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Academic year: 2021

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esta pubblicazione della

collana “Quaderni di Peda-gogia del Lavoro e delle Or-ganizzazioni”, diretta da G. Alessan-drini, il testo in questione rappre-senta il frutto del lavoro svolto dal Gruppo Siped (Società Italiana di Pedagogia) “Competenze: modelli pedagogici e standard europei” nell’arco di un anno e mezzo circa e culminato nel seminario conclusivo tenutosi presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” nel maggio 2015. In questo lasso tempo-rale, infatti, il Gruppo di lavoro, for-mato da ricercatori provenienti da diversi Atenei italiani e coordinato dalle medesime curatrici del testo, si è cimentato in vari incontri di studio intorno alla «galassia ‘competenza’» (p. 1) che hanno sollecitato riflessio-ni teoriche ed attività di ricerca em-pirica le cui risultanze rinvengono in quest’opera la loro significativa espressione di sintesi.

Il volume è un volume denso, sia nell’accezione quantitativa del termi-ne sia in quella qualitativa, e vanta al-meno quattro meriti che vale la pena di evidenziare. Il primo è quello di dar vita, nonostante l’eterogeneità dell’impostazione di partenza dei plurimi autori, ad un coro di voci ar-monico alimentato da uno spartito condiviso, quindi non ad una mera giustapposizione di contributi, bensì ad una proposta organica, la quale,

pur nella legittima diversità degli ap-procci e degli interessi, ruota attorno a due perni precipui che nel seguito di queste note troveranno una mag-giore esplicitazione: la curvatura “politica” sulle competenze, con normative, raccomandazioni e indi-cazioni annesse, e il proprium peda-gogico della competenza. Il secondo merito, non disgiungibile dal primo, è quello di unire al doppio registro metodologico (teorico e pratico) un proficuo intreccio dei settori scienti-fico-disciplinari – quello della Peda-gogia generale e sociale e quello del-la Didattica e pedagogia speciale – arricchito dal confronto con l’inter-vento del sociologo, dell’economista presidente dell’Associazione Italiana Formatori (AIF) e dell’esponente sindacale. Il terzo merito concerne il soffermarsi su quelli che potremmo definire dei “trending topics”, ossia tematiche di estrema attualità atti-nenti alla sfera economica in genera-le, alla sfera socio-culturale e alla sfe-ra delle stesse professioni educative e formative, denotando una partecipa-zione attiva, puntuale e costruttiva al dibattito pubblico su materie vive e, nondimeno, di “emergenza” peda-gogica. Il quarto merito, ultimo ma non ultimo, ha a che fare con il ten-tativo di riappropriazione educativa del costrutto e della realtà della com-petenza, operando su un terreno di analisi che non esclude premure al-Giuditta Alessandrini, Maria Luisa De Natale (a cura di)

Il dibattito sulle competenze. Quale prospettiva pedagogica?

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tre (specie quelle economicamente orientate), opponendo una apriori-stica quanto sterile antitesi di princi-pio, ma che rivendica il ruolo del “pedagogico” nella loro definizione ed implementazione a vantaggio del-le persone.

Ciò premesso, entrando nel det-taglio, sebbene sia pressoché impra-ticabile entrare nel dettaglio dei di-ciotto saggi che lo compongono – per tacere della Presentazione affida-ta a S. Ulivieri, Presidente della Si-ped, e dell’Introduzione realizzata dalle curatrici – il volume, come an-ticipato, si muove essenzialmente lungo due direttrici. Da una parte, abbiamo uno scenario di riferimento costituito dal rapporto tra mutamen-ti economici globali e polimutamen-tiche euro-pee del lifelong learning (da cui la curvatura politica), dalla loro ricadu-ta sull’istruzione come sulla forma-zione al/nel/per il lavoro e dai ri-mandi all’ECVET, all’EQF, alla “qualification” e alla correlazione ivi implicita tra competenze e learning outcomes, dunque alla validazione degli apprendimenti formali e infor-mali e, conseguentemente, al sistema italiano di validazione degli appren-dimenti e di certificazione delle com-petenze introdotto dal D. Lgs. 13/2013. Riassumendo, senza disco-noscere l’arretratezza italiana relati-vamente a molti degli aspetti men-zionati – segnatamente sul piano del-l’offerta di formazione agli adulti la-voratori e non –, e soprattutto senza disconoscere la rilevanza che assu-mono la conoscenza, l’apprendimen-to, l’osservabilità dei learning

