• Non ci sono risultati.

Prove tecniche di paternalismo liberale: l'etichettatura dei prodotti alimentari dopo il regolamento (UE) n. 1169

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Prove tecniche di paternalismo liberale: l'etichettatura dei prodotti alimentari dopo il regolamento (UE) n. 1169"

Copied!
24
0
0

Testo completo

(1)

28 July 2021

Original Citation:

Prove tecniche di paternalismo liberale: l'etichettatura dei prodotti alimentari dopo il regolamento (UE) n. 1169

Terms of use:

Open Access

(Article begins on next page)

Anyone can freely access the full text of works made available as "Open Access". Works made available under a

Creative Commons license can be used according to the terms and conditions of said license. Use of all other works

requires consent of the right holder (author or publisher) if not exempted from copyright protection by the applicable law.

Availability:

This is the author's manuscript

(2)

Prove tecniche di paternalismo liberale: la trasparenza dell’etichettatura

dei prodotti alimentari dopo il regolamento UE n. 1169/2011

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La misura dell’informazione. – 3. La funzione dell’eti-chetta. – 4. Comprensibilità e leggibilità nel regolamento UE n. 1169/2011. – 5. Con-clusioni.

1. – La tensione verso la protezione del consumatore si realizza

attra-verso la rimozione di ostacoli e asimmetrie che impediscono al cittadino di

assumere decisioni informate e consapevoli. Non sempre, tuttavia, il

risul-tato delle valutazioni effettuate da un soggetto costituisce la sintesi delle

sue facoltà cognitive, poiché sovente la capacità di discernimento è

in-fluenzata da fattori esterni, quali il tipo di informazioni a disposizione, e da

fattori interni, quali le condizioni psicologiche della persona: che si tratti di

scegliere un investimento finanziario, una cura medica oppure un prodotto

alimentare, il cittadino del terzo millennio rischia di affondare in un mare

di regole, variabili e informazioni dove non è sempre dolce naufragare. Il

compimento di una scelta avviene attraverso un’operazione mentale che si

concretizza nel soppesare le variabili percepite dall’agente attraverso

l’ela-borazione dei dati posseduti. In tutte queste situazioni il ruolo

dell’infor-mazione e delle sue modalità di rappresentazione assume un’importanza

fondamentale nell’incidere sulle valutazioni dell’individuo. A seconda

del-la tipologia di bene le persone attuano approcci diversi ma le scelte

sotten-dono processi cognitivi omogenei, aventi ad oggetto il rapporto tra la

razio-nalità della persona, lo squilibrio informativo che in talune situazioni

af-fligge la sua posizione e la funzione regolatrice del diritto. Nel mercato

in-tegrato europeo il consumatore costituisce il soggetto economico la cui

azione è basata sulla sua supposta capacità di prendere decisioni

raziona-li (

1

), effettuando le proprie scelte in modo da massimizzare la funzione

d’utilità soggetta al vincolo di bilancio (

2

). L’intervento del decisore

pubbli-(1) Conlisk, Why Bounded Rationality, in J. Economic Literature, 1996, pp. 669-700. (2) La razionalità del consumatore prevede che un soggetto possa disporre di tutte le in-formazioni necessarie, del tempo per elaborarle e della capacità per farlo. Con la Teoria della Razionalità Limitata sono state messe in luce le concrete difficoltà di adottare un comporta-mento razionale, evidenziando come le strategie cognitive siano nella vita di tutti i giorni

(3)

co, finalizzato all’eliminazione delle asimmetrie (

3

), è invece basato

sull’as-sunto che le regole di informazione obbligatoria favoriscono la

concorren-za, rafforzando la libertà di scelta dei consumatori (

4

). Le teorie incentrate

sulla legittimità dell’intervento statale nel limitare l’autonomia individuale

per tutelare il bene della collettività presentano molti risvolti filosofici (

5

),

che si coagulano intorno alla formazione della volontà della persona e al

ti-po di danno causato (

6

).

Questo contributo si propone di analizzare la diversa intensità della

tu-tela decisa dal legislatore nei confronti del consumatore attraverso la

predi-sposizione di meccanismi che consentano di sopperire alla sua atavica

de-bolezza contrattuale (

7

). L’autonomia del consumatore è compressa nella

misura in cui ciò comporti un miglioramento della qualità delle sue

deci-sioni, che nel caso dei search goods (

8

) si può realizzare attraverso

un’archi-orientate al raggiungimento di scelte soddisfacenti Simon, Le scienze dell’artificiale, Bologna, 1981.

(3) Stiglitz, The Contribution of the Economics of Information to Twentieth Century Eco-nomics, in Quarterly J. Econ., 2000, pp. 1441-1478.

(4) Grundmann, Kerber, Weatherill, Party Autonomy and the Role of Information in the Internal Market – An overview, in Grundmann, Kerber, Weatherill (a cura di), Party Autonomy and the Role of Information in the Internal Market, Berlin, 2001, p. 3; Deakin, Con-tracts and Capabilities: An Evolutionary Perspective on the Autonomy-Paternalism Debate, in Oguse Van Boom (a cura di), Juxtaposing Autonomy and Paternalism in Private Law, Oxford-Portland, 2011, pp. 127-144.

(5) Per una definizione di paternalismo giuridico, senza pretesa di esaustività, si rimanda ai contributi di Dworking, Paternalism, in Sartorius (a cura di), Paternalism, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1983, p. 20; Gert e Culver, Paternalistic Behaviour, in Philo-sophy and Public Affairs, 1976, pp. 45-57; Alemany, El paternalismo jurídico, Madrid, 2006, p. 343 ss.

(6) Diciotti, Preferenze, autonomia e paternalismo, in Ragion pratica, 2005, p. 100 ss.; Feinberg,The Moral Limits of the Criminal Law. Harm to Others, New York, 1984, p. 31 ss.; Maniaci,Contro il paternalismo giuridico, in Materiali per una storia della cultura giuridica, XLI, 1, 2011, pp. 133-159.

(7) Darby, Karni, Free competition and the optimal amount of fraud, in J. Law Econ., 1973, pp. 67-88.

(8) Secondo Darby, Karni, Free competition and the optimal amount of fraud, cit., i beni vengono suddivisi in tre categorie che si differenziano in relazione alla conoscibilità delle loro qualità: i search goods sono valutabili con un’attenta ricerca prima dell’acquisto, mentre i c.d. experience goods sono conoscibili solo dopo averli provati, attraverso l’espe-rienza diretta: è il caso di una cena al ristorante o dell’acquisto di un’auto usata. I credence goodssono invece contraddistinti da una realizzazione progressiva, per cui la loro qualità è difficilmente percettibile nell’insieme delle sfaccettature: fra questi si possono annovera-re servizi bancari, finanziari, consulenze mediche e legali. Cfr. Banca d’Italia, Revisione della disciplina secondaria sulla trasparenza: relazione sull’analisi d’impatto, luglio 2009,

(4)

tettura delle scelte non coercitiva (

9

): si tratta della dottrina affermatasi con

il nome di paternalismo libertario (

10

), secondo la quale gli individui sono

ti-tolari delle stesse opzioni, presentate tuttavia in modo tale da favorire “la

scelta giusta” (

11

). Dopo aver tratteggiato il ruolo dell’informazione nel

pro-cesso decisionale di un acquirente di diversi tipi di beni, mi concentrerò

sull’analisi della modalità di rappresentazione delle informazioni

nell’etichet-tatura dei prodotti alimentari, così come previsto dal regolamento UE n. 1169/

2011 (

12

).

2. – La composizione degli interessi economici dei professionisti e di

quelli dei consumatori richiede che la “giustizia del mercato” (

13

) sia

affida-ta a regole in grado di produrre un ordine tipico e uniforme (

14

), nel quale

an-naffiare quei diritti fondamentali che il Codice del Consumo proclama e

at-www.bancaditalia.it. L’analisi di queste tre categorie è felicemente sintetizzata da Natoli, Il contratto “adeguato”. La protezione del cliente nei servizi di credito, di investimento e di as-sicurazione, Milano, 2012, pp. 50-85.

(9) Thaler, Sunstein, Balz, Choice architecture, 2 aprile 2010, consultabile al seguente indirizzo: ssrn.com/abstract=1583509.

