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Perché leggere Hans Sedlmayr oggi?

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9 788898 019618 ISBN 978-88-98019-61-8

PER AMOR

DI CLASSICISMO

€ 70,00

PER

AMOR DI CLASSICISMO

Studi in memoria di Francesco Quinterio

Progetto e cura scientifica di

Ferruccio Canali

Ricerche di Storia dell’Architettura

e dell’Arte in memoria di Francesco Quinterio

Per chi ha fatto della Storia e della Storia dell’Architettura il centro principale della propria

vita - come è accaduto nel caso di Francesco Quinterio, nostro Socio fondatore oltre che

Studioso, stimatissimo Professore di “Storia dell’Architettura” e Amico caro - non è difficile

comprendere quanto possa essere ancora oggi dirompente mettere in agenda l’importanza

della Storia in una Società che punta, invece, non solo a monetizzare ogni intervento e ogni

azione, ma che in ambito culturale si mostra soprattutto propensa allo “Story telling” e alla

sola divulgazione (una divulgazione che diviene deleteria quando non accompagnata da

una ricerca seria e che si mostra, invece, virtuosa quando finalizzata al progresso culturale

della Società). Riteniamo importante, insieme a chi ha voluto partecipare a questo volume

in memoria di Quinterio, indirizzarsi piuttosto verso una visione della Storia, se non come

magistra vitae (anche se vorremmo), almeno come ‘lettura’ della Società, come consapevolezza

degli eventi, come ricerca delle radici e della “lunga durata” dei fenomeni, come difficile

approccio di conoscenza e di apertura consapevole verso il futuro. Gli studi miscellanei che

si propongono in questa raccolta, dunque, svolti dall’Età medievale a quella contemporanea,

costituiscono non solo una messe di informazioni scientifiche di estrema rilevanza per gli

àmbiti trattati, ma anche un preciso orientamento sociale, oltre che metodologico; una

visione ancora utile che può permettere di ‘fare quadrato’ rispetto al sempre paventato

«silenzio della Storia» e alla depauperazione dei contenuti scientifici e disciplinari di essa.

Il “Bollettino SSF” ribadisce inoltre, dopo molti anni, la sua natura di classicistica ‘bottega

rinascimentale’, di aperta ed eclettica ‘officina’ (il che era nello spirito che ne ha presieduto la

fondazione); una ‘bottega’ nella quale Storia, Critica, Pensiero, Arte, Interpretazione grafica

e Disegno, Architettura si arricchiscono reciprocamente e indissolubilmente si intersecano.

Anche, e forse soprattutto, nell’epoca informatica ...

For those who have made history and the history of architecture the main center of their

lives - as happened in the case of Francesco Quinterio, our founding member as well as

scholar, highly respected professor of “History of Architecture” and dear friend - it is not

difficult to understand how it can still be disruptive to put on the agenda the importance

of history in a society that aims, instead, not only to monetize every intervention and every

action, but that in the cultural sphere shows itself above all inclined to “story telling” and

to the disclosure only (a disclosure that becomes harmful when it is not accompanied by

serious research and that instead is shown to be virtuous when aimed at the cultural progress

of the Society). We consider it important, together with those who wanted to participate in

this volume in memory of Quinterio, to focus rather on a vision of History, if not only as

magistra vitae (but we wish), at least as a ‘reading’ of the Society, as awareness of events, as

the search for roots and “long duration” of phenomena, as a difficult approach to knowledge

and openness to the future. The miscellaneous studies that are proposed in this collection,

therefore, carried out from the Medieval to the Contemporary Age, constitute not only a

mass of extremely relevant scientific information for the covered areas, but also a precise

social orientation, as well as methodology; a still useful vision that can allow us to ‘square’

with respect to the always feared “silence of history” and to the impoverishment of its

scientific and disciplinary contents. The “SSF Bulletin” also reaffirms, after many years, its

nature as a classicistic ‘Renaissance Bottega’, of open and eclectic ‘workshop’ (which was in

the spirit that presided over its foundation); a ‘Bottega’ in which History, Criticism, Thought

Art and Architecture are mutually enriched and inextricably intersected. Also, and perhaps

above all, in the computer age ...

2015-2016

24-25

24-25

2015-2016

di

M

aria

M

argherita

B

ulgarini

BOLLETTINO SSF SOCIETÀ DI STUDI FIORENTINI

BOLLETTINO DELLA

(2)

SOCIETÀ DI STUDI FIORENTINI

ANNO 2015 e 2016

La

Società di Studi Fiorentini è una Associazione culturale, che si prefigge la promozione,

con spirito scientifico, di studi di argomento fiorentino, favorendo la conoscenza della

illu-stre civiltà fiorentina presente anche in altre realtà geografiche. L’Associazione promuove

cicli di conferenze, dibattiti, convegni i cui esiti confluiscono nella pubblicazione di scritti

e saggi raccolti in collane di studi («BSSF - Bollettino della Società di Studi Fiorentini» e

«Letture»). La Società si rivolge pertanto a tutti coloro che, avendo a cuore i molteplici

aspetti della ‘Fiorentinità’, siano interessati, associandosi ad essa, a seguire il progresso

degli studi o a inviare i loro personali contributi scientifici.

The Società di Studi Fiorentini (Florentine Studies Society)) is a cultural Association that

promotes scholarly studies concerning Florentine topics, which aim at giving greater insight

to the illustrious Florentine civilisation and of its presence in other geographical areas. The

Association promotes conferente cycles, debates, meetings and publishes all papers and essays

delivered in a studies series («BSSF - Bollettino della Società di Studi Fiorentini» and

«Let-ture»). The Society, therefore, addresses to all those who, taking to heart the multiple aspects

of ‘Florentinism’ (Fiorentinità), are interested in becoming a member in order to follow the

studies progress; or to those who wish to submit and share their own personal scientific

con-tributions.

Società di Studi Fiorentini

e.mai: [email protected]

www.societastudifiorentini.it <http://www.societastudifiorentini.it>

Facebook: studifiorentini Società Studi Fiorentini

Per associarsi

Associazione Studi Fiorentini

Via del Pino, 3 - 50137 Firenze

Conto Corrente Postale: 14048508

IBAN: IT25 D076 0102 8000 0001 4048 508

L’adesione dà diritto al Socio: di ricevere il numero dell’anno relativo del «Bollettino della

Società di Studi Fiorentini»; di partecipare alle iniziative societarie; di collaborare alle

pubblicazioni, previa accettazione dei saggi da parte della Redazione del «Bollettino»

sulla base della programmazione editoriale. L’ammontare dell’associazione è stabilito di

anno in anno. Per Enti, Biblioteche, Musei, etc., tale quota è sempre assimilata a quella

prevista per i Soci Sostenitori.

Quote per gli anni 2015 e 2016

Socio Sostenitore (e per Soci eletti nelle diverse cariche sociali): € 80.00

Socio Ordinario € 40.00

P

residente

Virgilio Carmine Galati

e

conomo

Ferruccio Canali

c

onsigliodirettivo

Soci fondatori

Ferruccio Canali

Giorgio Caselli

Carlo Francini

Francesco Quinterio

Virgilio Carmine Galati

Soci designati

Giuseppe Conti

Giovanna De Lorenzi

Stefano Pagano

Carlo Picchietti

Alessandro Uras

v

icePresidente

Alessandro Uras

d

irettore

s

cientifico

Ferruccio Canali

c

ollegiodei

P

robiviri

Giorgio Zuliani (Presidente)

Enrica Maggiani

Olimpia Niglio

c

ollegiodei

r

evisori

dei

c

onti

Paola Pesci (Presidente)

Bombina Anna Godino

Assunta Mingrone

(3)

PER AMOR DI CLASSICISMO

Ricerche di Storia dell’Architettura

e dell’Arte in memoria di Francesco Quinterio

Progetto e cura scientifica di Ferruccio Canali

ANNO 2015-2016

NUMERO 24-25

Collana di studi storici

BOLLETTINO SSF

DELLA SOCIETÀ DI STUDI FIORENTINI

(4)

«BOLLETTINO DELLA SOCIETÀ DI STUDI FIORENTINI»

comitato di lettura e di redazione

Ferruccio Canali, Valerio Cantafio Casamaggi, Giorgio Caselli, Carlo Francini, Virgilio Carmine Galati, Olimpia Niglio, Stefano Pagano e Alessandro Uras

direttore scientifico: ferruccio canali comitato scientifico italiano

diana Barillari (università di trieste), ferruccio canali (università di firenze), Giuseppe conti (università di firenze), Giovanna de lorenzi (università di firenze), virGilio carmine Galati (università di firenze), valentina orioli (università di BoloGna), enrica petrucci (università di camerino), massimiliano savorra (università del molise), simona talenti (università di salerno), ulisse tramonti (Già università di firenze),

stefano zaGnoni (università di udine) comitato scientifico internazionale

vittoria capresi (università tecnica di vienna-austria), romeo caraBelli (università di tours - francia), roBerto Goycoolea prado (università alcalà di madrid - spaGna), adriano marinazzo (muscarelle museum of art - va, usa), olimpia niGlio (università di Kyoto - Giappone), david rifKind (università di miami - fl,usa), Karin templin (school of architecture and landscape, KinGston university di londra - inGhilterra), armand voKshi (politecnico di tirana - alBania)

soci corrispondenti

tommaso carrafiello (napoli e campania), BomBina anna Godino (calaBria), enrica maGGiani (liGuria), leonardo scoma (sicilia), maria antonietta uras (sardeGna), GiorGio zuliani (trieste e istria)