outco-le competenze ai fini economico-produttivi, performativi, di mobilità ed occupabilità, i contributi che si ri-fanno al predetto scenario non si esi-mono da una lettura critica che affer-ma la centralità dell’uaffer-mano oltre l’ef-ficacia descrivibile sotto questi profi-li e che colloca in uno sfondo più ampiamente pedagogico il posizio-namento della dimensione apprendi-tiva naturale ed intenzionale e la sot-tolineatura sulle competenze. In questo senso, la competenza “al la-voro” è vista come «intrinsecamente generativa e non solo produttiva, ca-ratterizzata da autonomia, responsa-bilità, libertà di scelta e dall’accesso alle risorse che permettono di dare senso al proprio lavoro» (p. 93); l’prendimento è concepito «come ap-partenenza, esperienza, azione e di-venire in un’ottica di ‘formatività’ del soggetto che apprende» (p. 293) e, in quanto tale, non può essere sganciato dall’inscrizione riflessiva in dinamiche autobiografiche che con-sentano di delineare educativamente una peculiare cornice di significato e di tensione auto-realizzativa (pp. 168-175); la creazione di valore de-mandata alla conoscenza è la crea-zione di un valore imprescindibile da una conoscenza “locale” ed un’auto-conoscenza finalizzate alla celebra-zione della dignità umana, al bene e alle opportunità di crescita indivi-duali e collettive (pp. 316-318); la mobilitazione richiesta dall’appren-dimento e dal farsi competente, a partire dalla didattica per competen-ze, non ha da assimilarsi ad un di-spositivo foucaultiano di

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mento delle capacità ed intime moti-vazioni all’auto-disciplina delle con-dotte in qualsivoglia ambito (scolasti-co, lavorativo ed extra-lavorativo) (pp. 214-216), e la certificazione del-le competenze – che peraltro esorta un ragionamento che include pure la revisione dell’apprendistato ex D. Lgs. 81/2015 e il nuovo sistema duale ripreso dalla così detta “Buona Scuo-la” (p. 270) – «dovrebbe contribuire ad edificare la costruzione perma-nente dell’essere umano» (p. 202).

Venendo alla seconda direttrice, spontaneamente originata dalla fo-calizzazione del Gruppo di lavoro sulla prima e perciò indissolubile da questa, dall’altra parte abbiamo uno scenario di riferimento costituito dalle politiche socio-culturali inter-nazionali inerenti ai temi/problemi della disuguaglianza, dei diritti, del-la democrazia, del miglioramento delle condizioni di vita, dei valori umani, ecc. Temi/problemi che sot-tendono ad un investimento in edu-cazione e che, ad un tempo, chiama-no in causa il discorso sulla “compe-tenza pedagogica”, intesa come quella competenza che, in concorso con altre professionalità, può pro-fondersi in contesti diversificati ap-portando la specificità di una visio-ne ecologica e non settoriale che guarda all’insieme della personalità, alla dinamicità e relazionalità della sua “situazione” e alla valorizzazio-ne delle potenzialità e delle differen-ze in ordine ad uno scopo evolutivo, servendosi di diagnosi e prognosi squisitamente educative (pp. 12-14). Siffatta competenza, nelle sue mol-teplici sfaccettature, è affrontata in

contributi centrati rispettivamente sugli interventi educativo-terapeuti-ci, sul nesso tra cittadinanza demo-cratica e “imparare a imparare”, sul-la competenza emotiva dei futuri educatori, sui dinamismi intercultu-rali, sulle “skills for life” dell’OMS – riallacciandosi ad un altro versante della curvatura politica anzidetta –, sul profilo professionale del “social educator”.

In conclusione, è lecito sostenere che quest’opera collettanea, la cui ricchezza qualitativa è per di più in-crementata dalla pluralità degli ap-pigli epistemici, è un’opera innega-bilmente apprezzabile, in grado di rimarcare con argomentazioni coe-renti, sistematiche ed esaustive che le competenze, tanto più se suppor-tate nella loro incessante maturazio-ne da uno “sguardo pedagogico competente” (nell’intervento educa-tivo e formaeduca-tivo), non sono “saperi” riducibili ad output comportamen-tali codificati ex ante, piuttosto «‘sa-peri in azione’» (p. 1) nutriti da pro-cessi cognitivi e di apprendimento che coinvolgono il fare, il sentire e l’integralità dell’essere in relazione con l’alterità e con un contesto (pro-fessionale e non). Con ciò, gli autori del volume hanno altresì il merito di rimarcare che un modello educati-vo-formativo fondato su una simile considerazione delle competenze è un modello atto a favorire uno svi-luppo pienamente e autenticamente umano o, per usare l’espressione di un autore in particolare, atto a libe-rare le «energie umananti» (p. 368).