(10) Il paternalismo libertario è un’espressione che costituisce un efficace ossimoro: pa-ternalistico è ciò che rivendica il diritto di modificare l’architettura della scelta qualora si di-mostri che questo possa migliorare la qualità delle decisioni, mentre libertario richiama alla mente l’idea di qualcosa che lascia agli individui esattamente lo stesso tipo di opzioni che per-mettono loro di esercitare una scelta a tutti gli effetti. Cfr. Thaler, Sunstein, Nudge, impro-ving decisions about health, wealth and happiness, New Haven, 2008, trad. it. di Oliveri, Nud-ge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, feli-cità, Milano, 2009. La strategia teorizzata dagli Autori si basa sui diversi modi di presentare un’informazione che, così offerta, è in grado di determinare una scelta. I pungoli (nudges) adottati dai poteri pubblici sono finalizzati al conseguimento di risultati ritenuti più favorevo-li per la collettività.

(11) In realtà ogni regola contiene una dose di paternalismo, nella misura in cui attraver-so diversi strumenti (dagli incentivi al comando controllo) impone una modifica organizzati-va o di comportamenti, che presuppone una scelta (a monte) della preferibilità di un modello rispetto ad un altro. Cfr. Ragnone, Errori cognitivi e scelte di regolazione, in Analisi giuridica dell’economia, 2012, pp. 7-18.

(12) Regolamento UE n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 otto-bre 2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti CE/1924/2006 e CE/1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/49/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CEE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento 608/ 2004/CE della commissione, in GUCE, 22 novembre 2011, L 304.

(13) Oppo, Impresa e mercato, in Riv. dir. civ., 2002, p. 421 ss.

(5)

tribuisce, da un certo punto di vista pleonasticamente (

15

), allo status di

con-sumatore (

16

).

Nel perseguire la ricerca « dello sviluppo armonioso delle attività

economiche nell’insieme delle Comunità » (

17

), il legislatore ha pertanto

optato per un’estensione della tutela a favore di chi è deputato a subire

gli effetti negativi dell’asimmetria contrattuale (

18

). La genesi del diritto

dei consumatori costituisce in questo senso un caso di contrazione

del-l’autonomia privata (

19

), che tradizionalmente è limitata solo dai diritti

nazionali (

20

), da alcune clausole generali (

21

) e dalle norme di politica

economica (

22

).

Le regole di Bruxelles vincolano infatti l’azione del professionista in

un duplice momento: quello produttivo, riguardante la sua condotta

eco-nomica, rappresentato dalla disciplina della concorrenza, e quello dello

scambio, che inerisce alla sua responsabilità, alla pubblicità

ingannevo-(15) L’aggettivo utilizzato vuol richiamare l’attenzione del lettore sull’erosione della de-mocrazia ad opera delle esigenze del mercato: « l’identificazione della categoria dei “consuma-tori e utenti” come titolare di diritti fondamentali è la proiezione sul piano soggettivo della af-fermazione del mercato come ambito privilegiato dell’analisi e dell’organizzazione sociale ». Cfr. R. Bin, I diritti di chi non consuma, Relazione al Convegno Diritti dell’individuo e diritti del consumatore, Milano, 14 dicembre 2007, accessibile al link www.forumcostituzionale.it.

(16) Si tratta dei diritti di tutela della salute, alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi, ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità, all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; all’educazione al consumo; alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali; alla promozione e allo sviluppo dell’associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti; all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza. Cfr. art. 2.2, c.cons.

(17) Cfr. art. 2 del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, Roma, 25 mar-zo 1957.

(18) Roppo, Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico?, in Corriere giur., 2009, p. 267 ss.

(19) Caterina, Architettura delle scelte e tutela del consumatore, in Consumatore, diritti e mercato, 2012, pp. 73-80. L’Autore prende a esempio la disciplina del recesso, che consente al consumatore di pentirsi da decisioni prese impulsivamente e le clausole oggetto di trattativa individuale che, pur vessatorie, sono ammesse poiché si presume debbano risvegliare l’atten-zione del consumatore.

(20) I diritti nazionali limitano l’autonomia privata non in nome del mercato, ma della tutela di speciali stati di debolezza e di affievolimento della capacità giuridica. Cfr. sul punto Jannarelli, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consuma-tori, in Lipari (a cura di), Diritto privato europeo, 1996, p. 493 ss.

(21) È il caso del buon costume, e, per certi versi, della buona fede.

(22) Cfr. Kötz, Europaïsches Vertragsrecht, 1, Abschluß, Gültigkeit und Inhalt des Vertra-ges – die Beteiligung Dritte ram Vertrag, Tübingen, 1996, pp. 189-209.

(6)

le (

23

), alla comunicazione linguistica e simbolica (

24

). Il consumatore attua

infatti la sua scelta elaborando nozioni e stimoli recepiti dall’esterno e, così

facendo, opera una selezione tra più alternative: il suo comportamento

d’acquisto muta pertanto a seconda delle informazioni che possiede.

In questo contesto la trasparenza dell’informazione assolve il compito

fondamentale di garantirne chiarezza e verità (

25

), di renderla cioè

fruibi-le (

26

): anche da ciò scaturisce il corretto funzionamento del mercato (

27

).

In Europa, il cammino verso l’affermazione del diritto ad

un’informa-zione piena e trasparente inizia nel 1975, quando la Commissione presenta

un programma d’azione (

28

), individuando nel diritto alla tutela della salute

e della sicurezza, alla tutela degli interessi economici, in quello al

risarci-mento dei danni, all’informazione e all’educazione, e nel diritto di

rappre-sentanza, le cinque categorie di diritti fondamentali destinati a costituire il

bill of rights

dei consumatori (

29

).

(23) Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento CE n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio. La disciplina dettata da questa direttiva, nella parte in cui regola le pratiche commerciali scorrette fra imprese e consumatori, è stata recepita in Italia con il d.lgs. 2 agosto 2007, n. 146, e confluita negli artt. 20-26 c.cons. La normativa non considera ingan-nevoli solo le informazioni false, ma anche quelle atte a determinare una decisione commer-ciale che il consumatore medio non avrebbe preso in assenza di tale informazione. In argo-mento, Genovese, La normativa sulle pratiche commerciali scorrette, in Giur. comm., 2008, p. 762 ss.; Aa.Vv., Le pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori. La direttiva 2005/29/ CE e il diritto italiano, Torino, 2007.

(24) Carmignani, La tutela del consumatore tra comunicazione e informazione, in Germa-nòe Rook Basile (a cura di), Il diritto alimentare tra comunicazione e sicurezza dei prodotti, Torino, 2005, p. 159 ss.

(25) La chiarezza implica che ciò che si dice venga esposto in maniera non equivoca, in-suscettibile cioè di dare adito a interpretazioni o letture plurime. La verità implica che l’infor-mazione costituisca la rappresentazione di un dato o di un fatto reale.

(26) La parola trasparenza deriva dal latino transparere (trans, attraverso e parere essere visibile), mostrarsi alla vista attraverso un corpo diafano, suggerendo l’idea fisica di penetra-bilità, che per metonimia è associata al poter cogliere il vero significato di una cosa. Il termine “trasparenza” è spesso usato « in modo quasi irriflesso, naturale, senza una precisa indicazio-ne del suo significato e senza una precisa individuazioindicazio-ne del suo ruolo ». Sono parole di Al-pa, Quando il segno diventa comando: la trasparenza dei contratti bancari, assicurativi e dell’in-termediazione finanziaria, in Giur. it., 1992, IV, c. 486.

(27) Grundmann, L’autonomia privata nel mercato interno: le regole d’informazione come strumento, in Diritto europeo, pp. 257-304.

(28) GUCE, C 92, 25 aprile 1975.

(7)

Con il Trattato di Maastricht (

30

) termina la fase dedicata al

consolida-mento del mercato interno e inizia quella in cui la legislazione comunitaria

si orienta verso una maggiore attenzione nei riguardi del consumatore in

quanto persona; è tuttavia con il Trattato di Amsterdam (

31

) che la

prote-zione dei diritti e degli interessi dei consumatori è individuata come uno

degli obiettivi immediati dell’Unione (

32

).

