Dipartimento di Scienze Veterinarie
Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria
TESI di LAUREA
Emogasanalisi su sangue venoso del gatto:
determinazione degli intervalli di riferimento per
lo strumento Radiometer
™
ABL 735 GLA XP®
CANDIDATA RELATORE
Carmela Valentina Licata Prof. George Lubas
CORRELATORE
Prof.ssa Anna Pasquini
ANNO ACCADEMICO
2018‐2019
2 INDICE
Riassunto/Abstract 3 CAPITOLO 1 6 1.1 Introduzione 6 1.1.1 Storia dell'emogasanalisi 6 1.2 Parametri considerati, possibile significato delle loro alterazioni e metodi/tecniche di misurazione 9 1.2.1 Parametri dell'Ossigenazione 10 1.2.2 Parametri dello Stato acido‐base 17 1.2.3 Parametri degli Elettroliti 22 1.2.4 Parametri dei Metaboliti 26 1.3 Emogasanalizzatore Radiometer ABL 735 GLA 31 1.3.1 Elettrodi 32 1.3.2 Sistema ottico spettrofotometrico 47 1.3.3 Curva di dissociazione dell'ossigeno 49 1.3.4 Equazioni per i parametri derivati 53 1.4 Errore pre‐analitico 55 1.4.1 Controllo di qualità ed errore 55 1.4.2 Errore pre‐analitico nell'emogasanalisi 56 1.5 Preparazione corretta del campione 60 1.6 Intervallo di riferimento 61 1.6.1 Definizione 61 1.6.2 Intervalli di riferimento in letteratura 63 CAPITOLO 2 67 2.1 Introduzione 67 2.2 Materiali e metodi 67 2.2.1 Metodo di scelta dei dati analizzati 67 2.2.2 Strumenti statistici 69 CAPITOLO 3 Risultati 71 CAPITOLO 4 Discussione e Conclusione 82 Bibliografia 84
RIASSUNTO
Parole chiave: emogasanalisi; sangue venoso; gatto; intervalli di riferimento; analisi statistica. L’emogasanalisi venosa (EGAV) è un esame di laboratorio importante nel reparto di terapia intensiva e di medicina d’urgenza perché, entro pochi minuti, fornisce un quadro completo dello stato d’ossigenazione, dello stato acido‐base e idro‐elettrolitico del paziente. Come per qualsiasi esame di laboratorio l’EGAV necessita di intervalli di riferimento (IR) per valutare i risultati nei pazienti. L’obiettivo di questo studio è stato di ottenere gli IR dell’EGAV del gatto con lo strumento Radiometer™ ABL 735 GLA XP® per confrontarli con gli IR impostati inizialmente nello strumento e ottenuti dalla letteratura.Sono stati estrapolati 1460 EGAV dal database dell’emogasanalizzatore. I dati di ogni analita sono stati analizzati seguendo le linee guida dell’American Society Veterinary Clinical Pathology (ASVCP). Per ogni analita sono stati analizzati un numero cospicuo di campioni (n)
sia per i parametri misurati (n. 512 pO2, n. 328 pCO2, n. 472 ctHb, n. 434 pH, n. 1198 Na+, n.
770 K+, n. 103 Ca2+, n. 798 Cl‐, n. 903 Glu, n. 521 Lac, n. 349 Bil) sia per i parametri calcolati (n.
548 sO2, n. 526 Hct, n. 129 tCO2, n. 235 HCO3‐, n. 315 AG, n. 310 BE, n. 594 mOsm). Per il
calcolo degli IR è stato utilizzato il software MedCalc®.
Confrontando gli IR ricavati da questo studio con quelli inizialmente impostati è stato
osservato che: i valori del Ca2+ hanno valori sovrapponibili; pH, pO
2, pCO2, ctHb, Lac, AG e Hct
hanno valori con minore scostamento rispetto a quelli finora utilizzati; invece il BE ha un intervallo un poco più ampio; Glu e Bil hanno la curva di distribuzione dei valori spostata verso
destra con aumento dei limiti superiori dell’intervallo; K+, Cl‐, Na+ hanno la curva di
distribuzione spostata verso sinistra per riduzione dei limiti inferiori dell’intervallo.
Non è stato possibile confrontare sO2, HCO3‐, mOsm e tCO2 perché non erano stati
inizialmente inseriti gli intervalli di riferimento. Seguendo le linee guida ASVCP è stato possibile ottenere degli IR che sono più performanti nella specie felina e questi rappresentano un dato importante nella valutazione EGAV nella terapia intensiva e nell’emergenza per indirizzare al meglio gli interventi dei medici veterinari.
ABSTRACT
Keywords: blood gas analysis; venous blood; cat; reference intervals; statistical analysis. The venous blood gas analysis (VBGA) is an important laboratory examination in the intensive care and emergency medicine unit because, after few minutes, it provides a framework of the oxygenation, of acid‐base status and electrolyte status of the patient. As well as any
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laboratory examination the VBGA needs reference intervals (RI) to evaluate the results in the patients.
The aim of this work was to obtain RI about cat’s VBGA with the Radiometer™ ABL 735 GLA XP® instrument in order to compare them with the RI already set in the instrument and obtained from the literature.
One thousand four hundred sixty VBGA have been extrapolated from the database of the blood gas analyzer. The data for each analyte has been analyzed following the American Society Veterinary Clinical Pathology’s (ASVCP). For each analyte have been analyzed a great
number of samples (n) both for the measured parameters (n. 512 pO2, n. 328 pCO2, n. 472
ctHb, n. 434 pH, n. 1198 Na+, n. 770 K+, n. 103 Ca2+, n. 798 Cl‐, n. 903 Glu, n. 521 Lac, n. 349
Bil) and for calculated parameters (n. 548 sO2, n. 526 Hct, n. 129 tCO2, n. 235 HCO3‐, n. 315
AG, n. 310 BE, n. 594 mOsm). The RIs have been calculated with the MedCalc® software. Comparing the RIs obtained from this work with those used so far it was observed that: the values of the Ca2+ has superimposable values; pH, pO 2, pCO2, ctHb, Lac, AG, Hct have values with less deviation from those used; instead BE has an interval a little wider; Glu e Bil have the distribution curve of the values shifted to the right with increase upper limits interval; K+, Cl‐, Na+, have the distribution curve shifted to the left to reduce lower limits.
The following analytes sO2, HCO3‐, mOsm and tCO2 was not possible to be compared because
the reference interval had not been inserted, previously. Following the ASVCP guidelines, it was possible to obtain RIs that are more performing in the feline species and they represents an important data in the evaluation VBGA in intensive care and in emergency to address at the best the veterinarian medical decisions.
