetto al transito dei migranti extra-comunitari e alla deroga dell’Accordo di Schengen. A molti degli assistenti legali italiani dei migranti è stato impedito il transito attraverso la frontiera. Per informazioni: https://www.rt.com/news/270655-italy-france-border-control/

29 Cfr. S. Kirchgaessner, Austrian border plan risks turning Soth Tyrol, «The Guardian», 2016: s://www.theguardian.com/world/2016/mar/31/austrian-border-plan-risks-turning-south-tyrol-into-emblem-of-eu-disintegration

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riguardanti la cittadinanza, tra cui la libertà di movimento. Lo Stato adotta delle disposizioni rapide ed immediatamente effettive che non possono essere emendate da nessun’altra istituzione, se non lo Stato stesso. Tutto ciò è confermato da quanto accaduto negli ultimi mesi del 2015 e nei primi del 2016, quando l’Ungheria, la Croazia e la Slovenia hanno deciso di bloccare i flussi migratori provenienti dalla Siria, minacciando anche Schengen, nonostante l’opinione delle istituzioni comunitarie.30

La deroga all’Accordo di Schengen attraverso gli impedimenti alla libertà di movimento non è il solo sintomo della crisi della cittadinanza europea. Diversi governi nazionali hanno proposte nuove leggi e misure previdenziali sull’accesso ai diritti sociali da parte dei migranti comunitari. In Germania, ad esempio, il governo ha approvato una legge che interdice alcuni sussidi sociali ai migranti comunitari che non hanno vissuto per almeno di cinque anni in una città tedesca. La legge si riferisce in particolare ai sussidi di disoccupazione e al reddito di base di cui godono coloro che stanno cercando un’occupazione tramite i Job Centers.31 Nel Regno Unito l’interdizione dall’accesso al welfare britannico è stato uno dei punti soggiacenti al referendum sulla Brexit. Difatti, l’allora Primo Ministro Cameron ha negoziato con il Consiglio Europeo e la Commissione per ottenere un ulteriore status speciale all’interno dell’Unione, assicurando al Regno Unito la sospensione per sette anni dei sussidi pubblici ai migranti comunitari.32 Per quanto le parti avessero trovato un accordo, il risultato del referendum ha scelto di lasciare l’Unione Europea, dunque di avviare le procedure per escludere i migranti comunitari e dai diritti sociali. Oltre a ciò, è da considerare che in Belgio, secondo una legge in vigore da tempo, i migranti comunitari possono stabilirvi la residenza, e quindi godere di alcuni diritti di cittadinanza, una volta dimostrato che hanno un contratto di lavoro salariato stipulato nel territorio o che sono capaci della propria sussistenza.

Anche in questo caso assistiamo ad una torsione restrittiva della libertà di circolazione è evidente: come può un migrante comunitario decidere di trasferirsi in un altro paese, se non può beneficiare di alcuna forma di diritto che lo sostenga materialmente? Questi provvedimenti interferiscono con la condizione di eguaglianza nella libertà di movimento che dovrebbe essere prevista dalla cittadinanza europea. Essere parte della forza-lavoro transnazionale non fa conseguire l’accesso, seppur parziale, ai diritti di cittadinanza legati ad un’altra nazionalità.

Il legame tra lavoro e diritti di cittadinanza, come previsto da Marshall, sta subendo una crisi coerentemente alla situazione di instabilità. Se li misure legislative ed i provvedimenti emergenziali sono la causa della crisi della cittadinanza, e sono consapevolmente adottati dalle diverse forze politiche neoliberali, è importante domandarsi quale paradigma teorico muova queste strategie. Come si tenterà di mostrare nei prossimo paragrafi, la concettualizzazione del fenomeno della crisi dal punto di vista storico e teoretico veicola l’attuazione delle disposizioni succitate. Ad una specifica significazione storica della crisi si accostano sempre immaginari e aspettative futuri sulla risoluzione dei problemi attuali. Vedremo quali categorie analitiche possiamo impiegare per comprendere tali paradigmi.

