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Prove sperimentali di sostituzione parziale e totale dell’artemia nell’alimentazione di Dicentrarchus labrax e Sparus aurata durante l’allevamento larvale: effetti su crescita, sopravvivenza e qualità degli avannotti.

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Academic year: 2021

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1 INDICE

CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO 2 - CARATTERISTICHE TASSONOMICHE E BIOLOGICHE DELLE SPECIE INTERESSATE ... 6

2.1 - ORATA (Sparus aurata) ... 6

2.2 - SPIGOLA (Dicentrarchus labrax) ... 7

2.2 - ARTEMIA (Artemia salina) ... 8

2.4 - ROTIFERI (Brachionus plicatilis) ... 11

CAPITOLO 3 - PRINCIPI DI NUTRIZIONE NEI PESCI ... 14

3.1 - GENERALITÀ SULL’ANATOMIA DELL’APPARATO DIGERENTE DEI PESCI ... 14

3.2 - BIOENERGETICA DELLA NUTRIZIONE DEI PESCI ... 15

3.3 - FABBISOGNO PROTEICO ... 19

3.4 - RUOLO DEI LIPIDI NEL RAZIONAMENTO DEI PESCI ... 22

3.5 - FORMULAZIONE DELLE DIETE ... 23

3.6 - LIVELLO DI INGESTIONE ... 26

3.7 - IMPORTANZA DEL MICROBIOTA INTESTINALE NEL RAZIONAMENTO ... 28

3.8 - RUOLO DEL LIVE FOOD, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL’ARTEMIA .. 30

CAPITOLO 4 - CARATTERISTICHE DELL’ALLEVAMENTO DELLE SPECIE D’INTERESSE ... 33

4.1 - CARATTERISTICHE DELL’ALLEVAMENTO DI S. aurata E D. labrax ... 33

4.1.1 - Impianti estensivi ... 33

4.1.2 - Impianti semi-intensivi ... 36

4.1.3 - Impianti intensivi ... 37

4.1.4 - Situazione del mercato di D. labrax e S. aurata ... 48

4.2 - PRODUZIONE DI ARTEMIA ... 49

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CAPITOLO 5 - DESCRIZIONE DEL PROGRAMMA SPERIMENTALE ... 54

5.1 - OBIETTIVO ... 54

5.2 - MATERIALI E METODI ... 54

5.2.1 - Analisi statistica ... 63

CAPITOLO 6 - RISULTATI SPERIMENTALI ... 64

6.1 - RISULTATI SOMMINISTRAZIONE ALIMENTI ... 64

6.2 - CRESCITA DEGLI AVANNOTTI: LUNGHEZZA ... 72

6.3 - ACCRESCIMENTO AVANNOTTI: PESO MEDIO ... 80

6.4 - TASSO DI SOPRAVVIVENZA ... 86

6.5 - BIOMASSA E NUMERO TOTALE DI PESCI ... 89

6.6 - CONTROLLO QUALITÀ... 94

CAPITOLO 7 - CONCLUSIONI ... 96

RINGRAZIAMENTI ... 100

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3 CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE

L’allevamento intensivo di spigola e orata, come quello degli altri pesci utilizzati per l’alimentazione umana, nasce per rispondere ad esigenze di mercato che hanno subito un incremento esponenziale della domanda a seguito del generale miglioramento delle condizioni economiche, (con effetti positivi che, si stanno estendendo anche ai paesi in via di sviluppo), che trova conferma nella prospettiva di una espansione di crescita demografica costante. Tale incremento dei consumi ottiene un riscontro sempre meno soddisfacente nell’attività della pesca, in cui ormai è conclamato scientificamente il livello di overfishing e di danneggiamento degli ecosistemi acquatici.

A tal riguardo, ogni anno il WWF definisce il “Fish Dependence Day”, ossia il giorno a partire dal quale, se nel paese o continente osservato, si mangiasse solo il pesce pescato proveniente dalle acque nazionali, terminerebbe l’autoapprovvigionamento e sarebbe necessario consumare pesce allevato o importato. Per il 2019 tale giorno è stato il 9 luglio per l’Europa e addirittura il 6 aprile per l’Italia, dove la domanda è quindi praticamente tre volte superiore rispetto alla quantità supportata dalle nostre risorse naturali. Gli italiani sono tra i maggiori consumatori in Europa, con un consumo pro-capite di 29 kg di pesce all’anno.

Da un punto di vista di sostenibilità ambientale, mentre da una parte l’intensificazione dell’acquacoltura contribuisce a ridurre lo sfruttamento del patrimonio ittico naturale, dall’altro è un’ attività che comporta consumi energetici, produzione di reflui che è necessario depurare, erosione genetica degli animali selvatici (nel momento in cui questi si accoppiano con esemplari fuggiti dagli allevamenti) e soprattutto la necessità di produrre mangimi, i quali impiegano, anche se in modo sempre minore, grazie all’utilizzo in sostituzione parziale di proteine e grassi di origine vegetale, la farina di pesce ottenuta principalmente dal pescato. A questo si aggiunga la percezione dell’immagine del prodotto allevato in modo intensivo, non sempre competitiva in confronto al pesce proveniente da allevamento estensivo o dalla pesca naturale. Non si può tuttavia prescindere, date le prospettive future, dalla produzione intensiva di pesce allevato, e la direzione da intraprendere è quella di una maggiore sensibilizzazione dei consumatori e soprattutto degli allevatori, in modo che si prenda coscienza delle problematiche e vengano messe in atto delle “buone pratiche” necessarie alla risoluzione. I centri di ricerca e le aziende, tra cui la INVE Aquaculture, presso cui ho svolto la parte sperimentale della mia tesi, nello stabilimento di Maricoltura di Rosignano Solvay, stanno sperimentando tecniche di

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allevamento e tecnologie improntate all’ecosostenibilità e, contestualmente, i progressi ottenuti si affiancano all’attività di certificazione e diffusione dell’informazione, con funzione di riconoscimento se non di promozione, praticata da diversi enti, come l’ASC (Aquaculture Stewardship Council).

Il settore di innovazione cui ho contribuito nella prova sperimentale oggetto di tesi di laurea, è la sostituzione del live food nell’alimentazione delle prime settimane di vita di spigola e orata, in particolare del crostaceo Artemia salina L. 1758. L’utilizzo di questi organismi, per quanto efficiente dal punto di vista nutrizionale, tanto da essere fondamentale nella produzione di avannotti, ha conseguenze di sostenibilità di approvvigionamento, sia a livello ambientale che economico/gestionale.