PARTE GENERALE
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CAPITOLO 1
1.1 – INTRODUZIONE
L’Emogasanalisi (Blood gas analysis o BGA in lingua inglese) è un esame di laboratorio fondamentale nei reparti di medicina d’urgenza e terapia intensiva perché permette di rivelare la condizione idroelettrolitica, lo stato acido‐base e la situazione dei gas ematici del
paziente con un solo prelievo. [1]
I parametri presenti nell’emogasanalisi sono pO2, pCO2, sO2, Hb, Hct per il profilo dei gas
ematici e acido‐base; pH, Bicarbonati, Lattati, Anion Gap, Eccesso di Basi, Na2+, K+, Cl‐,
Osmolalità per il profilo idroelettrico ed acido‐base; Glucosio, Creatinina e Bilirubina come metaboliti per avere un quadro più chiaro sulle condizioni generali del paziente ed applicare
un’adeguata terapia. [2]
I campioni possono essere di sangue arterioso, venoso, misto (dall’arteria polmonare) o capillare. Si preferisce analizzare campioni di sangue arterioso per avere valori di gas ematici più veritieri (in particolare per la pO2) mentre i campioni di sangue venoso sono scelti per una valutazione più accurata della parte metabolica.[2] [3]
1.1.1 ‐ STORIA dell’EMOGASANALISI
1864 – viene formulata la “Legge di azione di massa” la quale afferma che la velocità di una reazione chimica è proporzionale alla concentrazione dei reagenti. Quindi in una reazione standard: A + B <‐> C + D la variazione dei reagenti si ha finchè l’equazione non è all’equilibrio: K = [C] [D] / [A] [B] dove K è la costante di equilibrio della reazione.[4][5] 1908 – L. J. Henderson, durante i suoi studi, comprende che il bilancio acido‐base è regolato da sistemi tamponi del sangue, in un complesso di coordinazione con la respirazione, i polmoni, i reni, i globuli rossi e così riformula la “Legge di azione di massa” per la dissociazionedi un acido debole [AH] applicandolo ad una miscela tra un acido debole ed una base forte [A‐
], cioè un tampone:
Ka = [H+] [A‐] / [AH] da cui deriva che [H+] = Ka [HA] / [A‐]
Questa equazione è detta “Equazione di Henderson” che applicata alla reazione
H+ + HCO
Ka = [H+] [HCO
3] / [H2CO3] e quindi [H+] = Ka [H CO3] / [HCO3]. [1][3]
1917 – K. A. Hasselbach riprende l’equazione di Henderson applicandola al sistema
H2CO3/HCO3 formulando “l’Equazione di Henderson‐Hasselbach”:
pH = pKa + Log ([HCO3‐]/[H2CO3]) [1][3]
1930 – Creazione dell’elettrodo in vetro capillare per la misurazione del pH, non
termostatato.[1][6] 1948 – A. B. Hastings e R. B. Singer pongono le “basi tampone” (Buffer Base o BB) del sangue intero, come parametro per valutare la componente metabolica mentre, già anni prima, viene stabilito che la pCO2 sia il parametro per la valutazione della componente respiratoria e dello squilibrio acido‐base. [1] 1952‐1953 – La Danimarca viene colpita da un’epidemia di poliomielite con la maggior parte dei malati che riporta paralisi respiratorie e morte in poche ore nonostante la somministrazione di ossigeno e farmaci. In questi pazienti il livello di bicarbonato è alto lasciando pensare ad un’alcalosi di origine sconosciuta ma rettificata la diagnosi in ritenzione
di CO2, i pazienti sono tracheotomizzati e ventilati manualmente facendo scomparire l’alcalosi.
A questo punto nasce l’esigenza di un metodo più veloce per distinguere le anomalie acide‐ base respiratorie da quelle metaboliche così il Dr P. Astrup nota che equilibrando il sangue o
il plasma a diverse quantità di CO2, il pH cambia in modo lineare del logaritmo della pCO2.
Questo vuol dire che può calcolare la pCO2 e HCO3‐ incognito del campione dopo averne
misurato il pH ed averlo equilibrato a diverse note di tensione della CO2.
Questo metodo è nominato “Tecnica di Astrup”.[7]
1954 – Astrup si rivolse alla Radiometer per sviluppare una camera di equilibrazione termostata in vetro contenente l’elettrodo del pH e quello di riferimento. Nasce, così, il
prototipo E50101.[9] Nel frattempo il nomogramma curvilineo sviluppato da Siggaard‐Andersen si è arricchito di un nuovo parametro. Infatti, tramite studi sulla titolazione del sangue in vitro, è identificata una nuova curva sulla quale è possibile notare cambiamenti delle basi tampone che sono nominate Base Excess (BE), intesa come la quantità di acido o di base forte necessaria a riportare il valore di pH a 7,4 in un campione di sangue equilibrato con una pCO2 di 40 mmHg, e che diventa un parametro della componente metabolica. Infine, altri studi sull’ipercapnia, portano Siggaard‐ Andersen a creare un nuovo normogramma in cui le BE sono ottenute da pH, pCO2 e Hb.[9]
8 Fig. 1: Carta dell’equilibrio acido base di Siggaard‐Andersen, rappresentante il quadro previsto nelle varie alterazioni primarie e compensate dell’equilibrio acido‐base (immagine tratta da Radiometer, 2005) 1954 – Il metodo di Astrup è una metodica lunga ed elaborata così Stow introduce un nuovo principio: separare il campione dell’elettrodo del campione di misura con una membrana semipermeabile (in Teflon). In questi anni Clark sviluppa le tecniche polarografi che per la
misura della pO2 nel sangue, usando una membrana di polietilene tra campione e sistema di
misura.
1957 – P. Astrup e K. E. Jorgensen introducono il Bicarbonato Standard come nuovo parametro della componente metabolica. Per ottenerlo il bicarbonato viene calcolato dopo che il sangue
intero è stato ossigenato ed equilibrato con una pCO2 di 40 mmHg a 37°C, in questa maniera
le alterazioni del bicarbonato dovute alla componente respiratoria sono annullate. L’unico problema di questo metodo è che il bicarbonato non tiene conto dei tamponi non volatili come l’albumina, l’emoglobina e i fosfati quindi viene sottostimata la componente non respiratoria dei disordini acido base.[1] 1958 – Viene messo in commercio l’AME1 (Astrup Micro Equipment 1) con elettrodo micro inserito in una camicia termostata.[6] 1960 – Negli Stati Uniti si sviluppa un nuovo approccio interpretativo, la “scuola di Boston”.
Questo approccio si basa sui parametri classici (pH, HCO3‐, pCO2) ma la nuova linea
d’interpretazione si basa sulla convinzione che i disturbi primari di tipo respiratorio inducono
risposte metaboliche compensatorie per riportare il rapporto pCO2/HCO3‐, ed il pH neutro
compensazione al fine di normalizzare il pH. Grazie a quest’intuizione e agli studi fatti in seguito su vari casi clinici, sono stati stabiliti i range di significatività per i vari parametri.[1] Anni ’70 – Si passa ad analizzatori sempre più moderni fino alla realizzazione dell’ABL 1, nel 1973, con numerose novità tra cui essere automatizzato, autolavante, autocalibrante, calcola e stampa tutti i valori, contiene un barometro e un miscelatore di gas con umidificatore. Grazie a quest’invenzione il metodo Astrup viene abbandonato. Successivi studi sull’equilibrio acido‐ base hanno dimostrato l’importanza degli elettroliti per cui viene introdotta la fotometria a
fiamma nella strumentazione per la misura di sodio (Na2+), potassio (K+) e la microtitolazione
coulombometrica per il cloro (Cl‐) permettendo il calcolo dell’Anion Gap (AG), importante
parametro che permette di inquadrare gli squilibri metabolici.[6]
Anni ’80 – P. A. Stewart propone un ulteriore modello interpretativo secondo cui lo stato
acido‐base può essere descritto in termini variabili indipendenti (pCO2, SID) e variabili
dipendenti (pH e HCO3‐). Il SID (Stron Ion Difference) è la differenza esistente tra la somma dei
cationi forti (cioè dissociati) e la somma degli anioni forti in un liquido biologico.[1]
Anni ’90 – Vengono aggiunti nuovi parametri alla strumentazione come Glucosio, Lattati,
Bilirubina e Creatinina.[6] Anni 2000 – Ingresso dell’emogasanalisi nella pratica clinica quotidiana veterinaria grazie alla realizzazione di strumentazione a prezzi accessibili.[6]
1.2 – PARAMETRI CONSIDERATI, POSSIBILE SIGNIFICATO DELLE LORO
ALTERAZIONI E METODI/TECNICHE DI MISURA
I parametri emogasanalitici vengono divisi in quattro gruppi:1. Ossigenazione: pressione parziale dell’Ossigeno (pO2), ematocrito (Hct), pressione
parziale dell’anidride carbonica (pCO2), saturazione dell’ossigeno (sO2), concentrazione di
emoglobina totale (ctHb);
2. Metaboliti: Glucosio (Glu), lattato (Lac), bilirubina (Bil); 3. Elettroliti: Sodio (Na+), potassio (K+), cloro (Cl‐), calcio (Ca2+);
4. Stato Acido‐Base: pH, bicarbonato (HCO3‐), divario anionico (Anion Gap o AG in lingua
inglese), eccesso/deficit di Basi (BE), concentrazione totale di CO2 (tCO2).[6] [9]
Questi sono settati dall’emogasanalizzatore in maniera automatica mentre altri parametri, come la temperatura corporea del paziente (T°C) e la frazione di ossigeno in aria secca
inspirata (FiO2, che va dal 21% dell’aria ambientale al 100% in caso di ossigenoterapia),
10 Questi parametri sono tenuti in considerazione perché una loro alterazione fa cambiare pH e gas ematici pertanto se al momento dell’analisi si inserisce l’esatta temperatura del paziente l’apparecchio può dare risultati più corretti.[9]
1.2.1
–PARAMETRI dell’OSSIGENAZIONE
Pressione parziale di ossigeno La pO2 esprime la quantità di ossigeno disciolta nel plasma (circa il 2%) e quindi dell’assunzione da parte dei polmoni che nella fase gassosa deve essere in equilibrio con il sangue.[9][10]Questo parametro, nella clinica, viene associato alla sO2 del sangue arterioso per valutare
l’ossigenazione di un paziente poiché, quest’ultimo, rappresenta la capacità totale di trasporto dell’ossigeno nel sangue, alla ctHb e all’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno (p50).[6][9] L’unità di misura della pO2 sono i mmHg e i kPa con: ‐ 1 mmHg = 0,133322 kPa ‐ 1 kPa = 7,5006 mmHg.[9][A] Si possono presentare tre casi: Pazienti con pO2 normale; Pazienti con pO2 bassa; Pazienti con pO2 alta.