Proprietà letteraria e artistica: divieto di riproduzione e di traduzioni. La Direzione della Collana Editoriale, i Membri dei Comitati Scientifici e l’Editore non si assumono responsabilità per le opinioni espresse dagli Autori, né per la corresponsione di eventuali Diritti di Riproduzione gravanti sulle singole immagini pubblicate (i costi di tali eventuali Diritti d’Autore ricadranno infatti unicamente sull’Autore/i del saggio/i liberando sia la Direzione, sia la Redazione, sia i Comitati, sia i Soci della SSF, sia l’Editore di ogni eventuale obbligo al proposito); tale liberatoria resta comunque valida unicamente per l’edizione del contributo scientifico cui tali immagini sono connesse. È la Redazione che si prende cura della correzione delle bozze, per cui i testi consegnati dagli Autori vengono considerati definitivi: l’eventuale revisione delle bozze dovrà limitarsi alla sola revisione di eventuali errori di composizione (correzioni ulteriori sul testo composto non verranno eseguite). L’invio di contributi per la pubblicazione non implica né l’edizione degli stessi (per ogni contributo una “Valutazione di accettazione” verrà espresso dalla Direzione o dal Curatore/i che possono consigliare o ritenere indispensabili integrazioni o puntualizzazioni sia scientifiche sia bibliografiche sia redazionali da parte degli Autori, tanto da poter eventualmente esprimere anche parere negativo alla pubblicazione del materiale inviato); né una loro edizione immediata (i tempi verranno infatti stabiliti di volta in volta sulla base delle priorità o delle esigenze editoriali indicate dalla Direzione o dal Curatore/i, in relazione alla preparazione di numeri monografici). I materiali grafici e fotografici inviati, oltre che i testi, verranno comunque soggetti, sia come dimensione di pubblicazione sia come numero, al progetto editoriale approntato. Non si restituiscono i dattiloscritti, né le immagini, né i disegni pubblicati o non; il materiale inviato viaggia a rischio del mittente. La pubblicazione di foto, disegni e scritti da parte degli Autori implica la loro totale rinuncia alla corresponsione di ogni compenso di Diritto d’Autore o di rimborso spese sia da parte dell’Università, sia da parte della Direzione, sia da parte dell’Editore, trattandosi di pubblicazione scientifica e senza fini di lucro. Al momento dell’edizione le presenti condizioni si considerano accettate, anche tacitamente, da parte degli Autori a partire dalla consegna dei testi per la stampa (che da parte degli Autori è quella di inoltro alla Direzione o al Curatore/i).

referee - peer review

I contributi scientifici inviati vengono valutati, per conto dei Comitati Scientifici e del Curatore, ai fini della procedura di peer review, da un Lettore interno, membro della Redazione, e da un secondo Lettore, individuato come Esperto (adottando la procedura di “clear peer review”, con indicazione, in ogni saggio, dell’identità dei due Lettori). Una ulteriore lettura viene poi svolta da un Lettore anonimo per la procedura di “blind peer review”.

PER AMOR DI CLASSICISMO.

Ricerche di Storia dell’Architettura e dell’Arte in memoria di Francesco Quinterio «Bollettino SSF» », 24-25 2015-2016

proGetto e cura scientifica di Ferruccio Canali

proGetto e cura Grafica: sBaf – firenze (Ferruccio Canali e Virgilio Carmine Galati) revisione editoriale: Maria Natalina Brigliadori

copertina, loGo e fascetta Grafica (p.1): Virgilio Carmine Galati e Ferruccio Canali

Il «Bollettino SSF» è stato registrato presso il Tribunale di Firenze al n.4777 del 2 marzo 1998 fino all’anno 2002. Poi è stato trasformato in “Collana editoriale” non potendo garantire regolari uscite periodiche. Il «Bollettino» è registrato nella “Lista delle Riviste scientifiche” dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca del Ministero della Ricerca Scientifica della Repubblica Italiana) aggiornata al 10 febbraio 2014; nel sistema U-GOV (sistema per la governance degli Atenei universitari italiana del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica); ed è registrato con codice di collana editoriale ISSN 1129-2800.

Finito di stampare nel Giugno 2019

da Global Print S.r.l, Via degli Abeti 17/, Gorgonzola (MI) ISSN 1129-8200 - ISBN 978-88-98019-61-8

(5)

3 SOMMARIO

EDITORIALE E INTRODUZIONE 5 Ferruccio Canali e Virgilio C. Galati SAGGI

10 Virgilio C. Galati

TIPOLOGIE DI SALONI PER LE UDIENZE NEL QUATTROCENTO PADANO TRA FERRARA E MANTOVA

37 Giuseppe Conti e Marco Pescini

CONSIDERAZIONI SULLA GEOMETRIA DI VOLTE GOTICHE IN TOSCANA. SAN GALGANO A CHIUSDINO DI SIENA, PALAZZO VECCHIO E ORSANMICHELE A FIRENZE

48 Alfonso Gambardella

LEON BATTISTA ALBERTI E NAPOLI

55 Corinna Vasić Vatovec

LUCA FANCELLI IN RELAZIONE CON LUDOVICO II GONZAGA E LEON BATTISTA ALBERTI: TEMI E PROBLEMI ATTRAVERSO UNA RILETTURA DELL’ “EPISTOLARIO GONZAGHESCO”

79 Stefano Borsi

ECCE MURUS ADAMANTINUS.

IL BUGNATO A PUNTE DI DIAMANTE DEI SANSEVERINO IN CAMPANIA (1466-1470)

91 Federico Bellini

LA BASILICA DI LORETO NEL QUATTROCENTO

106 Giuseppe Rago

IL CORONAMENTO MISTILINEO NEL QUATTROCENTO: LA QUESTIONE DEL PRIMATO TRA VENEZIA E FIRENZE E LA FORTUNA DI UN MOTIVO TRA TARDO GOTICO E RINASCIMENTO

123 Danila Jacazzi

LA «TORRE ET MOLINO» DI LUCA BIGIAMI

132 Ferruccio Canali e Virgilio Carmine Galati

ARCHITETTURE E ORNAMENTAZIONI DALLA TOSCANA

AGLI ‘UMANESIMI BARONALI’ DEL REGNO DI NAPOLI ALLA FINE DEL QUATTROCENTO. PARTE IV: LA COMMITTENZA DEI DEL BALZO NEL SALENTO MERIDIONALE E A GIOVINAZZO

190 Marcello Scalzo

SU UN DISEGNO INEDITO DI SCUOLA TOSCANA DI INIZIO DEL XVI SECOLO

198 Tommaso Carrafiello

ECHI ALBERTIANI IN PROVINCIA DI SALERNO.

TRE PORTALI CINQUECENTESCHI A MONTECORVINO ROVELLA ED EBOLI

210 Wolfgang Lippmann

DALLA «CASA ALL’INDIANA» ALLA CASA A IMPIANTO OVALE. DISEGNI FANTASTICI DELL’ARCHITETTO DILETTANTE GIOVAN VETTORIO SODERINI (1526–1596)

228 Ferruccio Canali

I “NOMI DELLA BELLEZZA”.

LEMMARIO GENERALE DELL’ORDINE ARCHITETTONICO NELLA TRATTATISTICA ITALIANA DEL CINQUE CENTO. APPUNTI PER UN LESSICO. PARTE SECONDA (D-I)

240 Valerio Cantafio Casamaggi

VIZIO E VIRTÙ NELLA FIRENZE LEOPOLDINA: UN DIBATTITO ERUDITO ALL’OMBRA DEL MARCHESE DE SADE

(6)

4 SOMMARIO

Assunta Mingrone Gianni Giudice Stefano Pagano Ferruccio Canali Virgilio C. Galati Fabio Amico Maria N. Brigliadori Ferruccio Canali Costantino Ceccanti Ferruccio Canali Stefano Pagano Eugenia Valacchi Chiara Vignudini Virgilio C. Galati

(Presidente della SSF) Alessandro Uras

(Vice Presidente della SSF) Ferruccio Canali Stefano Borsi Federico Bellini Adriano Ghisetti Giavarina

244 Enrica Petrucci e Francesco Di Lorenzo

MATTIA E PAOLO ISIDORO CAPPONI: SCIENZA E TECNICA A JESI NEL XVIII SECOLO. NUOVI DOCUMENTI

254 Massimiliano Savorra

“UN CAPOLAVORO DI BELLEZZA E DI ELEGANZA”: IL REALE ISTITUTO DI BELLE ARTI DI NAPOLI E UN PROGETTO DI FACCIATA DI ERRICO ALVINO

263 Simona Talenti

L’INTERESSE PER L’ARCHITETTURA DOMESTICA TRA STORIA E PROGETTO. LA CULTURA ARCHITETTONICA FRANCESE NELLA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO E GLI IMMEUBLES DI VIOLLET-LE-DUC

273 Ulisse Tramonti

LA “CASA DI FULCIERI”. IL PALAZZO PAULUCCI DI CALBOLI, GIÀ DALL’ASTE DEL VESCOVADO, A FORLÌ

281 Ferruccio Canali

ASMARA, LO SVILUPPO URBANO DELLA MILANO «BIANCA» DEGLI ALTIPIANI, DOPO IL NUOVO PIANO REGOLATORE DI VITTORIO CAFIERO (E ATTILIO TERUZZI CON LA CONSULENZA DI ALBERTO CALZA BINI) (1937-1939)

328 Massimo Germani

IL I° MAGGIO MUSICALE FIORENTINO (1933)

339 Ferruccio Canali

PIANI REGOLATORI DI CITTÀ NELL’ALBANIA ITALIANA:

NUOVE PREVISIONI URBANISTICHE PER DURAZZO/ DURRËS (1942)

383 Ezio Godoli

FIRENZE 1944-1948.