Fabrizio d’Aniello

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Michele Corsi

La bottega dei genitori. Di tutto e di più sui nostri figli

Franco Angeli, Milano 2016, pp. 160

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’era bisogno di ancora un

altro libro sull’educazione dei figli? Sicuramente non dell’ennesimo testo di expertise pe-dagogica. Gli scaffali delle librerie sono, infatti, pieni di testi che consi-gliano il “giusto” comportamento dei genitori, da revisionare poi – a cadenza più o meno frequente – al mutare dei paradigmi psicopedago-gici di riferimento. A giustificare la pubblicazione di questo volume so-no però altri elementi.

Innanzitutto, tenendosi lontano dal tono parenetico, dalla postura colpevolizzante e dalla precettistica paternalistica, l’autore adotta un pi-glio ottimistico, rassicurante, capace di ridare fiducia ed energia a chi in-terpreta ruoli di per sé faticosi. Pur nondimeno, Corsi indica con preci-sione il rischio che i genitori, “non avendo fatto pace col loro passato, risolto i loro differenti, e molteplici, buchi neri, o le delusioni ancora at-tive” (p. 41), possano lasciar agire quest’oscura eredità, inesorabilmen-te ma inconsapevolmeninesorabilmen-te, sui propri figli. Non esistono cioè genitori cat-tivi, ma possono certo esserci quelli maldestri.

Da qui, un primo ribaltamento compiuto dall’autore: più che con-centrarci su come rendere i bambini migliori, bisogna guardare a come avere genitori migliori. Per educare i

necessario disporre di educatori adulti (p. 58). Bisogna cioè che noi adulti – proprio per essere radical-mente liberi, liberi quindi anche di educare – riusciamo a conoscere quanto più possibile noi stessi. Che riusciamo a conoscere e... amare, quanto più possibile, dato che “chi non si ama, propriamente e autenti-camente, non è in grado […] di amare, con profondità e alla lunga, […] l’altro” (p. 79). Per questo mo-tivo, la pedagogia della famiglia si mostra in questo testo strettamente legata all’educazione degli adulti. Ed ecco perché l’autore preferisce parlare non di competenze genito-riali (il prodotto) ma di formazione all’adultità genitoriale (il processo).

Pedagogista, oltre che psicologo e psicoterapeuta, Corsi sottolinea così la differenza tra i copioni di per-sonalità (lo script delle attese genito-riali che potremmo proiettare sui fi-gli, correndo il rischio di realizzare quella che Rutschky definì

pedago-gia nera) e una reale pratica

educati-va che, invece, è sempre una pro-messa da mantenere, da realizzare (p. 42). Una promessa che, per esse-re autenticamente democratica, de-ve essere pure autorevole e procede-re su un sentiero, lungamente ricer-cato e faticosamente pratiricer-cato, che porti a una trasformazione, alla “massima svolta positiva consentita

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l’incertezza” della nostra esistenza (p. 71). Nonostante i condiziona-menti, e a differenza dei copioni di personalità, l’educazione – infatti – non tende a costruire persone-tipo, modelli standard, ma valorizza e fa esprimere la differenza!

L’educazione come promessa – come trasformazione e non come conformazione – è proprio ciò che definisce la nostra antropopoiesi, che distingue cioè noi esseri umani dagli altri animali. Tutti e tutte noi umani, al di là della capacità e della scelta riproduttiva di ciascuno/a. In questo senso, “si è tutti genitori [...]. Prima ancora di esserlo. […] Perché la genitorialità è un modus vivendi. E rinvia alla «cura» delle generazio-ni più adulte nei confronti di quelle più giovani” (pp. 88-9). Corsi rein-terpreta così la genitorialità come responsabilità (educativa prima che genealogica) che ci coinvolge tutti e, cosa più importante, non solo nei ri-guardi dei nostri figli biologici: “so-no poi, tutti, «“so-nostri» figli” (p. 93). Anche quanti fanno scelte che non condividiamo. Anche quelli con un diverso colore della pelle. Anche quelli disabili. Anche quelli omoses-suali.