o La pO2 normale indica un adeguato scambio gassoso pertanto non occorrerà il nostro
intervento per la ventilazione.[9]
o La pO2 bassa (ipossiemia arteriosa) rappresenta un’inadeguata assunzione di ossigeno a
livello polmonare. Le cause di questa condizione sono tante: malattie respiratorie (versamento pleurico, polmonite, edema polmonare, inalazione di fumo,
tromboembolismo polmonare, piotorace, pneumotorace, emotorace, ernia
diaframmatica, neoplasie), malattie cardiache (edema polmonare cardiogeno, shunt sinistro‐destro), depressione respiratoria iatrogena (anestesia, somministrazione di oppiacei, organofosfati), paralisi dei muscoli respiratori per alterazioni neuromuscolari (miastenia gravis, polimiosite, botulismo, tetano, paralisi da zecche), malattie del sistema
nervoso centrale (traumi, lesioni occupanti spazio).[6][9]
o La pO2 alta (iperossiemia arteriosa) comporta un rischio di tossicità dà ossigeno con
formazione di radicali liberi per cui, essendo una condizione indotta da un’ossigenoterapia
non tenuta sotto controllo, occorre ridurre il livello di pO2 altrimenti i radicali liberi vanno
ad accumularsi nei polmoni e nel sistema nervoso centrale.[3][6][9]
Inoltre la pO2 è in grado di regolare quanto ossigeno si lega all’emoglobina (sO2) infatti quando
della pO2 durante l’ossigenoterapia non contribuiscono in modo significativo al contenuto ematico di ossigeno.[3] [6] [11] La relazione tra la saturazione dell’emoglobina e la pO2 nel sangue è rappresentata dalla curva di dissociazione dell’ossigeno (vedi Fig.2): Fig. 2: Rappresentazione della curva di dissociazione dell’ossigeno (immagine tratta da https://www.google.com/search?q=curva+di+dissociazione+dell%27ossigeno&tbm=isch&so urce=iu&ictx=1&fir=feWEZrdhssb9JM%253A%252CH8‐ kCkli8EED5M%252C_&vet=1&usg=AI4_‐kSJ‐ a_hmfbGJr9FghsWb0i209Qa0A&sa=X&ved=2ahUKEwjqsqif38jjAhWD‐ KQKHdjDDU4Q9QEwAHoECAMQAw#imgrc=feWEZrdhssb9JM:, 22/07/2019)
Dall’immagine si può notare come all’aumentare della pO2 aumenti la saturazione
dell’emoglobina, in particolare nella parte centrale della curva, dove a piccole variazioni in aumento o in diminuzione della pO2 corrispondono grandi variazioni della saturazione. Questo meccanismo permette di regolare perfettamente gli scambi gassosi: nei tessuti, infatti, dove la pO2 è bassa, l’emoglobina può cedere facilmente l’ossigeno. Allo stesso tempo bisogna tenere in considerazione che sotto certi valori di sO2 (80%) la pressione dell’ossigeno scende sotto i 60 mmHg (insufficienza respiratoria), infatti codesta curva dipende da vari fattori che la spostano verso sinistra (bassa temperatura, pH alcalino, aumento della pCO2) facilitando
l’assunzione di ossigeno da parte dei polmoni; oppure verso destra (aumento della
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Concentrazione totale dell’emoglobina
È la concentrazione totale di emoglobina nel sangue. L’emoglobina (Hb) è una proteina globulare composta da quattro catene polipeptidiche che si legano, ciascuna, ad un gruppo
prostetico detto eme che a sua volta si lega con le molecole d’ossigeno.[6][11]
L’Hb che viene calcolata dall’emogasanalizzatore comprende tutti i tipi di emoglobina: la
deossiemoglobina (HHb), l’ossiemoglobina (O2Hb), la carbossiemoglobina (COHb), la metaemoglobina (MetHb) e la sulfoemoglobina (vedi Formula 1). Quest’ultima, non
trasportando ossigeno ed essendo rara, non viene calcolata dai macchinari.[6]
ctHb (Formula 1) = cHHb + cO2Hb+ cCOHb + cMetHb
Questa, insieme alla frazione di emoglobina ossigenata (FO2Hb) e alla pO2, determina la
quantità effettiva di ossigeno trasportata dal sangue arterioso.[6] L’unità di misura della ctHb sono g/dL e mmol/L con: ‐ 1 g/dL = 0,62 mmol/L ‐ 1 mmol/L = 1,6114 g/dL. [6][B][C] Nella pratica clinica possiamo avere tre situazioni: ctHb normale; ctHb alta; ctHb bassa.
o La ctHb normale non garantisce necessariamente una normale capacità di trasporto
dell’ossigeno. Infatti in presenza di elevate quantità di emoglobina anomala, la capacità di
trasporto effettiva risulterà diminuita.[6]
o La ctHb alta (o policitemia) indica un’elevata viscosità del sangue, la quale aumenta il
sovraccarico cardiaco con il rischio di causare un’insufficienza circolatoria anterograda. Le cause frequenti di un aumento della ctHb sono classificate in primarie come la policitemia vera, e in secondarie come cardiopatia cronica, pneumopatia cronica, residenza ad
altitudine elevate e condizioni di allenamento atletico.[6]
o La ctHb bassa (o anemia) implica il rischio di ipossia tissutale per la bassa quantità di
ossigeno nel sangue (ctO2). Davanti a questo deficit l’organismo, per compensare,
risponde con un aumento della gittata cardiaca e un aumento della produzione dei globuli rossi ma in certe situazioni, come in caso di cardiopatia ischemica, l’aumento della gittata cardiaca può essere un ulteriore rischio per il paziente oppure in caso di ostacolo del flusso sanguigno o dell’attività contrattile miocardica compromessa l’aumento della gittata cardiaca è impossibile mettendo in serio pericolo la vita del paziente. Le cause che portano
ad una riduzione della ctHb possono essere primarie come la diminuzione della produzione dei globuli rossi o secondarie come emolisi, emorragia, diluizione, prelievi di sangue
multipli nei neonati.[6]
La ctHb dovrebbe essere valutata insieme Hct e alle proteine totali per poter valutare
correttamente queste condizioni.[6]
Saturazione dell’ossigeno
È la percentuale di emoglobina ossigenata in rapporto alla quantità di emoglobina effettivamente capace di trasportare ossigeno. Questo parametro consente una valutazione
dell’ossigenazione e della dissociazione dell’ossiemoglobina (Formula 2).
