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"Innovazione tecnologica e performance aziendali: analisi del settore turistico italiano"

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Innovazione tecnologica e performance aziendali:

analisi del settore turistico italiano

Relatore:

Chiar.Mo Prof. Silvio Bianchi Martini

Candidato:

Simone Giorgione

Matricola: 587057

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INDICE

INTRODUZIONE 1

CAPITOLO 1 – IL CONCETTO DI INNOVAZIONE NELLA LETTERATURA

ECONOMICO-AZIENDALE: IMPLICAZIONI ED EFFETTI SULLE PERFORMANCE 4

1.1 Che cos’è l’innovazione 4

1.2 Focus sull’innovazione digitale 8

1.2.1 Nuove tecnologie a supporto delle attività aziendali 12 1.3 Diversi modelli di innovazione aziendale nella letteratura: un excursus

storico 19

1.3.1 Open innovation: un modello per l’innovazione digitale 24 1.4 Relazione tra innovazione tecnologica e performance: studi nella

letteratura recente 30

1.4.1 Relazione tra innovazione tecnologica e produttività 36 CAPITOLO 2 – INNOVAZIONE DIGITALE E PERFORMANCE NEL SETTORE

TURISTICO ITALIANO: UN’ANALISI EMPIRICA 54

2.1 L’innovazione digitale nel contesto italiano 54

2.2 Focus sul settore turistico italiano 58

2.3 Research question 64

2.4 La raccolta dati e le variabili investigate 69

2.5 Il metodo utilizzato: la regressione lineare multipla con panel data 71

CAPITOLO 3 – I RISULTATI DELL’ANALISI 81

3.1 Analisi descrittiva 81

3.2 Analisi statistica: regressione multipla con panel data 82

CAPITOLO 4 – CONCLUSIONI 89

BIBLIOGRAFIA 93

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INTRODUZIONE

L’innovazione tecnologica è un fenomeno che affonda le sue radici nel passato, in quanto è frutto di un progresso che ha compiuto i primi passi già nei secoli scorsi, segnando intere epoche storiche e dando impulso alle tre rivoluzioni industriali. Oggi il progresso tecnologico, grazie all’affermazione di internet, ha dato vita ad una quarta rivoluzione tutt’ora in corso, disegnando una nuova «era digitale» caratterizzata sempre più da nuove soluzioni tecnologiche capaci di stravolgere la società nei suoi molteplici aspetti e il modo in cui le aziende innovano processi, servizi e prodotti, con i quali rispondono ai nuovi trend di mercato. Nonostante sia un tema sempre più al centro del dibattito in diversi contesti, sia pubblici che privati, spesso viene concepita dai non addetti ai lavori solo come una suggestione riflessa da un futuro lontano ma in realtà la digitalizzazione è un fenomeno appartenente al presente, con impatto trasversale a diversi settori e foriero di nuove sfide ed opportunità per il mondo del business. Le aziende da sempre implementano innovazioni tecnologiche per migliorare l'efficienza dei processi, ma oggi le nuove soluzioni digitali sono sempre più riconosciute come strumenti importanti anche per l'innovazione di beni e servizi con il conseguente incremento del vantaggio competitivo. Sebbene l’innovazione tecnologica sia foriera di nuove opportunità, l'introduzione delle tecnologie digitali implica delle sfide, ossia profondi cambiamenti nel modo di lavorare e interagire sia all’interno delle organizzazioni aziendali che all’esterno, in quanto la digitalizzazione delle imprese può cambiare il rapporto tra l'azienda e i suoi clienti e, più in generale, riformulare interi modelli di business. Questi cambiamenti possono creare tensione tra vecchi valori, sistemi o procedure e quelli nuovi, i quali possono rappresentare un ostacolo all'impianto e all'uso delle nuove tecnologie (Martinez-Caro, 2020). Da questi aspetti è facile intuire che una nuova tecnologia può essere implementata, ma deve prima essere assimilata e interiorizzata apportando i dovuti cambiamenti, affinché questa possa essere strumento in grado di generare valore nell’organizzazione (OCSE, 2019; Ferreira, 2019; Martinez-Caro, 2020).Come asserito dall’OCSE (2019), in virtù di questi fattori, i contributi delle nuove tecnologie alle performance aziendali risultano differenti a seconda dei diversi contesti settoriali e aziendali considerati.

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Gli aspetti appena esaminati hanno motivato la nascita di molteplici filoni di studi nella letteratura, i quali hanno indagato l’impatto dell’innovazione tecnologica sulle performance economiche aziendali, riscontrando miglioramenti nelle performance in settori e, in particolare nelle aziende, che hanno apportato determinati cambiamenti e adeguamenti, i quali risultano fattori imprescindibili per la corretta implementazione di soluzioni tecnologiche nell’organizzazione generando, a loro volta, un maggior contributo ai risultati dell’azienda. L’assenza di questi fattori complementari alla digitalizzazione potrebbe comportare l’inadeguato utilizzo di nuove soluzioni digitali, con implicazioni negative o nulle sulle performance delle imprese (Martinez-Caro, 2020). Altresì, gli attuali trend negativi della produttività aggregata di diversi Paesi, nonostante gli ingenti investimenti in nuove soluzioni digitali compiuti contestualmente da questi ultimi, hanno riportato in auge un certo scetticismo tipico degli anni Ottanta (Solow, 1987; Gordon, 1987; Roach, 1987) in merito al contributo della tecnologia alla crescita della produttività, tanto da spingere diversi studi, molto recenti, ad indagare la presenza o meno di una correlazione tra produttività e investimenti in nuove tecnologie.

Questi studi hanno riscontrato risultati molto positivi in merito alla relazione tra investimenti tecnologici e performance economico-finanziarie, così come con la produttività del lavoro, confermando le grandi opportunità esistenti per le imprese, a patto che esse non trascurino i suddetti interventi complementari alla stessa innovazione digitale, trai i quali sono emersi: diffusione di una cultura digitale, composizione del board, nuove pratiche manageriali, nuove figure professionali, adeguate competenze e conoscenze tecnologiche del personale ai diversi livelli dell’organizzazione, l’infrastruttura di base (OCSE, 2019). Inoltre, non sono mancate perplessità in merito alla capacità da parte del settore dei servizi di incrementare la propria produttività, in quanto sono stati ritenuti da una parte della letteratura poco inclini al progresso tecnologico, a differenza di altri studi più recenti che hanno riscontrato, invece, una potenziale crescita della produttività in questi settori grazie alla tecnologia seppur in misura meno rilevante rispetto al comparto industriale in senso stretto (OCSE, 2019; Cainelli, 2006). I numerosi studi della letteratura riportati sono stati condotti su campioni di imprese estratti da molteplici settori, sia industriali che dei servizi, ma non sono stati riscontrati studi aventi come oggetto di analisi l’impatto

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dell’innovazione tecnologica sulle performance aziendali in un settore che dovrà rispondere ad un mercato caratterizzato da importanti trend digitali: il settore turistico. La mancanza di studi di settore volti ad analizzare il comparto del turismo è stata motivo di riflessione, guidando la scelta relativa all’oggetto di analisi del presente elaborato. L’attenzione posta sul settore considerato è stata dovuta anche al rilevante ruolo rivestito da questo comparto nel sistema economico italiano, in quanto contribuisce a circa il 13% del PIL e a circa il 14% dell’occupazione nazionale, se viene considerato anche l’impatto indiretto che esso genera. Inoltre, il settore turistico è stato uno dei primi ad essere profondamente impattato dalla rivoluzione digitale, tanto da diventare, già dopo pochi anni dall’avvento di internet, il primo segmento di mercato nell’e-commerce mondiale (Mibact, 2016). La conferma dell’importanza dell’innovazione tecnologica per questo settore, visti i nuovi trend di mercato caratterizzati da turisti sempre più digitali, è riscontrabile osservando il digital intensity index della Commissione Europea (2018), dove il comparto delle attività ricettive e dei tour operator risultano tra quelli con una elevata percentuale di imprese con forte orientamento al digitale, pertanto è risultato interessante indagare se le imprese turistiche italiane sono in linea con l’orientamento del turismo europeo.