L’obbligo per le imprese « di comunicare tutte le informazioni

perti-nenti ai consumatori in modo chiaro e rapido » costituisce l’obiettivo del

Libro Verde sulla tutela dei consumatori nell’Unione europea (

33

), seguito

dalla Comunicazione sulla strategia della politica dei consumatori

2002-2006 (

34

), dove l’autonomia effettiva delle scelte di consumo è messa in

stretto rapporto con la fruizione da parte del pubblico di informazioni e

da-ti facilmente accessibili (

35

).

Il consumatore è riconosciuto titolare del diritto di ricevere non solo

“comunicazioni”, ma anche “informazioni”, attraverso le quali può

sceglie-re un prodotto in maniera cosciente: ciò gli permette di non cadesceglie-re in

erro-re riguardo alla qualità del bene desiderato, riuscendo così a decodificaerro-re i

messaggi e i segni che lo distinguono (

36

). Questa operazione è delicata

per-ché, al momento di concludere il contratto, il consumatore prende in

con-siderazione solo alcuni attributi del prodotto, generalmente considerati più

(30) Trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 in GUCE, C 191, 29 luglio 1992.

(31) Cfr. art. 153 del Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997, in GUCE, C 340, 10 novembre 1997.

(32) Puoti, L’etichettatura dei prodotti agro-alimentari: aspetti problematici, in Dir. com. scambi int., 2004, p. 615 ss.

(33) Libro Verde sulla tutela dei consumatori nell’Unione europea del 2 ottobre 2001, COM(2001) 531 def.

(34) COM(2002) 208 def.

(35) In un mercato imperfetto, dove il consumatore non è messo in condizioni di nego-ziare il contenuto del contratto al momento della sua formazione, l’attenzione del diritto si è focalizzata più sul controllo delle clausole che sul principio di trasparenza, che finisce per co-stituire un elemento di protezione post-contrattuale: cfr. Ferrante, Contractual Disclosure and Remediesunder the Unfair Contract Terms Directive, in Howells, Janssen, Schulze (a cu-ra di), Information Rights andObligations, London, 2005, p. 115 ss.

(36) Per quanto riguarda la comunicazione simbolica, essa assomma in sé i profili di li-bertà generale di espressione dell’imprenditore, che afferma socialmente il proprio marchio come segno comunicativo ed indice di una libera espressione creativa, e di libertà economica, che trova un limite nel rispetto del consumatore-individuo. La marca di un prodotto rappre-senta il legame di fiducia che si instaura tra l’impresa e l’acquirente ed è alla base delle teorie sull’oscillazione dei comportamenti di consumo. Cfr. Olivero e Vaccani, Ambivalenza di fi-ducia e instabilità di consumo, in Giornale Italiano di Psicologia, 4, pp. 921-940.

(8)

rilevanti, a causa della difficoltà di processare numerose nozioni (

37

). Le sue

limitate risorse cognitive comportano infatti scelte che danno origine a

so-luzioni sovente non ottimali, in termini di razionale ponderazione degli

ele-menti gnoseologici a disposizione (

38

): contare su troppe informazioni

equi-varrebbe da questo punto di vista ad averne poche (

39

). La realtà appena

de-scritta è ben conosciuta dal professionista, che sovente attua una condotta

finalizzata ad approfittare delle disattenzioni e delle emotività dei

consuma-tori (

40

). Le limitazioni cognitive degli individui vengono infatti sfruttate in

modo diverso a seconda che si tratti di search goods o di credence goods (

41

).

Per quanto riguarda questi ultimi, un esempio calzante è costituito

dalle operazioni di beni complessi come i prodotti finanziari, beni

incen-trati cioè sullo scambio di denaro e caratterizzatati da una fruibilità differita

nel tempo (

42

). Generalmente chi compra questi prodotti non è in grado di

comprendere tutte le variabili che governano le sorti della prestazione

do-vuta, poiché l’oggetto del contratto si trova a coincidere con il suo

regola-mento (

43

), che in questo caso è legato a variabili di difficile previsione (

44

).

Recenti studi hanno poi dimostrato come l’overconfidence, cioè la tendenza

degli individui a sovrastimare le proprie capacità, vari da cultura a

cultu-ra (

45

), rendendo necessari interventi di ingegneria sociale che tengano

(37) Caterina, Psicologia della decisione e tutela del consumatore, in Consumatori, Diritti e Mercato, 2012, pp. 67-84.

(38) Kahneman, Preface, in Kanheman e Tversky, Choices, values, and frames, Cambri-dge, 2000.

(39) Miller, The Magical Number Seven Plus or Minus Two: Some Limits to our Capacity of Processing Information, in Psichology Review, 1956, p. 81; Rescigno, “Trasparenza” bancaria e diritto “comune” dei contratti, in Banca, borsa, tit. cred., 1990, I, p. 297: « la clientela, dall’infit-tirsi delle prescrizioni formali, rischia di vedere insterilita la tutela in un defatigante ‘rituale’ di firme a ripetizione, di sottoscrizioni moltiplicate e continue @...#, dove la forma non sempre riesce a compensare la scarsa pubblicità o l’ignoranza, e perciò da sola non basta a promuove-re un consenso informato e cosciente ».

(40) Caterina, Architettura delle scelte e tutela del consumatore, cit. (41) Darby, Karni, Free competition and the optimal amount of fraud, cit.

(42) Natoli, La protezione del cliente finanziariamente analfabeta tra irrazionalità del mer-cato e paternalismo liberale, in Queirolo, Benedetti, Carpaneto (a cura di), La tutela dei soggetti deboli tra diritto internazionale, dell’Unione europea e diritto interno, Aracne, 2012, pp. 163-184.

(43) Ferro Luzzi, Attività e prodotti “finanziari”, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 134 ss. (44) Gli strumenti finanziari “derivati” ricavano il proprio nome dalla principale caratte-ristica che li contraddistingue, ovvero l’evidenza che il prezzo di tali titoli “deriva” dal valore di mercato di un’altra attività di riferimento che prende il nome di “attività sottostante” (un-derlying).

(9)

Si-conto delle propensioni cognitive e comportamentali dei suoi

destinata-ri (

46

).

In ragione dell’importanza della materia e del suo tecnicismo (

47

), il

legislatore ha superato la distinzione tra professionista e consumatore,

suddividendo la clientela in clienti al dettaglio, clienti professionali e

controparti qualificate (

48

), sulla base del fatto che spesso « i contratti

so-no così complessi che neppure il consumatore assai istruito, avveduto e

consapevole li può padroneggiare » (

49

), riconoscendo di fatto

all’infor-mazione un valore “qualitativo” (

50

). Nelle operazioni finanziarie infatti

si richiede ad un creditore di reperire dati attraverso indagini

obiettiva-mente impegnative e di essere in grado di processare informazioni

setto-riali, come sono quelle relative ai beni di risparmio (

51

). Per il

consuma-tore medio (

52

) non è tuttavia sufficiente disporre di elementi completi

per assumere decisioni informate (

53

): l’overdose informativa (

54

) che

af-milarities in Attitudes towards Perceived Risk, in Management Science, 44, pp. 1205-1217. Altri studi hanno dimostrato che la percezione della realtà avviene non per come è ma per come si vorrebbe che fosse, poiché gli individui tendono ad ordinare le informazioni secondo un fil-tro cognitivo che conferma i propri punti di vista. Cfr. Kunda, The case for motivated reaso-ning, in Psychological Bulletin, 108, pp. 480-498.

(46) Caterina, Un approccio cognitivo alla diversità culturale, in Caterina (a cura di), I fondamenti cognitivi del diritto, Milano, 2008, pp. 205-219. Le incapacità valutative in dimen-sione diacronica sono evidenziate da Laibson, Golden eggs and hyperbolic discounting, in Quartely J. Econ., 1997, p. 442 ss.; sulla tendenza degli individui a rappresentarsi un beneficio maggiore sottovalutando il rischio futuro cfr. Weinstein, Unrealistic optimism about future li-fe events, in Journal of Personality and Social Psichology, 1980, p. 806 ss.