È definita dal rapporto tra le concentrazioni di ossiemoglobina (O2Hb) e della somma tra
deossiemoglobina (HHb) (vedi Formula 2): sO2 (Formula 2) = ____cO2Hb____ cHHb + cO2Hb Questo parametro è misurato attraverso il pulsossimetro, strumento medico che permette di misurare la percentuale di saturazione dell’emoglobina legata all’ossigeno. Esso non è in grado di misurare la quantità di gas legata all’Hb ma tenendo conto che questa si lega all’ossigeno si può ottenere ugualmente una stima di questo gas. Il valore normale della sO2 è maggiore del 95% mentre tra 92‐95% il paziente è da considerarsi in ipossiemia.[10] Il pulsossimetro è composto da una sonda posta in una zona ricca di circolazione superficiale. In questo modo lo strumento rivela l’arteria, tramite l’attività pulsatile di questa, e misura la
percentuale di ossigenazione del sangue arterioso e precisamente dell’O2Hb e dell’HHb
tramite l’assorbimento delle lunghezze d’onda di queste molecole.[12] Anche in questo caso possiamo avere tre situazioni: sO2 normale, sO2 alta, sO2 bassa. o La sO2 normale non permette un’ossigenazione ematica adeguata perché c’è una quantità di ossigeno ridotta per bassa concentrazione di emoglobina o per la presenza di emoglobina anomala. Pertanto è consigliato valutare la sO2 insieme alla ctHb;
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o La sO2 alta (o normale) indica un’adeguata utilizzazione della capacità effettiva del
trasporto dell’ossigeno;
o La sO2 bassa indica un’inadeguata assunzione di ossigeno a livello polmonare con
conseguente spostamento a destra della curva della dissociazione dell’ossigeno a causa di
sepsi, intossicazioni o Hb anomala.[6][12]
Inoltre la sO2 da un’informazione più completa quando è associata alla ctHb.
Pressione parziale dell’anidride carbonica
La pCO2 rappresenta la quantità di CO2 in fase gassosa in equilibrio con il sangue nonchè
l’adeguatezza della ventilazione alveolare in rapporto alla velocità del metabolismo poiché
essa diffonde rapidamente attraverso le membrane cellulari ed è assente nell’aria inspirata.[9] Le unità di misura della pCO2 sono i mmHg e i kPa (vedi pO2). Possiamo avere due casi: pCO2 alta, pCO2 bassa. o Un valore basso di pCO2 (ipocapnia) indica un aumento della ventilazione polmonare con
poca espulsione polmonare della CO2 dovuta alla precedente alcalosi respiratoria
instauratasi. Questa situazione dà iperventilazione alveolare per cause primarie come trattamento ventilatorio eccessivo, iperventilazione psicogena, e da cause secondarie come conseguenza di un’ipossia, conseguenza di un’affezione del centro del respiro e per
compensazione da un’acidosi.[9][11]
o Un valore alto di pCO2 (ipercapnia) indica un’ipoventilazione alveolare che si è formata per
un’acidosi respiratoria da pneumopatia (polmonite, ARDS, edema polmonare grave, inalazione di gas, tromboembolismo), depressione del sistema nervoso centrale (sia per l’assunzione di analgesici o per sedazione), per arresto cardiaco, per un trattamento ventilatorio impostato con una ventilazione alveolare troppo bassa, per malattia cronica ostruttiva, per alterazioni dell’attività muscolare, per lesioni della parete toracica (traumi, fratture costali), per disturbi dell’attività del sistema nervoso periferico (tetano,
polimiosite, botulismo, miastenia gravis, disfunzione del nervo frenico,
organofosfati).[3][9][11]
La pCO2 riflette l’adeguatezza della ventilazione alveolare per cui è possibile distinguere
problemi respiratori per difetto della ventilazione alveolare e problemi respiratori che coinvolgono l’ossigenazione. La gravità e la cronicità di un’insufficienza respiratoria devono
essere valutate contemporaneamente alle modificazioni nell’equilibrio acido‐base (vedi pH).[9]
Un’ipercapnia o un’ipocapnia rappresentano cause importanti di modificazione della pO2
vasocostrizione a livello di vari settori della circolazione sistemica, tra cui il sistema vascolare
cerebrale. La pCO2 alveolare bassa aumenta la pO2 alveolare, e l’alcalosi causa uno
spostamento a sinistra della curva di dissociazione dell’ossigeno; entrambi questi effetti facilitano l’assunzione di ossigeno da parte dei polmoni. Tuttavia, questi effetti possono essere controbilanciati dalle conseguenze sulla circolazione sistemica, nonché dall’ostacolo al rilascio di ossigeno ai tessuti, legato allo spostamento a sinistra della curva di dissociazione
dell’ossigeno. Il risultato finale di una bassa pCO2 sarà una compromissione
dell’ossigenazione. Sebbene la vasocostrizione sistemica venga compensata nell’arco di poche ore, può creare un’ipoperfusione degli organi, con conseguente ischemia, soprattutto a livello cerebrale.[9]
Un aumento della pCO2 causa un’ipossiemia, poiché la pO2 negli alveoli si abbassa. Inoltre, lo
spostamento a destra della curva di dissociazione dell’ossigeno, indotto dall’acidosi
respiratoria acuta, riduce la ctO2 arteriosa ma facilita il rilascio di ossigeno. D’altra parte, un
aumento della pCO2 può comportare un aumento della gittata cardiaca e quindi facilitare il
rilascio di ossigeno ai tessuti.[9]
Ematocrito
È la percentuale del volume sanguigno occupata dalla parte corpuscolata del sangue. È un parametro fondamentale, nella pratica clinica, per valutare la massa del sangue e viene misurato in percentuale nell’unità convenzionali e in L/L nell’unità del sistema internazionale (SI). I metodi più utilizzati per misurare l’ematocrito sono: Contaglobuli a impedenza o laser: il sangue viene aspirato da un capillare e convogliato in una cella di lettura dove le singole cellule passano attraverso un campo elettrico. Durante questo passaggio, ogni cellula aumenta la resistenza tra gli elettrodi generando un impulso di durata proporzionale alle sue dimensioni. Lo strumento quindi registra numero e durata degli impulsi che corrispondono rispettivamente al numero di cellule e alle loro dimensioni. Questa procedura viene eseguita su sangue intero diluito con soluzione isotonica in parte, nel quale vengono contati eritrociti e piastrine, e in parte su sangue trattato con liquidi particolari (emolisanti), in cui gli eritrociti vengono lisati chimicamente e la conta viene effettuata sulle cellule residue, che corrispondono pertanto alle cellule nucleate.[13] I risultati vengono espressi in istogrammi che rappresentano la distribuzione delle cellule in base alle loro dimensioni e al loro numero. Inoltre in base alle dimensioni registrati, alcuni strumenti a impedenza stimano la conta leucocitaria e classificano le cellule in monociti, granulociti, linfociti.