Pertanto, l’obiettivo del presente elaborato è stato colmare questo apparente vuoto lasciato dalla letteratura, indagando se oggi le imprese ad esso appartenenti sono in grado di incrementare le proprie performance economiche e la produttività del lavoro rispondendo a questi nuovi e dinamici trend di mercato grazie all’innovazione tecnologica. Quindi sono state formulate due domande di ricerca, ovvero: sussiste oggi una correlazione positiva tra performance economiche e innovazione tecnologica nel settore turistico italiano? È riscontrabile una correlazione positiva tra produttività del lavoro e innovazione tecnologica nel medesimo settore? A queste domande è stato possibile rispondere compiendo un’analisi statistica, su un campione di 88 società di capitali del settore turistico italiano, attraverso il modello della regressione lineare multipla con l’utilizzo di panel data. Questi dati, time-series, sono stati introdotti nell’analisi proprio per tener conto del fattore tempo, in quanto gli effetti generati dalla tecnologia sulle performance aziendali potrebbero non manifestarsi nell’immediatezza, ma a decorrere dalla sua implementazione.

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CAPITOLO 1 – IL CONCETTO DI INNOVAZIONE NELLA LETTERATURA

ECONOMICO-AZIENDALE: IMPLICAZIONI ED EFFETTI SULLE

PERFORMANCE

1.1 Che cos’è l’innovazione

“Fare le cose vecchie in modo nuovo - questa è innovazione”

L’innovazione è un argomento da sempre oggetto di studio nel contesto economico-aziendale, in quanto risulta un driver di sviluppo e fattore determinante per il successo delle piccole, medie e grandi imprese. Oggi più che mai, l’innovazione è il processo che può condurre al vantaggio competitivo, poiché permette di fare in modo diverso ciò che si faceva in passato o svolgere attività completamente nuove. Per l’esamina del concetto di innovazione è doveroso, innanzitutto, distinguerla dal concetto di invenzione. Secondo la dottrina prevalente l’invenzione trova il presupposto in un’idea nuova, che non è mai stata realizzata materialmente, la quale nasce da un processo non programmato in modo quasi spontaneo, mentre l’innovazione è la programmazione, realizzazione e commercializzazione dell’invenzione1. Joseph Schumpeter è stato il

primo studioso a distinguere questi due concetti e che ha inquadrato in modo compiuto e sistematico il ruolo dell’innovazione nel sistema economico. Egli la definisce come la “risposta creativa che si verifica ogni qualvolta l’economia, un settore o le aziende di un settore, offrono qualcosa di diverso, qualcosa che è al di fuori della pratica esistente”2.

Egli sostiene che i flussi di innovazione precedenti vengano sostituiti nei cicli successivi da nuove innovazioni, tanto da parlare di «distruzione creatrice» (Schumpeter, 1934). Essa si differenzia dall’invenzione che, invece, consiste nella messa a punto di una scoperta a carattere prevalentemente scientifico e tecnologico che è solo potenzialmente utile dal punto di vista economico. L’innovazione, quindi, è un processo che interrompe la routine e l’equilibrio esistente per effetto dell’azione innovativa di alcuni imprenditori che, attraverso azioni e comportamenti, pongono le basi per il

1 Laino, A., “L’innovazione nell’analisi economica”, FrancoAngeli, Milano, 2016, pp. 10-11 2 Schumpeter, J.A., “Teoria dello sviluppo economico”, RizzoliEtas 2013, p.68

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raggiungimento di un nuovo equilibrio. Ancora, egli vedeva l’innovazione come “nuove combinazioni di mezzi di produzione, cioè nell’introduzione di nuovi beni e/o nuovi mezzi di produzione, nella creazione di nuove forme organizzative, nell’apertura di nuovi mercati e nella conquista di nuove fonti di approvvigionamento”3. Nel pensiero di

Schumpeter, al fine di ottenere innovazione aziendale, assume rilevanza assoluta il ruolo dell’imprenditore in una concezione dinamica, il quale è considerato il protagonista di tale processo, che combinando capitali e competenze, riesce a creare nuovi prodotti o processi e servire nuovi mercati. Emerge che le innovazioni possono essere di diverse tipologie:

 Di prodotto, cioè un nuovo prodotto o servizio possidente un valore economico che viene introdotto sul mercato;

 Di processo, intese come miglioramenti dei processi produttivi, pur non essendo visibili come quelle di prodotto, possono essere tra le fonti di vantaggio competitivo più importanti per un’impresa;

 Di mercato, con riferimento all’estensione geografica del mercato stesso;  Degli input intermedi, cioè nuovi fattori produttivi da inserire nel processo e

nuove modalità di approvvigionamento;

 Dal punto di vista dell’organizzazione, con riferimento alla struttura dell’impresa, incluse le relazioni con l’esterno.

Queste tipologie di innovazione possono contribuire a generare profitto per l’organizzazione fino al momento in cui saranno imitate dai competitors, con la conseguente erosione degli stessi margini di profitto e la necessità di apportare nuove innovazioni per ripristinarli. La dinamica dell’innovazione è tale per cui l’introduzione di nuove innovazioni avviene ad un ritmo incessante: l’innovazione genera squilibrio, lo squilibrio il profitto (Ciappei, 2004). Oltre a Schumpeter dalla letteratura e dalla ricerca affiorano diversi pensieri e definizioni circa l’innovazione. L’OCSE e la Commissione Europea hanno definito l’innovazione, come: “l’implementazione di un prodotto o di un

3 Schumpeter 1934, riportato nel testo “Il governo imprenditoriale” a cura di Cristiano Ciappei, Firenze,

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processo, nuovo o considerevolmente migliorato, di un nuovo metodo di marketing, o di un nuovo metodo organizzativo con riferimento alle pratiche commerciali, al luogo di lavoro o alle relazioni esterne”4. Recentemente l’OCSE (2018) ha dichiarato che

“l’innovazione è un prodotto o processo nuovo o migliorato (o una loro combinazione) che differisce significativamente dai precedenti prodotti o processi dell'unità e che è stato reso disponibile per potenziali utenti (prodotto) o messo in uso dall'unità

(processo)”5. In generale emerge sempre un accento marcato al cambiamento, il quale

risulta di qualsiasi natura e impatta su diversi ambiti della realtà aziendale. Di base, dunque, per innovare si può partire anche da un qualcosa che già esiste, l’importante è come si va ad apportare il cambiamento, ossia: se ciò che esiste viene radicalmente mutato si parla in letteratura di innovazione radicale oppure se gli viene apportata una o più modifiche che ne migliorino le caratteristiche si parla di innovazione incrementale (Freeman e Perez, 1988). Questa distinzione delinea diversi gradi d’innovazione, i cui estremi sono quelli precedentemente indicati. Infatti, la sola separazione tra «innovazione radicale» e «innovazione incrementale», sembra essere piuttosto incompleta (Clark, 1987). Per colmare questa lacuna, la nuova proposta di Henderson e Clark evidenzia altri due tipi di innovazioni, con riferimento perlopiù ai prodotti: «innovazione architetturale» e «innovazione modulare». L’innovazione è definibile come modulare quando prevede cambiamenti di uno o più componenti senza modifiche sostanziali alla configurazione generale del sistema. L’altro tipo di innovazione è quello definibile come architetturale,con la quale si intende un cambiamento della struttura generale del sistema o del modo in cui i componenti interagiscono tra loro. Dunque, la sua essenza consiste nella riconfigurazione di un sistema che utilizza i componenti in modo completamente nuovo. L’introduzione di un’innovazione architetturale comporta un’ampia conoscenza dei meccanismi che governano le relazioni tra le varie componenti del prodotto (Henderson e Clark, 1990).

Passando poi ad analizzare l’innovazione sotto un’altra dimensione, circa l’effetto esercitato sulle competenze e conoscenze possedute dall’azienda, è possibile avere innovazioni di tipo «competence enhancing» e «competence destroying». Le

4 https://ec.europa.eu/info/index_it

5 Manuale Oslo (2018), “Guidelines for collecting, reporting and using data on innovation”, OECD e

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innovazioni di tipo enhancing rafforzano conoscenze già esistenti, ossia ciascuna innovazione incorpora e fa leva sul patrimonio di conoscenze e soluzioni preesistenti, mentre le innovazioni di tipo destroying riguardano specificamente cambiamenti che rendono inadeguate le conoscenze e le soluzioni precedenti (Schilling, 2017).Tuttavia, tra queste diverse dimensioni è evidente l’assenza di un «vincolo di linearità», in quanto è possibile avere un’innovazione di prodotto che sia al contempo architetturale e di tipo destroiyng6o magari un’innovazione radicale di processo (per citare due combinazioni

possibili). Ogni tipologia di innovazione ha, sull’impresa che la produce, un effetto diverso: quelle infatti che toccano il core concept di un’azienda, modificandolo, creano un più alto livello di incertezza e di pericolo di fallimento, soprattutto perché vanno a modificare ciò su cui si concentra tradizionalmente l’impresa stessa. Quelle invece che modificano una sola o più componenti, lasciando inalterato quello che è il campo in cui un’azienda opera, soprattutto grazie all’esperienza accumulata, creano meno incertezza e più sicurezza nell’implementazione.