L’Artemia necessità di un settore dedicato all’interno delle avannotteria, con strutture dedicate e tecnici specializzati, oltre all’acquisto delle cisti, dei prodotti per il controllo delle caratteristiche dell’acqua, e degli alimenti di arricchimento dei naupli per la corretta alimentazione degli avannotti. L’approvvigionamento delle cisti proviene ancora per lo più da fonti naturali, in particolare da grandi bacini idrici salmastri, dove l’Artemia costituisce l’elemento centrale delle catene trofiche che legano gli animali dell’ecosistema, per cui il suo prelievo deve essere limitato, andando a costituire così un passaggio obbligato della produzione mondiale di pesce allevato, a fronte di un’espansione del settore e quindi di una domanda sempre maggiore. Per questi motivi, a partire dalla fine dello scorso millennio sono iniziate le sperimentazioni per la sostituzione dell’Artemia con micro diete, costituite da mangimi formulati dall’uomo soddisfare le elevate esigenze nutrizionali dei pesci durante la prima fase vitale.

Come vedremo più approfonditamente nel capitolo sulla nutrizione, gli obiettivi di questa innovazione alimentare sono ambiziosi, e riguardano: il raggiungimento di un sufficiente valore energetico e nutrizionale dei mangimi, l’ottenimento di un elevato livello di ingestione, e in particolare il bilanciamento corretto nello sviluppo del corredo enzimatico e della flora batterica intestinali, in comparazione all’omeostasi che si ottiene con la somministrazione dell’Artemia. Andare ad intervenire nella formulazione dei mangimi per contribuire a risolvere quest’ultimo aspetto, attraverso l’utilizzo di prebiotici e probiotici, è ritenuta una delle vie più promettenti ed economicamente sostenibili, al fine di aumentare la digeribilità e il tasso di conversione dell’alimento artificiale.

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All’interno del capitolo relativo ai risultati, i dati ottenuti ci permetteranno di valutare l’efficacia delle ricerche che attualmente le grandi aziende mangimistiche, come INVE Aquaculture, stanno svolgendo in tal senso.

I capitoli introduttivi, relativi alla biologia, forme di allevamento e agli aspetti nutrizionali delle specie di interesse, ci permetteranno di delineare il contesto attuale dell’acquacoltura, in riferimento in particolare all’allevamento intensivo di spigola e orata.

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CAPITOLO 2 – CARATTERISTICHE TASSONOMICHE E BIOLOGICHE DELLE SPECIE INTERESSATE

2.1 - ORATA (Sparus aurata)

www.fao.org

L’orata (Sparus aurata L.) è un pesce appartenente alla famiglia degli Sparidae, facente parte dell’ampia superfamiglia dei Percoidea, ordine Perciformes, classe Actinopterygii, questi ultimi conosciuti anche come pesci ossei. Molti pesci di questa superfamiglia, tra cui l’orata stessa, sono tra i più diffusi al mondo, dovendo tale successo alla loro polifagia, alla frequente eurialinità e alla capacità di adattarsi ai più diversi ambienti marini, anche quelli di nicchia. All’interno di questo gruppo, gli Sparidi costituiscono pesci dalla piccola apertura boccale ma dotata di una potente dentatura adatta alla prensione e triturazione, con incisivi o canini sulla parte anteriore e denti sempre più piatti e larghi ai lati e posteriormente (Fig.1); la maggior parte delle specie sono di piccole dimensioni. Vivono nelle acque superficiali delle zone tropicali, subtropicali e temperate e diverse specie hanno importanza umana alimentare (oltre all’orata anche il pagello, il pagro, il dentice e molti altri).

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L’orata ha un corpo ovale e compresso lateralmente, con il profilo della testa regolarmente curvo ed un peduncolo caudale molto stretto. Il dorso ha colore grigio-azzurro, i fianchi sono argentati e percorsi da linee longitudinali argentate più scure. Gli occhi sono piccoli e collegati da una banda nera e una dorata (da cui il nome del pesce), la bocca nella parte inferiore della testa è caratterizzata da spesse labbra. In media raggiunge lunghezze di 50 cm, ma sono stati osservati esemplari di lunghezza maggiore e peso superiore a 10 kg.

L’area di diffusione di questo pesce è molto ampia, si estende nell’Atlantico dal Senegal all’Inghilterra, in tutto il Mediterraneo e, più raramente, nel Mar Nero (anche a causa della minore salinità). L’orata, soprattutto nei primi mesi di vita, visita le coste tra primavera ed estate, per poi tornare in autunno in mare aperto ad abitare soprattutto i fondali rocciosi o le praterie di Posidonia, prediligendo profondità in genere non maggiori di 50 m; tuttavia, essendo un pesce eurialino ed euritermo, si può spingere all’interno delle lagune e delle foci dei fiumi.

È una specie carnivora, che in natura si nutre di molluschi ed altri animali bentonici.

Specie ermafrodita proterandra, si riproduce nel periodo tra ottobre e dicembre. I nuovi nati sono tutti di sesso maschile, ma raggiunta una certa dimensione, a seconda anche delle condizioni ambientali e sociali, diventano femmine. La maturità sessuale è raggiunta dai maschi a partire da 18 mesi e quindi nel 2° anno di vita sono in grado di riprodursi, mentre le femmine raggiungono la maturità sessuale generalmente dopo 3 anni e a condizione che il peso del pesce sia superiore a circa 500 g. La maturazione ovarica avviene a più riprese progressivamente, in più blocchi, per un periodo totale di deposizione che può durare anche 3-4 mesi.

2.2 - SPIGOLA (Dicentrarchus labrax)

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La spigola, o branzino, Dicentrachus labrax L. fa parte della famiglia dei Moronidae, anch’essa compresa nei Percoidea. Questa piccola famiglia di voraci pesci predatori è caratterizzata dalla presenza di due pinne dorsali connesse alla base, di cui la prima con raggi spinosi, e dalla forma allungata del corpo. In genere possono raggiungere grandi dimensioni e sono dotati di un’ampia bocca e di labbra molto sviluppate. L’opercolo branchiale è caratterizzato da due spine piatte.

La specie ha un corpo oblungo e leggermente compresso ai lati, con un peduncolo caudale spesso e ben sviluppato. Il dorso è di colore grigio-verdastro, con punteggiature nere in fase giovanile, mentre il ventre è argenteo. La bocca, in posizione terminale, è piuttosto grande e dotata di denti sottili, piccoli e affilati presenti sulle mascelle, sul palato e sulla lingua. Anche il preopercolo è dotato di spine, in particolare lungo il bordo inferiore. Può raggiungere il metro di lunghezza e oltre 12 chili di peso.