L’Hct è calcolato con la seguente:
16 Hct (Formula 3) = n° RBC/µL x MCV Con RBC = globuli rossi, MCV = volume medio corpuscolare.[13] Metodica di Wintrobe: consiste nell’uso di una provetta particolare graduata da 0 a 100 mm dall’estremità inferiore a quella superiore. In pratica si riempie di sangue incoagulabile con EDTA od eparina fino al numero 100. Si fa centrifugare a 3.000 rpm (rotazioni per minuto) per 30 minuti ed avremo in alto il plasma (di colore giallastro o trasparente) costituito dal sangue privo di cellule; strato bianco (o buffy coat) di colore bianco‐grigio (suddiviso a sua volta in tre parti costituiti da trombociti, leucociti ed emazie) e strato rosso composto dagli eritrociti divisi dallo strato sovrastante da una linea più marcata composta dall’emoglobina denaturata ed ossidata.[13] [14] Microematocrito: è un metodo manuale con contaglobuli QBC (quantitative buffy coat) che misura il “packed cell volume” o PCV e che fornisce le conte leucocitarie totali e quelle di alcune popolazioni leucocitarie (mononucleati, eosinofili e granulociti) analizzando il sangue posto in un capillare da ematocrito. Questo capillare contiene una sostanza che dilata il buffy coat durante la centrifugazione in modo tale che occupi uno spazio più ampio
per essere analizzato otticamente.[13]
Dopo la centrifugazione, il capillare ha le stesse divisione della provetta di Wintrobe. Per la lettura del capillare viene utilizzato un normogramma in cui si introduce in una feritoia di un cursore mobile trasparente, in modo da far coincidere la linea di base “0” del grafico con l’estremità più in basso della parte corpuscolata. Si sposta quindi il cursore con il capillare fino a far coincidere la linea esterna “100” del grafico con l’estremità più alta del plasma. Si legge la percentuale della parte eritrocitaria risultante dalla intersezione sul grafico della linea di separazione tra plasma e questa parte eritrocitaria.[14] Il PCV si ottiene tramite la seguente formula: PCV (Formula 4) = lunghezza della colonna di eritrociti / lunghezza della colonna di eritrociti + buffy coat + plasma Emogasanalizzatore: viene calcolato come rapporto tra quantità totale di emoglobina (tHb in g/dL) e valore MCHC (concentrazione emoglobinica corpuscolare media, in g/dL):[13] Hct (Formula 5) = ctHb / MCHC Possiamo avere due condizioni: La riduzione dell’Hct, L’aumento di Hct.
o La riduzione dell’Hct può presentarsi per riduzione della massa eritrocitaria (anemie), per
aumento della massa liquida (disturbi della regolazione della volemia nella cardiopatia congestizia, somministrazione iatrogene di liquidi per vie parenterale), per artefatti (presenza di macro‐microagglutinazioni), in condizioni parafisiologiche (gravidanza a fine termine);
o L’aumento dell’Hct si può presentare per aumento della massa eritrocitaria (policitemia
vera, eritrocitosi assoluta secondaria appropriata ad ipossia nelle cardiopatie e patologie respiratorie croniche, eritrocitosi assoluta non appropriata secondaria a tumori o endocrinopatie), per riduzione della massa liquida (eritrocitosi relativa nelle disidratazioni), per artefatti (macrocitosi post prelievo, disidratazione del campione), in condizione parafisiologiche (paura, altitudine, attività motoria intensa, eccitazione), shock, somministrazione di anabolizzanti (steroidi, eritropoietina).[13]
1.2.2 – PARAMETRI dello STATO ACIDO‐BASE
Valore di pH Il pH è un valore numerico che esprime la concentrazione degli ioni H+ in una soluzione. In particolare il valore di una soluzione è pari a – log [H+] e permette di misurare l’acidemia e l’alcalemia di una soluzione tramite una scala che va da 0 a 14.Il valore del pH deve essere correlato ai valori di pCO2, che rispecchia la componente
respiratoria di un’alterazione del pH, e ai valori del bicarbonato plasmatico (HCO3‐) o di
eccesso di basi standard (SBE), che rispecchiano la componente metabolica. Questo perché, il valore del pH in un organismo vivente, è il risultato dell’attività respiratoria, renale e del
sistema tampone del sangue.[9][15]
Mediante il diagramma di Siggaard‐Andersen (Fig.3) è possibile ottenere informazioni sullo
squilibrio acido‐base presente valutando la concentrazione di HCO3‐ (mEq/L), della pCO2
(mmHg), e il pH del sangue arterioso.
18 Fig. 3: Diagramma acido‐base di Siggaard‐Andersen, rappresentante il quadro previsto nelle varie alterazioni primarie e compensate dell’equilibrio acido‐base (tratto da Radiometer Medical Aps, “Manuale di Emogasanalisi”, 2005) Di conseguenza abbiamo quattro condizioni cliniche: Acidosi metabolica, Acidosi respiratoria, Alcalosi metabolica, Alcalosi respiratoria. o L’acidosi metabolica è un disturbo caratterizzato da un pH basso (minore di 7,4), da una diminuzione dei bicarbonati (minore di 24 mEq/L) e da una pCO2 normale o bassa (quando
il paziente respira autonomamente e compensa con un’iperventilazione). Le cause principali dell’acidosi metabolica sono insufficienza renale cronica (responsabile della perdita di bicarbonato utilizzato per tamponare alcuni acidi fissi come i fosfati e i solfati); la diarrea (perdita di bicarbonato con le feci); aumentata produzione degli acidi fissi come l’acido lattico (durante lo shock e lo stato di male epilettico) e i chetoacidi (durante la
chetoacidosi diabetica); ipoadrenocorticismo (per ritenzione degli H+ nel tubulo
collettore); avvelenamenti da glicole etilenico (con liberazione di acido glicolico) o da salicilati (per alterazione del metabolismo ossidativo cellulare con conseguente anaerobiosi cellulare e produzione di acido lattico); somministrazione di inibitori dell’anidrasi carbonica come l’acetazolamide (che limita il riassorbimento di bicarbonato dai tubuli prossimali renali), somministrazione di cloruro d’ammonio, somministrazione di
alcuni amminoacidi (es. lisina, arginina e istidina il cui metabolismo epatico forma ione
ammonio che libera H+ )[9][13]
o L’acidosi respiratoria è caratterizzata da una diminuzione del pH, un aumento della pCO2
ed una SBE normale. Se tale condizione persiste l’escrezione di bicarbonato, da parte dei reni, diminuisce e l’acidosi viene compensata tramite l’aumento dei bicarbonati nel sangue. Le cause di un’acidosi respiratoria possono essere ostruzioni delle vie aeree (corpi estranei, collasso tracheale, versamento pleurico, ernia diaframmatica) depressione del centro del respiro, lesioni della parete toracica (traumi), accelerazione del metabolismo, disordini restrettivi extrapolmonari (pleuropatie, lesioni occupanti spazio, obesità). Un’acidosi respiratoria può avere un andamento acuto o cronico (es. nell’asma felina). Quest’ultima condizione può essere compensata da una ritenzione del bicarbonato a livello renale aumentando, così, la concentrazione di bicarbonato nel sangue. Un’acidosi
respiratoria compensata è caratterizzata da un pH leggermente ridotto, da una pCO2
elevata e da un aumento dei bicarbonati nel sangue.[9][15]
o L’alcalosi respiratoria è caratterizzata da un aumento del pH e da una riduzione della pCO2.
La causa è un’iperventilazione indotta da ipossiemia (insufficienza cardiaca, shunt destro‐ sinistra), ipossie tessutali senza ipossiemia (ipotensione, anemia), malattie polmonari acute (polmonite, tromboembolismo, edema polmonare), stimolazione dei recettori posti nel sistema nervoso centrale (traumi, infezioni). o L’alcalosi metabolica presenta un pH elevato (maggiore di 7,45) e una quantità di HCO3‐ elevati (più di 24 mEq/L) ed è spesso associata ad un’ipopotassiemia ed un’ipovolemia.