La letteratura riconosce che l’innovazione aziendale derivi dalle cosiddette fonti interne all’azienda, come ricerca e sviluppo (R&S), creatività, spirito innovativo, ma allo stesso tempo è necessario che l’impresa si rivolga anche all’esterno, collaborando con enti di ricerca, istituzioni ed altri attori (Magli, 2017), al fine di implementare nuove soluzioni tecnologiche non realizzabili in autonomia con le proprie risorse interne7. L’innovazione

tecnologica nel contesto aziendale può, infatti, essere definita come: “l’attività deliberata delle imprese e delle istituzioni tesa a introdurre nuovi prodotti e nuovi servizi, nonché nuovi metodi per produrli, distribuirli e usarli. Condizione necessaria per l’innovazione è che essa venga accettata dagli utilizzatori, siano essi i clienti che acquistano il nuovo bene o servizio sul mercato, o i fruitori di un servizio pubblico”8. In

linea con questa definizione è possibile riscontrare, guardando al passato, che le

6 Un esempio in merito è individuabile osservando lo smartwach rispetto ad un orologio classico, il quale

richiede per essere realizzato conoscenze e competenze nuove

7 Ferrero in un’intervista sul giornale «La Stampa» ha dichiarato: “La nostra innovazione è aperta a 360

gradi, basata anche sull’integrazione di due modelli conosciuti come “Product to science” e “Science to product”. Ovvero, partire dal prodotto e sfruttare la scienza per evolverlo, sotto il profilo funzionale, nutrizionale o ambientale, oppure basarsi sulle nuove scoperte della scienza e della tecnologia per ispirare nuove idee di prodotti o nuove modalità di consumo”. Estratto da: La Stampa, “Il segreto dei prodotti di successo: tecnologia”, 2019.

8 Enciclopedia Treccani

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rivoluzioni industriali susseguitesi nel tempo sono state indotte proprio dal progresso tecnologico, capace di apportare innovazioni radicali e incrementali nel modo in cui le organizzazioni operano, nonché nell’offerta di prodotti e servizi, generando così sostanziali cambiamenti dello stile di vita e nel lavoro dell’uomo. Allo stesso modo oggi è in atto una nuova fase del progresso tecnologico, il quale impatta non solo sul comparto industriale ma su ogni settore dell’economia e contesto della società, tale da disegnare una nuova era definita «era digitale», nella quale le potenzialità delle nuove soluzioni digitali stanno cambiando il modo in cui le imprese operano e gli strumenti utili a soddisfare i nuovi bisogni di un mercato sempre più esigente.

La letteratura esistente, infatti, ha fornito prove di un’importante relazione in ambito aziendale tra innovazione tecnologica, R&S e innovazione in generale, evidenziando in particolare, come le tecnologie digitali hanno contribuito ad incrementare, in modo significativo, i flussi di R&S e di conoscenza (Zhu & Jeon, 2007) e ad un ampliamento delle capacità scientifiche e imprenditoriali, spingendo le frontiere dell'innovazione (Lee, 2009). Inoltre, anche da studi più recenti condotti da Ferreira et. al., (2019) e Agostini (2019) emerge che le aziende che adottano nuovi processi digitali presentano un numero significativamente più elevato di innovazioni in termini di prodotti e servizi9.

1.2 Focus sull’innovazione digitale

L’innovazione digitale è un tema trasversale largamente dibattuto che rappresenta una realtà ormai concreta e non solo una suggestione riflessa da un futuro lontano. L’interesse creatosi intorno a questo fenomeno è principalmente dovuto all’impatto che l’innovazione ha avuto, e molto probabilmente avrà, sulla società investendo ogni ambito della vita dell’individuo, compreso il contesto economico. L’innovazione digitale impatta su diverse organizzazioni come governi, agenzie del settore pubblico, organizzazioni coinvolte nell'affrontare le sfide della società come l'inquinamento

9 A titolo di esempio la società Syngenta Italy ha dichiarato che grazie all’uso della tecnologia digitale è

possibile reinventare le attività interne di R&S in modo da soddisfare le esigenze della società odierna (https://www.syngenta.it/)

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ambientale e, più in generale, su ogni aspetto della quotidianità. Nonostante la portata del fenomeno, non è facile individuare una definizione univoca di innovazione digitale, sostanzialmente per due motivi:

 l’intrinseca natura evolutiva  l’incredibile pervasività

Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano hanno cercato di darne una definizione: “L’Innovazione Digitale è un fattore essenziale per lo sviluppo del sistema Paese. Un percorso disseminato di rischi e opportunità crescenti per le imprese che vogliono competere nei comparti in cui operano o portare sul mercato beni e/o servizi in grado di generare una domanda completamente nuova. E per perseguire tali obiettivi, risultano fondamentali competenze digitali e cambiamenti nelle strategie e nell’organizzazione”. Un’altra definizione è quella che concepisce l’innovazione digitale come: “una vasta gamma di cambiamenti tecnologici, organizzativi, culturali, sociali, manageriali, creativi il cui fine è quello di migliorare l'applicazione della tecnologica digitale nella società umana”11.

Da queste prime battute è possibile cogliere i diversi aspetti del fenomeno, non limitandosi a definirlo come la semplice adozione di nuove soluzioni digitali, in quanto esso è foriero di cambiamenti in molteplici aspetti della società.

Con stretto riferimento al contesto aziendale, l’innovazione digitale spesso è indicata con l’espressione «trasformazione digitale» o «digitalizzazione» con la quale si intende “il profondo cambiamento delle attività e dei processi organizzativi, delle competenze e dei modelli di business, […] sfruttando in modo strategico le opportunità che il mix di tecnologie digitali e il loro impatto accelerato hanno apportato alla società […]”12.

Secondo Kharlamov & Parry (2020) la digitalizzazione in ambito aziendale è la transizione fondamentale intrapresa da un'organizzazione per svolgere le proprie attività commerciali e generare entrate attraverso l'utilizzo della tecnologia digitale, al fine di mantenere la competitività in un ambiente dinamico caratterizzato da cambiamenti

11 https://www.agendadigitale.eu/tag/innovazione-digitale/

12 Fracasso, G., “Digital transformation: cos'è la trasformazione digitale”, Digital Leaders, Ottobre 2018

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repentini. Come osservato anche dalle definizioni precedenti, per un’impresa fare innovazione digitale, in sostanza, non vuol dire semplicemente utilizzare le nuove tecnologie in quanto tali, ma partire da queste per ripensare e semplificare un processo produttivo e creativo, erogare nuovi beni e servizi e ridisegnare, in una logica di apertura al cambiamento i modelli che governano il business (Martinez et al, 2020; Osservatori Digital Innovation PoliMi, 2019). In linea con questo approccio è possibile sicuramente concepire la trasformazione digitale con quanto riportato dal prof. Francesco Venier (2017), cioè “il processo di allineamento di tecnologia digitale, competenze, processi organizzativi e modelli di business, finalizzato a creare nuovo valore per gli stakeholder e mantenere la sostenibilità dell’organizzazione in un ecosistema di business in costante cambiamento”13. È possibile intuire già da queste prime battute come le nuove

tecnologie digitali comportino necessari cambiamenti al fine della loro efficace

implementazione (Agostini et. al., 2019).Questi simultanei adeguamenti riguardano la

cultura organizzativa, il processo decisionale, le strategie, le risorse, il personale e la comunicazione (Agostini et al., 2015).