(47) Cucchiani, Le garanzie per l’assicurato e la trasparenza, in Scarioni (a cura di), L’as-sicurazione e l’etica del business, Milano, 2004, p. 39. Le difficoltà di interpretazione multilin-gue del linguaggio finanziario sono state analizzate da Monti, Cutting Across Linguistic and Re-gulatory Divides: on Covered Credit Default Swaps and Insurance, in Uniform L. Rev., 2012, p. 425. (48) Chionna, L’accertamento della natura di “operatore qualificato” del mercato rispetto ad una società, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, p. 38 ss.

(49) Genovese, Il contrasto delle pratiche commerciali scorrette nel settore bancario. Gli in-terventi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Meli e Marano (a cura di), La tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette nei mercati del credito e delle assicurazioni, Torino, 2011, p. 201.

(50) Cass., 25 giugno 2008, n. 17340 in Mass. Giust. civ., 2008, p. 1026; App. Milano, 28 febbraio 2011, in Banca borsa, tit. cred., 2012, II, p. 327, con nota di Accettella; Cass., 29 otto-bre 2010, n. 22147, in Mass. Giust. civ., 2010, p. 1386.

(51) Ferro Luzzi, Attività e prodotti “finanziari”, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 134. (52) Poncibò, Il consumatore medio, in questa rivista, 2007, pp. 734-757.

(53) Stuyck, Terryn, Van dyck, Confidence Through Fairness? The new directive on un-fair business-to – consumer commercial practices in the internal market, in Comm. Market L. Rev., 2000, pp. 107-152.

(10)

fligge gli attori economici non sofisticati si traduce così nella coattiva

differenziazione delle condotte richieste agli intermediari finanziari, che

non possono sfruttare i deficit cognitivi delle loro controparti (

55

). A

se-conda della maggiore o minore alfabetizzazione finanziaria del cliente

che stipula un contratto che ricada nel campo di applicazione delle

diret-tive 2004/39/CE (MiFID I livello) e 2006/73/CE (MiFID II livello) (

56

), il

regolamento Consob n. 16190/07 (

57

) pone in capo agli intermediari il

dovere di assumere le informazioni che i clienti sono tenuti a fornire,

prevedendo una differenziazione della protezione di questi ultimi a

se-conda della categoria di investitori cui rientrano (

58

).

(54) Da Empoli, Overdose, Le società dell’informazione eccessiva, Marsilio, 2002. La diffi-coltà insita nell’orientarsi fra molte alternative caratterizza anche ambienti più comuni, come i supermercati, dove la sottile differenziazione dei prodotti richiede al consumatore un’anali-si dettagliata e molto costosa in termini di tempo. Cfr. Olivero, Il consumo nei nuovi ambienti di comunicazione elettronica, in Micro & Macro Marketing, 1999, pp. 129-158.

(55) Marini, Distribuzione e identità nel diritto dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 2010, p. 63 ss. Sui criteri di attribuzione della responsabilità da mancata informazione nei rapporti contraddistinti da un legame di fiducia, cfr. Vandenberghe, The Role of information Deficien-cies in Contract Enforcement, in Ogus e Van Boom (a cura di), Juxtaposing Autonomy and Pa-ternalism in Private Law, cit.

(56) Direttiva 2004/39/CE del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanzia-ri, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio (c.d. MiFID I livello) del Parlamento europeo e del Consiglio; direttiva 2006/73/CE della Commissione, del 10 agosto 2006, recante modalità di esecuzione della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i requisiti di organizzazione e le condizioni di esercizio dell’attività delle imprese di investimento e le definizioni di taluni ter-mini ai fini di tale direttiva (c.d. MiFID II livello).

(57) Regolamento recante norme di attuazione del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 in mate-ria di intermediari, adottato dalla Consob con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007 e succes-sivamente modificato con delibere n. 16736 del 18 dicembre 2008, n. 17581 del 3 dicembre 2010 e n. 18210 del 9 maggio 2012.

(58) Sugli intermediari grava l’obbligo di ottenere le informazioni dal cliente (art. 39), in modo da valutarne l’adeguatezza con l’operazione realizzata nell’ambito della gestione del suo portafoglio o di investimenti. Inoltre, nei contratti relativi alla prestazione di servizi di in-vestimento su strumenti finanziari complessi, al cliente è richiesto di fornire informazioni in merito alla sua conoscenza e esperienza nel settore d’investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio proposto, al fine di valutarne l’appropriatezza (artt. 41 e 42), mentre per quanto riguarda gli atti di mera esecuzione o ricezione di ordini su strumenti finanziari non complessi (artt. 43 e 44) l’impresa di investimento deve nel primo caso informare chiara-mente il cliente che, nel prestare tale servizio, l’intermediario non è tenuto a valutarne l’ap-propriatezza e che pertanto l’investitore non beneficia della protezione offerta dalle relative disposizioni, e nel secondo caso renderepubblicamente disponibili informazioni

(11)

sufficiente-L’inversione dell’onere di elaborare l’informazione grava così sugli

in-termediari finanziari e/o assicurativi (

59

), che devono possedere la

professio-nalità necessaria ad assistere il cliente nell’individuazione della prestazione

a lui più confacente. La sua libertà di scelta in questo caso viene tutelata

at-traverso la neutralizzazione del sovraccarico di informazioni, idoneo a

disto-gliere l’individuo dalla scelta che realmente vorrebbe fare (

60

). L’intervento

paternalistico, che in questo campo avrebbe potuto essere più incisivo (

61

),

non costituisce certo la panacea di tutti i mali originati dal formalismo

infor-mativo (

62

) ma realizza, attraverso l’introduzione del principio

dell’adegua-tezza (

63

), un “consenso informato e cosciente” (

64

). Questa locuzione

richia-ma alla mente un altro esempio di paternalismo superato attraverso la

mo-mente complete e di agevole comprensione sulle caratteristiche dello strumento, in modo ta-le che il cliente al dettaglio medio possa prendere una decisione informata in merito alla rea-lizzazione o meno di un’operazione.

(59) Una recente giurisprudenza ha esteso il campo degli obblighi informativi ai contratti di assicurazione, i quali, in base ad un’indagine sulla causa concreta, abbiano una prevalente finalità di risparmio. Il giudice, per stabilire se la polizza vada assimilata ad un prodotto assi-curativo oppure ad uno finanziario (con i conseguenti obblighi di comportamento che ne de-rivano a carico dell’emittente, dell’intermediario e del promotore nella fase antecedente alla stipula), ha utilizzato l’elemento rischio, la sua allocazione a carico dell’una e dell’altra parte e la sua rilevanza causale: « nel contratto d’assicurazione sulla vita l’elemento del rischio è in-fatti assunto dall’assicuratore, il cui margine di profitto è direttamente proporzionale alla fra-zione di tempo intercorrente tra la stipula del contratto e l’evento della vita in esso dedotto; nello strumento finanziario, invece, il rischio concernente la performance del prodotto è a c a-rico dell’investitore e non dipende dal fattore tempo, bensì dalle dinamiche dei mercati mo-biliari, dal rendimento del titolo e dalla solvibilità dell’emittente ». Cfr. Cass., 18 aprile 2012, n. 6061. Nello stesso senso, Trib. Mantova, 26 giugno 2012.

(60) L’assimilazione allo strumento finanziario consente l’estensione al contraente la polizza assicurativa degli obblighi informativi posti a tutela dell’investitore mobiliare, e dei ri-medi in caso di inadempimento anche in fase precontrattuale. Cfr. De Poli, Trasparenza as-sicurativa e nota informativa nel nuovo codice delle assicurazioni, in Riv. dir. civ., 2008, pp. 17-38. Sulle applicazioni del paternalismo libertario riguardo la stipula di contratti di assicura-zione cfr. Schwarcz, Regulating Consumer Demand in Insurance Markets, in Ogus e Van Boom(a cura di), Juxtaposing Autonomy and Paternalism in Private Law, cit.

(61) Un rilievo sui limiti della scelta del legislatore di gravare le imprese di costose pre-stazioni informative senza poi sottoporle a un rigoroso controllo ad opera di un’autorità esterna è effettuato da M. Bin,La trasparenza dei “prodotti” emesse dalle imprese di assicura-zioni tra principi generali e nuovo regolamento ISVAP, in Assic., 2010, p. 611.