La spigola si adatta meglio dell’orata a differenti condizioni di salinità e a temperature più basse, per questo è diffuso in tutto l’Atlantico, nel Mediterraneo e nel Mar Nero, ma spesso abita anche le acque salmastre e può talvolta risalire il corso dei fiumi anche per alcuni Km. Nei mari più caldi, come il Mediterraneo, si riproduce tra dicembre e marzo, mentre per esempio a Nord nell’Oceano Atlantico la stagione riproduttiva è spostata tra primavera e inizio estate. Gli adulti depongono le uova presso le foci dei fiumi o lungo i litorali, dove, in virtù della loro tolleranza alle basse temperature, possono anche svernare da adulti. Sono dei predatori molto rapidi e voraci, si nutrono di piccoli pesci, gamberi, granchi e seppie.

2.2 - ARTEMIA (Artemia salina)

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Tra gli alimenti vivi utilizzati nell’alimentazione larvale nelle avannotterie di spigola e orata, i più importanti sono i naupli di Artemia salina, un piccolo crostaceo branchiopode presente nelle acque salate (mari, laghi salati, saline) di tutto il mondo. La peculiarità di questo crostaceo, che ne ha determinato la diffusione cosmopolita e la convenienza economica, è la criptobiosi, ossia la capacità di sopravvivere a condizioni avverse, in particolare all’assenza di acqua, sotto forma di cisti (Fig. 2), le quali si accumulano sulla superficie dell’acqua e vengono trasportate fino alle coste dal vento e dal moto ondoso.

Questa caratteristica ha reso questa specie estremamente interessante ai fini del suo approvvigionamento e conservazione (Fig. 3). Infatti, è sufficiente raccogliere e mantenere le cisti all’asciutto all’interno di contenitori, per poi farle schiudere immergendole in acqua salata per circa 24 ore in condizioni controllate di temperatura, pH, e ossigeno, ottenendo così le larve dette naupli, primo stadio giovanile dei crostacei come l’Artemia.

Fig. 3 – Raccolta delle cisti da uno stagno salato (www.fao.org) Fig. 2 – Dimensioni delle cisti rispetto alla

punta di una matita (https://www.youtube.com/watch?v=G77izC fofKE)

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Tale forma larvale giovanile è lunga circa 0,5 mm, ed è caratterizzata da un ocello naupliare e tre paia di appendici con funzioni sensoriali, locomotorie, di filtraggio e di presa dell’alimento (Fig. 4). Il nauplio compie 15 mute nel corso di circa 8 giorni, modificando progressivamente la propria morfologia: si formano i due occhi composti, le antenne si differenziano per poter svolgere diverse funzioni a seconda del sesso dell’animale, vengono sviluppate 11 nuove appendici chiamate toracopodi che assumono le funzioni svolte precedentemente dalle antenne. Alla fine di questo processo di metamorfosi si completa la trasformazione morfologica e funzionale dell’animale, con l’Artemia che raggiunge lo stadio adulto e può riprodursi. La riproduzione è normalmente ovovivipara, ossia la femmina, dopo la fecondazione, partorisce direttamente naupli, senza che lo sviluppo degli embrioni, che avviene all’interno delle uova mentre sono ancora nell’utero materno, si interrompa. Tuttavia, in condizioni ostili, soprattutto quando l’acqua è eccessivamente salata, l’evoluzione dell’embrione si ferma alla fase di gastrula, per poi essere circondato da uno spesso guscio secreto dalla madre ed entrare in uno stadio di quiescenza che può durare anche diversi anni. Le cisti di Artemia a questo punto vengono rilasciate nell’ambiente acqueo circostante (il processo in questo caso è dunque oviparo) e raggiungono la superficie dell’acqua da dove vengono trasportate dalle correnti e accumulate lungo sulle coste, dal vento e dal moto ondoso. Qui la disidratazione delle cisti disattiva lo stato di dormienza, per cui l’embrione, una volta che la ciste viene nuovamente immersa in acqua con le peculiari caratteristiche di salinità necessarie allo sviluppo della specie (sia in natura, sia in condizioni antropiche), si reidrata e riprende il proprio sviluppo. Dopo circa 20 ore dalla reidratazione il guscio si rompe e l’embrione fuoriesce, rimanendo avvolto soltanto da una membrana, dalla quale dopo poche altre ore fuoriuscirà il nauplio completamente formato.

Fig. 3 – Nauplio al 5° stadio. (1) ocello naupliare (2) Occhio composto (3) antenna (4) labbro superiore (5) abbozzi dei toracopodi (6) tratto digestivo (www.fao.com)

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In natura l’Artemia si alimenta mediante la filtrazione di detriti organici tipo seston della dimensione di circa 20 micron o poco maggiori, come batteri o alghe unicellulari, e vive in ambienti iperalini dove i suoi predatori normalmente non si spingono. La dispersione della specie in aree diverse è affidata alla ciste, che può essere trasportata dal vento o aderire al corpo degli uccelli acquatici; anche l’uomo si è reso partecipe della diffusione dell’Artemia con la realizzazione delle saline dove le Artemia hanno trovato un ambiente favorevole.

2.4 - ROTIFERI (Brachionus plicatilis)

L’altro principale alimento vivo utilizzato nelle avannotterie per l’alimentazione larvale delle specie ittiche in generale è costituito dai rotiferi (phylum Rotifera del regno degli animali), i quali prendono il nome dalla forma circolare dell’apparato boccale. Questi microorganismi hanno in genere dimensioni dell’ordine del decimo di millimetro e abitano principalmente le acque dolci, ma tollerano ampiamente la salinità per cui alcune specie vivono in ambiente marino, dove possono far parte sia dello zooplancton sia del benthos, tuttavia quelli di maggiore importanza per l’acquacoltura sono i rotiferi pelagici. In ambiente naturale sono la base nutritiva per larve di pesce e piccoli crostacei, inoltre hanno un ruolo importante nella degradazione della sostanza organica in acqua. Le specie d’interesse commerciale sono poche, in particolare Brachionus plicatilis (Fig. 5), utilizzato per alimentare i pesci per le primissime settimane di vita.

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Fig. 4 – Morfologia di Brachionus plicatilis, femmina (a sinistra) e maschio (a destra) (Koste, 1980)

I rotiferi hanno un’epidermide proteica chiamata lorica, la cui forma peculiare permette di discriminare le differenti specie. Il corpo è suddiviso in tre parti. Il capo porta un apparato boccale che retraendosi permette la locomozione dell’animale (tuttavia alcune specie possono nuotare), e che è inoltre circondato da una corona, anch’essa retrattile, sormontata da ciglia che viene impiegato per provocare una turbolenza nell’acqua ed avvicinare il cibo. Il tronco contiene l’apparato digerente (che presenta una struttura caratteristica dei rotiferi, ossia il mastax, un organo muscolare calcificato utilizzato per macinare l’alimento ingerito) l’escretore e gli organi genitali. Il piede è una struttura anellare che termina con uno o più speroni. Esiste dimorfismo sessuale tra maschi e femmine, con i primi più piccoli (circa 1/4) e con un livello di sviluppo inferiore rispetto alle femmine, inoltre sono privi di vescica e del tratto digestivo, in quanto la loro unica funzione è quella riproduttiva.