Inoltre, come anticipato , l’innovazione digitale è un fenomeno trasversale a differenti settori, in quanto nasce dal settore digitale e si riversa sull’intero sistema economico, impattando su imprese che per loro natura non sviluppano da sé nuove soluzioni digitali (Acs, Braunerhjelm, Audretsch e Carlson, 2009; Tether & Tajar, 2008). Negli ultimi dieci anni, le tecnologie digitali hanno radicalmente trasformato il modo di fare business (Gray et al., 2013), infatti molte aziende si sono trasformate digitalmente sia per ripensare l’interazione con i loro clienti (Filieri et al., 2018; Galati e Galati, 2019), sia per creare nuovi modelli operativi, in modo da trarre il massimo vantaggio competitivo differenziandosi dalla concorrenza (Franklin et al., 2013; Berman, 2012). Digitalizzare significa snellire i flussi di lavoro e automatizzare attività e procedure, siano esse legate alla produzione e alla distribuzione di prodotti e servizi, al marketing e vendite, al customer care o alla gestione documentale del materiale amministrativo. La digitalizzazione offre nuove opportunità di mercato per le aziende che cercano di sviluppare e lanciare innovazioni basate su nuove idee imprenditoriali (Heirman & Clarysse, 2007; Kuester et al., 2018).

13 Venier, F. (2017), “Trasformazione digitale e capacità organizzativa. Le aziende italiane e la sfida del

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Alcuni attori protagonisti nel supporto alla trasformazione digitale nel mondo del business come Accenture (2019), ritengono, addirittura, che la semplice adozione del digitale, fino a qualche anno fa considerata una scelta capace di garantire un vantaggio competitivo, oggi risulti un requisito base per restare sul mercato visto l’orientamento generale verso queste tecnologie, tanto da delineare l’imminente passaggio ad una nuova fase denominata dalla società Accenture «post-digitale»14. Ciò non vuol dire che

sia finita la potenzialità del digitale, anzi, oggi le aziende, con l’ausilio delle nuove soluzioni digitali cosiddette «abilitanti»15, hanno la possibilità di soddisfare aspettative

nuove rispetto al passato, offrendo servizi innovativi, iper-personalizzati e di rispondere alle richieste dei clienti in tempo reale (Accenture, 2019). A questo punto è doveroso esporre in modo sintetico alcune delle tecnologie digitali tipiche di questa nuova erache hanno trasformato il modo in cui le organizzazioni innovano e creano valore per il mercato (Yadav & Pavlou, 2014),sottolineando alcune applicazioni al settore turistico. Queste sono: intelligenza artificiale, blockchain16, realtà aumentata (RA), virtuale (RV) e

mista (RM), big data e analysis e cloud computing, alcune delle quali confluiscono in un set di tecnologie definito DARQ, destinate a rivoluzionare il futuro quando convergeranno verso la piena maturità (Accenture, 2019).

14 Secondo una ricerca condotta dalla società di consulenza Accenture oggi la tecnologia digitale è una

priorità strategica per ogni azienda. Nella ricerca Technology Vision 2019, che ha coinvolto oltre 6.600 manager di business e IT, il 94% degli intervistati ha affermato che negli ultimi tre anni il ritmo dell’innovazione tecnologica nelle proprie organizzazioni ha subito una accelerazione in alcuni casi anche significativa. Il riconoscimento collettivo delle tecnologie digitali come priorità di business potrebbe portare tutte le aziende a convergere nello stesso punto di svolta, in cui la tecnologia dell'era digitale, inizialmente un vantaggio distintivo, diventa qualcosa di scontato, uguale per tutte. Allo stesso tempo Accenture sottolinea che questo non vuol dire che il digitale sia finito, al contrario permetterà di compiere un ulteriore balzo in avanti. Alla domanda “poiché tutte le organizzazioni stanno sviluppando competenze digitali, cosa permetterà loro di distinguersi? " la ricerca risponde con cinque futuri trend: tecnologie DARQ, identificare l’unicità dei consumatori, trasformare l’ambiente di lavoro, garantire sicurezza e soddisfare le richieste in tempo reale

(https://www.accenture.com/it-it/insights/technology/technology-trends-2019).

15Secondo la definizione data dalla Commissione Europea le tecnologie abilitanti sono tecnologie “ad

alta intensità di conoscenza e associate a elevata attività di Ricerca & Sviluppo, a cicli di innovazione rapidi, a consistenti spese d’investimento e a posti di lavoro altamente qualificati”

(https://www.researchitaly.it/tecnologie-abilitanti/).

16 La blockchain si avvale di un insieme combinato di tecnologie sottostanti, le quali permettono la

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1.2.1 Nuove tecnologie a supporto delle attività aziendali

Il progresso tecnologico è stato foriero di nuove soluzioni digitali, in grado di migliorare il modo in cui le aziende operano e di rispondere in maniera sempre più puntuale ai bisogni dei clienti. A proposito oggi si sente frequentemente parlare di intelligenza artificiale, molto spesso associando questa tecnologia a robot futuristici tipici dei film di fantascienza ma, in realtà, è una soluzione che sta disegnando una nuova realtà tutt’oggi, foriera di opportunità soprattutto per il mondo aziendale viste le sue potenzialità e molteplici applicazioni. L'intelligenza artificiale (AI) è stata definita come lo strumento attraverso il quale far compiere ai computer attività che richiedono l’intelligenza dell’uomo (Copeland, 2000), anche se secondo alcuni è erroneo parlare di intelligenza vera e propria. In merito Luciano Floridi17 ritiene che invece di un

«matrimonio» si tratti di un «divorzio» tra capacità di agire, intesa come avere successo nello svolgere un certo compito e la necessità di essere intelligente quando si agisce, in quanto alle macchine è attribuibile la mera capacità di agire e non l’intelligenza tipica dell’uomo. Da un punto di vista scientifico “è un ramo dell’informatica che prevede la programmazione e la progettazione di sistemi sia hardware che software che permettono di dotare le macchine di caratteristiche considerate tipicamente umane”18.

La diffusione di questa tecnologia è ormai evidente oggi giorno, ma l’intelligenza artificiale non è un fenomeno recente a differenza di quanto si possa pensare, poiché l’uomo storicamente ha cercato di dotare le macchine di capacità tipiche dell’essere umano. Infatti, i primi studi in questo ambito sono stati condotti dal pioniere dell’informatica Alan Turing19 negli anni Quaranta, il quale ha sostenuto l’idea che le

macchine potessero imparare e risolvere problemi attraverso la ricerca di possibili soluzioni presenti nello spazio (Copeland, 2000). In seguito, uno dei successivi tentativi applicativi è stato quello di McCarthy et. al. (1956), i quali hanno proposto un progetto

17 Luciano Floridi è un filosofo italiano, professore ordinario di filosofia ed etica dell'informazione presso

l'Oxford Internet Institute dell'Università di Oxford, dove è direttore del Digital Ethics Lab.

18 Caminati, S. (2019). Digital Strategy per il turismo, Strumenti e strategie per accogliere il cliente su

web e social media, Hoepli, 2019

19 Alan Turing è stato un matematico, logico, crittografo e filosofo britannico, considerato uno dei padri

dell'informatica e dell’intelligenza artificiale e uno dei più grandi matematici del XX secolo. Questi è autore dell’omonimo Test di Turing, criterio per determinare se una macchina sia in grado di pensare come un essere umano. (Roberts, G., Beber, G., 2008). Parsing the Turing Test

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di ricerca sull’intelligenza artificiale presso il Dartmounth college, spinti dall’idea che ogni forma di apprendimento o qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza potessero essere scritte così precisamente da poter costruire una macchina che le simuli. Quanto riportato è un segno indelebile che questa tecnologia affonda le sue radici nel passato, anche se solo oggi si stanno comprendendo le reali potenzialità e la concreta applicazione nei diversi contesti della società.

Stando a quanto riportato da Copeland (2000) nel suo lavoro, l’AI può essere suddivisa in: «AI forte», «AI applicata» e «simulazione cognitiva». L’AI forte mira a costruire macchine la cui capacità intellettuale complessiva sia indistinguibile da quella di un essere umano, la quale ancora oggi presenta notevoli complessità20, l'AI applicata, nota

anche come elaborazione avanzata delle informazioni, mira a produrre sistemi "intelligenti” commercialmente validi21 e la simulazione cognitiva dove, invece, i

computer sono usati per testare teorie su come funziona la mente umana22. Oggi, anche

sulla scia di queste idee, l’AI sta rivoluzionando il modo in cui l’uomo interagisce con la macchina e le macchine tra di loro, fornendo ai device le capacità di calcolo e analisi dei dati, tali da permettere a questi ultimi la capacità di compiere ragionamenti complessi e analoghi a quelli di un essere umano.