Le cause sono terapia con diuretici (perdita di liquidi), risoluzione di un’insufficienza ventilatoria che aveva prodotto un’ipercapnia, iperaldosteronismo, iperadrenocorticismo, perdita gastroenterica di acidi (vomito). Nei pazienti che respirano spontaneamente, l’alcalosi metabolica può essere compensata con una lieve diminuzione della ventilazione alveolare con conseguente aumento della pCO2.[9][13][15] Concentrazione totale di anidride carbonica La tCO2 rappresenta la quantità di anidride carbonica presente nel sangue, sia in forma libera
(CO2 disciolto, H2CO3, HCO3‐), legata all’emoglobina o ad altre proteine.[15]
Viene espressa in Vol%, mEq/L e mmol/L con:
‐ 1 mEq/L = 1 mmol/L
‐ 1 mmol/L = 1 mEq/L.[9][D]
Nell’emogasanalizzatore la tCO2 viene misurata con le seguenti (Formule 6 e 7):
20
tCO2 (Formula 7) = cHCO3‐ + (αCO2 × pCO2)
di cui αCO2 è il coefficiente di solubilità grazie al quale a CO2 disciolta nel plasma può essere
calcolata a partire dalla pCO2. Inoltre la tCO2 può essere considerata una misurazione indiretta
della concentrazione di HCO3 nel sangue poiché le concentrazioni di CO2 e H2CO3 sono molto
ridotte nel sangue.[6]
Concentrazione plasmatica di Bicarbonato
L’HCO3‐ è uno dei sistemi tampone presenti nel sangue, regolato soprattutto dal rene. Nel rene
viene riassorbito circa l’80% a livello del tubulo prossimale, dopo essere stato filtrato dal
glomerulo.[12]
Infatti, nel tubulo, arriva la CO2 che reagisce con l’acqua e viene trasformata in H2CO3
dall’anidrasi carbonica. Successivamente l’acido carbonico viene scisso in H+, che viene
eliminato con le urine, e HCO3‐ che viene riassorbito e passa nel sangue. Anche nell’ansa di
Henle e nel tubulo distale viene riassorbito l’HCO3‐ (15% e 5% rispettivamente).[13]
L’HCO3‐, negli emogasanalizzatori, viene calcolato tramite l’equazione di Henderson‐
Hasselbach attraverso le seguenti formule:
pH (Formula 8) = ‐ Log ([HCO3‐]) / ([H2CO3])
HCO3‐ (Formula 9) = 0,0307 x pCO2 x 10(pH – 6,129) mmol/L
Log cHCO3‐ (Formula 10) = pH + log pCO2 – 7,608 = pH + log (pCO2 x 0,0307) – 6,095 [a 37°C]
poichè l’HCO3‐ si calcola a partire dal pH e dalla pCO2, calcolati dalla macchina. Di conseguenza
i valori dell’HCO3‐ sono molto attendibili purchè la pCO2 e il pH non siano soggetti ad errori
preanalitici.[6][9] L’HCO3 viene espressa in mEq/L e mmol/L (vedi tCO2).[6][D] Possiamo avere: Basse concentrazioni di HCO3‐, Alte concentrazioni di HCO3‐.
o Un valore di HCO3‐ basso indica la presenza di un’acidosi metabolica oppure può
rappresentare un meccanismo di compensazione di un’alcalosi respiratoria.
o Un valore di HCO3‐ alto può essere dovuto ad un’alcalosi metabolica o ad un meccanismo
Come detto precedentemente, l’HCO3 va interpretato con pCO2 e pH, infatti mentre
un’alterazione dell’HCO3 non causa un cambiamento della pCO2, un cambiamento di questa
crea variazioni della concentrazione di HCO3 (circa 0,15 mEq/L per ogni mmHg di pCO2 sotto i
40 mmHg e 0,075 mEq/L per ogni mmHg sopra i 40 mmHg). Per annullare queste alterazioni è stato introdotto il bicarbonato standard, che aggiusta la concentrazione di bicarbonato
plasmatico (normalizza la cHCO3‐ ad una pCO2 di 40 mmHg).[6][9]
Gap Anionico L’AG è la differenza tra la somma delle concentrazioni dei cationi misurati (sodio e potassio) e quella degli anioni misurati (cloro e bicarbonato).[9] È espresso nella seguente (Formula 11): AG (Formula 11) = Na+ + K+ ‐ Cl‐ + HCO 3‐
L’AG è la misura indiretta degli anioni plasmatici non misurati, come per esempio fosfati,
proteine, solfati, anioni organici e può essere influenzato anche dalle concentrazioni di Mg2+ e Ca2+.[6][9][15] L’AG si misura in mEq/L e mmol/L (vedi tCO2). Si può avere: Una riduzione dell’AG, Un aumento dell’AG. o Una diminuzione dell’AG può essere causata da ipoproteinemia, iponatriemia, un aumento dei cationi non misurati. o Un aumento dell’AG indica un’acidosi metabolica che può essere classificata in: Acidosi metabolica con aumento di AG causata da un aumento di sostanze tossiche (acido glicolico da glicole etilenico, acido formico dal metanolo, acido salicilico dal salicilato), da un aumento di acidi organici (lattico, chetoni e acidi uremici). Queste acidosi vengono
dette Normocloremiche o acidosi metabolica da Titolazione.[3][6][9]
Acidosi metabolica con AG normale causata da perdita di bicarbonati tramite diarrea, acidosi uremica con insorgenza recente, acidosi tubulare renale. Queste acidosi sono dette
Ipercloremiche o acidosi metaboliche secretive.[3][6][9]
Bisogna fare attenzione nei casi di disordini misti poiché possiamo trovare un’AG normale anche in presenza di elevate quantità di acidi liberi. Per sopperire a questo problema si fa un calcolo più preciso con la seguente formula:
22
AG (Formula 12) = (Na+ + K+ + effetto del Ca2+ + effetto del Mg2+) – (Cl‐ + HCO
3‐ + Lattati + effetto dell’Albumina + effetto dei Fosfati) In questo caso l’intervallo di normalità va da 0 a 4 mEq/L. [6] Eccesso/Deficit di Base La BE è la concentrazione di basi titolabili quando il sangue viene titolato con una base o un
acido forte ad un pH di 7,40, con pCO2 di 40 mmHg, temperatura di 37°C e sO2 effettiva.[6]
L’unità di misura della BE è mmol/L[9]
È il parametro più valido con cui possiamo studiare lo squilibrio acido‐base poiché stima l’impatto quantitativo di tutte le basi tampone nel sangue. Le basi tampone rappresentano la capacità totale di tampone del sangue e comprendono il bicarbonato, l’emoglobina, le
proteine plasmatiche e il fosfato. Il livello normale di basi tampone è di 48 +/‐ 2 mmol/L[6] Possiamo avere: un valore ridotto di BE e in questo caso avremo un’acidosi metabolica, un valore aumentato di BE e in questo caso avremo un’alcalosi metabolica. Nell’emogasanalizzatore la BE viene calcolato con la seguente (Formula 13):
BEecf (Formula 13) = 0,93 x [14,83 x (pH – 7,40) – 24,4 + cHCO3‐]
Le variazioni di BE devono essere sempre interpretate con pCO2 e pH.[9]
1.2.3 – PARAMETRI degli ELETTROLITI
Concentrazione plasmatica di sodio L’Na+ è un minerale essenziale che si trova soprattutto nei fluidi extracellulari. Esso concorre al mantenimento della pressione osmotica tra le cellule, partecipa alla regolazione idrica del corpo, mantiene un’adeguata eccitabilità delle cellule muscolari e di quelle nervose, regola l’equilibrio acido‐base.[6][15][16]Per calcolare la concentrazione di Na+ si usa il siero al posto del sangue intero poiché in
quest’ultimo sono comuni artefatti che falsificano i valori della sodiemia.[6]
Si possono presentare:
Valori bassi di Na+,
Valori alti di Na+.