SPERANZE DELUSE DI UNA RIFORMA DELLA FACOLTÀ DI ARCHITETTURA

393 Ferruccio Canali (con traduzioni dal Polacco di Giorgio Zuliani)

UN INTERESSATO SGUARDO RETROSPETTIVO. L’IDEA DI NAZIONE POLACCA SECONDO IL ‘REALISMO SOCIALISTA’ ... E IL RESTAURO DEI MONUMENTI... JERZY FRYCZ E ... LE PAGINE DEL “RESTAURACJA I KONSERWACJA...” (1975)

425 DOSSIER

PERCHÉ LEGGERE HANS SEDLMAYR OGGI?

a cura di Giovanna De Lorenzi

437 RECENSIONI E APPUNTI

Residenze nobiliari a Firenze nel Settecento: palazzo Bombicci e l’ex chiesa di San Romolo in alcune fonti inedite

Assunta Mingrone, 438

Architettura e identità locali, vol. 1, a cura di Lucia Corradin e Francesco P. Teodoro, Firenze, Leo Olschki Editore, 2013, collana “Biblioteca dell’Archivum romanicum”

Architettura e identità locali, vol. 2, a cura di Howard Burns e Mauro Mussolin, Firenze, Leo Olschki Editore, 2013, Collana “Biblioteca dell’Archivum romanicum”

Gianni Giudice, 440

Gino Chierici tra Medioevo e Liberty, Progetti, Studi e Restauri nei disegni della donazione “Gino Chierici”,

Catalogo della Mostra, a cura di Emanuela Carpani, Siena, Edizioni Cantagalli, 2014

(7)

5 SOMMARIO

La Cultura militare veneta del Cinquecento con ... la Toscana nell’orizzonte. Palmanova, le fortezze venete “de Terra e de Mar” e la candidatura UNESCO

L’Architettura militare di Venezia in Terraferma e in Adriatico fra XVI e XVII secolo, Atti del Convegno

internazionale (Palmanova, novembre 2013), a cura di Francesco Paolo Fiore, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2014, pp.461

Ferruccio Canali, 442

L’occhio alato di Leon Battista Alberti. ‘Migrazione’ e inflazione di un simbolo divenuto icona pop: “QUID TUM”?

Alberto Giorgio Cassani, con “Introduzione” di Massimo Cacciari, L’Occhio alato. Migrazioni di un

simbolo, Torino, Aragno editore, 2014

Virgilio C. Galati , 445

Umberto Prencipe e la Toscana. Tra Modernità e Tradizione, Catalogo della Mostra (Lucca, Fondazione

Ragghianti, 28 febbraio – 22 giugno 2014), a cura di Sabina Spinazzè e Teresa Sacchi Lodispoto, Lucca, Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’Arte, 2014

Fabio Amico, 449

Incontri di Civiltà nel Mediterraneo. L’Impero Ottomano e l’Italia del Rinascimento. Storia, Arte e Architettura, a cura di Alireza Naser Eslami, Firenze, Leo S. Olschki, 2014

Costantino Ceccanti, 451

Guido Cirilli, Architetto dell’Accademia. Dal fondo “Disegni” dell’Accademia di Belle Arti di Venezia,

Catalogo della Mostra (Venezia, Magazzino del Sale, giugno-settembre 2014), a cura di Alberto Giorgio Cassani e Guido Zucconi, Padova, Il Poligrafo, 2014, pp.342

Maria N. Brigliadori, 452

Tra Storiografia e Critica: modelli economici e colturali di Al-Andalus (XI-XIV secolo ... per l’attualità magrebina

Mohammed el Faiz, Agronomie et Agronomes d’Al-Andalus (XI-XIV siecle). Au service de l’agricolture

familiale, Rabat, Age-Editions “La Croiséè des Chemins”, 2015, pp.239

Ferruccio Canali, 453

Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. Studi, fonti e interpretazioni di 450 anni di storia, a cura di Bert

W. Meijer e Luigi Zangheri, Firenze, Leo S. Olschki editore, 2015, 2 voll.

Costantino Ceccanti, 456

Mario Bevilacqua, I progetti per la facciata di Santa Maria del Fiore (1585-1645). Architettura a Firenze tra

Rinascimento e Barocco, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2015, pp.354

Ferruccio Canali, 456

Federico Maniero, Cronologia della flora esotica italiana, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2015

Stefano Pagano, 458

La forme de la Ville de l’Antiquité à la Renaissance, a cura di Stéphan Bourdin, Michel Paoli, Anne Reltgen-Tallo, Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 2015

Eugenia Valacchi, 458

Antonio Giamberti da Sangallo il Vecchio (1455-1534), note per una riacquisizione storiografica attraverso la “Biografia“ dell’Artista di Carl von Stegmann ed Heinrich von Geymüller (1885-1908)

Chiara Vignudini, 459

L’architetto Enrico Dante Fantappie’ (1869 – 1951) e la costruzione della Cappella Toja presso il Cimitero delle Porte Sante a Firenze

Alessandro Uras, 470

Mausolei e tribune ottagone nel primo Umanesimo baronale del Regno di Napoli. Il Mausoleo di Giovanni I Ventimiglia a Castelbuono (Palermo)

Virgilio C. Galati, 473

483 VITA ASSOCIATIVA

484 IN MEMORIA DI FRANCESCO QUINTERIO (a cura di Ferruccio Canali)

486 RICORDI PER FRANCESCO QUINTERIO

di Virgilio C. Galati , Alessandro Uras, Ferruccio Canali, Stefano Borsi, Federico Bellini, Adriano Ghisetti Giavarina

494 IL CONTRIBUTO STORIOGRAFICO-CRITICO DI FRANCESCO QUINTERIO.

NOTE E APPUNTI BIO-BIBLIOGRAFICI (a cura di Ferruccio Canali)

505 UN TESTO INEDITO DI FRANCESCO QUINTERIO

DE REGIMINE PRINCIPUM: DIOMEDE CARAFA E “I DOVERI DEL PRINCIPE” 520 UN REPERTORIO DOCUMENTARIO INEDITO DI FRANCESCO QUINTERIO I PRIMI ANNI DIFFICILI PER LA RINASCITA DELLA “SCUOLA DI ARCHITETTURA” DI FIRENZE NEL DOPOGUERRA (1949-1951)

(8)

Perché tornare oggi a leggere Sedlmayr? Storico dell’arte scomparso più di trent’anni fa, Sedlmayr è una personalità su cui ancora pesa una interpretazione di parte, che tende a ricondurre una sterminata attività di studioso, teorico e insegnante estesa su più di cinquant’anni del Novecento su alcune scelte di vita personale e politica negli anni Trenta, e a considerare come incomprensione e rifiuto dell’arte contemporanea quello che è stato invece un confronto appassionato con il proprio tempo, inteso come un tempo di crisi profonda della civiltà, che proprio nella crisi delle forme artistiche tradizionali emerge con la massima forza e chiarezza.

Sfugge così quello che è il vero lascito intellettuale e spirituale dello studioso: la difesa della tradizione umanistica, di una immagine integrale dell’uomo, della centralità dell’opera d’arte come esperienza creativa e della forma come messaggio spirituale e umano. Su queste idee di fondo – non interrogativi puramente intellettuali ma esistenziali e etici – Sedlmayr ha costruito tutta la sua ricerca, sia sul piano dell’indagine storico artistica che su quello della riflessione teorica e dell’impegno attivo; e proprio nel confronto con il tema della luce – su cui qui si offre qualche spunto – questa disposizione ci sembra emergere con particolare evidenza: la luce come esperienza esistenziale, come modello di lettura metodologica, come tramite per un confronto con il presente, nella convinzione che senza quella luce che è metafora della trascendenza non è più possibile una civiltà degna di questo nome.

Proprio oggi, in cui parlare di crisi della civiltà non significa più baloccarsi con concetti astratti o previsioni pessimistiche, ma confrontarsi con un dato di fatto, Sedlmayr appare un interlocutore prezioso; a lui spetta un posto di primo piano fra tutti quegli autori - e sono tanti, scrittori, filosofi, storici – che nella prima metà del Novecento e fino agli anni Settanta – si sono interrogati sulle conseguenze che il trionfo della macchina, l’avvento di una società di massa e l’affermazione dell’ateismo avrebbero comportato per il destino del mondo contemporaneo. Sono autori che oggi torniamo a leggere con rinnovato interesse; e tanto più per noi appare coinvolgente il discorso di Sedlmayr: fra l’altro, egli non solo ha avuto il merito di divulgare, con il titolo ( e l’intera argomentazione) del suo libro più celebre, Perdita del centro, un concetto che identifica in una formula di massima pregnanza la situazione di dissociazione che oggi viviamo, e che ha raggiunto dimensioni un tempo inimmaginabili - ma proprio in Italia, attraverso la sua partecipazione ai convegni del Centro internazionale di studi umanistici di Enrico Castelli, a quelli dell’Accademia dei Lincei o della Fondazione Cini a Venezia, agli incontri culturali mitteleuropei di Gorizia, ha condotto una parte determinante della sua battaglia in difesa della tradizione umanistica.