I diversi sistemi di AI suddetti sono presenti in numerose attività che vengono svolte nel quotidiano, innovando in modo pervasivo molti ambiti della società. Basti pensare agli assistenti virtuali, i quali riescono a rispondere in modo preciso e tempestivo alle diverse richieste come farebbe un qualsiasi interlocutore umano, adattando, in alcuni casi, le proprie risposte alle abitudini degli utenti. In maniera analoga è riscontrabile l’uso di sistemi di machine learning nei cosiddetti chat-bot, cioè software capaci di dialogare con le persone circa una serie disparata di argomenti. Questi sono a tutti gli effetti l’evoluzione del punto di contatto tra azienda e cliente, pertanto risultano uno

20 Joseph Weizenbaum, del MIT AI Laboratory, ha descritto l'obiettivo finale dell'intelligenza artificiale

forte come "niente di meno che costruire una macchina sul modello dell'uomo, un robot che deve avere la sua infanzia, imparare la lingua come fa un bambino, acquisire la sua conoscenza del mondo

percependo il mondo attraverso i suoi stessi organi e infine contemplando l'intero dominio del pensiero umano " (Copeland, 2000).

21 Ad esempio, un sistema di sicurezza in grado di riconoscere i volti delle persone autorizzate ad entrare

in un determinato edificio (Copland,2000).

22 Nella simulazione cognitiva, i computer sono usati per testare teorie su come funziona la mente

umana, ad esempio, teorie su come riconosciamo volti e altri oggetti, o su come risolviamo problemi astratti (Copeland, 2000).

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strumento ideale per migliorare la customer relationship per tutte le aziende che lo adottano, anche appartenenti a settori molto diversi tra loro. Ancora, si pensi alla visual reserch che permette agli utenti di cercare prodotti simili utilizzando un’immagine sfruttando la tecnica tipica dell’AI detta image recognition27. Questa applicazione dell’AI,

come le precedenti, può risultare uno strumento di creazione di valore per il cliente, poiché facilita la navigazione e la ricerca di prodotti sul sito web di un’azienda partendo dalle immagini, in particolar modo per coloro che offrono servizi online come i rivenditori, i quali possono ottenere un aumento del numero di conversioni e un minor tasso di abbandono del carrello. Ancora, può essere utilizzata nelle fasi a valle di un processo di marketing innovativo, poiché l'elaborazione di informazioni in tempo reale durante il ciclo di vita dei prodotti forniscono un solido supporto al marketing e alle vendite (Agostini, 2019). Inoltre, in riferimento ai servizi, oggi è una soluzione adottata anche dai grandi colossi dell’intrattenimento, i quali sono in grado di intercettare le tendenze e i gusti degli utenti attraverso traiettorie emotive (Marco Del Vecchio et al., 2020). Sempre a titolo di esempio, restando nei servizi, si pensi ai braccialetti intelligenti «Con-me» adottati a Pompei anche per l’inclusione dei diversamente abili, una sorta di audioguida in siti storici e monumenti, con cui il visitatore è continuamente monitorato grazie a sensori dislocati lungo il percorso. Non mancano le prime applicazioni di robot umanoidi che liberano l’uomo da funzioni ripetitive svolgendo faccende routinarie che rappresentano circa il 50% del lavoro di accoglienza dei clienti negli hotel28. Si pensi al

tempo risparmiato dagli operatori di queste strutture ricettive, poiché gli ospiti utilizzano sempre più assistenti virtuali dotati di AI per la prenotazione dei viaggi, permettendo a questi operatori di dedicarsi ad attività a maggior valore aggiunto oppure alla personalizzazione in tempo reale di alcuni servizi grazie agli algoritmi predittivi, dalla cancellazione dei voli all'utilizzo di chatbot per migliorare la comunicazione con la cabina di bordo in un volo29. L’AI risulta un sistema ideale anche per l’innovazione nei

processi e nelle strutture, in quanto supporta l’interconnessione dei diversi elementi e

27 L’image recognition è una tecnica di data science che permette, grazie ad algoritmi, di riconoscere e

classificare immagini (https://www.reply.com/it/topics/artificial-intelligence-and-machine-learning/valutazione-del-danno-con-l-image-recognition).

28 la Repubblica, Maggiordomi-Robot, Negli USA è già tendenza, 2018

(https://www.repubblica.it/viaggi/2018/02/01/news/robot_assistenti_alberghi_stati_uniti-187717547).

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permette di compiere la manutenzione dei macchinari industriali o di diverse parti delle strutture alberghiere in maniera preventiva30. Da queste applicazioni concrete dell’AI

nell’organizzazione aziendale si evincono gli innumerevoli vantaggi perseguibili, ancor più grazie alla raccolta di grandi moli di dati, definiti big data, i quali risultano la materia prima per i sistemi AI, dai quali questi algoritmi sono in grado di estrarre informazioni vitali per il business. Secondo una ricerca condotta da Accenture si stima che i ricavi delle

imprese potrebbero crescere del 38% entro il 2022 a patto che investano

sull’Intelligenza Artificiale e su un’efficace cooperazione uomo-macchina almeno quanto le aziende leader di mercato31.

Un’altra soluzione molto articolata, di cui l’AI può esserne parte, è l’ Internet of Things (IoT), termine coniato da Kevin Ashton nel 1999, con il quale si intende l’insieme di oggetti fisici connessi ad internet e con cui è possibile interagire da remoto33. Questi

dispositivi sono in grado di interpretare e trasmette dati circa il loro funzionamento, garantendo l’ottimizzazione e la personalizzazione dei servizi. Oggi spinte da una maggiore consapevolezza il 58% delle imprese industriali ha intrapreso un progetto di industrial IoT, anche se risulta ancora limitato tra le PMI35. Integrare i diversi sistemi e le

diverse tecnologie presenti in azienda consentono di ottenere innovazioni radicali e incrementali sia in termini di prodotto-servizio che di processo. Grazie all’IoT è stato possibile dar vita al paradigma «industria 4.0», che ha spinto verso la quarta rivoluzione industriale tutt’oggi in atto, con la quale si intende una realtà aziendale non solo costituita al proprio interno da una forte interazione tra nuove tecnologie e le risorse umane37 dell’organizzazione, ma dotate anche di una forte connessione con tutti gli

30 A tal proposito si parla di predictive maitenance, cioè una manutenzione prima che si verifichino

eventuali guasti, in quanto grazie ad un’analisi dei parametri l’algoritmo riesce ad attribuire una certa probabilità alla manifestazione del guasto. L’azienda Greenbyte ha combinato modelli statistici, reti neurali artificiali e machin learning per identificare i guasti delle turbine eoliche prima che si verifichino. Il Sistema permette ai proprietari di parchi eolici di evitare tempi di fermo riducendo i costi imprevisti del 23% con una precisione del 94% con un anticipo nel rilevamento del guasto dai 2 ai 9 mesi (https://www.greenbyte.com/marketplace)

31

https://www.industriaitaliana.it/accenture-far-crescere-il-fatturato-fino-al-38-con-l-intelligenza-artificiale/

33 Kevin Ashton è un ricercatore del Massachusetts Institute of Tecnology.

35 Osservatori digital innovation della school of Managemnt del Politecnico di Milano (2019)

https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/comunicati-stampa/Internet-of-things-italia-mercato

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attori della filiera, snellendo e coordinando tutti i processi38. L’IoT sta modificando il

volto non solo nel settore secondario, ma anche del settore primario (applicazioni agricole intelligenti) e del terziario (turismo, trasporti, commercio, settore bancario). Queste tecnologie digitali si avvalgono di grandi masse di dati che, con l’avvento di Internet, è stato possibile reperire. Raccogliere grandi quantità di dati è stato impensabile in passato (Geoffrion e Krishnan, 2003),invece oggi il 98% dei dati è in formato digitale ed è stato stimato che la quantità di dati raddoppierà ogni tre anni (Accenture, 2019). Guardando il grafico (Figura 1) emerge che tutta la massa di dati digitali generati nel mondo è concentrata negli ultimi quindici anni e continueranno a crescere ad un ritmo incessante, a sottolineare la grande quantità disponibile che può essere raccolta dai diversi operatori quotidianamente. Ora, le organizzazioni di una vasta gamma di settori stanno ridisegnando i processi e persino interi modelli di business per trasformare i big data e le sue applicazioni in vantaggi strategici (Leischnig et al., 2016). Allo stesso modo, Rindfleisch et al. (2017) hanno mostrato come dalla raccolta e dall'analisi dei dati le imprese hanno la possibilità di estrapolare informazioni utili, grazie alle quali esse sono in grado di apportare innovazioni di prodotto o servizio.