(62) Piccinini, La trasparenza nella distribuzione di strumenti finanziari derivati e il proble-ma dell’efficacia delle regole inforproble-mative, in Contr. e impr., 2010, p. 537.

(63) Sangiovanni, L’informazione precontrattuale degli intermediari assicurativi, in Contr. e impr., 2010, p. 139 ss.

(12)

dulazione delle informazioni sulle specificità della persona: si tratta del

con-senso informato ai trattamenti sanitari (

65

) che, pur non essendo fonte di

ob-bligazione ai sensi dell’art. 1372 c.c. (

66

), « è da considerarsi tra i principi

fon-damentali in materia di tutela della salute » (

67

).

Nel rapporto medico-paziente (

68

), l’informazione fornita dal sanitario

deve tenere in considerazione lo stato emotivo del paziente e ispirarsi alla

chiarezza ed alla essenzialità dei contenuti, in modo da adattare le nozioni

scientifiche al livello intellettuale e culturale di chi si sta sottoponendo al

trattamento terapeutico (

69

). Anche in questo caso « un’informazione

for-nita in modo non pienamente comprensibile @...# non assolve alla sua

fun-zione ed equivale ad una non informafun-zione » (

70

): e l’informazione è la

ba-se dell’autodeterminazione, come ha sottolineato anche la Corte Europea

dei Diritti dell’Uomo (

71

).

(65) Beauchamp e Childress,Principi di etica biomedica, Firenze, 2009.

(66) Si tratta invero del presupposto al trattamento medico che deve permanere per tutta la durata della cura come legittimazione della stessa. Il principio è formulato all’art. 5 della Convenzione di Oviedo.

(67) Corte cost., 23 dicembre 2008, n. 438, in Giornale dir. amm., 2009, p. 57.

(68) In campo medico, l’informazione è presupposto di validità del consenso del paziente, poiché il soggetto, per prendere una decisione, ha bisogno di ottenere dal medico le informazio-ni necessarie a comprendere pienamente la propria situazione cliinformazio-nica. La volontà espressa da un individuo non informato non può infatti considerarsi valido. In questo caso, « l’informazione è finalizzata non a colmare l’inevitabile differenza di conoscenze tecniche tra il medico ed il pazien-te, ma a porre quest’ultimo nella condizione di esercitare correttamente i suoi diritti e, quindi, di formarsi una volontà che sia effettivamente tale ». Facci, Il dovere di informazione del sanitario, in Nuova giur. civ., 2006, p. 622. La disciplina del consenso affonda le sue radici nella consapevo-lezza richiesta a chi si sottoponeva a interventi di chirurgia estetica, in modo che potesse ponde-rare i pro e i contro di un intervento terapeutico che, in quanto tale, comporta dei rischi (Cass., 8 agosto 1985, n. 4394, in Foro it., 1986, I, c. 122). L’asimmetria informativa tra le conoscenze spe-cialistiche del medico e il paziente viene colmata attraverso un’informazione che deve essere più esaustiva a seconda del coefficiente di rischio dell’intervento (cfr. Cass., 2 luglio 2004, n. 14638, in Giur. it., 2005, p. 1395; in senso analogo Cass., 15 gennaio 1997, n. 364; Trib. Milano, 4 marzo 2008, in La resp. civ., 2009, p. 75; Cass., 12 giugno 1982, n. 3604, in Rep. Foro it., 1983, c. 54; App. Bologna, 21 novembre 1996; Cass., 23 maggio 2001, n. 7027, in Danno e resp., 2001, p. 1165; Trib. Milano, 25 febbraio 2005, in Danno e resp., 2006, p. 69), e consiste in un rapporto dinamico e per-sonalizzato (cfr. art. 33, Cod. Deontologia medica del 16 dicembre 2006).

(69) Cfr. Guerra, Consenso informato: tutela del diritto alla salute o della libertà di scel-ta?, in Danno e resp., 2005.

(70) Trib. Venezia, 4 ottobre 2004, in Danno e resp., 2005, p. 863. A questo proposito, i moduli del consenso informato devono assolvere la funzione di spiegare i rischi connessi al-l’attività terapeutica, veicolando un contenuto comprensibile e personalizzato Trib. Milano, 25 febbraio 2005, cit.

(13)

fon-Il definitivo superamento della visione paternalistica (

72

) avviene negli

anni Novanta, quando il codice di deontologia medica cessa di considerare

la salute come assenza di malattia e ne avalla un’accezione più ampia,

lega-ta al benessere psicofisico della persona (

73

). L’evoluzione dei codici di

deontologia costituisce lo specchio dell’evoluzione del valore

dell’infor-mazione qualificata e della partecipazione del singolo alle decisioni che lo

riguardano (

74

).

3. – In materia di alimenti, la riorganizzazione della legislazione

vigen-te e l’emanazione di nuove norme è stata programmata dal Libro Bianco

sulla sicurezza alimentare del 12 gennaio 2000 (

75

), che ha successivamente

condotto all’adozione del regolamento CE n. 178/2002 (

76

): il

consumato-re, in riferimento ad un’alimentazione sana e sicura, è destinatario di

rego-le di protezione anche contro l’induzione in errore (art. 8, rego-lettera c),

aggiun-gendo al diritto alla salute quello di non essere ingannato (art. 8 lettere a e

b

), sulla scia di direttive generali come quelle relative alle clausole abusive

(93/13/CE) (

77

), alla pubblicità ingannevole (2005/29/CE) e alla vendita di

te integratrice del parametro di costituzionalità delle disposizioni CEDU nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, cfr. Corte cost., sentenze 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349.

(72) Busnelli, Codice di deontologia medica, in Bioetica e dir. priv., Torino, 2001, p. 234 ss. (73) « La versione del codice del 1998 non indica più il fruitore del servizio come “pa-ziente”, bensì come persona e come cittadino, a significare il superamento di una asimmetria di poteri tra chi decide, sia pur per il bene del paziente, e chi è soggetto alla decisione altrui »: cfr. Ferrando, Diritto alla salute e autodeterminazione tra diritto europeo e costituzione, in Po-litica del diritto, 2012.

(74) Il codice del 1995 intendeva la salute nell’accezione biologica più ampia del termine, come condizione di assenza di malattia. Il codice del 1998 sposta il baricentro verso la dimen-sione psicofisica della salute e considera il consenso come un mezzo di imprescindibile ade-sione alla terapia proposta dal sanitario, mentre nel codice del 2006 il consenso diventa il fon-damento dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente, che vede nell’effettiva partecipazio-ne del secondo la legittimaziopartecipazio-ne dell’aziopartecipazio-ne del primo.

(75) COM(1999) 719 def.

(76) Il regolamento sottolinea la necessità che vengano adottate « disposizioni atte a ga-rantire che gli alimenti a rischio siano immessi sul mercato e a predisporre meccanismi per individuare i problemi di sicurezza degli alimenti e reagire ad essi, onde permettere l’adegua-to funzionamenl’adegua-to del mercal’adegua-to interno e tutelare la salute umana » (10° considerando), non-ché la rintracciabilità dei prodotti, dato che « l’impossibilità di ricostruire il percorso compiu-to da alimenti e mangimi può mettere in pericolo il funzionamencompiu-to del mercacompiu-to interno di tali prodotti » (28° considerando). Il sesto considerando della direttiva 79/112/CE si riferisce alla necessità di informare e tutelare i consumatori.

(77) Direttiva del 5 aprile 1993 del Consiglio concernente le clausole abusive nei contrat-ti scontrat-tipulacontrat-ti con i consumatori, in GUCE, L95, 21 aprile 1993, pp. 29-34.

(14)

beni di consumo (99/44/CE) (

78

). Sicurezza e informazione sono i principi

che in primo luogo influenzano il diritto alimentare e che,

cronologica-mente, porteranno alla progressiva affermazione del requisito della

traspa-renza e del conseguente dovere di comunicare le informazioni rilevanti per

il contratto (

79

), dando origine a una tendenza generale che pervade molte

discipline (

80

).