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Fig. 5 – Processo riproduttivo di Brachionus plicatilis (Hoff and Snell, 1987)

La durata di vita dei rotiferi è tra i 3,4 e i 4,4 giorni a temperature di 25 °C. Le larve diventano adulte dopo 0,5/1,5 giorni, dopodiché le femmine cominciano a generare uova circa ogni 4 ore, per una decina di cicli di ovideposizione. La riproduzione è eterogonica, ossia può essere sessuata o meno a seconda delle condizioni ambientali: in situazioni favorevoli le femmine si producono per partenogenesi generando uova diploidi che diventeranno a loro volta femmine amittiche, mentre quando l’ambiente diventa ostile, alcune femmine producono uova che genereranno maschi aploidi, i quali potranno fecondare gli ovociti mediante un accoppiamento con le femmine. Le uova fertili sono più grandi rispetto a quelle non fecondate e inoltre vengono ricoperte da uno spesso strato protettivo. Tali uova dormienti sono in grado di sopportare condizioni ambientali avverse e si schiuderanno solo in condizioni ambientali favorevoli, liberando femmine che ricominceranno a riprodursi per partenogenesi.

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CAPITOLO 3 – PRINCIPI DI NUTRIZIONE NEI PESCI

3.1 - GENERALITÀ SULL’ANATOMIA DELL’APPARATO DIGERENTE DEI PESCI Le specie che trattiamo sono carnivore in senso stretto, in particolare nel caso della spigola, mentre l’orata è più propriamente da definire prevalentemente carnivora, in quanto può nutrirsi, in virtù del peculiare metodo di alimentazione, anche di alcuni vegetali che crescono adesi e in prossimità ai bivalvi sessili di cui è avida predatrice.

Entrambe sono specie eurifaghe, ossia possono nutrirsi di una certa varietà di prede o alimenti diversi (in particolar modo l’orata), caratteristica che costituisce in genere un requisito fondamentale che agevola la messa a punto della tecnica di allevamento.

Queste prerogative della dieta di spigola e orata hanno permesso l’adattamento dell’apparato digerente alla digestione di alimenti con caratteristiche differenti. Poiché la loro dieta comporta generalmente l’assunzione di un’elevata quantità di proteine, sono dotati di uno stomaco ben sviluppato ed estensibile, tipico dei carnivori che ingeriscono la preda intera al fine di praticare efficacemente la denaturazione digestiva delle proteine e la rottura dei legami peptidici, tramite l’azione di enzimi digestivi, in particolar modo della pepsina, e dell’acido cloridrico, favorita anche dalle contrazioni muscolari dell’organo. D’altra parte, poiché l’alimento ingerito ha un’elevata efficienza di assorbimento e un’elevata concentrazione sia dei nutrienti e sia di energia, non è necessaria una notevole superficie di scambio o tempo di contatto, per ottenere una sufficiente estrazione e assimilazione dei nutrienti; per questo motivo l’intestino è breve, soprattutto nella spigola, e con una struttura interna piuttosto lineare.

L’apparato digerente è così composto dalla cavità boccale, la faringe, e poi da tre sezioni identificabili come: intestino anteriore, intestino medio e intestino posteriore. Nella spigola e nell’orata l’intestino anteriore comprende l’esofago, lo stomaco, che è rispettivamente a forma di U e di Y nei due pesci, e la valvola pilorica; lo stomaco a Y, caratterizzato dalla presenza di un cieco gastrico, è un adattamento tipico dei pesci predatori per lo stoccaggio momentaneo di pezzi di cibo di grandi dimensioni. L’intestino medio e posteriore, non hanno una vera e propria distinzione a livello fisico, mentre la distinzione funzionale è rilevante. Infatti, l’intestino medio è quella porzione dell’apparato digerente in cui si realizza la maggior parte dell’assorbimento dei nutrienti; invece l’intestino posteriore è meno funzionale in questo senso e costituisce più che altro un semplice dotto che porta i residui

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non digeriti all’ano. In questa zone terminale del tubo digerente, avviene anche la regolazione dell’equilibrio salino del pesce, mediante il riassorbimento dell’acqua e l’escrezione dei sali in eccesso.

In spigola e orata l’intestino medio comprende anche i ciechi pilorici, i quali si trovano subito a valle della valvola pilorica; essi sono adattamenti che aumentano la superficie digestiva dell’intestino medio e ne migliorano l’efficienza, sia rallentando il flusso, sia accogliendo importanti colonie batteriche e lieviti, i quali, attaccando i substrati alimentari durante il transito, creano una sinergia con gli enzimi digestivi nella degradazione delle sostanze nutritive in molecole semplici e agevoli da assimilare.

Struttura dell’apparato digerente di D. labrax (Egerton, 2018, modificato)

3.2 - BIOENERGETICA DELLA NUTRIZIONE DEI PESCI

Lo studio della nutrizione dei pesci, come di qualsiasi organismo animale, non può prescindere dalla bioenergetica. Questa branca della scienza della fisiologia alimentare, studia la digeribilità e l’indirizzo metabolico delle molecole adsorbite e la relativa trasformazione in funzione dei diversi profili endocrini e morfo-funzionali. L’energia viene suddivisa nelle varie frazioni, che sono: energia emessa nelle feci e nelle escrezioni, energia metabolizzabile impiegata nell’azione motoria e nei processi fisiologici e la componente depositata nella costruzione dei tessuti (M. Jobling, 1993).

Questa suddivisione cambia quantitativamente a seconda di molti fattori, innanzitutto la composizione e la quantità di alimento ingerito, la genetica e lo stato sanitario dell’animale, l’età, il sesso (profilo endocrino) e le condizioni ambientali. Conoscere i meccanismi che

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legano questi fattori all’efficienza di conversione dell’energia proveniente dal cibo permette di elaborare la composizione di nuovi alimenti, oltre che scegliere le condizioni ambientali ottimali, per ottenere la massima crescita dei pesci e il minimo spreco di risorse.

L’analisi dell’energia ingerita si può esprimere con la seguente equazione: R = F + U + M + P

Con:

R: energia ingerita.

F: energia persa nelle feci.

U: energia persa nei prodotti di escrezione.

M: energia consumata nel metabolismo, suddivisibile in metabolismo di mantenimento e metabolismo a carico del processamento del cibo.

P: energia spesa nella crescita dell’organismo (sviluppo morfologico, riproduzione e produzione dei gameti, stoccaggio di energia mediante lo sviluppo del tessuto adiposo).