Affermare che tutti siamo genito-ri e che tutti sono “nostgenito-ri” figli porta lo studioso – da cattolico, e in un li-bro dedicato a Papa Francesco – ad affrontare con coraggio anche i temi della persona omosessuale, delle coppie gay e della genitorialità degli omosessuali (p. 51). Si tratta di temi ancora poco frequentati dalla ricer-ca eduricer-cativa, sfide teoriche ancora da raccogliere in pieno, ma che è

im-portante nominare, consci del fatto che compito della pedagogia non è fornire schemi rigidi – di condotta personale, di concezioni valoriali, di modelli familiari – cui le persone de-vono attenersi, ma che essa ha la

mission di “fornirci le utopie capaci

di realizzare un mondo migliore” (p. 118), cioè un mondo più inclusivo, più accogliente, maggiormente ca-pace di cura relazionale. Corsi parla così, in ultima istanza, di una peda-gogia del rispetto, termine etimolo-gicamente connesso con l’aver ri-guardo, col considerare di nuovo con uno sguardo rinnovato, ma an-che con il guardare indietro per es-ser sicuri di non aver dimenticato nessuno per strada. È una concezio-ne alta dell’educazioconcezio-ne, di impegno civile e di attenzione verso gli “ulti-mi” (qualunque volto essi, di volta in volta, abbiano) che si pone ovvia-mente a distanza da ogni metodolo-gia spicciola, “chiavi in mano”.

Nello scorrere le pagine del volu-me, il lettore – infatti – ripensa l’educazione in generale e, in parti-colare, quella genitoriale non più con quelle pretese di “velocità”, “ef-ficienza” e “ottimizzazione del pro-dotto” che associamo all’industria, ma con quella “cura” riferibile al-l’ambito artigianale della bottega cui si riferisce il titolo: a una pratica, quindi, fatta di tentativi ed errori, ma che migliora con il tempo, l’esperienza e l’impegno e, soprat-tutto, che ci renda capaci di clemen-za verso noi stessi e di tenerezclemen-za ver-so l’altro.

Anche per questa connotazione artigianale, nonostante la ricchezza

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di riferimenti teorici e bibliografici, questo volume si inserisce nel cam-po simbolico della saggezza prima che in quello sapienziale. L’analisi teorica si intreccia, infatti, anche al ricordo dell’infanzia dei figli dell’au-tore. La maturità degli anni guarda con serena consapevolezza all’in-quieta ricerca dei giovanissimi. L’esperienza del docente universita-rio si sposa con la riflessione sulla relazione maestro-discepolo, sotto qualche aspetto simile a quella geni-tori-figli. A sottolineare questa tessi-tura complessa, relazionale oltre che scientifica, è anche l’introduzione al

volume, firmata da Massimiliano Stramaglia, allievo di Corsi.

All’interno di questo stesso oriz-zonte – affettivo oltre che teorico – vuole porsi, infine, anche questa re-censione, piccolo omaggio all’im-portante ruolo che Corsi, come Pre-sidente della Società Italiana di Pe-dagogia, ha svolto nei riguardi di tanti giovani studiosi, un ruolo ma-gistrale che è stato anch’esso – in senso solo relativamente più ampio – genitoriale. Giuseppe Burgio

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ue tra gli altri sono i

pre-gi di questo splendido li-bro di Lucio Cottini: quello di presentare un’aggiornata rassegna dei principali modelli sul funzionamento della memoria, e quello di mostrarcene l’applicazione al contesto del lavoro educativo e di-dattico con gli allievi, con particola-re accento sulla scuola dell’infanzia e primaria.

Il libro ha poi un’altra peculiarità di notevole originalità: quella di in-nestare il piano dell’esposizione scientifica inserendolo nel corso del-la storia romanzata di un ipotetico gruppo di insegnanti di un corso di

me tanti personaggi di cui via via ci vengono descritte le caratteristiche, i tratti del carattere e le modalità d’interazione partecipata al lavoro comune. In questo modo le teorie e i modelli vengono esposti, di volta in volta, in una maniera sistematica e nello stesso tempo calata nella mo-dalità discorsiva e narrativa di un gruppo di persone, interessate ad approfondire le proprie conoscenze con curiosità e spirito critico, coa-diuvate da un professore conduttore che privilegia così una forma di spie-gazione in grado di alternare esempi all’astrazione dei concetti, preve-nendo, attraverso la viva voce dei Lucio Cottini

Potenziare la memoria in classe. Percorsi di didattica inclusiva

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del lettore interessato a cogliere tutti i risvolti delle varie teorie e dei vari assunti passati in rassegna.

Si comincia da un riferimento obbligato ai modelli classici della memoria sviluppati tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta, il filone che storicamente va sotto il nome di Human Information

Proces-sing (HIP) e che rappresentò

al-l’epoca una vera e propria rivoluzio-ne rivoluzio-nello studio della memoria e nell’importanza ad essa conferita in tutta l’architettura della mente, dei processi cognitivi, dell’apprendi-mento e nello stesso cognitivismo come movimento scientifico in gra-do di imprimere una svolta nella ri-cerca sull’intelligenza umana.