4. Il concetto di crisi e le sue significazioni

30 Cfr. I Trainor, Migration crisis: Hungary PM says Europe is grip of madness, «The Guardian», 2015: https://www.theguardian.com/world/2015/sep/03/migration-crisis-hungary-pm-victor-orban-europe-response-madness 31 K. Connolly, German government approves strict limits on EU migrants claiming benefits, «The Guardian», 2016: https://www.theguardian.com/world/2016/oct/12/german-government-approves-bill-to-stop-eu-migrants-claiming-benefits

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Reinhart Koselleck ha dedicata una parte considerevole delle sue ricerche allo studio del concetto di crisi,33 applicando il metodo della storia dei concetti. Secondo questa scuola tedesca la storia dei concetti si propone di trovare i differenti significati che un concetto acquisisce nelle varie epoche. Ogni parola che assume una rilevanza sociale contiene diversi significati contemporanei, pienamente comprensibili dalla società coeva, ed altri non-contemporanei che si sono mantenuti inalterati dal passato. La totalità degli strati di significazione determina ciò che Koselleck chiama in

Futuro passato34 l’ «orizzonte d’aspettativa» legato all’intelligibilità di un fenomeno, ovvero i

perimetri entro i quali l’esperienza futura può essere concepita sulla base dello «spazio d’esperienza». I significati di questo concetto legano le aspettative sul futuro allo spazio d’esperienza così come alla comprensione politica e sociale del passato.

Gli assunti sulla storia dei concetti di Koselleck aiutano a cogliere la specificità delle implicazioni del concetto di crisi. In quasi tutte le lingue europee la parola “crisi” deriva la sua etimologia dal greco antico krisis. Il termine è utilizzato in diversi contesti: può descrivere un momento drastico in cui una decisione rapida e cruciale tra due alternative inconciliabili deve essere presa per ragioni politiche, così come al decorso di una malattia in riferimento ad una condizione oggettiva di salute. Normalmente i due significati non si confondono tra loro, infatti i Greci sono molto cauti nell’usare il termine in modo appropriato. Oltre a questo, la “crisi” ricorre nel Vecchio Testamento per indicare un tempo epocale in cui lo scorrere della storia cambia immutabilmente.

Procediamo analizzando il significato medico. Noncuranti dell’etimologia precisa, i Romani prendono il significato medico del concetto e lo traspongono sul piano politico: nella loro concettualizzazione della politica una crisi viene causata dal disequilibrio di una situazione normale, che deve essere ristabilita grazie ad una prognosi. Questo significato particolare del concetto è stato tramandato nei secoli della modernità prendendo, infine, una svolta economica durante l’Illuminismo inglese e francese. Nel pensiero dei primi esponenti liberali la crisi è una fase temporanea, un tempo di transizione del progressivo sviluppo dell’economia. In questo senso, la crisi non è un momento epocale irreversibile, poiché il normale equilibrio può sempre essere ristabilito da una prognosi appropriata. La prognosi della crisi è pensata nei termini di un’azione farmaceutica, come se il mondo politico fosse un ambiente naturale che risponde agli stimoli di un agente esogeno. La crisi può dunque essere curata da operazioni artificiali a cui seguono naturalmente degli effetti certi. Pertanto, il concetto medico di crisi prevede un «orizzonte d’aspettativa» secondo il quale il futuro può essere previsto e organizzato razionalmente dagli strumenti dello Stato, quali la legge ed il diritto, e dall’azione dei soggetti dell’economia.

Da questo punto di vista la storia stessa viene pensata linearmente e progressivamente, andando anche ad alterare i significati insiti nel concetto medico di crisi. La progressività della storia, infatti, non tiene più in considerazione un equilibrio oggettivo come norma da ristabilire, implicando invece un passaggio da uno stadio precedente ad uno successivo. Questo «progresso pervertito»35

33 Cfr. la voce Krise in O. Brunner, W. Conze, R. Koselleck, Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexicon zur

politisch-sozialen Sprache in Deutschland, Bd.3, Klett-Cotta, Stuttgart, 1972, pag. 617-650, trad. italiana a cura di G.

Imbriano, S. Rodeschini: Crisi. Per un lessico della modernità, Ombre Corte, Verona, 2012.