Quando analizziamo il percorso dell’alimento all’interno dell’apparato digerente dei pesci e i processi ai quali viene sottoposto fino all’assorbimento, ci rendiamo conto che il processo presenta efficienza diversa, non tutta l’energia in esso contenuta viene utilizzata per lo sviluppo corporeo.

Parte dell’alimento non può essere o non viene attaccata dagli enzimi digestivi, poiché questi sono caratterizzati da coefficienti di efficienza che non raggiungono mai il 100%, e che rimangono praticamente costanti. Un fattore che influisce effettivamente su tali coefficienti di digeribilità è la quantità di alimento che viene ingerita durante il singolo pasto, dato che l’immissione di un eccessivo quantitativo di alimento può limitare il tempo di contatto degli enzimi con il substrato. La digeribilità totale dipende dalla composizione dell’alimento, in quanto alle sostanze che lo caratterizzano corrispondono differenti coefficienti di digeribilità, i quali sommati danno il valore della digeribilità totale. La parte non digerita dell’alimento entra a far parte della frazione energetica persa nelle feci. Oltre a ciò, esse contengono anche residui endogeni non riassorbiti di origine cellulare, i quali comportano

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una perdita di energia che corrisponde mediamente intorno al 2-3 % dell’energia totale contenuta nelle feci.

Dell’energia digeribile rimanente, una certa quantità, generalmente il 15-25 %, è persa nell’escrezione di sostanze azotate, ossia ammoniaca e urea, che comprende sia le spese energetiche per il catabolismo delle proteine, sia la componente energetica per la sintesi di urea, per cui a seconda della quantità e della qualità delle proteine contenute nell’alimento, il valore di queste perdite può variare; altri fattori determinanti sono la temperatura dell’acqua e la quantità totale di alimento ingerito (C. Y. Cho, 1985).

Sottraendo questa frazione all’energia digeribile otteniamo l’energia metabolizzabile, ossia che viene effettivamente assorbita dall’organismo e utilizzata a fini metabolici. Parte di quest’energia viene persa nella produzione di calore, la quale però, essendo i pesci animali eterotermi e quindi non dotati di un meccanismo di termoregolazione, è considerata passiva e determinata da fermentazioni, da processi meccanici ed enzimatici di digestione a livello intestinale. Tale dispersione energetica deriva dall’assorbimento e dipende soprattutto dalla velocità con cui si svolgono i processi metabolici, come ad esempio il dispendio energetico legato alla deaminazione degli aminoacidi e alla neosintesi molecolare a livello cellulare.

Esclusa anche questa frazione di energia metabolizzabile, si ha l’energia netta, la quale viene utilizzata per permettere lo svolgimento del metabolismo basale, per il sostegno dell’attività motoria, per la crescita e la riproduzione. Inoltre, una parte dell’energia netta, seppur molto limitata, viene usata per reintegrare le perdite derivanti da naturale turnover tissutale con la necessaria ricostituzione dei componenti strutturali dell’organismo.

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Rappresentazione schematica del destino dell’energia proveniente dalla dieta (Cho, 1985, modificato)

La misura di tali frazioni, in condizioni ambientali e di alimentazione differenti, permettono di verificare e comprendere il processo digestivo e metabolico del pesce. Tuttavia, lo studio sta ancora proseguendo per la difficoltà dovuta alle interferenze interne ed esterne al pesce che incidono sull’esatta rilevazione dei valori per tutte le frazioni energetiche precedentemente descritte.

Per quanto riguarda l’energia lorda totale contenuta nell’alimento e nelle feci, si può usare la bomba calorimetrica, che rappresenta un metodo diretto, molto affidabile e riproducibile in laboratorio. Lo stesso però non vale per l’energia spesa nelle funzioni metaboliche. Nei pesci causa anche delle difficoltà ambientali e della facilità con cui si producono fattori di stress per il soggetto, praticamente è impossibile misurarla direttamente, per cui si ricorre alla correlazione con il consumo di ossigeno da parte del pesce tramite l’uso di fattori di conversione, i quali però variano a seconda della composizione dell’alimento ingerito. Un altro problema di determinazione dell’efficienze di conversione alimentare, è costituito dalla misura dell’energia immagazzinata nei tessuti, ossia effettivamente utilizzata per la crescita del pesce. Il metodo diretto, tuttora il più utilizzato, consiste nel misurare l’energia totale contenuta nei tessuti dell’animale utilizzando la bomba calorimetrica, la quale però essendo una tecnica distruttiva, comporta la morte del pesce e quindi non può essere riprodotta sull’animale in condizioni di diversa condizione fisiologica, di omeostasi ecc., da cui la necessità delle replicazioni e dell’uso della validazione statistica dei dati. Infatti, la crescita dell’animale è un processo che coinvolge l’uso dell’energia e delle risorse molecolari in una condizione di diversa efficienza individuale che varia nel tempo, da cui sarebbero necessarie

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diverse misure sullo stesso individuo. D’altra parte, il principale metodo indiretto, che consiste nel correlare l’aumento di contenuto energetico all’aumento di peso del pesce, non è di facile attuazione, poiché i nuovi tessuti hanno una composizione differente a seconda dell’età dell’animale, del sesso, dello stato fisiologico, dell’alimentazione e delle dimensioni del pesce stesso. In particolare pesci di grandi dimensioni o che vengono ben nutriti hanno una maggiore percentuale di grasso corporeo, mentre i soggetti giovani, tra cui in particolare le larve e gli avannotti, presentano tessuti con un maggior contenuto di acqua, per non parlare dello sviluppo del tessuto connettivo e della naturale evoluzione di alcune parti cartilaginee giovanili, in rapporto variabile con la componente ossea tra le prime fasi di vita e lo stadio adulto.

3.3 - FABBISOGNO PROTEICO

Le proteine rappresentano la quota più rilevante nella dieta dei pesci, soprattutto in quelli carnivori, come spigola e orata. Ciò è vero in questi animali più di altri allevati dall’uomo, tra cui ad esempio gli edafici come suini e pollo, poiché caratterizzati da una scarsa capacità di riciclare gli aminoacidi provenienti dal breakdown delle proteine corporee; per questo motivo i pesci hanno in generale un maggiore fabbisogno di proteine nella dieta, stimato tra il 30 e il 55% in peso dell’alimento ingerito, necessarie per ottenere la massima crescita muscolare (Millikin, 1982). Al riguardo, diversi studi hanno evidenziato differenze tra il metabolismo proteico dei pesci e quello dei mammiferi, probabilmente influenzate oltre che dall’eterotermia anche dal tipo di crescita muscolare, iperplasica nei primi invece che ipertrofica. I pesci hanno un metabolismo basale molto inferiore rispetto ai mammiferi, e conseguentemente anche un minore turnover proteico totale, che invece nei mammiferi può raggiungere il 60 % della sintesi proteica totale. Inoltre, i pesci utilizzano le proteine a fini energetici in modo molto più consistente, poiché sono in grado di assorbirle con grande efficacia (in letteratura vengono riportati valori in media dell’85 – 90 %, con massimi del 95 %) e causa la diversa composizione delle fibre muscolari, mentre utilizzano in modo meno efficiente grassi, ma anche i carboidrati, al punto che i pesci possono essere considerati animali perennemente diabetici, poiché la loro richiesta riguarda principalmente il metabolismo eritrocitario delle cellule del tessuto nervoso e del tessuto gonadico (Walton, 1985). Questo probabilmente perché i pesci si sono trovati ad evolvere in un ambiente ricco di fonti trofiche proteiche e molto povero di carboidrati. D’altra parte, sono presenti anche caratteristiche in comune, come la stretta correlazione tra quantità e qualità della dieta con