Il libro inizia dal porre alcune domande e questioni ancora oggi centrali: come ricordiamo e perché dimentichiamo, come si sviluppa la memoria negli allievi, come possia-mo aiutarli, come si possono miglio-rare le metodologie di studio.

Da queste domande iniziali si di-pana l’esposizione, partendo da un modello classico e insieme articolato della memoria che, a fianco della memoria a lungo termine, enfatizza il piano della memoria di lavoro, dell’attenzione, della motivazione e di tutto quell’insieme di processi che oggi va sotto il nome di metaco-gnizione.

Così, vengono passati via via in rassegna i più noti modelli della me-moria e le più famose acquisizioni in questo ambito: dagli studi di Miller sul magico numero sette, al modello di Atkinson e Shiffrin sulla fonda-mentale ripartizione in registro

sen-soriale, memoria a breve termine e memoria a lungo termine, fino al-l’essenziale contributo di Baddeley sulla memoria di lavoro e sul suo ruolo centrale in tutto il funziona-mento della mente all’opera nella soluzione dei problemi. Andando avanti in questo excursus, altrettanto importante risulta una rivisitazione, all’interno della memoria a lungo termine, della distinzione tra memo-ria dichiarativa e procedurale e tra memoria semantica ed episodica. Troviamo inoltre un riferimento prezioso al concetto di schema, già implicitamente contenuto nella teo-ria del prototipo inizialmente propo-sta da Rosch, e al modello della struttura reticolare e gerarchica del-la memoria di Collins e Quillian, nel quale le unità di base della cono-scenza, come spiega Cottini, sono viste come nodi di una rete, in cui tutte le informazioni sono collegate tra di loro secondo piani comuni-canti e gerarchicamente sovra o sot-toordinati; un concetto che conserva una valenza fondamentale per le analogie con la struttura del funzio-namento del computer. Arriviamo infine a una presentazione dei prin-cipali concetti della metacognizione, al ruolo della consapevolezza da parte dell’individuo dei processi mentali, e alla capacità di gestire in modo sia consapevole sia automati-co le strategie di memoria.

Un’importanza strategica centra-le nel modello compcentra-lessivo che sca-turisce da questa carrellata di teorie è il ruolo dell’esecutivo centrale, ve-ro regista dell’attività cognitiva, con funzioni di orientamento e di sintesi;

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il che rimanda anche alla fondamen-tale funzione dei processi attentivi che presiedono di rimando a tutto il funzionamento della memoria di la-voro. Il processo cognitivo dell’at-tenzione in particolare viene appro-fondito nelle sue attitudini di

seletti-vità, in grado cioè di operare un

fil-tro nei confronti delle informazioni in entrata, e di stabilità, “di mante-nersi per un certo tempo centrata su un compito o su un’attività, al fine di consentirne l’espletamento” (p. 23). E ancora: “È evidente come questa funzione rivesta un ruolo fondamentale per l’apprendimento scolastico e come possa essere varia-bile da un allievo all’altro, anche in relazione alla tipologia dei compiti che vengono affrontati” (p. 23).

Questi ultimi concetti introduco-no alla seconda parte del volume, dove lo studio della memoria si cala nel contesto più specifico del poten-ziamento dell’apprendimento scola-stico sia degli allievi a sviluppo tipi-co sia di quelli affetti da deficit tipi- co-gnitivo. Qui ritroviamo alcuni temi ormai cari da tempo al lavoro di Cottini nell’ambito della didattica speciale nel contesto della disabilità cognitiva. Da psicopedagogista oltre che clinico di rango, Cottini ci parla allora dei deficit di memoria nella sindrome di Down, nell’autismo, nel disturbo da deficit di attenzione e iperattività e nei disturbi specifici di apprendimento. Emerge in tal modo un mosaico di tasselli che completa idealmente il discorso intrapreso nella prima parte. Se nella sindrome di Down le funzioni di memoria

im-tivamente ben conservate, a diffe-renza di quelli di memoria esplicita in seno a quella di lavoro e a lungo termine, è la carenza nella formazio-ne e formazio-nell’uso di strategie il concetto che sale in primo piano a rendere conto di una porzione importante dei deficit cognitivi in larga parte del ritardo mentale. La trattazione procede poi spostandosi sui caratte-ri del funzionamento cognitivo del bambino autistico, con le sue assolu-te peculiarità, dovuassolu-te tra l’altro a una carenza delle funzioni esecutive e a un deficit particolarmente spic-cato nella memoria verbale, a van-taggio di una memoria visuospaziale relativamente meglio preservata. Il deficit nella memoria di lavoro pe-raltro appare in primo piano anche negli allievi con ADHD, nei quali si rileva un uso deficitario dell’esecuti-vo centrale, con particolare riferi-mento alle capacità di pianificazione e inibizione, e negli allievi con di-sturbo specifico di apprendimento, laddove sembra altrettanto deficita-rio il ruolo dell’esecutivo centrale e il rapporto tra memoria di lavoro e memoria a lungo termine.