38 La prima volta che si è parlato di Industria 4.0 è stato alla fiera di Hannover in Germania nel 2011, la

quale ha aperto la strada alla nascita del primo vero piano di implementazione di Industria 4.0, il programma «Industry 4.0», con l’intento di promuovere alcune politiche di lungo termine per la digitalizzazione del settore manifatturiero.

Source: www.statista.com

Figura 1 – Volume di dati/informazioni crete nel mondo dal 2010 a 2025 (in zettabytes)

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17

Oggi, infatti, si sente spesso parlare di big data, i quali possono essere definiti come una raccolta di dati talmente ampia da richiedere metodi analitici personalizzati per poterli analizzare e catalogare. Questa enorme massa di dati proviene dalle fonti più disparate, come: siti web, social network, sistemi GPS, device IOT, RFID, assistenti vocali etc. Pertanto, stando alle fonti dalle quali provengono, è facile intuire che i big data sono costituiti da qualsiasi tipologia di dati come: foto, messaggi e-mail, messaggi e click sui social network, videoclip a tanto altro. In sostanza si tratta di una massa di dati molto eterogenea che ogni giorno viene prodotta con una velocità disarmante.

Secondo La rivista The Economist (2017) i dati sono il petrolio dell’era digitale poiché sono alla base del successo di grandi colossi del business41. Questo aspetto rende

evidente l’importanza di raccogliere dati per gli ambiti più disparati, in particolare per il mondo del business, il quale può generare enorme valore in un’era sempre più digitale. Come sottolineato già in precedenza ogni organizzazione ha ormai accesso a una mole

41 The Economist (2017). “The world’s most valuable resource is no longer oil, but data”,

https://www.economist.com/leaders/2017/05/06/the-worlds-most-valuable-resource-is-no-longer-oil-but-data

Source: Forbes (2019)

https://www.domo.com/learn/data-never-sleeps-7

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di dati qualche tempo fa inimmaginabile, ma la semplice raccolta o il solo accesso ai dati, senza la corretta analisi, non produce alcun risultato e rimane solo un cumulo enorme di dati grezzi incapaci di fornire informazioni utili al business o all’ambito in cui si opera. Secondo Cukier è fondamentale costituire una sinergia tra diverse tecnologie, in particolare, tra AI e big data, al fine di trasformare i dati in informazioni utili a orientare l’organizzazione verso decisioni più oggettive e in modo molto più rapido. In sostanza i big data sono la materia prima che deve essere accuratamente selezionata, mentre l’AI è lo strumento per gestirli e utilizzarli. Il connubio Intelligenza Artificiale-Big Data permette una molteplicità di attività: compiere analisi accurate sulla clientela attraverso la profilazione e consentire al marketing di porre in essere azioni mirate e anticipare i bisogni dei clienti con conseguente possibilità di incrementare la custmer satisfaction o individuare in anticipo la nascita di possibili trend di mercato per guidare l’azienda nelle scelte strategiche anticipando i competitors. Inoltre, questa relazione tra big data e AI, permette l’ottimizzazione dei processi e dei servizi, incrementandone l’efficienza e la tempestività di adeguamento.

Non da meno sono i vantaggi derivanti dall’applicazione della Realtà Virtuale all’ambito aziendale, in quanto risulta allo stesso modo una soluzione capace di agevolare e semplificare alcune attività. Sono molti i casi di applicazione nel settore dei servizi, in particolare nel settore turistico e dell’intrattenimento46, a dimostrazione che questa

soluzione è in grado di migliorare la relazione con i clienti, offrendo servizi sempre più in grado di avvicinarsi alle loro aspettative. Infatti, grazie a tour virtuali e mappe interattive, l’utente può immergersi e sperimentare, vivendo appieno esperienze «lontane dalla realtà e dal presente». Tra le diverse applicazioni in ambito turistico risulta particolarmente interessante l’utilizzo di questa tecnologia nei luoghi ereditati dalla storia, come i bagni romani di Bath in Inghilterra, per viaggiare indietro nel tempo e rivivere il luogo al suo tempo (BBC, 2019). Dall’indagine della BBC risulta che l’80% dei

46 Alcune applicazioni della RV a questo scopo sono state perseguite dalla compagnia aerea Lufthansa

che svolge training per i propri piloti grazie a questa tecnologia

(

https://newsroom.lufthansagroup.com/english/innovation-and-technology/digital-training/s/b9f69792-b3a3-40ba-88f6-ea162d904d51). In merito al settore turistico un’iniziativa

interessante è Trentino Virtual Reality, progetto che promuove il turismo del territorio e la cultura locale del Trentino-Alto Adige (https://www.trentinovr.com/), mentre all’intrattenimento il caso Mirabilandia (https://www.samsung.com/it/business/insights/news/vr-conquista-mirabilandia/)

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turisti visiterebbe molto più volentieri un museo se offrisse esperienze di questo tipo47.

Un’altra applicazione interessante nel settore dei viaggi è la possibilità di evitare i noiosi controlli delle dimensioni del bagaglio a mano all’imbarco sull’aereo, in quanto basta aprire l'app della compagnia e inquadrarlo con la fotocamera per acquisirne le dimensioni48.

1.3 Diversi modelli di innovazione aziendale nella letteratura: un excursus storico Nel corso del tempo sono susseguiti diversi modelli circa il tema dell’innovazione aziendale fino a raggiungere il paradigma definito open innovation (Chesbrough, 2003) fondamentale per accogliere al meglio l’innovazione digitale da parte delle imprese, al quale viene dedicato un approfondimento ad hoc. Questi modelli sono strumenti teorici che permettono di illustrare in maniera semplicistica i processi che danno vita all’innovazione aziendale, delineandone i fattori causali, anche se, bisogna riconoscere che l'innovazione è complessa e incerta, in qualche modo disordinata e soggetta cambiamenti di vario genere52. Infatti, negli anni sono stati molti i tentativi di imporre

una sorta di ordine concettuale circa il processo dell’innovazione, con lo scopo di comprenderlo meglio e di fornire una base più sicura per la formulazione delle scelte aziendali. Purtroppo, tali tentativi, da parte di studiosi e della comunità scientifica, di tradurre l’innovazione in un processo regolare, spesso mal si sono conciliate con la realtà

(Kline e Rosemberg, 1986).A questo punto non resta che compiere un excursus storico

generale circa i diversi modelli. Nel primo modello formulato dalla letteratura si evidenzia che l’imprenditore finanzia la ricerca, la ricerca porta quindi allo sviluppo, dallo sviluppo alla produzione e dalla produzione al marketing, come se queste fasi fossero implicitamente visualizzate come scorrevoli e senza intoppi lungo una strada a senso unico. Per queste ragioni viene denominato modello «lineare» o «Tecnology Push».

47 https://www.bbc.co.uk/rd/blog/2019-02-5g-mobile-augmented-reality-bath 48 IlSole24Ore, Ansia da bagaglio a mano? Ci pensa la relatà aumentata, 2019 52 Kline, S.J. e Rosenberg, N. (1986), “An Overview of Innovation”, pp 275-305

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In figura si evidenzia che il fattore scatenante e catalizzatore del processo che porta ad un’innovazione è sicuramente la ricerca e la conoscenza tecnologica. Questo modello nasce sotto l’influenza, in primis, dalla fiducia nel progresso della scienza tipico degli anni Cinquanta, ma allo stesso tempo è influenzato, come già ricordato, anche dal preponderante pensiero di Schumpeter, il quale mette in risalto nella “Teoria dello sviluppo economico” (1934) il ruolo dell’imprenditore come figura protagonista ed essenziale delle azioni economiche, in quanto è quest’ultimo a compiere l’investimento nella ricerca. Egli sosteneva: “le attività innovative non avvengano in modo tale che prima sorgono spontaneamente nei consumatori nuovi bisogni e poi, sotto la loro pressione, l’apparato produttivo riceve un nuovo orientamento […]. È invece il produttore che dà vita al cambiamento economico e i consumatori sono da lui educati”53