Hans Sedlmayr, Die Revolution der modernen Kunst, Amburgo, 1955, copertina

(9)

DOSSIER

PERCHÉ LEGGERE HANS SEDLMAYR OGGI?

a cura di Giovanna De Lorenzi

Negli anni e nei decenni che precedettero il 1789 ebbe inizio in Europa una rivoluzione di incredibili proporzioni. Gli avvenimenti che vengono di solito riassunti nel nome di “rivoluzione francese” non sono che un aspetto, quello più visibile, di questo largo e profondo rivolgimento. La situazione che ne derivò non è stata superata, almeno fino ad oggi, né sul piano spirituale e neppure su quello pratico. Cercar di capire ciò che avvenne allora è forse il compito più attuale che le scienze storiche possano proporsi. Quella svolta, infatti, non c’interessa soltanto da un punto di vista storico, ma ci tocca personalmente, perché da essa deriva la nostra realtà presente e perché, risalendo ad essa, noi arriviamo a comprendere la nostra attuale situazione: arriviamo cioè a conoscere noi stessi. L’esame delle opere d’arte ci porta a constatazioni che possono essere decisive per capire quella rivoluzione interiore. Tutto ciò che è inconfondibile, che è nuovo, che si mostrò allora per la prima volta e che, come si suol dire, fece epoca, può essere còlto nel modo migliore esaminando una serie di fenomeni che compaiono nel campo dell’arte. Tali fenomeni hanno infatti per noi uno straordinario significato e, se saremo in grado di considerarli non solo come realtà storiche ma anche come sintomi, riusciremo a fare la diagnosi delle sofferenze del nostro secolo.

(10)

DOSSIER 426

Nato nel 1896 a Hornstein, in Austria, vicino al confine con l’Ungheria, Hans Sedlmayr studia a Vien-na, prima con Max Dvořák, e, alla morte di questi, con Julius von Schlosser. Nel 1926 si dottora in Storia dell’arte con una tesi sull’architetto barocco Johann Bernhard Fischer von Erlach. Nel 1936 succede a Schlosser come professore ordinario di Storia dell’arte all’Università di Vienna; dal 1951 al 1964 è ordinario di Storia dell’arte all’Università di Monaco di Baviera; nel 1965 si trasferisce a Sali-sburgo, dove riorganizza l’Istituto di Storia dell’arte e si impegna in particolar modo nella difesa del centro storico, dei monumenti e del paesaggio. Muore a Salisburgo nel 1984. Autore di studi fonda-mentali sull’architettura gotica, su quella barocca, sull’arte del Rinascimento e del Seicento, nonché sull’arte contemporanea, è stato allo stesso impegnato sul versante della riflessione metodologica.

(11)

427 PERCHÉ LEGGERE SEDLMAYR

RILEGGERE SEDLMAYR.

HANS SEDLMAYR E “LA MORTE DELLA LUCE”: QUALCHE SPUNTO

Nel 1964 Hans Sedlmayr, uno dei massimi Storici dell’Arte del Novecento, fondatore della Seconda Scuola di Vienna, Studioso di Architettura, Scultura, Pittura dall’Antico al Barocco1, pubblica un volume dal titolo “La morte della luce” (“Der Tod des Lichtes”), in cui raccoglie una serie di suoi scritti dedicati all’Arte contemporanea, usciti fra il 1947 e il 19612. In questi scritti, che comprendono l’esame di singole personalità e movimenti, da Picasso a Malevich, da Duchamp al Surrealismo, analisi di temi iconografici (“La secolarizzazione dell’inferno”), riflessioni di carattere teorico e metodologico, con particolare attenzione al rapporto fra arte e tecnica (“Pericoli e speranze nell’epoca della tecnica”) Sedlmayr sviluppa e approfondisce la tesi di fondo che informa in quegli stessi anni due suoi celebri libri: “Perdita del centro”, uscito nel 19483, e “La rivoluzione dell’arte moderna”, del 19554: la tesi cioè che la crisi delle forme tradizionali nelle ricerche artistiche moderne5 si trovi in diretta corrispondenza alla crisi spirituale della Civiltà europea. La “morte della luce” suggerita dal titolo e raffigurata in copertina da un’eclissi totale di sole, non significa altro che la fine, la morte del riferimento alla trascendenza, e cioè la perdita di Dio, che segna la storia della civiltà occidentale dalla seconda metà del Settecento – e che si riflette con straordinaria evidenza, secondo Sedlmayr, nell’arte degli ultimi secoli. Non a caso, la versione italiana del libro, uscita nel 1970, reca come sottotitolo: “L’arte nell’epoca della secolarizzazione”. L’immagine della morte della luce non costituisce però in questo caso, come potrebbe sembrare a prima vista, una metafora generica, e in fondo scontata; in realtà, il tema della luce – e quindi anche quello del suo oscuramento – riveste all’interno del pensiero e dell’interpretazione storica dell’arte di Sedlmayr un ruolo fondamentale, come ha recentemente sottolineato Andrea Pinotti riproponendo il saggio di Sedlmayr del 1960, La luce nella sue manifestazioni artistiche6. Si potrebbe quasi dire che nell’intreccio tra esperienza della luce nella vita, come fatto esistenziale, e riflessione sulla luce nell’arte, si celi forse (e vada quindi ricercato) il nucleo centrale, il cuore, del percorso umano, intellettuale e spirituale, dello studioso.

Non posso, in questa sede, entrare nel dettaglio, ma vorrei cercare di offrire almeno qualche spunto,

Questo testo è stato oggetto di una comunicazione nell’ambito del Convegno “Trasparenze ed epifanie. Quando la luce diventa

letteratura, arte, storia, scienza”, Università degli studi di Firenze (15-17 dicembre 2015). a cura di M. Graziani e dei

Diparti-menti LILSI, SAGAS, DILEF, DST, Biologia, Chimica “Ugo Schiff”, Fisica e Astronomia, OpenLab , Servizio Educazione e Divulgazione Scientifica.

1 Per una bibliografia degli scritti cfr. Hans Sedlmayr, 1896-1984: Verzeichnis seiner Schriften, a cura di Fr. Piel, Mäander-Verl-ag, Falkenberg 1996, e, più recentemente, l’accurata appendice bio-bibliografica con esaustivo elenco della letteratura critica di A. Pinotti in H. Seldmayr, La Luce nelle sue manifestazioni artistiche, a cura di A. Pinotti, Palermo, Aesthetica Edizioni,

2009, pp. 98-104.

2 H. Sedlmayr, Der Tod des Lichtes. Übergangene Perspektiven zur modernen Kunst, Salisburgo, Otto Müller Verlag, 1964; La morte della luce. L’arte nell’epoca della secolarizzazione, trad. it. di M. Guarducci, introduzione di Q. Principe, Rusconi,

Mila-no 1970. L’edizione italiana presenta diverse varianti rispetto a quella tedesca di sei anni prima, a partire dal sottotitolo, che nell’edizione originale suonava “prospettive misconosciute sull’arte moderna”. Qui esso sottolineava il carattere particolare della lettura critica di Sedlmayr, su cui egli si soffermava nella postfazione (assente nell’edizione italiana), ribadendo il proprio rifiuto della lettura “ideologizzata” dell’arte contemporanea che andava allora per la maggiore e la propria vicinanza ad au-tori come Wladimir Weidlé. Gli stessi principi venivano in ogni caso sintetizzati anche nella Prefazione appositamente scritta dall’Autore per l’edizione italiana. Rispetto all’edizione tedesca, il libro mantiene la presentazione dei saggi in tre sezioni, che ora vengono però esplicitamente sottotitolate: Parte prima: Nell’epoca della secolarizzazione (La secolarizzazione dell’inferno, 1947; Intorno al sub-realismo e al super-realismo:ossia Breton e Plotino, 1948; Kierkegaard e Picasso; 1950; L’arte nell’epoca

dell’ateismo, 1950); Parte seconda: Grandezza e miseria dell’artista moderno (I limiti della storia dello stile e l’arte del secolo diciannovesimo, 1955; La grande realtà e il grande astrattismo, 1955; Fino a che punto la pittura è arte? 1959; Norme dell’arte figurativa, 1958); Parte terza: Il mondo della tecnica e l’arte contemporanea (Pericoli e speranze dell’epoca della tecnica, 1958, L’arte nell’epoca demiurgica, 1961). Non compare nell’edizione italiana il saggio Die Kunst im Banne der Technik del 1960,

compreso nell’originale nella terza parte. Rimane invariato l’apparato illustrativo (Immagini simboliche) inteso da Sedlmayr come un contributo a sé stante (cfr. Sedlmayr, Der Tod des Lichtes ... cit., p. 226).