34 R. Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Marietti, Casale Monferrato, 1986.

35 E. Bloch, Sul progresso, Angelo Guerini e Associati, Milano, 1990, pag. 14, corsivo mio. Il filosofo tedesco attribuisce al concetto di progresso occidentale dei difetti teoretici. Il perseguimento di un fine posto nell’estensione della felicità e del benessere grazie al corso naturale della storia corrompe, per Bloch, ciò che potrebbe implicare il concetto se riferito ad un multiversum. Di qui le responsabilità politiche coloniali che non vedono la distruzione e la sopraffazione dietro ad una pretesa di progresso. Scrive Bloch: « In questo “progresso” pervertito è persino più chiaro, che non in quello del semplice susseguirsi, un fine efficiente: infatti, senza riferimento a un fine, nessun succedersi in

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sopravvive nel XIX secolo per sopraffare la temporalità storica emersa con gli eventi rivoluzionari del 1789 in Francia. I movimenti sociali parigini di fine Settecento rispondono con l’impeto del tempo della rivoluzione al progresso portato avanti dal diritto pubblico e dalle leggi dello Stato. Da una parte, i rivoluzionari aprono lo spazio del futuro nella contemporaneità a partire da un intreccio tra l’esperienza passata e la costellazione di eventi del presente. Dall’altra, il concetto medico di crisi spinge il presente ed il passato in un’accelerazione verso il futuro: ogni azione nell’hic et nunc ottiene un senso in base alla prevedibilità dei tempi futuri. In altre parole, secondo l’idea progressiva di crisi, il futuro è logicamente prioritario rispetto allo «spazio di esperienza».36 La molteplicità di significati potenzialmente contenuta nelle azioni presenti e nella storia passata viene esclusa perché un’unica possibilità è attualizzata: quella che porta al futuro previsto, ovvero il progresso.

Muovendoci dal quadro teorico e genealogico di Koselleck, l’ipotesi che avanziamo è che dietro alle attuali misure riguardanti la cittadinanza europea ci sia una precisa significazione del concetto di crisi. La responsabilità principale del pensiero neoliberale risiede nell’aver concepito in generale la crisi in Europa nella sua interpretazione economica e progressiva. La ragione di tale visione si rifà ad una specifica formalizzazione del futuro: limitando l’accesso ai diritti sociali nel presente, e dunque risparmiando sugli investimenti nel settore pubblico, si suppone che naturalmente si arrivi ad accumulare ricchezza sufficiente nel futuro. La limitazione del welfare è una risposta dovuta ad un’aspettativa futura, la quale guida teleologicamente il presente determinandone le configurazioni nell’ottica del progressivo miglioramento. Lo «spazio d’esperienza» della crisi è piegato a quest’idea del futuro a cui si può tendere grazie agli interventi mirati delle leggi dello Stato e delle operazioni di mercato. Un’implicita aporia, però, può essere scorta in questa concezione: il raggiungimento di uno stadio della storia migliore è solo presupposto. La vacillazione del principio di uguaglianza della cittadinanza europea potrebbe non essere affatto temporanea e non preludere ad alcun progresso naturale. Del resto, la limitazione del welfare causa la crisi della cittadinanza e non dà alcuna certezza del suo superamento.

Tornando agli studi sulla genealogia del concetto di crisi, Koselleck indica un’altra significazione del termine krisis che è stata tramandata, ovvero la sua interpretazione apocalittica. L’Apocalisse, o il Giudizio Universale, introduce un tempo in diretto conflitto con la normalità del presente per neutralizzarne le peculiarità negative. Il tempo apocalittico è trascendente: deve agire sopra la realtà senza avere alcuna derivazione ontologica dall’immanenza. Al contrario dell’esodo, l’Apocalisse non dirige il presente verso un futuro determinato: deve eliminare il presente stesso per produrre una fase storica salvifica. La linearità della storia, prevista dal progresso illuminista, è rifiutata dato che l’evento apocalittico è sempre in opposizione al presente. Di conseguenza, la crisi è un prodotto dell’intercorrere dell’apocalisse attraverso un evento che introduce un’eccezione alla normalità storica. Questa significazione della crisi può essere dedotta dalle misure emergenziali utilizzate dallo Stato-nazione per difendere i confini esterni e controllare quelli interni? A nostro avviso, la deroga dei principi di Schengen con il rafforzamento della sovranità nazionale a scapito del diritto europeo risponde ad una semantica teologica della crisi: soltanto un «evento certamente unico»37