o Valori bassi di Na+ (iponatriemia) si verificano per una diluizione dell’Na+ dovuta ad una
somministrazione eccessiva di fluidi, ad una perdita eccessiva di Na+ o un basso valore del
Na+ presente.[13] Le cause che portano a questa condizione sono varie: inappropriata
ritenzione d’acqua (cirrosi epatica, insufficienza renale cronica, insufficienza cardiaca congestizia, sindrome nefrosica), aumento dell’acqua corporea presentando un lieve edema (ipotiroidismo, stress, diabete insipido), intossicazione d’acqua (polidpsia psicogena), presenza di molecole osmoticamente attive che richiamano acqua (diabete
mellito, somministrazione di mannitolo, glicina e maltosio).[3][6][15]
o Valori alti di Na+ (ipernatriemia) difficilmente sono dovuti ad un aumento delle molecole
anzi di solito è dovuto ad una perdita eccessiva di acqua che porta il soggetto alla
disidratazione aumentando così la concentrazione di Na+. Le cause sono vomito, diarrea,
sudorazione profusa, ipertermia, perdita di liquidi per cause renali (iperaldosteronismo, iperadrenocorticismo, ipertiroidismo, epatopatie croniche, insufficienza renale), terapia
con steroidi, mannitolo.[6][9][15] I valori normali della sodiemia sono 135‐145 mEq/L. L’Na+ viene misurato con la Potenziometria con elettrodi ione‐selettivi (ISE). Questa metodica si basa sul calcolo della differenza di potenziale che si crea tra il campione e una soluzione specifica, separata da una membrana permeabile solo dallo ione in esame; la differenza di potenziale è provocata dalla diversa concentrazione dello ione nelle due soluzioni. L’algoritmo preimpostato nell’analizzatore compara la differenza di potenziale misurata con una curva di calibrazione sperimentalmente derivata da soluzioni note a differenti concentrazioni ioniche.[6] [15]
Concentrazione plasmatica di potassio
La K+ è uno ione prevalentemente intracellulare, infatti, grazie a meccanismi di trasporto
specifici (pompa ionica), passa rapidamente dallo spazio extracellulare a quello intracellulare.
La K+ è un elemento che partecipa a mantenere vari equilibri come scambio idrico tra cellule
e liquidi intracellulari e tra questi e il plasma; inoltre, la costanza del rapporto ionico (Na+ +
K+)/Ca2+ permette la normale contrazione delle fibre muscolari, e svolge un ruolo
fondamentale nella conduzione nervosa grazie all’elevato gradiente transmembrana. [6][16]
Le unità di misura sono mmol/L e mEq/L (vedi tCO2).[9][E]
Possiamo avere: Bassi livelli di K+,
24 Alti livelli di K+ o Bassi livelli di K+ (ipopotassiemia o ipokaliemia) è una condizione potenzialmente fatale visto i processi in cui la K+ interviene. La causa più comune dell’ipokaliemia è l’eccessiva
perdita di acqua dal corpo (vomito, diarrea, sudorazione eccessiva), alcuni farmaci accelerano l’eliminazione del potassio dal corpo (furosemide, lassativi, diuretici dell’ansa, diuretici tiazidici), insufficiente apporto di potassio con il cibo, malassorbimento intestinale, iperadrenocorticismo, iperaldosteronismo, diabete mellito, malattie renali,
alcalosi respiratoria o metabolica con shift intracellulare del potassio ematico.[9][13][15]
o Alti livelli di K+ (iperpotassiemia o iperkaliemia) possono condurre a problemi cardiaci
gravi. L’iperkaliemia si presenta in corso di acidosi metabolica, insufficienza renale, acidosi
da sostanze tossiche (etanolo, silicati), per aumento della fuoriuscita di K+ dalle cellule
(ipoinsulinemia, intenso sforzo fisico, paralisi periodica iperkaliemica, tossicità digitalica,
terapia con beta‐bloccanti), per ridotta eliminazione di K+ (ipoadrenocorticismo,
somministrazione di eparina, diminuito influsso renale di soluti, insufficienza renale acuta, nefropatie, ostruzione urinaria, somministrazione di diuretici).[9][13][15] Oggi la K+ viene misurato con la Potenziometria con elettrodi ione‐selettivo (vedi Na+).[15] Concentrazione plasmatica del Cloro La Cl‐ è un anione presente negli spazi extracellulari e mantiene l’integrità cellulare regolando la pressione osmotica, monitora l’equilibrio acido‐base e l’equilibrio idrico.[15] La Cl‐ viene calcolato con la Potenziometria con elettrodi ione‐selettivi (vedi Na+).[15] Il Cl‐ viene espresso in mmol/l e mEq/L (vedi tCO 2).[9][E] Si possono presentare due situazioni: Riduzione della Cl‐, Aumento della Cl‐. o Valori bassi di Cl‐ (ipocloremia) si possono avere in caso di sudorazione eccessiva, ustioni
gravi, vomito e diarrea eccessive e prolungate, abuso di lassativi, aspirazione gastrica, allergia, eccessivo trattamento con diuretici, chetoacidosi diabetica, alcalosi metabolica,
intossicazione d’acqua, colpo di calore, iperadrenocorticismo, ostruzione pilorica.[15]
o Valori alti di Cl‐ (ipercloremia) si ha in caso di insufficienza renale, disidratazione marcata,
sindrome nefrosica, intossicazione da salicilati, intossicazione da cloruro di ammonio, acidosi tubulare renale, acidosi metabolica da diarrea, ipoadrenocorticismo, iperlipemia,
diabete mellito, iperventilazione, scompenso cardiaco, eclampsia. [9][15]
Nella maggior parte dei casi le alterazioni della Cl‐ non sono di grande importanza clinica ma
bisogna tener conto che bassi livelli possono causare spasmi muscolari, apatia, anoressia.