3 H. Sedlmayr, Verlust der Mitte. Die bildende Kunst des 19. und 20. Jahrhunderts als Symptom und Symbol der Zeit, Salisbur-go, Otto Müller Verlag,1948 (trad. it. di M. Guarducci, Bologna, Borla, 1967: cfr. G. de lorenzi, r ecensione al l a r istampa di HanS Sedlmayr, Perdita del centro. Le arti figurative del diciannovesimo e ventesimo secolo (1948), Roma, Borla, 2011, «Bollettino della Società di Studi Fiorentini», 23, 2014, pp. 268-271).

4 H. Sedlmayr, Die Revolution der modernen Kunst, Amburgo, Rowohlt Taschenbuch Verlag, 1955, trad. it. di M. Donà,

Garzanti 1958, ultima ristampa Siena, Cantagalli 2006.

5 Utilizzo i termini “moderno” e “contemporaneo” come equivalenti, nello stesso senso inteso da Sedlmayr.

6 a. Pinotti , Presentazione, in Sedlmayr, La luce nelle sue manifestazioni artistiche ... cit., pp. 7-23 (ed. originale: H. Se -dlmayr, Das Licht in seinen künstlerischen Manifestationen, «Studium Generale», 13, 6, 1960, pp. 313-324; poi in volume,

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soprattutto in relazione alla posizione di Sedlmayr nei confronti della contemporaneità.

È lui stesso, del resto, a fornirci una prima traccia significativa in tale direzione. Durante la Seconda Guerra Mondiale, inviato nel 1942 sul fronte russo, Sedlmayr, allora quasi cinquantenne, in uno dei momenti più oscuri della propria vita – e della Storia europea – inizia a scrivere un’ autobiografia, che invia per lettera alla moglie. Pubblicata postuma nel 1986 con il titolo “L’età dell’oro. Un’infanzia”7, essa si apre con la descrizione di quella che Sedlmayr ritiene (o meglio sente) come l’esperienza essenziale, originaria della propria esistenza: l’esperienza del sole (“Die Sonne” s’intitola il primo capitolo del libro), il sole che sorge al mattino sui campi e sul fiume nella tenuta ai confini dell’Impero asburgico8 in cui trascorre i primi anni di vita: un’esperienza di pienezza e di felicità indicibili – un sentimento di “venire alla vita”, del proprio essere e della natura circostante, di una forza che tutto anima e vivifica, e che egli, nel commento da adulto, dichiara non potersi definire altrimenti che come miracolo. Un miracolo davanti al quale una cosa sola è possibile: l’adorazione9.

E una delle prime immagini artistiche che rimane impressa al bambino (“non la dimenticherò mai”, afferma), è proprio quella di un’adorazione del sole: un’incisione sulla copertina di un libro della biblioteca di suo padre (“Uomo e cosmo”) raffigurante sacerdoti in lunghe vesti fluttuanti che si prosternano davanti al sorgere del sole. E di qui anche il timore, il “tremore”, davanti alla possibilità del suo oscuramento: “quando improvvisamente una luce plumbea ricopre tutte le cose e le rende paurosamente estranee”, e un sentimento di spavento invade uomini e animali. È l’eclissi di sole (Sonnenfinsternis)10, fenomeno che Sedlmayr aveva potuto effettivamente contemplare da bambino, ma che nei ricordi dell’uomo adulto veniva a sovrapporsi con l’impressione indelebile ricevuta più tardi leggendo la descrizione dell’eclissi totale di sole dell’8 luglio 1842, pubblicata da Adalbert Stifter, che vi aveva assistito dai dintorni di Vienna11.

Proprio con un commento a questo brano di Stifter, Sedlmayr introduce il libro del ’64 sulla Morte

della luce12. Qui Stifter – e in ciò risiedeva, per Sedlmayr, la sua grandezza – era riuscito, attraverso la descrizione rigorosamente oggettiva di un fenomeno naturale, ad adombrare simbolicamente un processo dello spirito. Gli effetti che la scomparsa della luce terrena ha sulla natura sono in realtà gli stessi che la morte della luce interiore ha sul mondo dello spirito, e di conseguenza sull’arte, che ne è sintomo e simbolo. Stifter descriveva due fasi dell’eclissi: una prima, caratterizzata dalla scomparsa della luce e da un senso di morte che dilaga ovunque (il mondo impallidisce, si scolora, diventa rigido, pesante, freddo, subentra una strana quiete e uno strano vuoto, i corpi diventano larve senz’ombra, la natura esterna si fa orribilmente estranea) – una seconda, caratterizzata invece dallo scatenarsi turbinoso di movimenti di luci e di colori indescrivibili, da caos, magia e irrealtà, come in una sorta di

7 H. Sedlmayr, Das goldene Zeitalter. Eine Kindheit, Monaco di Baviera, R. Piper, 1986. Le circostanze in cui il libro fu scritto

sono ricordate dalla figlia nella Postfazione. Questi ricordi d’infanzia erano stati pensati come prima parte di un’opera in quattro volumi, che Sedlmayr non riuscì mai a portare a compimento, ma di cui rimangono tracce e progetti fra le sue carte, e che avrebbe dovuto concludersi con un “ritorno all’età dell’oro” e ancora una volta con un inno al sole (ivi, p. 179). 8 Si tratta della tenuta di Dolnji Miholjàc, in Slovenia, sulla Drau, a sud di Fünfkirchen, oggi Pécs, di cui il padre era Am-ministatore.

9 Sedlmayr, Das goldene Zeitalter ... cit., pp. 14-15: «la più antica di tutte le adorazioni, che non necessita di alcuna prova, è l’adorazione del sole, in Natura e nello Spirito».

10 Il termine tedesco “Sonnenfinsternis” contiene una pregnanza metaforica che manca nel corrispettivo italiano “eclissi di sole”, e andrebbe tradotto letteralmente “oscuramento del sole”.

11 Sedlmayr, Das goldene Zeitalter ..., cit., pp. 9-15. a. Stifter, Die Sonnenfinsternis am 8. Juli 1842, “Wiener Zeitschrift für

Kunst, Literatur, Theater und Mode”, luglio 1842, nn.139-141; L’eclissi di Sole dell’8 luglio 1842, trad. it. di S. Costagli, in a. Stifter, Eclissi. Lettere invernali. Dalla foresta bavarese, a cura di A. Rizzi, Bologna, Clueb, 2006, pp. 37-47.

12 H. Sedlmayr, Der Tod des Lichtes. Eine Bemerkung zu Adalbert Stifters “Sonnenfinsterniß am 8. July 1842, in idem, Der Tod des Lichtes...cit, pp. 9-17, trad. it. La morte della luce. Un’osservazione sullo scritto di Adalbert Stifter: “Eclissi di sole dell’8 luglio 1842”, in Sedlmayr, La morte della luce.. cit., pp. 19-29 (pubblicato per la prima volta in Kunst in Österreich. 1851-1951,

Festschrift des oberösterreichischen Kunstvereins, Linz, Verlag des Amtes der oberösterreichischen Landesregierung,1951, pp.

3-36). Una nuova traduzione di questo testo è stata proposta da A. Pinotti in appendice a Sedlmayr, La Luce nelle sue ma-nifestazioni artistiche ... cit, pp. 57- 63. Quest’ultima ottima versione corregge e puntualizza diverse sviste e fraintendimenti

contenuti in quella precedente, pubblicata nel 1964. Mi permetto di suggerire qualche ulteriore aggiustamento: il paragrafo iniziale andrebbe forse tradotto più chiaramente (anche se più liberamente): “[...] Vi sono per ognuno di noi persone, cose av-venimenti, di cui non vogliamo disgregare l’essenza, e desidero subito dichiarare che fra questi rientra per me Adalbert Stifter e la sua opera. Questo ritegno non deve però andare tanto oltre da impedirci di condividere con altri ciò che in noi si è impresso in modo permanente di quanto ci è stato svelato per loro tramite. Tale condivisione non può però avvenire in forma propria-mente scientifica, ma solo nella semplice veste di un’indicazione (allusione) a ciò che si ritiene di aver osservato e che, osservato e comunicato, potrebbe giovare ad altri”. Così l’ultimo paragrafo a p. 58 risulterebbe forse più chiaro in questi termini: “Tale analogia – non dipende forse dal fatto che l’oscuramento della luce centrale dello spirito comporta necessariamente fenomeni analoghi a quelli dell’oscuramento della luce del mondo esterno, mentre l’arte, a sua volta per necessità interna, rende visibili questi processi spirituali con mezzi simili a quelli della natura stessa?”. A p. 61, la poesia di Byron rievocata da Stifter si rife-risce al fatto di “incendiare” (non illuminare) le case “soltanto per vedere la luce” (Stifter traduceva infatti correttamente il termine inglese “to burn” con “anzünden”), coerentemente del resto con tutto il significato del discorso; a p. 62, “wildfremd” significa “del tutto estraneo”, piuttosto che “selvaggio e estraneo”.

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429 PERCHÉ LEGGERE SEDLMAYR

tragica apocalissi.