Nella seconda parte del libro prosegue la ricognizione clinica su una vasta tipologia di condizioni, in rapporto all’analisi dei bisogni e del-le esigenze didattiche: dagli allievi con sindrome di Williams a quelli con sindrome di Asperger, dalle di-sabilità di tipo lieve a quelle più mo-derate e gravi.

Tutto ciò fa da preludio all’ulti-ma sezione del volume, dove, imall’ulti-ma- imma-ginando idealmente le mansioni di

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all’opera in un corso di formazione, si affronta la problematica del lavo-ro didattico e di come utilizzare e mettere a frutto compiutamente le conoscenze sul funzionamento della memoria nell’apprendimento degli allievi a scuola, in base all’esplicita-zione di un modello integrato che può risultare utile coerentemente sia con allievi normodotati sia con allie-vi con deficit. Emergono domande centrali, a tale proposito, alle quali il testo si propone di dare una rispo-sta: come rendere più efficiente la memoria di lavoro degli allievi? Co-me insegnare l’utilizzo di strategie di memoria? Come favorire una mag-giore consapevolezza metacogniti-va?

Non è possibile in questo spazio rendere conto di tutta la ricchezza di idee, di spunti e di acquisizioni atti a far sì che la conoscenza sistematica dei modelli della memoria funga re-almente da ausilio per potenziare il lavoro quotidiano degli allievi a scuola. Le diverse tipologie di labo-ratorio presentate insistono sul po-tenziamento delle varie componenti della memoria secondo un filo coe-rente con i modelli presentati nella prima parte del testo.

Ecco che i vari laboratori didatti-ci illustrati si soffermano ora su di una ora su di un’altra delle compo-nenti essenziali della memoria. Si parte da un’importanza centrale conferita all’uso di strategie, nel quale un ruolo centrale è dato sen-z’altro dal concetto di metacognizio-ne. Mettendo in luce strategie come la reiterazione, la codifica, l’associa-zione, la mediazione e

l’organizza-zione semantica viene illustrato un percorso di apprendimento in cui la padronanza dei dispositivi di memo-ria può avere un ruolo attivo e cru-ciale. Si prosegue poi con la propo-sta di promuovere un metodo di stu-dio funzionale, in cui vengono messi a frutto tanti spunti sulla conoscen-za della memoria, relativi all’impie-go dell’attenzione, di nuovo ai fatto-ri metacognitivi, a quelli motivazio-nali ed emotivi. Viene ripercorso il concetto di organizzatori anticipati di Ausubel per rendere conto della capacità di organizzare preliminar-mente il materiale di studio in anco-raggi dotati di significato. Emerge con forza il concetto di mappa men-tale in grado di fungere da sintesi di tante associazioni mentali, e viene introdotto il concetto di problem

solving mnestico come fulcro e

cuo-re pulsante di una didattica metaco-gnitiva. Il problem solving mnestico struttura ulteriormente l’apprendi-mento attraverso la funzione di identificare i problemi, definire so-luzioni alternative, elencare le con-seguenze delle soluzioni definite, e adottare le soluzioni più efficaci dei problemi. Si traccia in tal modo le li-nee di un modello integrato che en-fatizza, insieme all’accento sui pro-cessi logici di pianificazione, la fun-zione sempre presente delle modali-tà di pensiero divergente e di solu-zione creativa dei problemi. Si insi-ste inoltre sull’estrema diversità che sussiste tra le varie tipologie di disa-bilità. Come Cottini scrive: “In con-creto, si tratta di individuare le for-me didattiche più opportune per sti-molare le componenti procedurali

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della memoria; elaborare program-mi facilitati per potenziare fino al possibile le strategie di memoria a breve e a lungo termine (di tipo fo-nologico, visuo-spaziale, semantico) e per favorire forme, anche semplici, di consapevolezza metacognitiva” (p. 124).

L’ampia varietà delle proposte introdotte si presenta così fruibile per un vasto ventaglio di condizioni, sia per allievi a sviluppo tipico sia con deficit, nel contesto di una di-dattica in tal modo sempre più in-clusiva.