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la sintesi e il breakdown delle proteine, e la relazione inversa tra età dell’animale e sintesi e deposizione delle proteine.

Concludendo, sono state riconosciute delle differenze nel metabolismo proteico tra i tessuti muscolari e non muscolari, più accentuate rispetto a quelle dei mammiferi. Nei primi il turnover delle proteine è minimo, mentre la deposizione è molto elevata, in raffronto ad una sintesi proteica fortemente influenzata dalle condizioni ambientali e nutrizionali; nei tessuti non muscolari invece accade il contrario, ossia si osserva una sintesi proteica più che doppia ed un elevato turnover proteico, il quale però, sebbene possa variare a seconda delle condizioni ambientali, viene tuttavia garantito in modo costante anche al variare della dieta, con differenze non significative (Fauconneau, 1985).

Tuttavia, più che considerare il fabbisogno totale delle proteine è più corretto valutare il fabbisogno dei diversi aminoacidi. L’importanza della composizione delle proteine è stata infatti sottolineata in molti studi, dove l’essenzialità dei singoli monomeri è stata valutata in base alla risposta di crescita a seguito dell’eliminazione di un determinato aminoacido dalla dieta, oppure in base al livello di incorporazione di diversi aminoacidi marcati con carbonio-14. È emerso che nella maggior parte dei pesci gli aminoacidi essenziali sono una decina: arginina, istidina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina, triptofano e valina. Le quantità richieste sono state identificate in studi successivi basati su diete con contenuti differenziati di aminoacidi, al momento solo per alcune specie, mentre per altre, tra le quali nella spigola e nell’orata, è stato ottenuto solo un profilo parziale (Wilson, 1985).

Un altro importante strumento per determinare il fabbisogno di aminoacidi di una determinata specie, o meglio, per avere un riscontro rispetto ai risultati ottenuti con il metodo delle diete sperimentali, è l’analisi della composizione percentuale degli aminoacidi stessi nelle uova e soprattutto nel corpo dell’animale. Diversi studi, tra cui quello di Ketola (1982) sul salmone dell’Atlantico e sulla trota iridea, e quello di Arai (1981) su avannotti di salmone argentato, hanno dimostrato che diete sperimentali che replicano tali composizioni hanno permesso di ottenere crescite ottimali (Wilson, 1985).

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21 Spigola Orata Arginina 4.6 5.4 Istidina 1.6 1.7 Isoleucina 2.6 2.6 Leucina 4.3 4.5 Lisina 4.8 5 Metionina + Cistina 2.3 2.4 Fenilalanina + Tirosina 2.6 2.9 Treonina 2.7 2.8 Triptofano 0.6 0.6 Valina 2.9 3

Fabbisogno in aminoacidi essenziali (% sulla proteina somministrata con la dieta) di D. labrax e S. aurata (Kaushik, 1998)

Riassumendo, gli studi condotti sull’argomento della nutrizione dei pesci, hanno dimostrato che l’apporto proteico è fondamentale sia ai fini dell’approvvigionamento di aminoacidi essenziali, sia dal punto di vista energetico.

Riguardo quest’ultimo aspetto, un parametro fondamentale dell’alimento è il rapporto PD/ED (Proteine Digeribili/Energia Digeribile): valori troppo elevati comportano un catabolismo eccessivo di aminoacidi da parte del pesce (sebbene siano stati evidenziati dei meccanismi di controllo, che limitano il catabolismo degli aminoacidi essenziali, anche in condizioni di diete fortemente carenti dal punto di vista energetico (Walton, 1985)), con un conseguente importante rilascio di scorie azotate, mentre valori troppo bassi del rapporto, implicano diete che non riescono a fornire sufficienti proteine per la crescita. L’equilibrio si raggiunge quando gli altri cataboliti, in particolare i grassi, arrivano a sostenere sufficientemente il fabbisogno calorico, con un risparmio di aminoacidi che possono essere utilizzati per la sintesi proteica, sempre preservando un contenuto sufficientemente elevato di proteine nella dieta. I rapporti PD/ED nell’alimento consigliati per spigola ed orata sono rispettivamente 20-22 e 19-20, con percentuali di proteine nell’alimento di 45 - 50% e 40 - 45% (Cataudella S. et Bronzi P., 2001).

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3.4 - RUOLO DEI LIPIDI NEL RAZIONAMENTO DEI PESCI

Nell’alimentazione dei pesci i lipidi svolgono sia la funzione energetica, sia quella di fornire importanti metaboliti, in primo luogo gli acidi grassi essenziali, fondamentali nella crescita, in quanto vengono utilizzati nella produzione dei fosfolipidi che compongono le membrane cellulari, delle lipoproteine di trasporto, ma anche come base per la sintesi degli anticorpi nel sistema immunitario, oltre ad essere vettori delle le vitamine liposolubili, in particolar modo la vitamina E. Carenze prolungate di queste fondamentali sostanze portano all’indebolimento progressivo e alla morte del pesce, mentre carenze saltuarie o parziali riducono sensibilmente la velocità di crescita e la resistenza agli stress, comportano problemi al sistema immunitario e in molti casi determinano danni fisici, soprattutto a livello delle branchie. Il fabbisogno di acidi grassi essenziali varia a seconda della specie, e nel caso della spigola e dell’orata, e in generale dei pesci marini, essi sono l’acido eicosapentaenoico (EPA) e il docosaesanoico (DHA) (Cataudella S. et Bronzi P., 2001).