(Schumpeter, 1934). Sicuramente, il primo modello sopra proposto è troppo semplificato e distante dalla realtà, infatti è possibile notare come non sia presente alcuna interazione delle singole aree con l’ampia complessità del mercato e, inoltre, come evidenziato successivamente da Kline e Rosenberg, non ci sono feed-back o flussi di informazioni che vengono trasferiti da un comparto all’altro, i quali sono elementi fondamentali, in quanto l'innovazione per essere efficace richiede un feedback rapido e accurato con successivo adeguamento delle azioni nei nuovi processi. Un primo cambiamento teorico si ha gli anni Sessantasotto l’influenza del pensiero di Schmookler, in quanto questi ha asserito che è la domanda la forza che governa il processo innovativo (Schmookler, 1966), portando ad una ridefinizione del percorso esplicitato nel precedente modello. Protagonista diventa, infatti, il cliente o meglio la domanda

53 Schumpeter, J. A. (1934), “Teoria dello sviluppo economico”, Sansoni Editore, Firenze 1977,

Traduzione della sesta edizione tedesca

Source: Elaborazione personale sulla base di kline e Rosemberg (1986)

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proveniente dal mercato, quindi il punto di partenza diventa quello che era la fine del processo nel modello lineare, ossia il mercato. Infatti, si ritiene che i consumatori esprimano le loro preferenze in merito ai prodotti o ai servizi attraverso le diverse modalità di domanda e i produttori, attraverso le modifiche nella variazione della struttura della domanda e dei prezzi, percepiscono queste preferenze e cercano di soddisfarle attraverso le innovazioni tecnologiche (Adamoli 2005). Questa idea diventa precorritrice del modello denominato «demand pull» (Schmookler, 1966), perché più frequenti sono gli incontri tra capacità inventive e problemi che necessitano di trovare soluzione, più l’attività di innovazione è propensa ed indirizzata ad incontrare la domanda. Dopo alcuni anni di validità di questo modello, emerge il limite di non poter considerare congiuntamente la tecnologia e la ricerca scientifica con la domanda di mercato, anche se risultano profondamente correlate tra di loro. Nasce così il modello combinato, che mette insieme le basi di entrambi i modelli, precedentemente descritti, «technology push» e «demand pull». Quello che ancora si nota in questo modello combinato, però, è sicuramente l’assenza di interazioni e feed-back tra un comparto e l’altro, pertanto, anche se è possibile evidenziare la presenza di alcuni feed-back, essi sono molto limitati, tanto da farlo rimanere un modello prettamente sequenziale come i precedenti. Il limite in questione, appena illustrato, viene ovviato dal successivo modello proposto da S.J. Kline e N. Rosemberg (1986), e denominato «chain linked model», dove gli elementi che lo compongono, e che risultano essere del tutto simili a quelli visti finora, possono essere schematicamente rappresentati dalla figura (4) presentata a seguire.

Ciò che risalta maggiormente è sicuramente l’aggiunta, fondamentale, dell’aspetto

knowledge55, ossia del sapere e della conoscenza, come elemento separato dalla mera

tecnologia, in quanto è ritenuto errato dagli autori definire l’innovazione come semplice applicazione della scienza57.

55 Si fa riferimento al sapere e all’istruzione degli individui stessi che lavorano e partecipano attivamente

all’interno dell’impresa.

57 Nel documento “An Overview of Innovation” Kline e Rosenberg asseriscono, utilizzando un esempio

pratico, che non sarebbe stata inventata la bicicletta se l’innovazione fosse esclusivamente frutto del primo passo fatto dalla scienza.

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22

In merito al design del modello, si può osservare che la struttura sequenziale viene adottata al solo scopo di rendere più chiaro quali sono gli elementi, o meglio le aree che vengono coinvolte nel processo di innovazione. Il processo, infatti, non si articola in un unico processo lineare, ma in cinque diversi processi concatenati tra loro come definito da Kline (1985). Il primo è quello “central-chain-of-innovation” e viene indicato dalla freccia “C”. É il percorso, definibile standard, visto anche nei modelli precedenti, per cui il processo presuppone il passaggio da un’area all’altra. Da notare che, contemporaneamente, si verifica un altro passaggio attraverso una serie di feed-back, identificati dalle frecce “f”, i quali interagiscono con i diversi step ed operano da connessione tra i bisogni percepiti e gli utenti del mercato apportando miglioramenti nel prossimo round di progettazione. In questo senso, il feedback fa parte della cooperazione tra le specifiche del prodotto, sviluppo del prodotto, processi di produzione, marketing e componenti di servizio di una linea di prodotti. Il terzo percorso è quello evidenziato dalla freccia “D” e dai feed-back denominati “K-R” evidenziando che la connessione tra scienza ed innovazione non c’è solamente e in modo preponderante

Figura 4 – Elementi del chain linked model per la relazione tra ricerca, invenzione, innovazione e produzione

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23

all’inizio del processo, ma si estende a tutte le fasi e la ricerca in senso stretto sarà avviata solo quando la conoscenza immagazzinata nelle diverse fasi non riesce a fornire risposta. Infine, gli ultimi due percorsi sono rappresentati dalle lettere “I” ed “S”, le quali indicano le funzioni di generico supporto alla ricerca derivanti dalle fasi interne tipiche del processo di produzione aziendale. Tutti i modelli fino ad ora presentati, evidenziano come ci sia un’attenzione quasi morbosa verso quello che è il processo produttivo interno all’azienda e verso un’innovazione che guarda solamente alla soddisfazione della domanda attraverso un prodotto. In realtà, anche sulla base di quanto esposto in precedenza, si può cogliere un altro aspetto importante dell’innovazione, ovvero il fatto che essa possa riguardare ambiti diversi, dando spazio ad un’innovazione trasversale che impatta su ogni aspetto, processo e attività dell’impresa.

Negli anni Novanta anche il modello «chain linked model» comincia a rendere visibili alcune lacune. È possibile notare, infatti, la persistente mancanza di qualsiasi riferimento a ciò che va oltre i confini aziendali. Da qui prende piede il modello denominato «network model» che prova a spiegare la complessità di questo processo considerando l’influenza dell’ambiente esterno e la relazione con lo stesso (Trott, 2005). Il modello viene formulato e proposto da Paul Trott (2005). Trott enfatizza l’importanza basilare delle interazioni, sia di tipo formale che informale, al fine di innescare e produrre un’innovazione. Innanzitutto, si pongono in evidenza le interazioni che avvengono tra le componenti dell’impresa, le quali creano molteplici opportunità affinché pensieri, punti di vista e idee possano essere condivise e confrontate. Tuttavia, Trotter concorda sul fatto che spesso non si riesca nemmeno a spiegare cosa generi innovazione, in quanto l’organizzazione è pervasa di conoscenze tacite. Da qui prende forma quella che comunemente viene chiamata in economia «tacit knowledge» (Trott, 2005). Egli ha evidenziato come la creazione di nuova conoscenza all’interno di un’organizzazione dipenda dalla capacità di intercettare le intuizioni tacite, soprattutto le impressioni e le idee dei singoli dipendenti al fine di utilizzarle per il bene dell’organizzazione nel suo complesso, seguendo il pensiero diNonaka (1994). Inoltre, Trott (2005) non si limita ad evidenziare le interazioni all’interno dell’impresa di tipo tacito o know-how, ma pone l’accento anche sugli input esterni, evidenziando come sia rilevante avere contatti con entità operanti nell’ambiente circostante attraverso partnership esterne, al fine di attingere a nuove fonti di conoscenza da sfruttare poi al proprio interno per attuare

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24

processi innovativi. Questo modello ha sicuramente fatto un grande passo in avanti rispetto ai precedenti, che concepivano l’impresa come un sistema chiuso, senza interazioni e comunicazioni con l’esterno, però resta un’impronta di chiusura, nel senso che l’innovazione viene concepita internamente ai confini organizzativi e soprattutto come qualcosa da custodire in segreto, per poi essere successivamente protetta da proprietà intellettuali, tanto che la letteratura l’ha definita «closed network of innovation» (Chesbrough, 2003). Negli ultimi anni questa chiusura è stata superata dal modello open innovation, il quale viene definito come “old wine in new bottles”58,

proprio perché ricalca i concetti di base delineati nel network model, ma con l’aggiunta di una maggiore apertura intesa come condivisione dell’innovazione tra i diversi partner e non come mezzo per trarre profitto esclusivamente da parte di una singola impresa.