Come anticipato, il libro ha an-che il pregio di intervallare la ricca gamma di concetti e di proposte

di-dattiche alla narrazione di un grup-po di protagonisti, tutti insegnanti, sinceramente impegnati nel loro la-voro didattico a scuola, secondo il piano di una narrazione che non so-lo facilita la ricezione dei concetti scientifici, ma anche rende ragione, a tratti in modo poetico, della realtà quotidiana dell’impegno scolastico degli insegnanti con gli allievi. L’operato degli insegnanti si nutre del rapporto con gli allievi, e Cottini non tralascia questo aspetto, dedi-cando pagine molto belle al ricordo di alcuni alunni in particolare.

Tommaso Fratini

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el suo farsi scienza, la

pe-dagogia ha progressiva-mente consolidato la sua capacità – critica e problematica – di osservare i fenomeni educativi per renderli sempre più umani e uma-nizzanti. Questa vocazione curiosa e coraggiosa attraversa il volume di Elia, conferendo alla trattazione una postura di indagine prospettica, co-me si evince chiaraco-mente dal titolo. Sin dal principio, appare esplicita l’intenzione di rafforzare lo statuto epistemologico della pedagogia va-lorizzandone le dimensioni

pratico-lucido e originale alle sfide sociali emergenti. Il testo affronta infatti te-mi che attengono all’educazione «anche quando tali questioni nasco-no e si modellanasco-no in ambiti nasco-non pe-dagogici» (p. VII). Da qui Elia in-treccia, con sapienza intellettuale e maestria argomentativa, i fili di un discorso pedagogico che continua-mente e dinamicacontinua-mente si fa, quasi fosse lo specchio dell’itinerario for-mativo della persona, chiamata a scegliere e operare responsabilmen-te in vista di traguardi sempre nuovi e – soprattutto – al di là degli stessi Giuseppe Elia

Prospettive di ricerca pedagogica

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A una prima parte di riscoperta della tensione pratica del sapere pe-dagogico, chiamata da un lato a me-diare sui fini e dall’altro a decidere circa i mezzi, segue un’incursione analitica nelle traiettorie storico-epi-stemologiche della pedagogia come scienza pratico-progettuale.

«La teoria pedagogica riflette dunque da una prospettiva pratica sull’educazione come azione da

com-piere, che si svolge all’interno di

di-versi ambiti, dai più tradizionali ai più innovativi e che si impone in senso per così dire gerundivo: azio-ne che deve essere compiuta ma an-che azione inevitabile an-che, se non viene posta come oggetto si atten-zione, non per questo non viene compiuta» (p. 5).

In un tempo che invoglia al son-nambulismo cieco e pavido, il volu-me si impegna ad allargare il nostro orizzonte su un mondo che non sempre (o quasi mai) aderisce al ri-chiamo del dover essere, per invo-gliarci a vegliare in forme non mera-mente consolatorie ma certo sup-portive, anche sulle fragilità e sulle imperfezioni dell’essere, che sono poi del resto il riflesso delle fragilità e delle imperfezioni di chi abita quel mondo e ne ha a cuore il destino.

Se allora la prospettiva ermeneu-tica e storica rappresentano il dispo-sitivo di regolazione e comprensione delle esperienze individuali e sociali, l’attitudine interdisciplinare si con-figura come il reticolo in cui tali pro-spettive trovano una possibile collo-cazione di senso. Della sua matrice filosofica, la riflessione pedagogica conserva infatti il carattere errante,

che privilegia la ricerca alla soluzio-ne e la logica della domanda a quella della risposta.

Tuttavia, per evitare (e anzi con-trastare) i rischi di un soggettivismo inconcludente e atrofico, la vocazio-ne ermevocazio-neutica si volge verso la sto-ria, da cui ricava agganci interpreta-tivi e direzioni narrative. Ecco che – seguendo Gadamer – la compren-sione non si limita a essere un’azio-ne del soggetto, coincidendo con

l’inserirsi nel vivo di un processo di trasmissione storica, nel quale pas-sato e presente continuamente si sin-tetizzano. Facendo tesoro di ciò che

è stato, la pedagogia cerca allora di leggere ciò che è per prospettare ciò che può essere attraverso le lenti della razionalità pratica, come orien-tamento ad agire bene sulla base dell’esperienza, e dunque non solo degli ideali o delle tecniche.