Per quanto riguarda la funzione di supporto calorico, come già accennato, i lipidi sono fondamentali in quanto, in questo ruolo, antagonisti delle proteine, e quindi il loro apporto nella dieta deve essere ben dosato per ottenere il giusto rapporto PD/ED che garantisce la maggiore utilizzazione degli aminoacidi ai fini della crescita. Per questo motivo negli ultimi anni si è assistito ad un aumento del tenore in grassi dei mangimi per pesci, con notevoli riscontri positivi sia dal punto di vista economico, in quanto gli ingredienti usati per apportare grassi sono meno costosi di quelli usati per apportare proteine, da quello ambientale, poiché è stato ridotto il rilascio di residui azotati nelle acque reflue degli allevamenti, e in generale dal punto di vista dell’efficienza produttiva. L’unico aspetto critico è che diete ad alto tenore di grassi comportano un maggiore accumulo degli stessi nei tessuti, con un’alterazione delle caratteristiche organolettiche del prodotto finale, cosa che può ridurre la domanda dei pesci ottenuti con queste diete in allevamenti intensivi rispetto a quelli provenienti da allevamenti estensivi dove non vengono utilizzati mangimi (Cataudella S. et Bronzi P., 2001).

Per quanto riguarda l’utilizzo dei grassi nelle diete del pesce allevato, bisogna considerare l’importanza delle condizioni ambientali, in particolare la temperatura, in relazione alle caratteristiche degli acidi grassi. Infatti, da alcuni studi è emerso che basse temperature dell’acqua, in concomitanza con la somministrazione di trigliceridi contenenti acidi grassi con un grado di insaturazione relativamente basso, determinano una significativa minore

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digeribilità dei lipidi (Leger, 1985). Se consideriamo inoltre che l’assorbimento intestinale dei lipidi nei pesci è molto più lento rispetto a quello dei mammiferi (Kayama et Ijima, 1976), fenomeno di cui non si conosce ancora la causa poiché i meccanismi di assorbimento e trasporto sono pressoché analoghi a tutti gli animali, diventa quindi fondamentale mantenere una temperatura dell’acqua sufficientemente elevata, entro il limite di adattabilità della specie, e fornire lipidi ricchi di acidi grassi polinsaturi.

3.5 - FORMULAZIONE DELLE DIETE

Nella formulazione di una nuova dieta, o anche semplicemente nella scelta del regime alimentare da utilizzare all’interno di un allevamento ittico, l’unico aspetto che dovrebbe essere considerato è quello nutrizionale, ossia quali alimenti somministrare e in che quantità, per ottenere la miglior efficienza di crescita. Negli ultimi decenni ha comunque giustamente acquisito un’importanza fondamentale anche la tutela dell’ambiente, in particolare come attenzione all’eccesso di effluenti dagli allevamenti, che si originano dalla eccessiva somministrazione di alimenti rispetto alle necessità fisiologiche di accrescimento e sviluppo, soprattutto quando contenenti un tenore troppo elevato di proteine. In realtà, l’aspetto che detta le regole finali nella determinazione dell’alimentazione dei pesci è quello economico, il quale comporta la scelta della dieta che è in grado di massimizzare i guadagni, e che non è necessariamente ottimale dal punto di vista nutrizionale.

Ad esempio, nel caso del salmone dell’Atlantico, dove il costo dell’alimento rappresenta una parte minima del valore di vendita del prodotto finale mentre i costi fissi hanno più rilevanza, l’allevatore è interessato nell’avere la maggiore produzione possibile, secondo il modello delle economie di scala, e quindi sceglie i mangimi che gli garantiscono i più alti tassi di crescita e di sopravvivenza finali, e non quelli che hanno una maggiore efficienza di conversione. Succede il contrario quando il costo degli alimenti costituisce una frazione importante del valore di vendita finale, e questo è il caso tipico della trota iridea. Siccome il mangime è relativamente costoso, l’allevatore è spinto ad utilizzare quelli con una maggior efficienza e a somministrarli in quantità che non permettono ai pesci di raggiungere la sazietà, e quindi la massima crescita, ma che corrispondono al massimo indice di conversione. Poiché è invece meno importante ridurre i costi fissi, anche se non ininfluente, il tasso di crescita garantito dai diversi alimenti acquisisce un’importanza secondaria. (Crampton, 1985).

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Curva che illustra la relazione tra il tasso di crescita e il tasso di ingestione nei pesci. In corrispondenza di un tasso di crescita nullo abbiamo il tasso di ingestione Rmaint, che è quello richiesto

per il mantenimento fisiologico del metabolismo e del peso corporeo. Ropt invece è il tasso di

ingestione ottimale, in cui si realizza il più alto tasso di conversione dell’alimento e il maggior incremento ponderale da parte del pesce. Per tassi di ingestione superiori a Ropt l’efficienza di

conversione decresce progressivamente, fino a Rmax che rappresenta la massima quantità di razione

che l’animale può assumere, ossia il punto in cui si verifica il livello di sazietà. In corrispondenza di Rmax si ha Gmax, che è il massimo tasso di crescita. (M. Jobling, 1993, modificato)

Per quanto riguarda l’alimentazione scelta per spigola ed orata, essa si avvicina al modello del salmone, se pure in misura più contenuta, principalmente a causa del minor valore del prodotto finale. Inoltre, va considerato che nel salmone il prezzo di mercato è fortemente correlato al peso totale del pesce, che se di dimensioni maggiori viene considerato di maggiore qualità, per cui anche per questa ragione è importante utilizzare mangimi che consentono di raggiungere tassi di crescita maggiori. Lo stesso ragionamento potrebbe valere per spigola ed orata, ma così non è perché le esigenze dei consumatori spingono il mercato di questi prodotti ad una taglia media detta di “porzione”, in conseguenza della quale gli allevatori sono spinti, quasi esclusivamente, a produrre esemplari di un’unica pezzatura, con un peso compreso tra i 300 ed i 400 g, che è quella tradizionalmente presente sul mercato.

Oltre allo studio della funzionalità nutrizionale, della convenienza economica e della sostenibilità ambientale, un aspetto importante della formulazione delle diete è la scelta degli ingredienti, in particolar modo quelli da utilizzare per apportare la componente proteica.

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Attualmente, e ormai da molti anni, l’ingrediente più utilizzato è il fish meal, o farina di pesce, che si ottiene come residuo dall’estrazione dell’olio di pesce e da scarti del pescato, esemplari di taglia non commerciale o scarti dell’industria di trasformazione ittica. La farina di pesce, sebbene costosa, è una materia prima di difficile sostituzione, in quanto ha un tenore proteico spesso anche superiore al 60 %, con una composizione in aminoacidi completa, ed ha un’ottima galleggiabilità e buona capacità aggregante che ne impediscono la dispersione in acqua. Inoltre, cosa che è stata sottovalutata per diversi anni, la farina di pesce è caratterizzata da un’elevata appetibilità nei confronti di tutti i pesci, il che garantisce la riduzione del rifiuto dell’alimento, con un abbassamento della quota che sfugge depositandosi nell’ambiente.