Nella società globalizzata, in cui lo scambio di beni non presuppone

più un’interazione linguistica, l’etichetta riveste un ruolo importante: dalla

bottega dove si negoziava si è passati all’ipermercato dove si sceglie, in cui

l’homo videns prende il posto dell’homo loquens (

81

). A differenza dei

mer-cati finanziari, negli esercizi commerciali il negozio si attua attraverso la

scelta fisica di una cosa rispetto ad un’altra (

82

). È pertanto evidente

l’im-portanza della presentazione di un prodotto, costantemente in equilibrio

tra la strategie pubblicitarie, studi di marketing e adempimenti legislativi.

Infatti, una caratteristica delle abitudini dei consumatori è quella di

mo-strare notevoli resistenze all’adozione di nuove versioni di un prodotto,

an-che se qualitativamente migliori. La marca e l’immagine garantiscono

so-vente la stabilità delle scelte del consumatore, pur in presenza di modifiche

sostanziali del bene, che tendono a non essere percepite (

83

). Nella Grande

Distribuzione Organizzata (GDO) (

84

) è il prodotto stesso a spiegarsi

all’ac-(78) Direttiva del 25 maggio 1999 del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni aspet-ti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo, in GUCE, L 171, 7 luglio 1999.

(79) Cfr. cap. II 3:101 del Draft Common Frame of Reference (2009): « Before the conclusion of a contract for the supply of goods, other assets of services by a business to another person, the business has a duty to disclose to the other person such information concerning the goods, other assets or services to be supplied as the other person can reasonably expect, taking into account the standards of quality and performance which would be normal under the circum-stances ». Per una rassegna critica sullo sviluppo della comunicazione di informazioni rilevan-ti ai consumatori cfr. Bar-Gill e Ferrari, Informing Consumer about Themselves, in Ogus e Van Boom(a cura di), Juxtaposing Autonomy and Paternalism in Private Law, cit.

(80) Di consenso informato parla anche Pietro Rescigno, nell’auspicare una sempre maggiore espansione del principio di trasparenza e dei correlati obblighi d’informazione, ci-tato da M. Bin,La trasparenza dei “prodotti” emesse dalle imprese di assicurazioni tra principi generali e nuovo regolamento ISVAP, in Assicurazioni, 2010, p. 611 ss.

(81) Irti, Norma e luoghi: problema di geo-diritto, Roma-Bari, 2001, p. 103 ss.

(82) Rook Basile, Prodotti agricoli, mercato di massa e comunicazione simbolica, in Dir. giur. agr. e amb., 1995, p. 138.

(83) Si tratta del fenomeno della generalizzazione, che si concretizza nel fatto che più gli stimoli sono simili più lo sono anche le risposte, meno lo sono le risposte più variegate saran-no anche le scelte dei consumatori. Fabris, Il comportamento del consumatore, Psicologia e so-ciologia dei consumi, Milano, 1970.

(15)

quirente, e questo dialogo muto è espresso dall’etichetta: in presenza della

denominazione “puro”, associata a un tipo di cioccolato contenente grassi

vegetali diversi dal burro di cacao, la Corte di giustizia ha infatti ritenuto

l’etichetta neutra e obiettiva, idonea a salvaguardare l’informazione dei

consumatori (

85

). Lo scambio, apparentemente “senza accordo” (

86

), è

at-tuato attraverso un linguaggio simbolico (

87

), rappresentato anche dal

mar-chio, che oltre a essere un bene aziendale, costituisce un messaggio in

gra-do di comunicare l’origine del progra-dotto (

88

). La silenziosa interazione tra

prodotto e consumatore avviene tuttavia attraverso l’etichetta (

89

), la cui

funzione è duplice: rende infatti il mercato dei beni di consumo

trasparen-te e sicuro e permettrasparen-te al consumatore di effettuare una scelta razionale,

consentendogli la comparazione anche relativamente alla qualità e al

prez-zo (

90

). L’esistenza dell’etichetta garantisce pertanto una maggiore

efficien-za del mercato, a prescindere dalla sua maggiore o minore influenefficien-za sulle

scelte di acquisto (

91

).

un’entità centrale di coordinamento e da più strutture secondarie (spesso con articolazione territoriale), che gestiscono (direttamente o anche indirettamente) l’attività dei singoli punti vendita. La finalità delle centrali di acquisto è quella di accrescere il proprio potere contrat-tuale nei confronti dei produttori, attraverso la stipula di “accordi-quadro” validi per tutti gli aderenti.

(85) Cfr. Corte UE, 25 novembre 2010, Commissione c. Repubblica italiana, causa C-47/ 09, in GUUE, C 030, 29 gennaio 2011, p. 2.

(86) Irti, Scambi senza accordo, Roma-Bari, 2001, p. 347.

(87) Rook Basile, La sicurezza alimentare e il principio di libera concorrenza, in Riv. dir. agr., 2003, I, p. 319; Id., L’informazione dei prodotti alimentari, il consumatore e il contratto, in Germanòe Rook Basile, Il diritto alimentare tra comunicazione e sicurezza dei prodotti, Tori-no, 2005, p. 18 ss.

(88) Di Lauro, Comunicazione pubblicitaria e informazione nel settore agricolo alimentare, Milano, 2005, pp. 136-137, secondo cui negare la funzione di origine del marchio ridurrebbe il segno a mera « garanzia del diritto di esclusiva del titolare ». Per il consumatore invece « una merce appare come un insieme di benefici attesi e, in questo senso, l’offerta di una merce sot-tintende la promessa di un risultato, che può o non può verificarsi. L’affidabilità va interpre-tata in riferimento a tale promessa @...# Essendo il soggetto della promessa il produttore piut-tosto che il prodotto (oppure il venditore piutpiut-tosto che la merce), l’affidabilità è quant’altri mai, un attributo del brand ». Sono parole di Romano, Immagine, marketing e comunicazione, Bologna, 1988, pp. 143-144.

(89) Rook Basile, I segni distintivi dei prodotti agricoli, in Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitariodiretto da Costato, 3a

ed., Padova, 2003, pp. 730-743.

(90) Cfr. Corte UE, sez. IV, 18 novembre 2010, causa C-159/09, Lidl SNC c. Vierzon Di-stribution SA., in Racc., 2010, p. I-1176; 19 settembre 2006, Lidl Belgium GmbH & Co. KG c. Etablissementen Franz Colruyt NV, causa C-356/04, in Racc., 2006, p. I-08501.

(91) Cfr. Thaler, Sunstein, Nudge, improving decisions about health, wealth and happi-ness, cit.

(16)

Il messaggio veicolato dalle etichette trasmette sovente

un’informa-zione suggestiva, talvolta consentita (

92

), talvolta no (

93

), capace di orientare

i comportamenti di una persona fisiologicamente impossibilitata a ritenere

tutti i dati necessari a operare una selezione razionale (

94

). L’homo

consu-mens

(

95

) diventa pertanto oggetto di un’indagine finalizzata a prevederne e

controllarne scelte e azioni, in modo tale da formulare leggi e individuare

regolarità che consentano di anticiparne le reazioni (

96

). Le imprese ne

ana-lizzano i riflessi condizionati (

97

), il calcolo di convenienza, la forza delle

abitudini oppure, in riferimento alla confezione di un prodotto, il suo

im-(92) Cfr. Corte CE, 6 luglio 1996, causa C-470/1993, Verein gegen Unwesen in Handel und Gewerbe Koeln e V c. Mars GmbH, in Racc., 1995, p. I-01923.

(93) Corte CE, 16 dicembre 1999, C-101/98, Union Deutsche Lebensmittelwerke GmbH c. Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV, in Racc., 1999, p. I-08841, nella quale la Corte ha negato la denominazione di formaggio ad un prodotto privo di materia grassa anima-le che pur ne dava comunicazione sull’etichetta, oppure alla sentenza della Corte (Prima Se-zione) del 9 febbraio 2009, Amtsgericht di Nordhorn c. Arnoldus van der Laan, causa C-383/97, in Racc., 1999, p. I-00731, nella quale i giudici hanno ritenuto ingannevole la denominazione prosciutto di spalla olandese, poiché composto da più pezzetti di spalla sagomati, prodotto no-to nei Paesi Bassi, ma non altrettanno-to nel resno-to d’Europa.