1.3.1 Open innovation: un modello per l’innovazione digitale

Verso la fine del XX secolo, tuttavia, una serie di fattori hanno eroso le basi teoriche dei dell'innovazione, ponendo in discussione modelli ormai arcaici. Tra questi fattori spicca

il drammatico aumento del numero e della mobilità dei knowledge worker59, rendendo

sempre più difficile per le aziende controllare le proprie idee e competenze proprietarie. Un altro fattore importante è stato la crescente disponibilità di capitale di rischio privato, che ha contribuito a finanziare nuove imprese e a commercializzare idee che si sono riversate al di fuori dei «silos» della ricerca aziendale (H.W. Chesbrough, 2003)60.

Concentrando l’attenzione sulla innovazione digitale, oggi in un contesto sempre più dinamico è fondamentale per le imprese sposare un nuovo paradigma che superi gli

58 Trott, P. e Hartmann, D. (2009)

59 Termine coniato da Peter Druker per indicare l'emergere di una nuova classe di lavoratori sempre più

numerosa che utilizza le proprie conoscenze tecniche e specialistiche come competenza individuale, in stridente contrasto con il periodo fordista in cui i lavoratori utilizzavano in netta prevalenza le proprie capacità fisiche (https://www.benecomune.net/rivista/rubriche/parole/lavoratori-della-conoscenza-knowledge-workers/).

60 Tali fattori hanno devastato il circolo virtuoso che ha sostenuto l'innovazione chiusa. Ora, quando si

verificano innovazioni, gli scienziati e gli ingegneri che li hanno creati hanno un'opzione esterna che in precedenza mancava. Se un'azienda che ha finanziato una scoperta non la persegue in modo

tempestivo, le persone coinvolte potrebbero perseguirla da sole con una nuova startup, estranea all’azienda, finanziata da capitale di rischio (H.W. Chesbrough, 2003).

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25

obsoleti modelli basati su una scarsa condivisione di conoscenza. Infatti, questo nuovo paradigma, chiamato «open innovation», rispetto agli altri, ha delineato un’apertura all’esterno da parte delle imprese, al fine di condividere i processi di innovazione con altri attori, in modo che tutti potessero trarne beneficio. Questo termine è stato teorizzato per la prima volta nel 2003 dall'economista statunitense Henry Chesbrough, nel suo saggio "The era of Open Innovation", secondo il quale l’open innovation è “un paradigma che spiega come le imprese possono e debbano fare ricorso a idee esterne, così come a quelle interne ed accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche”61. In altre parole, oggi le

imprese devono affidarsi ad un modello di innovazione che non tenga conto solo delle idee e delle risorse interne, migliorate investendo esclusivamente sul proprio know-how, ma anche di strumenti e competenze provenienti dall’esterno. Allo stesso tempo le imprese non devono più solo ragionare in termini di sfruttamento interno delle idee, ma devono tenere in considerazione anche percorsi verso il mercato esterno ai propri confini o alternativi al proprio modello di business62. In sostanza, il confine tra

un'azienda e il suo ambiente circostante diviene più poroso, consentendo all'innovazione di muoversi facilmente tra i due63 (H.W. Chesbrough, 2003) come

riportato nella figura 5 di seguito.

61 Chesbrough, H.W., “The era of Open Innovation” (2003).

62 Riportando un esempio dall’opera di H.W. Chesbrough, “The era of Open Innovation”: una società non

dovrebbe più bloccare il proprio IP, ma dovrebbe invece trovare il modo di trarre profitto dall'uso altrui di tale tecnologia attraverso accordi di licenza, iniziative personali e altri accordi (v. anche l'articolo di David Kline, "Condividere i gioielli della corona aziendale", p. 89).

63 Una differenza sostanziale tra innovatori chiusi e aperti sta nel modo in cui le aziende selezionano le

loro idee. In qualsiasi processo di ricerca e sviluppo, i ricercatori e i loro manager devono separare le cattive proposte da quelle buone in modo da poter scartare la prima mentre perseguono e

commercializzano la seconda. Sia i modelli chiusi che quelli aperti sono abili nell'eliminare i "falsi positivi" - cioè cattive idee che inizialmente sembrano promettenti), ma l'innovazione aperta incorpora anche la capacità di salvare i "falsi negativi" (progetti che inizialmente sembrano mancare di promessa ma risultano essere sorprendentemente preziosi) (H.W. Chesbrough, 2003).

(30)

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Vi è un vero e proprio cambiamento nell’approccio e nei principi dell’organizzazione aziendale, sintetizzabile nella tabella sottostante:

CLOSED INNOVATION PRINCIPLES OPEN INNOVATION PRINCIPLESS Le persone intelligenti nel nostro campo

lavorano per noi Non tutte le persone intelligenti lavorano per noi, quindi dobbiamo trovare e attingere alla conoscenza e alla competenza di persone brillanti al di fuori della nostra azienda

Per trarre profitto dalla ricerca e sviluppo, dobbiamo scoprirlo, svilupparlo e spedirlo da soli

La R&S esterna può creare un valore significativo; la ricerca e sviluppo interna è necessaria per rivendicare una parte di tale valore.

Se lo scopriamo da soli, lo introdurremo

prima sul mercato Non dobbiamo originare la ricerca per trarne profitto Se siamo i primi a commercializzare

un'innovazione, vinceremo Costruire un modello di business migliore è meglio che arrivare sul mercato prima Se creiamo le idee migliori e migliori nel

settore, vinceremo Se utilizzeremo al meglio le idee interne ed esterne, vinceremo Dovremmo controllare la nostra proprietà

intellettuale (IP) in modo che i nostri concorrenti non traggano profitto dalle nostre idee

Dovremmo trarre profitto dall'uso del nostro IP da parte degli altri e dovremmo acquistare l'IP degli altri ogni volta che avanza il nostro modello di business Source: articolo “The era of Open Innovation”

Figura 5 – Passaggio da Closed Innovation Model a Open Innovation Model

Source: elaborazione propria da studio “The era of Open Innovation”

(31)

27

Emergono da questo modello, quindi, due processi fondamentali che vengono a supporto delle imprese, a maggior ragione, in un’epoca segnata dall’avvento delle «tecnologie disruptive»64:

 Inside-out: si intende il processo secondo cui si trasformano le innovazioni generate internamente in opportunità di business esterne65. In questo modo è

possibile trasformare l’innovazione interna, magari non connessa al proprio modello di business, in fonte di diversificazione e creazione di nuove fonti di reddito, contrastando la riduzione dei ricavi legata alla riduzione dei cicli di vita dei prodotti sempre più evidente66.

 Outside-in: permette lo sfruttamento dell’innovazione generata esternamente, non solo proveniente da fornitori tradizionali ma soprattutto da nuove fonti alternative67.Le azioni di Outside-in permettono di agire sul conto economico,

riducendo i costi, e sui tempi dell’innovazione. È possibile infatti spostare su fonti esterne i costi di sviluppo, o almeno condividerli, contare su combinazioni di conoscenze e modelli organizzativi più lean e veloci, con la possibilità di sfruttare e valorizzare al meglio le migliori innovazioni che il mercato offre, implementandole all'interno del proprio modello di business.

In sostanza l’adozione di questo paradigma può portare importanti vantaggi come: riduzione dei rischi nei progetti di innovazione per l’adozione di soluzioni già avanzate, riduzione dei costi di Ricerca & Sviluppo per il ricorso a soluzioni già sviluppate, adozione di nuovi trend tecnologici per una migliore interazione con l’ecosistema degli innovatori, identificazione di nuove opportunità di business per una visione più aperta (A. Luksch,

64 Il concetto di “disruptive technology” e poi di “disruptive innovation” è stato introdotto per la prima

volta da un articolo di Christensen et al., pubblicato su Harvard Business Review, nel 1995. Qualcosa è “disruptive” quando modifica velocemente (in tempi ridotti) e radicalmente (con un grande impatto) un mercato o le modalità con cui operare in un mercato, quando le aziende dominanti, che non colgono la minaccia, soccombono o quando intere aree di business scompaiono (F. Bocci, 2017).

65 Ad esempio: Licensing, Spin-off, Vendita di brevetti, Joint Venture commerciali.

66Shark think effect evidenziato da Andrea Pagliai et al., “Aggiungere tecnologia al business per ottenere

l’effetto moltiplicatore”, Accenture Strategy (2014), Looking Forward, La trasformazione digitale, Harvard Business Review Italia, vol. VIII.

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