Ma tali fenomeni sono gli stessi – secondo Sedlmayr – che ritroviamo anche nell’arte contemporanea, e che già iniziavano a manifestarsi all’epoca di Stifter. Cito a titolo esemplificativo due sole opere, tratte dalla sezione “Immagini simboliche” de “La morte della luce”: l’incisione dalla serie dei “Disastri della

guerra” di Goya, dal titolo “Non sanno dove andare” 13e quella di James Ensor, “I diavoli bastonano

gli angeli e gli arcangeli”14: mondo vuoto, snaturato, privo di colori e di profondità, pervaso da un incombente senso di morte nella prima opera; moto violento, disordine, caos irrazionale, mondo capovolto, apocalissi nella seconda.

La domanda che secondo Sedlmayr si pone a questo punto allo Storico dell’Arte è questa: che cosa succede al rapporto con la luce e alla sua raffigurazione artistica, in un momento in cui proprio la “morte della luce” appare come il più importante evento spirituale del tempo – evento metaforicamente descritto da Stifter attraverso il suo magistero letterario, ma che forma anche il nucleo del pensiero di tanti grandi Autori dell’epoca, da Nietzsche a Dostoevsky?

A una domanda siffatta, afferma Sedlmayr, si può rispondere soltanto affrontando nel suo insieme una storia della luce nell’Arte – e non solo nell’Arte – che comprenda tutte le epoche. Un punto di vista che avrebbe potuto, a suo avviso, fornire una chiave di lettura di fenomeni essenziali nella Storia dell’Arte forse ancor meglio che non quella storia dello spazio, che da Riegl in poi ne aveva costituito il problema centrale15.

Ed è lo stesso Sedlmayr a proporre, e a formulare a grandi linee un tale progetto nel saggio “La luce nelle

sue manifestazioni artistiche”: qui Sedlmayr, partendo dall’opera monumentale di Wolfgang Schöne,

“Über das Licht in der Malerei (Sulla luce nella pittura)”, pubblicata nel 195416, elabora con maggiore ampiezza una proposta già avanzata nel 1946 nel saggio “Zeichen der Sonne (Segni del sole)”, subito a ridosso quindi della fine della Guerra, e dei ricordi d’infanzia che abbiamo ricordato sopra17.

Il saggio usciva nel sesto numero della XIII annata di «Studium Generale»18, prestigiosa rivista universitaria nata nel 1947 sotto gli auspici di Karl Jaspers, nell’intento di promuovere l’incontro di Scienziati e Umanisti all’insegna di un progetto comune: quello dell’ “unità” della Cultura, al di là delle singole specializzazioni19. Tutta la seconda metà dell’annata del 1960 (sei ricchi numeri), quasi in risposta all’auspicio avanzato fin dal 1946 da Sedlmayr, che del resto faceva parte del Comitato di Redazione, è dedicata al tema della luce affrontato sotto i più diversi aspetti, fisici, ottici, psicologici, ma anche storici, letterari, antropologici. Il primo numero della serie, che si apriva proprio con lo scritto di Sedlmayr, conteneva, fra l’altro, un contributo sul simbolismo della luce nell’antica Cina20 e si concludeva con un studio sui concetti di luce e illuminazione nella storia dello spirito occidentale di Joseph Ratzinger, allora giovanissimo Docente di “Teologia fondamentale” a Bad Gödesberg21. Del contributo di Sedlmayr, ripubblicato nel 1979 come volumetto a parte presso l’editore Mäander

13 Francisco Goya (1746-1828), No saben el camino, acquaforte, puntasecca, bulino e brunitoio (I disastri della guerra 1810-1820, n. 70).

14 James Ensor (1860-1949), incisione.

15 Sedlmayr, La morte della luce ... cit., pp. 25-26. Vedi anche idem, La Luce nelle sue manifestazioni artistiche ..., cit., p. 29;

Cfr. Pinotti, Presentazione ... cit., pp.10-11.

16 W. ScHöne, Über das Licht in der Malerei, Berlino, Gebr. Mann, 1954. Cfr. H. Sedlmayr, Bemerkungen zu: Wolfgang Schöne, “Über das Licht in der Malerei”, “Hefte des Kunsthistorischen Seminars der Universität München, 5, Über Farbe, Licht und Dunkel, 1959, pp. 29-51. Il quaderno, dedicato interamente al tema “Farbe, Licht und Dunkel” conteneva anche i

saggi di e. StrauSS, Zu den Anfängen des Helldunkel (pp.1-19) e di L. dittmann, Bemerkungen zur Farbenlehre von Hedwig Conrad-Martius (pp.20-28). Le osservazioni critiche di Sedlmayr e Strauss venivano registrate da Schöne nella seconda

edizio-ne di Über das Licht in der Malerei (Berlino, 1961, pp. 305-306), insieme all’intervento di H. BlumenBerG, Licht als Metapher der Wahrheit. Im Vorfeld der philosophischen Begriffsbildung, «Studium Generale»,10, 1957, pp. 432-447, e agli altri interventi

sul tema usciti su “Studium Generale” nel 1960.

17 H. Sedlmayr (sotto lo pseudonimo HanS ScHWarz), Zeichen der Sonne, «Wort und Wahrheit», I, 1946, pp. 364-369; poi in

idem, Epochen und Werke. Gesammelte Schriften zur Kunstgeschichte, Vienna-Monaco di Baviera, 1960, vol.II, pp. 249-256.

Già qui Sedlmayr esprimeva tutta la sua ammirazione per la descrizione stifteriana dell’eclissi del 1842, definita un «inno al sole in prosa … che ci commuove in modo particolare, perché descrive la vittoria sul suo oscuramento con incomparabile forza della parola e del cuore, e fa intravedere, dietro la semplice descrizione di un processo naturale, in modo delicato ma intenso, il suo più profondo significato» (p. 256).

18 Cfr. nota 4.

19 La rivista, pubblicata dall’editore Springer, reca come sottotitolo: “Zeitschrift für die Einheit der Wissenschaften im

Zu-sammenhang ihrer Begriffsbildungen und Forschungsmethoden” (“Rivista per l’unità delle scienze in rapporto alla formazione dei loro concetti e ai loro metodi di ricerca”); diretta dal 1947 da Manfred Thiel, allievo di Jaspers, continua le pubblicazioni fino

al 1971.

20 c. Hentze, Lichtsymbolik und die Bedeutung von Auge und Sehen im ältesten China, “Studium Generale”, 13, 6, 1960, pp.

313-323.

21 J. ratzinGer, Licht und Erleuchtung. Erwägungen zu Stellung und Entwicklung des Themas in der abendländischen Gesistesgeschichte, «Studium Generale», 13, 6, 1960, pp 368-378. Per il settore umanistico, di particolare rilievo il lungo

contributo di H. Pongs: Lichtsymbolik in der Dichtung seit der Renaissance I ( ivi, 10, pp. 628 – 646; 11, pp. 682-706, 12, pp. 707-731.

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di Mittenwald, possediamo oggi. come abbiamo ricordato all’inizio, una nuova edizione italiana, accompagnata da un saggio, anch’esso illuminante sull’argomento, di Andrea Pinotti22.

La prospettiva da cui Sedlmayr parte nell’affrontare il tema è, evidentemente, quella della sua concezione dell’opera d’arte. Una concezione frutto di una penetrante e sistematica riflessione sui problemi del metodo e dell’interpretazione, che proprio nel 1958 sfociava nella raccolta di scritti Arte e verità (Per una

teoria e un metodo della storia dell’arte). Non posso qui entrare nel merito. In estrema sintesi, potremmo

dire che l’idea dell’arte di Sedlmayr coincide con quella condensata nel celebre detto di Goethe: “L’arte è un tramite dell’inesprimibile”, una forma quindi di linguaggio, una “parola”, che esprime ciò che non può essere espresso in nessun’altro modo, e alla cui comprensione ci si può avvicinare attraverso la contemplazione dell’opera nel suo aspetto sensibile (forma, struttura, materia e così via) e nello studio di questa forma come portatrice di un’intenzione, di un significato. In tal senso l’opera, che è sempre creazione individuale, si fa portatrice e interprete di un più ampio orizzonte culturale e spirituale23. Confrontandosi quindi con i fenomeni della luce in architettura, pittura e scultura, Sedlmayr passa in rassegna in primo luogo i fattori di carattere materiale e fisico (fonti di luce naturale e artificiale, modalità con cui l’opera le rispecchia e le elabora, tecniche di esaltazione della luminosità come dorature o lucidature, uso dei colori e così via), ma procede poi a tracciarne i fondamenti spirituali e le componenti simboliche, a partire dal rapporto nelle varie epoche con i culti solari, dai monumenti dell’antico Egitto alla reggia e al parco di Versailles, e soprattutto con la metafisica neoplatonica della luce di stampo medievale. Metafisica neoplatonica della luce – da cui discende una mistica e un’estetica che, a suo avviso, costituisce l’elemento fondamentale nelle origini dell’architettura gotica – tema al quale egli aveva dedicato uno studio monumentale La nascita della cattedrale, uscito nel 195024, e che è forse la sua opera più importante.