(94) La memoria non riesce a mantenere tutti gli elementi necessari alle scelte, e il pro-cesso decisionale è influenzato dal “rumore” prodotto da emotività, irrazionalità e stimoli esterni. Strategie cognitive semplificate (heuristics) comportano errori sistematici (biases): cfr. Kahneman, Preface, in Kanheman e Tversky, Choices, values, and frames, Cambridge, Cambridge University Press. Sul concetto di bounded rationality cfr. Simon, A Behavioral Mo-del of Rational Choice, in Quarterly J. Econ., 69, pp. 99-118.

(95) Bauman, Homo consumens, Trento, 2007.

(96) La forza attrattiva di un prodotto non è data solo dalla marca e dalla pubblicità, ma si combina con motivi culturali ed elementi simbolici che l’individuo associa al prodotto. Cfr. Russo, Marelli, Angelini, Consumo critico, alimentazione e comunicazione. Valori e compor-tamenti per un consumo sostenibile, Milano, 2011, p. 61 ss.

(97) Il cibo può essere considerato l’oggetto relazionale per eccellenza, in quanto presen-ta una forte valenza simbolica dal momento che inspresen-taura con il corpo una relazione di tipo trasformativo. In questo senso, il consumo di un prodotto può diventare funzionale alla co-struzione identitaria dell’individuo (cfr. Basow e Kobrynowicz, What Is The Eating? The Ef-fects of Meal Size on Impressions of A Female Eater, in Sex Roles, 1993, pp. 335-344; Conner e Armitage, The social psychology of food, Buckingham: Open University Press, 2002) e perfi-no essere percepito come pericoloso se perfi-non reperito sul mercato (Wilk, Bottled water. The pure commodity in age of branding, in Journal of Consumer Culture, 6, pp. 303-325). Particolare rilevanza assume il contesto in cui un prodotto alimentare viene acquistato o consumato: re-centi studi hanno dimostrato l’influenza dell’olfatto nel determinare la maggiore o minore propensione al consumo (cfr. Guéguen e Petr, Odor and consumer behaviour in a restaurant, in International Journal of Hospitality Management, 2006, pp. 335-339; Guéguen e Petr, Odor and Consumer Behavior in a Restaurant, in International Journal of Hospitality Management, 2006, pp. 335-339).

(17)

patto visivo e la memorizzazione più o meno favorevole della parte finale

del suo messaggio pubblicitario (

98

). Tali studi penetrano sempre più in

profondità nella mente del legislatore (

99

): per il codice del consumo

italia-no, le informazioni fornite devono essere « adeguate alla tecnica di

comu-nicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile @...#, tali

da assicurare la consapevolezza del consumatore » (

100

).

Particolare attenzione è da rivolgere alle distorsioni nell’elaborazione

delle informazioni che influenzano i comportamenti dei consumatori,

poi-ché è problematico stabilire quando questi meccanismi cessino di essere

una mera tecnica di marketing (

101

) e inizino a rientrare nella tassonomia

dell’induzione in errore (

102

): è il caso del bait advertising, dell’effetto

ag-gancio, del dip pricing e dei prezzi a terminazione nove (

103

). Nella sfida

si-lenziosa del professionista, in cerca del massimo profitto spesso realizzato

attraverso lo sfruttamento delle debolezze dei consumatori, l’etichetta c

o-stituisce un punto fermo, in grado di condurre la concorrenza sui binari di

una maggiore equità. Le parole e i segni che la compongono costituiscono

infatti sia lo strumento che trasmette le informazioni dal produttore al

con-(98) È stato dimostrato che definizioni originali affiancate alla denominazione del dotto suscitano negli individui un desiderio di consumo superiore al caso in cui lo stesso pro-dotto venga proposto senza l’arricchimento semantico. Wansink, Painter e Van Ittersum, Descriptive Menu Labels’ Effect on Sales, in Cornell Hotel and Restaurant Administration Quar-terly, 2001, pp. 68-72.

(99) Cfr. relazione introduttiva al Codice del Consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), con cui il Ministro delle Attività produttive riconosce l’importanza di tenere in considerazio-ne teorie economiche e commerciali sui processi di acquisto e consumo. L’importanza delle tecniche di comunicazione e delle modalità espressive impiegate dal professionista nella tra-smissione delle informazioni al consumatore sono evidenziate da Monti, Psicologia della de-cisione e tutela del consumatore, in Caterina (a cura di), I fondamenti cognitivi del diritto, cit.

(100) Art. 5, comma 3, c.cons.

(101) Lo scopo del marketing è quello di capire perché il consumatore compra, quali biso-gni cerca di soddisfare e quali sono i fattori che possono influenzare la scelta del prodotto da acquistare, così da poter applicare un’appropriata strategia. Si tratta di studi rivolti all’impre-sa, finalizzati a farle acquisire una fetta sempre più grande di mercato. Diverso è lo studio del consumer behaviour, che deve tenere in conto le caratteristiche dell’azione di un soggetto che al momento della nuova scelta ha cambiato i suoi gusti in base all’esperienza passata, alla co-noscenza che ha acquisito dei prodotti, alla gamma di prodotti che le imprese gli offrono. Lombardini, Concorrenza, monopolio e sviluppo, Milano, 1971.

(102) Greguen, Psicologia del consumatore, Bologna, 2010.

(103) È stato dimostrato che i prezzi a terminazione nove favoriscono la predisposizione del consumatore all’acquisto: Guéguen e Jacob, Nine-ending Price and Consumer Behaviour: An Evaluation in a New Context, in Journal of Applied Sciences, 2005, pp. 383-384. Gli esempi riportati sono ripresi da Caterina, Psicologia della decisione e tutela del consumatore, in Ana-lisi Giuridica dell’Economia, 2012, pp. 67-84.

(18)

sumatore (

104

), sia il mezzo attraverso il quale quest’ultimo compie la

scel-ta (

105

).

La testualità dell’etichetta viene adeguatamente tecnicizzata dal

dirit-to, in modo che parole e segni costituiscano un linguaggio condiviso,

chia-ro, semplice e immediato (

106

), idoneo a essere tradotto in scelte razionali. I

prodotti etichettati si trasformano così in beni suscettibili di esame

diret-to (

107

).

4. – La prima direttiva in materia di etichettatura dei prodotti

alimen-tari è stata la 79/112/CE (

108

), con cui il legislatore comunitario ha inteso

ar-monizzare le disposizioni nazionali in materia di etichetta e presentazione

dei prodotti alimentari preconfezionati destinati al consumatore finale,

sal-vaguardando la trasparenza delle informazioni necessariamente fornite al

consumatore circa le caratteristiche del prodotto (

109

).

Obiettivo dell’intervento comunitario era quello di armonizzare le

dif-ferenze normative dei Paesi membri che avrebbero potuto intralciare la

li-(104) Albisinni, L’informazione del consumatore e la tutela della salute, in Costato (a cu-ra di), Tcu-rattato breve di diritto italiano e comunitario, Padova, 2003, p. 636.

(105) Losavio, Il consumatore di alimenti nell’unione europea e il suo diritto ad essere infor-mato, Milano, 2007.

(106) Così nella Comunicazione sull’utilizzazione delle lingue per l’informazione dei consumatori del 10 novembre 1993, COM(93) 456 def., la Commissione non solo ribadisce che « l’informazione dei consumatori sulle qualità e sulle caratteristiche dei prodotti e dei servizi offerti è un diritto », ma specifica che « un’informazione difficile da leggere e da com-prendere può avere conseguenze molto negative per la salute e per la sicurezza del consuma-tore », e che « i generi alimentari rappresentano un buon esempio di tale situazione: in caso di allergie, di diabete o di regimi particolari, una cattiva comprensione di quanto figura sul-l’etichetta può avere effetti gravi per la salute ». Nel regolamento sulle indicazioni nutriziona-li e sulla salute si ribadisce a più riprese l’importanza di « informazioni chiare, accurate e si-gnificative », perché « un’informazione non compresa è completamente inutile, mentre un’indicazione malintesa potrebbe essere fuorviante ».

(107) Nelson, Information and consumer Behaviour, in Journal of Political Economy, 1970, p. 311.