genere può venir concepito e valutato come qualcosa che si accresce in qualità. Ogni progresso è tale rispetto a qualcosa a cui tende, e quasi come sinonimo viene così usato anche il concetto di evoluzione, perfezionamento - a differenza del semplice sviluppo, dell’evolutio nel significato primitivo del vocabolo» (cit., pag. 14).

36 Cfr. R. Koselleck, Futuro passato, cit.

37 Cfr. R. Koselleck, Crisi, cit., pag. 50. L’unicità dell’evento per Koselleck richiama la decisione ultima, dopo la quale – proprio a causa della crisi che scatena – niente può essere considerato come prima. In sostanza, proprio ciò che si intende con il Giudizio Universale.

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immette quella crisi del presente necessaria alla salvezza; l’evento deve derivare da un’azione di forza, quale è l’imposizione della sovranità, per creare la giusta distanza dalla realtà attuale. Notiamo la profonda differenza dal concetto medico-economico. I confini semantici di quest’ultimo veicolano l’azione politica verso il ristabilimento della normalità del flusso della storia. Di contro, il concetto escatologico di Apocalisse invoca mezzi emergenziali per imporre un tempo eccezionale in conflitto con il presente.

Per quanto teoreticamente distanti, i due concetti di crisi rimandano entrambi ad una teleologia del futuro che predetermina la memoria del passato e la consapevolezza del presente. Nessuno dei due campi semantici rimanda allo sviluppo delle forze, delle aspettative, delle possibilità interne alla realtà hic et nunc la cui determinazione non è definita da alcun telos. «La vecchia capacità del concetto di porre alternative insuperabili, nette e non mediabili, si è volatilizzata nell’incertezza di alternative arbitrarie […] A maggior ragione le scienze sono sfidate a misurarsi con il concetto, prima di servirsene»,38 scrive Koselleck. La crisi non risale più ad una intrinseca opposizione tra due opzioni inconciliabili a partire dalle contraddizioni presenti. Vediamo nel prossimo capitolo quali prospettive teoriche innovative potrebbe portare una ripresa di questa significazione del concetto.

5. Conclusione: «catastrofe» o «salvezza»?

Le riflessioni di Ernst Bloch spiegano come la razionalità storica di un tempo sia rappresentata dall’ «Adesso», in cui convivono diversi carichi di significato e concettualizzazioni anche contraddittorie tra loro. Facendo parte dell’«Adesso»,39 i due paradigmi semantici sulla crisi costituiscono l’intelligibilità ontologica e storica del presente e del futuro, o, per dirla con Koselleck, dello «spazio d’esperienza» e dell’«orizzonte d’aspettativa». Ciononostante, continuando a seguire il ragionamento di Bloch, ogni tempo storico attuale non può essere compreso come un monolite, uno scorrere lineare ed omogeneo: il Tempo è sempre multi-spaziale e multi-temporale, ovvero comprende l’eterogeneità delle percezioni storiche che dipendono dalla pluralità delle forme di vita dei numerosi luoghi del mondo. Pertanto, molteplici percezioni dei fenomeni che occorrono nel tempo coesistono nell’«Adesso». Da questo punto di vista, i concetti di crisi medico-progressivo e teologico di crisi non esauriscono il campo di possibilità del presente, ma corrispondono ad una delle tante simultaneità. Quali altri paradigmi, concezioni della crisi, aspettative future e comprensioni dell’esperienza vissuta sono visibili nell’«Adesso» della cittadinanza europea?