Penso che sia stato proprio questo lungo, più che decennale confronto con i problemi inerenti alle origini della cattedrale gotica, a renderlo pienamente consapevole non solo dell’importanza del tema della luce nell’arte – ma anche del modo radicalmente diverso con cui l’esperienza della luce veniva vissuta e raffigurata nell’ età moderna. Se la cattedrale gotica rappresenta il punto massimo di una luce sensibilmente ottenuta e “realizzata” dall’architetto come rimando alla trascendenza, cioè a Dio, in parallelo a un’idea di opera d’arte, e quindi della stessa cattedrale, come percorso dal visibile all’invisibile25, qualcosa di sostanzialmente diverso accade in età moderna: il rifiuto della trascendenza, la chiusura nell’immanenza, cioè quello che l’uomo medievale avrebbe considerato una discesa nell’oscurità, si manifesta in una ricerca spasmodica di luce, ma che adesso non è più luce filtrata e trasfigurata come quella delle vetrate medievali, ma è luce naturale, diretta, privata della sua trasparenza, secolarizzata, luce che ha anch’essa i suoi templi, ma templi di una religione che è quella dell’ateismo e del materialismo. Basta pensare, afferma Sedlmayr, all’architettura in ferro e vetro, dai “palazzi di cristallo” di metà Ottocento fino ai loro discendenti contemporanei (fabbriche, aeroporti, grattacieli), o al trionfo della luce terrena che costituisce il vero motivo della pittura “en plein air” a partire dall’Impressionismo; ma anche alla fotografia, al culto dei bagni di sole, alle nuove forme di luce artificiale che rivaleggiano col sole e che cancellano la differenza fra il giorno e la notte. Come se “una sconfinata sete di luce” si fosse impadronita dell’uomo “nel quale si sia spenta la luce interiore”26. D’altra parte, in pittura, a partire dall’epoca di Cézanne, la luce scompare, inghiottita dal colore: al colore passano la forza, la potenza, la dignità che prima appartenevano alla luce. Essa non esiste più come fenomeno indipendente e gerarchicamente superiore al colore. Si potrebbe dire che adesso “la luce si ‘sostanzializzi’ in senso terreno, ma al tempo stesso si incendi, dando luogo a tremende, apocalittiche

22 Pinotti, Presentazione,...cit. Questa attenta e acuta introduzione al pensiero sull’arte di Sedlmayr costituisce una tappa

im-portante nella rivalutazione del magistero dello storico d’arte austriaco, non solo in Italia, dopo il contributo, altrettanto pre-zioso, di l. VarGiu, Incroci ermeneutici. Betti, Sedlmayr e l’interpretazione dell’opera d’arte, «Aesthetica Preprint» (Palermo),

82, 2008. Cfr. anche H. Sedlmayr, La luce nelle sue manifestazioni artistiche, trad. it. di P. Albarella, «Aesthetica Preprint», 8,

1985; nuova ed. a cura di R. Masiero, con una presentazione di R. Masiero e R. Caldura, in Aesthetica, Collana del Centro internazionale studi di Estetica, Palermo, Aesthetica edizioni, 1989.

23 H. Sedlmayr, Kunst und Wahrheit, Rowohlt, Taschenbuch Verlag, 1958 (seconda ediz. ampliata Mittenwald, Mäander Kunstverlag, 1978; trad. it. di F. P. Fiore, Milano, Rusconi 1984); cfr. gli studi di Vargiu e Pinotti citati alla nota precedente. Significativo in questo senso è lo stesso titolo, Epochen und Werke, che Sedlmayr dà alla raccolta dei suoi scritti.

24 H. Sedlmayr, Die Entstehung der Kathedrale, Zurigo, Atlantis Verlag, 1950. Nella premessa Sedlmayr ripercorre le tappe

della sua ricerca, iniziata nei primissimi anni Trenta (ivi, pp. 9-11).

25 La sottile e complessa interpretazione di Sedlmayr del rapporto fra le origini del Gotico e la Metafisica neoplatonica della luce, svolto nel suo libro sulle origini della cattedrale, è sintetizzato con lucidità, anche in rapporto alle altre interpretazioni del Gotico, nel saggio del 1961: H. Sedlmayr, Die Entstehung der Gotik und der Fortschritt der Kunstgeschichte, in Festschrift für W. Heinrich, «Zeitschrift für Ganzheitsforschung», V, 1961, ripubblicato come postfazione (Ein Nachwort als Einführung)

nella seconda edizione di H. Sedlmayr, Die Entstehung der Kathedrale, Graz, Akademische Druck-u. Verlagsanstalt, 1976,

pp. 585-614.

26 Sedlmayr, La morte della luce ..cit., p. 26, poi anche nel paragrafo conclusivo de La luce nelle sue manifestazioni artisti-che... cit., dal titolo: Perdita della trasparenza (pp. 47-49).

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eruzioni colorate. Il colore diviene ora il surrogato della luce, anzi della luce interiore”27.

Una passeggiata serale nella Firenze prenatalizia di questi giorni mi sembra possa offrire suggestivi spunti a conferma dell’interpretazione di Sedlmayr: la luce trionfa, ma il suo significato è capovolto. Immagini e situazioni che parlano da sé: la fontana dell’Ammannati in piazza della Signoria, bombardata da effetti speciali – luce bianca accecante sul “Biancone”, verdastra e azzurrina sui bronzi delle ninfe e dei satiri – che non illuminano l’opera d’arte, di cui abbiamo evidentemente perso la chiave, ma la nascondono, riducendola a oggetto estetico o, peggio, a fenomeno da baraccone (così come a fenomeno da baraccone sono ridotte le possenti forme architettoniche della Porta a San Niccolò in Piazza Poggi sotto lo svariare di colpi di luce multicolore); il gruppo di Plutone e Proserpina di Jeff Koons, sempre in Piazza della Signoria, ispirato al Ratto di Proserpina del Bernini, ma in acciaio inox, lucidato a specchio e patinato in oro, dove la doratura si dimostra impotente a dar luce all’opera contemporanea che, di fatto, ha perso il collegamento con un passato di cui non è in grado di cogliere che la forma esterna, pedissequamente imitata ancora una volta come puro oggetto estetico, e si trasforma addirittura in una sorta di opacità che ne rende difficoltosa la lettura; varie vetrine di negozi di abbigliamento, dove effetti di luce, rispecchiamenti, aureole e trasparenze che un tempo erano un tramite del divino, del percorso dell’uomo verso l’alto, adesso vengono finalizzati ad esaltare la merce (e dunque l’uomo come merce) nella sua nuda e cruda materialità, e infine l’immagine del grande magazzino (La Rinascente) che, coerentemente, si riveste dei panni di cattedrale di luce.

Non vorrei però chiudere su questa nota negativa. Non era infatti su una nota negativa che si concludeva la descrizione dell’eclissi di sole dell’8 luglio 1842 fatta da Stifter, né il commento che ad essa aveva dedicato Sedlmayr. Alla descrizione della due fasi dell’oscuramento seguiva infatti in Stifter quella del ritorno graduale del sole e della luce: il mondo che si era spaventosamente estraniato, la natura, ridiventano famigliari, la figura umana riacquista peso e consistenza, e i cuori si riempiono di sollievo e di gioia. Il significato “ottimistico” di questa esperienza (che è sostanzialmente vissuta da Stifter, sottolinea Sedlmayr, come un’esperienza religiosa, in cui si manifesta la grandezza di Dio e la piccolezza dell’uomo) è proprio il fatto che è la perdita della luce a far sentire la sua importanza, la sua sacralità, che normalmente non avvertiamo: “l’uomo”, conclude Sedlmayr nella sua introduzione al libro La

morte della luce, “dipende dal sole esterno e interno in quanto fenomeno originario del proprio essere,

sole che debolezza e abitudine però oscurano, ma che proprio nell’oscuramento gli si rivela”28. Giovanna De Lorenzi (Ringrazio Giovanni Martellucci per l’aiuto e i consigli)

27 Sedlmayr, La morte della luce ... cit., p. 27. Già Schöne, che aveva dedicato alla pittura moderna gli ultimi due capitoli del

suo libro, aveva affermato, parlando del Novecento: «Il colore non è più una funzione della luce, ma la luce è diventata una funzione del colore» (Schöne, Das Licht in der Malerei ..., cit., p. 200); e Pongs commentava su «Studium Generale»: «Con

ciò si dice soprattutto questo: che non si percepisce più una luce autonoma della trascendenza» (PongS, Lichtsymbolik in der Dichtung seit der Renaissance ... cit., p. 721).

28 Sedlmayr, La morte della luce ..., cit., p. 28.

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DOSSIER 432

Alle cinque del mattino, quando vengo svegliato per accompagnare la mamma in carrozza a Fünfkirchen, il sole sta sorgendo sopra la linea degli alberi nel grande parco e irrompe attraverso le finestre spalancate nel nostro appartamento, che è a piano terra e rivolto a Oriente. Non dimenticherò mai quel sole mattutino – pareva emanare una forza in grado di animare ogni cosa, annunciato da un alito di vento e dai cori degli uccelli. Una gioia indescrivibile illuminava la mattina, dischiudendo il creato e unendosi alla mia felicità per il lungo viaggio in carrozza che in tre ore ci avrebbe portato in città, in quel mondo che per me era tutt’uno con quel sole – un sole che di solito non vedevo – e con la felicità per l’inizio della lunga giornata di vacanza. Il sole rosso chiaro del mattino può essere fissato in volto e appare infinitamente più bello e gentile di quello bianco meridiano, che possiede invece qualcosa di malvagio. Fin da principio esso conferiva a quel giorno senza scuola né preoccupazioni infantili un’aura ampia e solenne – col mio nuovo vestito alla marinara avrei occupato il posto di papà accanto alla mamma sul gran sedile posteriore della carrozza, evitando lo strapuntino, che era troppo stretto anche per un bambino, o la cassetta a lato del cocchiere che mi spettava di solito.