(108) Direttiva 79/112/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978, relativa al riavvicina-mento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, in GUCE, L 33, 8 febbraio 1979; attuata in Italia con d.P.R. 18 maggio 1982, n. 322, « Attuazione della direttiva CEE n. 79/112 relativa ai prodotti alimentari destinati al consumatore finale ed alla relativa pubblicità nonché della di-rettiva CEE n. 77/94 relativa ai prodotti alimentari destinati ad una alimentazione particola-re », in GU, 9 giugno 1982, n. 156, p. 4167, poi sostituito da d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, « Attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la pre-sentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari », in GU, 17 febbraio 1992, n. 39.

(19)

bera circolazione dei prodotti nel mercato comune, che, stante la natura

tecnica delle etichette, avrebbe potuto tradursi in un ostacolo, finendo per

comportarsi sul mercato come una di quelle misure d’effetto equivalente

ad una restrizione quantitativa all’importazione, vietata dall’art. 34 del

TFUE (ex art. 28 del Trattato CE).

Nel perseguimento di entrambi gli obiettivi – di libera circolazione e di

informazione trasparente – la direttiva prevedeva una serie di indicazioni

obbligatorie da apporre sull’etichetta dei prodotti. Nel corso degli anni, tale

disciplina è stata variamente modificata, nell’intento di garantire una

mag-gior trasparenza ed una scelta più consapevole del consumatore.

In seguito, le regole che disciplinano l’etichettatura dei prodotti

ali-mentari destinati ad essere consegnati come tali al consumatore finale

uni-tamente a determinati aspetti della loro presentazione e relativa pubblicità,

sono confluite nella direttiva 2000/13/CE (

110

), un vero e proprio testo

con-solidato delle direttive che si sono susseguite dal 1978 al 25 ottobre 2011,

data in cui viene approvato il regolamento UE n. 1169/2011 (

111

).

Con tale atto legislativo l’Unione europea si prefigge lo scopo di

racco-gliere in un unico testo normativo le regole relative all’etichettatura di

pre-sentazione e pubblicità del prodotto (

112

), all’etichettatura nutrizionale (

113

)

e alle informazioni allergeniche (

114

): l’art. 3.1 del regolamento

espressa-mente annovera la fornitura di informazioni sugli alimenti fra i mezzi per

garantire un livello elevato di protezione della salute e degli interessi dei

consumatori (

115

).

(110) Direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 marzo 2000, relativa al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, in GUCE, L 109, 6 maggio 2000. Attuata in Italia con il d.lgs. 23 giugno 2003, n. 181, “Attuazione della direttiva 2000/13/CE concernente l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità”, in GUCE, 21 luglio 2003, n. 167.

(111) Maglio, Il nuovo regolamento sull’informazione al consumatore relativa ai prodotti alimentari, in questa rivista, 2011, pp. 743-753.

(112) Direttiva 2000/13/CE.

(113) Cfr. direttiva 90/469/CEE del Consiglio, del 24 settembre 1990, relativa all’etichet-tatura nutrizionale dei prodotti alimentari, in GUCE., L 276, 6 ottobre 1990. Con questa nor-mativa il legislatore si prefiggeva lo scopo di giungere a un modello armonizzato di informa-zioni nutrizionali obbligatorie, stimolando le ainforma-zioni svolte all’educazione nutrizionale della popolazione e incrementando la capacità di scelta del consumatore.

(114) 2003/89/CEE.

(115) La base del regolamento è infatti l’art. 169 TFUE. I principi sottesi al regolamento in esame e le conseguenze che si riflettono sul consumatore sono stati efficacemente sintetiz-zati da Di Lauro, Nuove regole per le informazioni sui prodotti alimentari e nuovi analfabetismi. La costruzione di una “responsabilità del consumatore”, in Riv. dir. alim., 2012, pp. 1-26.

(20)

Campo di applicazione del regolamento sono tutti i prodotti destinati

al consumatore finale, ivi compresi quelli somministrati dalle collettività

(es. ristoranti, mense, ospedali, catering) o oggetto di scambio nei rapporti

B2B. In termini di responsabilità, è stabilito che garante dell’esattezza e

della veridicità delle informazioni sia l’operatore del settore alimentare con

il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se

tale operatore non è stabilito nell’Unione, l’importatore (art. 8): nel caso

dei private labels, la scelta è stata quella di individuare il responsabile finale

nel titolare del marchio commerciale con cui il prodotto viene

commercia-lizzato (

116

).

Con l’adozione di quest’atto legislativo la definizione di etichetta resta

sostanzialmente invariata (

117

), tuttavia la protezione del consumatore e il

suo diritto a esercitare scelte consapevoli entrano a far parte degli obiettivi

generali del regolamento (cfr. art. 3.1). L’art. 30 fissa inoltre a sette il

nume-ro delle informazioni ritenute fondamentali e mantiene il riferimento a

100g/100ml, in modo da facilitare la comparazione sostanziale delle

so-stanze alimentari (

118

). La normativa pone inoltre l’accento sulla leggibilità

delle informazioni, mentre in passato il requisito era quello della

compren-sibilità

: già con l’art. 16 della direttiva 2000/13/CE, che riprendeva l’art. 14

della direttiva 79/112/CEE, arricchito dall’obbligatorietà della lista degli

ingredienti.

L’attenzione del legislatore comunitario si era focalizzata sul fatto che

la lingua facilmente comprensibile dal consumatore potesse non coincidere

con le lingue ufficiali del paese di commercializzazione (

119

). Nei casi in cui

(116) De Giovanni, La nuova regolamentazione comunitaria sull’etichettatura dei prodotti alimentari, in Alimenta, 2011, p. 150 ss.

(117) Il regolamento fissa, con normativa particolarmente complessa, le indicazioni che vanno obbligatoriamente comunicate al consumatore mediante l’etichetta dei prodotti ali-mentari, precisando in modo dettagliato le modalità con le quali debbono essere fornite. Le indicazioni obbligatorie sono le seguenti: denominazione dell’alimento, elenco degli ingre-dienti, presenza di eventuali allergeni, quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredien-ti, quantità netta dell’alimento, particolari condizioni di utilizzazione e conservazione, even-tuali istruzioni per l’uso, termine minimo di conservazione, ragione sociale e sede del pro-duttore, paese d’origine o luogo di provenienza ove previsto dall’art. 25, il titolo alcometrico per le bevande che contengono più di 1,2% di alcol in volume, una dichiarazione nutriziona-le.

(118) Le informazioni nutrizionali per porzione sono facoltative (cfr. art. 33 par. 4 del re-golamento).

(119) Cfr. Bille, Chicken Wings et la langue française: la valse des étiquettes, in Gazette du Palais, 28 settembre 2002, n. 271, p. 5. Sui requisiti linguistici delle etichette, in grado di con-figurare un ostacolo alla libera circolazione delle merci, cfr. Corte CE, 18 giugno 1991, causa C-85/1994, Piagème e al. c. BVBA Peeters, sub 16-17; Corte CE, 12 ottobre 1995, C-85/94,

Riferimenti

Documenti correlati

considerando che sussistono disparità negli Stati membri , malgrado gli sforzi compiuti per applicare la risoluzione della conferenza degli Stati membri del 30 dicembre 1961

1. Scopo della presente direttiva è l' attuazione negli Stati membri del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, ivi

Denominazione, Elenco ingredienti, ingrediente che provochi Allergie, QUID, Quantità netta, TMC/Scadenza, Condizioni particolari di conservazione e/o d'impiego, Nome

pubblicamente disponibili in documenti ufficiali, documenti di sintesi e studi di terzi. L’attività sul campo è stata svolta tra aprile e settembre 2018 e teneva conto degli

Durante il seminario verranno messe in luce le buone pratiche e gli obblighi che hanno le piccole/medie aziende agricole che coltivano zafferano (Crocus sativus L.) per

CAPSULA POLILAMINATO C/ALU 90 Raccolta differenziata dedicata o raccolta differenziata per rifiuti organici.. TAPPI SUGHERO

La decisione sull'eventuale introduzione del sistema di identificazione su base obbligatoria per uno o più materiali può essere adottata in conformità con la procedura di

considerando che l'etichettatura delle carni di pollame è disciplinata dalle norme generali stabilite dalla direttiva 79/112/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978, relativa