La libertà di movimento – o, perlomeno, la sua formulazione formale – costituisce uno «spazio d’esperienza» che non può essere facilmente neutralizzato da limitazioni e restrizioni. Soprattutto la generazione di cittadini nata negli ultimi tre decenni riconosce nello «spazio circolato» dell’Europa un pilastro dei suoi diritti di cittadinanza. I giovani europei vivono pienamente il quadro delineato dalla mobilità della forza-lavoro che ha avviato il processo di integrazione europea. La privazione della libertà di movimento e dei diritti europei di cittadinanza contrasta fortemente con la forma di vita transnazionale di questa generazione. II futuro dischiuso dal discorso pubblico che legittima la ri-nazionalizzazione del welfare ed i controlli alle frontiere confligge con il presente di questa generazione. La loro esistenza è «non-contemporanea»40 al presente ed al futuro prospettati dalle

38 Ivi, pag. 92-93.

39 Cfr. Id., Non-Synchronism and the Obligation to its Dialectics, «German Critique», n 11, 1997, pag. 22-38, a cura di M. Ritter,

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strategie neoliberali di superamento della crisi. Lo stesso «orizzonte d’aspettativa» generazionale è radicato in uno «spazio d’esperienza» dal quale non può essere separato e sul quale non esercita una funziona teleologica o di negazione, bensì ne è intimamente dipendente. In altre parole, la concettualizzazione del futuro non può tradire il vissuto della libertà di movimento e della cittadinanza europea. A questo proposito possiamo rilevare un legame intrinseco tra passato, presente e tempo che verrà: un continuum che non è ascrivibile ad un futuro imposto e predeterminato. Ne Sul concetto di storia41 Walter Benjamin esplica bene il portato teoretico e

politico della fissazione di un certo tipo di continuum42 tra tempi storici in connessione con il

concetto di crisi.

Secondo il filosofo tedesco, la crisi non è una situazione oggettivamente data o provocata: è una possibilità, un’occasione per liberare alcune delle forze contenute nel presente per proiettarle in un futuro altro e nuovo. La crisi è in grado di mostrare una costellazione tra fatti presente ed eventi passati, conferendo un’altra significazione ai concetti ed alle pratiche sociali che si danno nel tempo. L’occasione si dà proprio nell’eventuale configurazione che si instaura tra i fatti ed i suoi risultati. Di conseguenza, una situazione di crisi non deve necessariamente piegare il presente ad un futuro pianificato o evocato da un potere trascendente la realtà: essa affida alla responsabilità collettiva la trasformazione del presente sulla base delle possibilità innescate dallo «spazio di esperienza». L’esperienza, tuttavia, non va intesa come ciò che è semplicemente accaduto, quanto piuttosto come un insieme di immaginari, delle alternative e possibilità sperate e mai compiutesi. La cittadinanza è un terreno teoretico fondato sulle esigenze e sulle aspettative dei giovani europei. Questa specifica intelligibilità dà un valore semantico al passato in cui la libertà di movimento e l’accesso ai diritti di cittadinanza è stato garantito, riportandolo nel presente in cui tali principi sono indeboliti. Alla crisi intesa come disequilibrio dal neoliberalismo può essere contrapposta la messa

in crisi di questa stessa concettualizzazione al fine di cambiare radicalmente il presente. Coloro che

soggettivamente stabiliscono un continuum tra passato e presente possono vedere nella crisi della cittadinanza un’opportunità per difenderla e per implementarla, dischiudendo un futuro altro scevro dalla promessa del progresso – che finora si è dimostrato, realmente, un «regresso».43 Il rapporto con il futuro è dunque invertito perché il tempo che verrà è un significante vuoto in attesa di essere sostanziato dall’immagine dell’esperienza vissuta. Una «generale mancanza di invidia di ogni presente per il proprio futuro»44 è l’attitudine che sta alla base della costellazione storica. Il

continuum, allora, è qualitativamente differente dal progresso insito nella concezione medica di

crisi.45 Concretamente, chi vive nella mobilità transnazionale e rivendica un’inclusione totale nei diritti di cittadinanza (civili, sociali e politici) sulla scia della sua libertà di movimento può farsi portatore della consapevolezza del continuum storico.