Dietro casa, nella fresca ombra mattutina della grande corte, aspetta sulla sabbia del viale appena rastrellata la nostra vettura più bella, un Phaeton – solo oggi mi rendo conto di come quel nome alludesse al sole. La sera prima la carrozza era stata sollevata sopra un ponteggio e lavata a secchiate fino a farla diventare così lucida da sembrare un balocco uscito dalla vetrina di Mühlhauser & Co, il grande negozio viennese di giocattoli. Il suo telaio leggermente arcuato, sospeso come una culla tra le due ruote alte e le due basse, è laccato di nero e foderato con una sottile tela blu; i raggi delle ruote sono decorati con righe gialle finissime. I cavalli da tiro sono una coppia di bai scuri con criniere e code lunghe e nere, coi manti strigliati a lucido e parte delle criniere annodate in treccine come quelle delle bambine. Il cocchiere indossa una bella livrea nera da passeggio, decorata sul petto da una fitta riga di bottoni di argento, e porta un cappello con una piuma nera e due nastri sulla nuca, simili a quelli del mio berretto tondo alla marinara ma un po’ più larghi. Ai miei occhi sono proprio questi colori scuri che danno alla carrozza un tocco di eleganza particolare, senza nessuna tetraggine. Anche la mamma è vestita con un tailleur da viaggio di colore scuro e, mentre beve in fretta un caffè, mi dà il bacio del buongiorno attraverso la veletta ben stesa, dietro alla quale il suo viso gentile appare stranamente freddo. Soltanto la mia camicia nuova con tre nastrini da marinaio sulla manica destra risalta bianchissima, eccetto il colletto blu, il nero nodo alla marinara e, trattenute dall’elastico in basso, le cose che mi servono per il viaggio. Avvolti in coperte, il soffietto di pelle sollevato per proteggerci prima dal vento del mattino e poi dalla polvere, la carrozza percorre un’ampia curva, scende lungo il viale, imbocca la strada più in basso, svolta a nord e ripassa davanti a casa con un trotto elegante. Dal ciglio dei campi la nostra gente ci saluta non per commiato, ma per un augurio festoso.

UNA NUOVA TRADUZIONE DA Hans Sedlmayr, Das goldene Zeitalter. Eine

Kindheit,

Monaco di Baviera, Piper, 1986 (ora anche in: Hans Sedlmayr, L’età dell’oro.

Un’infanzia, a cura di G. De Lorenzi e G. Martellucci,

traduzione di S. Kolb, Firenze, Edifir, 2019, in corso di stampa)

Primi due capitoli. Il sole

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433 PERCHÉ LEGGERE SEDLMAYR

Quando attraversiamo la Drava su un ponte di molte chiatte – il cui cavo di ancoraggio nuota nella corrente simile alla coda di un aquilone, il sole si riflette dappertutto come se l’acqua fosse di madreperla, inondando con foschie e polveri dorate i prati e i pascoli lungo le rive. Nei campi sono iniziati i lavori e la campagna brulica di uomini, i carri si dirigono verso i mercati e il verde spunta ovunque. Sui grandi alberi dei viali sono mature le ciliege.

Io, invece, nell’ombra gradevole della capote della carrozza che mi protegge, ho la fortuna di sedere accanto alla mamma, che oggi è solo per me, e di contemplare tutto questo spettacolo.

Il viaggio mi sembra straordinariamente lungo, forse infinito. Ma il sole è sempre più alto, le ombre dei grandi alberi che fiancheggiano i viali sempre più corte, la luce più bianca, il canto degli uccelli più raro, e sempre più monotono l’ormai regolare risonare degli zoccoli sulla dura ghiaia della strada. E così pian piano mi addormento, affaticato dall’insolita levataccia e dall’emozione.

Al risveglio non so dove mi trovo, ma scorgo il viso sorridente della mamma. Siamo già tra le montagne. I cavalli procedono con lentezza, le ruote sollevano una polvere giallognola, tra le rocce scoscese si aprono sentieri sovrastati da aridi arbusti. Qua e là vedo grotte scavate in scabre pareti verticali che mi sembrano stanze sigillate e misteriose che racchiudono tesori rubati da briganti. Tutto ha un aspetto bizzarro, quasi si trattasse di un paese remoto com’è la Cina. Questo perché dalle mie parti c’è sì un fiume, foreste che lo costeggiano e ripidi pendii sulla Drava da imboccare coi freni tirati al massimo, ma non ci sono montagne vere e proprie come queste, che forse arrivano addirittura ai cento metri d’altezza. In fondo, a destra, si intravede un cono isolato avvolto da una nebbia leggera – si dice che un tempo fosse una montagna “sputafuoco”, proprio come sull’isola del tesoro.

Il sole è già alto nel cielo e brucia sulla pelle nonostante sia ancora mattina presto.

Quando la strada inizia a scendere e davanti a noi intravediamo il brillio nella luce del giorno delle torri e degli alti palazzi della nostra meta, quando ci fermiamo a pagare il pedaggio davanti a una sbarra dipinta a striscie, quando attraversiamo con la carrozza il selciato della piazza principale per raggiungere l’hotel Royal, l’intera città è già colma di quel liquido splendore di sole che si può vedere solo in pochi, fortunati giorni dell’anno, oppure in Italia.

Ritrovo questo sole potente che inonda tutto donando la vita in un’incisione riprodotta in un’imponente opera in cinque volumi, regalo di Natale di mio nonno materno a mio padre. Per me, in un certo senso, quei tomi racchiudevano tutta la saggezza del mondo, come una specie di libro dei libri. Ero sicuro fossero di grande valore, non solo perché avevano costole di pelle molto decorata, ma per certe targhette di bronzo incastonate come sigilli nei piatti verde pallido delle copertine. L’opera si intitolava “Weltall

und Menschheit” [L’universo e l’umanità], anche se non mi è mai stato chiaro se il primo sostantivo si

riferisse alla Welt-Tal [valle del mondo], o al Welt-All [cosmo]. Nell’incisione uomini in vesti sacerdotali lunghe e fluttuanti si prosternano con gesti strani e solenni in adorazione del sole nascente – un sole che sorge da qualche parte a Oriente, ma molto lontano, forse in Mesopotamia, sopra montagne brulle e pascoli erbosi come si trovano dietro il nostro villaggio, e che appare diverso dal sole il cui sorgere accompagna il mio viaggio con la mamma. Però sono convinto che la sua forza sia la stessa, e nessuna delle altre immagini dell’opera (ne ricordo ancor oggi molte in dettaglio) – nemmeno la tavola a colori del mare del Sud, solcato da delfini e acceso di riflessi bianchissimi e incredibilmente azzurri – mi è rimasta impressa nella memoria come questa adorazione. Capisco bene quale sgomento possano suscitare le eclissi di sole, quando all’improvviso una luce plumbea si stende su tutte le cose e le rende spaventosamente estranee così da provocare grida di paura anche negli animali. Da bambino ne ho vista una in pieno giorno, ma il suo ricordo si confonde con la descrizione portentosa dell’eclissi del 1842 di Adalbert Stifter, che ho vissuto più intensamente di quella reale e che per me è dunque ancor più vera. A volte mi sembra che tanto, tantissimo tempo fa, quando ancora abitavamo altrove, ci sia stata un’epoca in cui il sole non esisteva. Tra i miei primissimi ricordi che galleggiano come isole nel mare dell’immemorabile, ne emerge uno estremamente nitido – io e papà siamo “scesi” da qualche parte e mi vedo, molto prima dei miei otto anni, sul fondo sterminato di una cava di sabbia o di pietra, circondata da rocce tondeggianti e brulle, da pareti e blocchi di pietra muti e immobili. Non ci sono né fiori né animali. Le pietre racchiudono dentro di sé una grande e antichissima potenza, e il cielo ancora privo di sole appare di piombo, opaco, pesante e desolato – non cattivo o tetro, ma privo di splendore e di gioia. C’è qualcosa di misterioso che non riesco a cogliere, qualcosa che non riesco a ricordare ma dovrei poter intuire. Poi il sentimento di oppressione mi abbandona, e subito sento dentro di me la stessa gioia indescrivibile e lo stesso stupore che gli esseri umani devono aver provato quando il sole vittorioso ha squarciato per la prima volta le nebbie del cielo, sciogliendo e animando ogni cosa.

Solo molti anni dopo ho incontrato di nuovo il sole della mattina di Dolnji Miholjac. Un’estate mi sono affacciato di buon’ora alla finestra della mia stanza dai Thierry, nella parte della locanda “Richard

Löwenherz” a Dürnstein che guarda a Oriente. Davanti a me, verso Est, sopra la parete verde scuro di

un vecchio muro coperto di edera dello Schießgarten, sorgeva infuocato un sole che, tutto vincendo e illuminando, animava e accendeva l’universo. C’era un sacro silenzio in quella fresca e luminosa mattina

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