La concentrazione plasmatica va da 3‐4 mEq/L in base se il campione di sangue è venoso o arterioso visto che la Cl‐ dipende dalla quantità di O 2 e CO2.[6] Concentrazione plasmatica del Calcio ionizzato La Ca2+ è un bioelemento importante presente in tutte le cellule degli esseri viventi. Circa il 99% è presente nel tessuto osseo mentre la restante parte esplica altre funzioni importanti
come la contrazione muscolare, la conduzione nervosa. La quantità di Ca2+ a livello
extracellulare è mantenuta in equilibrio attraverso dei meccanismi omeostatici che
coinvolgono il tessuto osseo, il rene, l’intestino e gli enzimi e i fattori della coagulazione.[9][16] La misurazione della Ca2+ totale è legata alla presenza dell’albumina con cui si lega (40%), per cui si possono avere un’ipocalcemia o un’ipercalcemia falsate da questo legame. Per questo motivo, per avere un valore attendibile della calcemia, viene misurato il calcio ionizzato.[15] Le unità di misura sono mmol/L, mg/dL, mEq/L con: ‐ 1 mmol/L = 4,01 mg/dL ‐ 1 mg/dL = 0,25 mmol/L ‐ 1 mEq/L = ½ mmol/L ‐ 1 mmol/L = 2 mEq/L.[9][E][F][G] La Ca2+ viene misurato con la Potenziometria con elettrodi ioni‐selettivi (vedi Na+).[9] Possiamo avere: Bassi valori di Ca2+, Alti valori di Ca2+. o Bassi valori di Ca2+ (ipocalcemia) si ha in caso di ipoparatiroidismo (quando le paratiroidi vengono danneggiate), psudoparatiroidismo (assenza di risposta ad un livello normale di paratormone), deficit di vit.D (per carenza di questa nella dieta o per esposizione inadeguata ai raggi solari), insufficienza renale (perdita della capacità di assorbimento del calcio a livello tubulare con minore attivazione della vit.D), pancreatite acuta, somministrazione di antibiotico (rifampicina), anticonvulsivanti (fenitoina e fenobarbital), calcitonina, corticosteroidi, sindrome da malassorbimento, neoplasie, alcalosi,
insufficienza circolatoria acuta.[9][13][15]
o Alti valori di Ca2+ (ipercalcemia) è causata da iperparatiroidismo, pancreatite,
tireotossicosi, intossicazione di vit. D, neoplasie maligne (linfomi, mastocitoma, leucemia, mieloma multiplo), ipertiroidismo, terapia prolungata con diuretici tiazidici, intossicazione da teofillina, morbo di Addison, insufficienza renale, malattie granulomatose (tubercolosi, silicosi, istoplasmosi, coccidioidomicosi).[9][15]
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1.2.4 – PARAMETRI dei METABOLITI
Concentrazione plasmatica di Glucosio Il Glu è la principale fonte di energia dell’organismo. Viene assorbito nel sangue attraverso la mucosa intestinale ed una buona parte di esso va direttamente al cervello mentre la restante parte si accumula nel fegato e nei muscoli sottoforma di glicogeno.[17]Il calcolo del Glu nell’emogasanalizzatore viene fatto dagli elettrodi che si basano su membrane multistrato di separazione dal campione il quale contiene degli enzimi che favoriscono l’ossidazione del glucosio, formando acqua ossigenata, che genera una corrente proporzionale alla quantità del metabolita.[15] Il Glu si misura in mmol/l e mg/dL con: ‐ 1 mg/dL = 0,06 mmol/L ‐ 1 mmol/L = 18,02 mg/dL.[9][H] Si può avere: Basse quantità di Glu, Alte quantità di Glu. o Basse quantità di Glu (ipoglicemia) è una condizione medica acuta caratterizzata da diversi
sintomi specifici e risolta con la somministrazione di glucosio. Le cause possono essere somministrazione eccessiva di alcuni farmaci o tossine (insulina, ipoglicemici orali,
etanolo, salicilato, propanololo), malattie endocrine (ipoadrenocorticismo,
ipopituitarismo), sepsi, malassorbimento (digiuno, diarrea, grave malnutrizione, stenosi ipertrofica del piloro, difetto nel trasporto di monosaccaridi), tumori (insulinoma, feocromocitoma, linfoma, leucemia), insufficienza renale, insufficienza epatica, ipertermia maligna, ipotermia, malattie del sistema nervoso (traumi, ictus, gravi encefalopatie),
malattie autoimmunitarie.[15] Una condizione particolare è data dall’ipoglicemia neonatale
in caso di cuccioli prematuri, affetti da asfissia neonatale, tossiemia materna, ritardo nella
crescita intrauterina, sindrome da stress respiratorio grave.[18]
o Alti livelli di Glu (iperglicemia) può essere dovuto a vari fattori che possono essere
classificati in tipo diabetico e tipo non diabetico.
Le cause di tipo diabetico sono dovute all’instaurarsi del diabete mellito, patologia cronica, conseguente ad un’iperglicemia cronica, causata da una ridotta produzione di insulina da parte delle cellule beta del pancreas endocrino o per ridotta sensibilità dei tessuti all’insulina.[15]
Le cause di tipo non diabetico sono somministrazione di farmaci iperglicemizzanti (corticosteroidi, beta‐bloccanti, epinefrina, diuretici tiazidici, alcuni neurolettici), patologia endocrina non pancreatica (produzione eccessiva di ormoni anti‐insulina), stress (di tipo fisico e psicogeno, che causano un’eccessiva produzione di catecolamine e cortisolo), post‐
prandiale (dopo il consumo di alimenti ricchi di carboidrati), iatrogena (sangue prelevato da un arto dove viene infuso glucosio).[15] Sia l’ipoglicemia che l’iperglicemia sono due condizioni cliniche da non sottovalutare poiché, essendo il tessuto nervoso particolarmente sensibile al Glu, si possono avere danni neurologici gravi per cui il trattamento deve essere repentino.[9] Inoltre la glicemia deve essere misurata il più presto possibile dopo aver fatto il prelievo di sangue per evitare che i processi metabolici nel campione diano falsi risultati. In molti analizzatori, numerose sostanze sia endogene che esogene possono interferire con la misurazione della glicemia. Al contrario gli analizzatori che utilizzano l’elettrodo per il Glu non subiscono interferenze, da parte di sostanze ossidabili, nel calcolo del parametro in
questione.[9]
Concentrazione plasmatica del Lattato
Il Lac è un sottoprodotto del metabolismo anaerobico lattacido, tossico per le cellule. L’organismo possiede dei mezzi di difesa per smaltire quello in eccesso infatti il fegato lo
converte in glucosio e il cuore lo utilizza come fonte energetica.[9]
In condizioni normali lo smaltimento del Lac si ha entro due ore dalla sua produzione e, quindi, un suo aumento è correlato o ad una produzione esagerata oppure in caso di un’ipossia cronica visto che il Lac si forma quando c’è uno squilibrio tra la domanda di ossigeno da parte dei tessuti e l’apporto ematico del gas. Nonostante ciò il Lac non può essere considerato un indicatore della disponibilità d’ossigeno nel sangue arterioso ma un elemento di monitoraggio
dell’ossigenazione tessutale.[9]
Nell’emogasanalizzatore, il Lac viene misurato con l’Amperometria enzimatica dove degli elettrodi specifici in platino e membrane multistrato di separazione contengono l’enzima
lattatodeidrogenasi che reagisce con il Lac producendo perossido d’idrogeno (H2O2) che
genera corrente elettrica proporzionale alla quantità di Lac presente nel campione di sangue.[9][15] Il Lac viene espresso in mmol/L e mg/dL con: ‐ 1 mmol/L = 0,111 mg/dL e ‐ 1 mg/dL = 0,111 mmol/L.[9][I] Ci può essere: Basse quantità di Lac, Alte quantità di Lac. o Bassi valori di Lac (ipolattatemia) non hanno significato clinico poiché il valore di intervallo minimo considerato normale è 0 mEq/L o mmol/L.[18]
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o Alti valori di Lac (iperlattatemia) sono causate da un aumentata produzione (ipossia,
shock, sepsi, arresto cardiaco), incremento “metabolic rate” (convulsioni, esercizio fisico intenso), farmaci (adrenalina, sorbitolo), ridotta clearence del lattato (insufficienza renale, insufficienza epatica), neoplasie (linfoma, leucemie), chetoacidosi diabetica, ipoglicemia, idiopatica.[9][18]
È stato dimostrato che il livello di lattatemia può essere utilizzato come un buon indice prognostico di mortalità/trattamento efficace nei pazienti critici. Infatti livelli bassi o decrescenti di Lac nei pazienti critici indicano una buona risposta del paziente alle terapie in atto. Viceversa, un alto valore indica una risposta dell’organismo non adeguata alla terapia e quindi una prognosi più sfavorevole.[9] Fig. 4: Probabilità di morte ospedaliera in relazione alla lattatemia in pazienti umani critici (immagine tratta da Radiometer, 2005). Concentrazione plasmatica totale della Bilirubina
La Bil è un pigmento giallo‐rossastro contenuto nella bile e prodotto dal catabolismo dell’emoglobina. Quasi tutta la bilirubina presente nel plasma, inizialmente, è in forma non
coniugata cioè legata all’albumina, poiché la bilirubina non legata a nessuna proteina risulta
tossica. La bilirubina non coniugata viene trasportata dal torrente ematico al fegato, dove subisce un processo di glucuronazione, cioè viene resa idrosolubile e non tossica (bilirubina
coniugata) e passa nella bile.[9]
La Bil è espressa in mg/dL.[9]