L’esperienza vissuta della cittadinanza europea irrompe nel presente e lo ferma, lo rende statico di contro al progresso o al rivolgimento apocalittico della storia. L’oggetto storico che si produce allude alla possibilità di salvezza della cittadinanza europea mettendone in crisi le limitazioni e

41 W. Benjamin, Sul concetto di storia, Einaudi, Torino, 1997.

42 Nella filosofia della storia benjaminiana si ha da una parte una critica radicale allo storicismo e al progresso in quanto impongono un continuum delle classi dominanti tendente ad un futuro teleologico, dall’altra la necessità di rottura con questa visione della storia per proporre un altro continuum alla luce della redenzione degli «antenati asserviti», del passato che costituisce una monade carica di tensioni con il presente.

43 Cfr. Bloch, Sul progresso, cit.

44 H.Lotze, Microcosmo. Idee sulla storia naturale e sulla storia dell’umanità. Saggio di antropologia, UTET, Torino, 1998, pag. 626 in W.Benjamin, op.cit., pag. 21.

45 «Il materialista storico non può rinunciare al concetto di un presente che non è passaggio, ma nel quale il tempo è in equilibrio ed è giunto ad un arresto» (cit. W. Benjamin, op.cit., pag. 51).

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redimendone le caratteristiche, disattese o realizzate. Secondo Benjamin ogni momento di crisi nasconde in sé la salvezza in opposizione alla catastrofe, che può avverarsi se viene lasciata andare l’«immagine fulminea»46 tra una significazione del passato in relazione alla situazione presente. La duplicità antitetica insita nella crisi avvicina quanto proposto da Benjamin ad un altro campo semantico della parola greca krisis, perché allude ad un’opzione che esclude radicalmente un’altra. La responsabilità dell’avverarsi della salvezza è affidata all’azione soggettiva e alla capacità di comprensione dell’immagine storica.

D’altra parte la catastrofe è ben raffigurata dalla figura dell’angelo nel dipinto di Klee Angelus

Novus descritto da Benjamin. 47 L’angelo è costretto a muoversi in avanti dalla pressione degli eventi tendenti al futuro, dipinti come una forte tempesta; di fronte a questi, però, ci sono soltanto macerie e rovine. La catastrofe è dunque imposta dal futuro che trascina forzosamente con sé i soggetti nel turbine del progresso, dell’inarrestabile flusso della storia che piega e rompe il presente ed il passato. In analogia con la descrizione benjaminiana possiamo collocare le concezioni della crisi entro le quali le politiche neoliberali stanno legittimando i loro interventi in merito alla cittadinanza europea.

La salvezza corrisponde al mantenimento della condizione di uguaglianza e della piena appartenenza ad una comunità che in parte garantisce l’Accordo di Schengen. Ma non solo: la richiesta di estensione dei diritti sociali e la facilitazione del diritto di residenza in Europa, al di là di quanto deciso dai sistemi giuridici nazionali, vanno ad aprire un’ulteriore possibilità per l’ampliamento della cittadinanza europea, la quale anche per come è stata concepita fin dalla fondazione dell’UE è risultata deficitaria sotto vari ambiti a causa del suo legame con la nazionalità. In questo senso la crisi, invece che invalidare i principi egualitari della cittadinanza, andrebbe ad arricchire lo status dei titolari di diritti al di là del momento della circolazione. Una cittadinanza realmente inclusiva ed universale in Europa dovrebbe, infatti, emanciparsi dal rapporto tra lavoro e diritti in maniera tale da superare le diseguaglianze di classe, ossia da fornire a tutti i cittadini la stessa appartenenza alla comunità essendo titolari dei medesimi diritti civili, politici e sociali non più differenziati dalla nazionalità. Soltanto tramite tali garanzie la libertà di movimento e le stesse possibilità per ogni cittadino potrebbero essere realmente valide. La crisi della cittadinanza europea diventa un’opportunità per ripensarla in dei termini che possono risolvere le problematicità del concetto marshalliano e dei sistemi giuridici vigenti.

46 W. Benjamin, op.cit., pag. 116, «Materiali dai Passagen-Werk». 47 Ivi, pag. 35.

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