Dopo la delineazione di queste importanti direttrici scientifiche, il volume di Elia esplora un cammino di ricerca che parte dal richiamo alla solidarietà come derivato concettua-le in grado di offrire interessanti contributi sul piano etico-morale e socio-politico. Oltrepassando il con-cetto di verità oggettiva, e il piano del mero accordo o consenso su principi comuni, la solidarietà si esprime compiutamente nell’azione altruista che risponde «al bisogno di aiutare qualcosa di nuovo a nasce-re». Da qui, la lettura incontra il fe-nomeno della generatività quale co-strutto assai fecondo nel settore del-la pedagogia familiare e sociale. Lontano sia da inutili reflussi nostal-gici che da vuoti ammiccamenti

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magogici, il focus dell’indagine si

di-rige verso un concetto di generativi-tà sociale che non contempla solo le forme della genitorialità, aprendosi all’esperienza del prendersi cura quale modalità indicativa dell’essere adulto. Se possibile, l’idea della ge-neratività richiama qui quella della solidarietà, con cui condivide inten-zionalità e fatica. «Con la stessa se-rietà con cui si vuole il proprio bene, si vuole anche quello degli altri e ci si fa carico della loro crescita umana integrale, portandone il peso» (p. 39).

Questa disposizione alla serietà si traduce nel coinvolgimento attivo e responsabile delle persone (con o senza figli) sul terreno del volonta-riato, della partecipazione politica, dell’intervento nel campo della disa-bilità. Si tratta di temi verso cui l’au-tore ha sempre dimostrato una par-ticolare sensibilità, la quale non si è mai espressa solo nella ricerca scien-tifica, ma sempre anche nell’impe-gno personale, assumendo il valore della testimonianza sapiente e com-petente.

Quasi a volere attestare la possi-bilità di fertili innesti tra pensiero e azione, ricerca e intervento, gli ulti-mi tre capitoli del volume sono de-dicati alla delineazione di sentieri teorico-pratici che ruotano intorno a questioni centrali per la riflessione pedagogica e il lavoro socio-educati-vo. Si tratta dei temi della comunica-zione, dell’intercultura e della politi-ca, rappresentanti storici filoni della ricerca pedagogica, che oggi assu-mono tuttavia nuovi profili euristici.

tre questioni sono inglobate in un ragionare denso di riferimenti legi-slativi e concettuali mai ovvi e bana-li, a sottolineare il perenne conflitto tra soggettivizzazione e cooperazio-ne, individualismo e comunitarismo, protagonismo e partecipazione.

Se comunicare è diventato un imperativo categorico, insegnare a comunicare rappresenta un

impera-tivo pedagogico attento alla qualità e

al senso della relazione, e non solo all’efficacia del messaggio. La peda-gogia della comunicazione che qui si tratteggia ha allora il compito speci-fico di valorizzare le basi etiche del processo comunicativo, affinché il dialogo autentico e reciproco sosti-tuisca la chiacchiera superficiale e superflua. L’incontro con l’altro di-venta quindi possibile a partire da questo riconoscimento morale della sua persona, che si colora di nuove sfumature quando l’altro è stranie-ro. La convivenza interculturale ri-chiede che l’incontro tra persone di-venti un incontro tra culture, confi-gurandosi pertanto come il terreno di prova della cittadinanza nello spazio particolare della polis. Nella suggestiva interpretazione di Calvi-no, le città come i sogni sono

costrui-te di desideri e di paure: in esse si

scontrano dunque ambizioni e pre-giudizi, coesistono diritti e discrimi-nazioni. Per armonizzare queste po-larità opposte «il diritto alla diversi-tà culturale, come riconoscimento della propria identità culturale, deve coniugarsi con il riconoscimento al diritto di cittadinanza inteso come garanzia di sicurezza, di uguaglianza

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Assumendo su di sé la responsa-bilità della promozione dei diritti di cittadinanza, la pedagogia si impe-gna a tradurre le teorie pedagogiche in pratiche educative, consapevole della fragilità e della parzialità della sua azione, ma contestualmente for-te della capacità di incidere nei con-testi di vita quotidiana delle popola-zioni, qualsiasi siano le fasce di età, le provenienze etniche, le condizioni di reddito, lo stato di salute e i livelli di istruzione che le differenziano. Solo in questo modo la pedagogia potrà contribuire a realizzare il fine

di «pervenire alle migliori condizio-ni di vita possibili per la persona». Questo fine – che appartiene conte-stualmente all’ambito politico – si concretizza in percorsi mirati di educazione alla politica come sguar-do intelligente e critico sul monsguar-do, come disponibilità mentale e morale a farsi attori e non solo spettatori, guidati dalla comune volontà di condividere sul piano dei fatti edu-cativi, ciò che è condivisibile da tutti sul piano dei principi pedagogici.

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