I criteri dell’appetibilità definiscono l’alimento, l’aspetto (dimensioni, forma, colore), l’odore, i segnali chimici attrattivi (appetibilità) o deterrenti (rifiuto) che possono essere percepiti a distanza dai pesci, e i segnali fisici come la percezione della consistenza (durezza, ruvidità, umidità) e il gusto che entrano in gioco al momento della prensione e dell’ingestione. Secondo come il pesce si procura il cibo in natura, uno o l’altro stimolo sensoriale può essere più o meno importante, anche se in genere i segnali chimici, presentano maggior rilevanza, perché permettono un’immediata identificazione dell’alimento e ne rappresentano l’elemento attrattivo primario. Diversi studi hanno identificato come ottimi stimolanti gli aminoacidi di isomeria L, o meglio una miscela degli stessi, che si può trovare naturalmente nel pesce e nei molluschi marini (Mackie et Mitchell, 1985).

Spesso le materie prime con cui si cerca di sostituire il fish meal, in particolare quelle di origine vegetale, non solo non contengono queste sostanze appetibili (o le contengono in quantità minore), ma spesso sono caratterizzate anche da deterrenti e da sostanze tossiche. Oltre a ciò quasi sempre presentano uno o più difetti, come un minor titolo proteico totale, un profilo amminoacidico incompleto o sbilanciato, una ridotta digeribilità, che fanno sì che ad oggi queste sostanze vengano utilizzate per sostituire solo parzialmente le farine di pesce.

Tuttavia, le aziende mangimistiche stanno investendo molto sulla possibilità di utilizzare nuove materie prime meno costose, esenti da contaminanti e disponibili in maggiori quantità sul mercato, oppure nuovi processi di trasformazione per accrescere il valore nutrizionale degli ingredienti sostitutivi già utilizzati in passato (Cataudella S. et Bronzi P., 2001).

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Derivato proteico vegetale % della proteina

nell’alimento

Note

Farina di estrazione di soia tostata e decorticata

30-40 Integrazione con

L-metionina

Verifica livello di tostatura Concentrato proteico di

soia estratto con acqua ed etanolo

50 Integrazione con metionina

Farina glutinata di frumento

50 Integrazione con L-lisina e L-arginina

Limiti consigliati di sostituzione della proteina da farina di pesce con alcuni degli attuali derivati proteici vegetali per spigola. (Acquacoltura responsabile, 2001, modificato)

3.6 - LIVELLO DI INGESTIONE

La composizione della dieta è un aspetto fondamentale della nutrizione, così come lo è anche la determinazione della razione dell’alimento, ossia la quantità di cibo che i pesci possono assumere con un singolo pasto. Questo dipende sia da fattori intrinseci che estrinseci.

I meccanismi intrinseci si distinguono in quelli a breve termine, sottoposti a controllo ipotalamico ad esempio la sazietà, e quelli a lungo termine, legati allo stato fisiologico nutrizionale e ad altre caratteristiche dell’animale, come il livello di adiposità, il peso, l’età, il profilo endocrino e l’attività riproduttiva.

I fattori estrinseci sono legati a tutte le caratteristiche chimiche e fisiche dell’alimento e a tutti i parametri dell’ambiente in cui il pesce si trova a vivere (temperatura, ossigeno disciolto, fotoperiodo, intensità luminosa).

Le aziende mangimistiche tengono conto di queste variabili e forniscono delle tabelle dove vengono indicati i corretti razionamenti in funzione di specie, taglia, e dei principali parametri ambientali, come la temperatura dell’acqua; razionamenti che vengono calcolati utilizzando apposite formule, che permettono di stimare la quantità di alimento che può essere volontariamente ingerito dai pesci. Ad esempio, per spigola ed orata possono essere utilizzate le seguenti formule:

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Spigola: R% = 0,51 * W-0,15 * e0,07T

Orata: R% = 2,78 * ln W + 0,148 T

Con:

R% = quantità ingerita volontariamente, indicata come percentuale del peso vivo del pesce.

W = peso vivo, indicato in g.

T = temperatura dell’acqua, indicata in °C.

Da: Cataudella e Bronzi, 2001

Per passare dalla quantità di alimento necessaria al singolo pesce, alla quantità da distribuire nelle varie vasche di allevamento, occorre che l’allevatore abbia a disposizione anche dei dati relativi al peso medio ed il numero totale di pesci contenuti in ogni singola vasca. Moltiplicando infatti il peso medio per il numero totale di pesci si ottiene una stima della biomassa totale, e una volta ottenuto questo valore la quantità da distribuire nella vasca si ottiene grazie alla formula R% * biomassa totale.

Il peso medio dei pesci va monitorato periodicamente per poter ottenere un parametro aggiuntivo, applicabile in diverse situazioni, ossia il “Tasso di Accrescimento Specifico” relativo ad un determinato periodo di tempo, espresso in percentuale sul peso vivo (TAS%). Uno degli utilizzi principali di questo parametro è la stima dell’incremento della biomassa totale senza la necessità di effettuarne la misura diretta, che per i pesci è un dato complesso da acquisire in quanto necessita di operazioni delicate, ossia lo svuotamento delle vasche, il trasferimento dei pesci in bacinelle per la misurazione del peso e infine la reintroduzione degli stessi nelle vasche, tutte pratiche che sono fonte di grave stress e possono provocare un’elevata mortalità. Il peso medio invece può essere stimato a partire da un campione limitato di individui, limitando le manipolazioni per evitare il rischio di perdere esemplari e può essere effettuato periodicamente da personale qualificato senza alcun problema. Questo parametro viene solitamente utilizzato per verificare che la stima dell’accrescimento giornaliero sia corretta, oltre che per calcolare la razione da distribuire in vasca.

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28 Il TAS corrisponde a:

[(ln(Peso finale) - (ln(Peso iniziale)) / n° giorni] * 100

Da: Cataudella e Bronzi, 2001

Per stimare la biomassa totale occorre conoscere, oltre al TAS, la quantità di uova fertili immesse nella vasca all’inizio del ciclo produttivo e il numero effettivo di morti giornalieri. Inoltre il TAS può essere utilizzato per calcolare l’indice di conversione, che si può calcolare come rapporto tra R% e, appunto, il TAS%, ossia tra la quantità di alimento ingerita volontariamente (la quale corrisponde, anche se in realtà soltanto in via teorica, alla quantità di alimento distribuita), espressa in % sul peso vivo dei pesci, e l’accrescimento in peso, espresso anch’esso come percentuale sul peso vivo dei pesci.

3.7 - IMPORTANZA DEL MICROBIOTA INTESTINALE NEL RAZIONAMENTO

Come i mammiferi, i pesci contengono nel proprio apparato digerente un insieme di microrganismi simbionti, prevalentemente batteri, ma anche lieviti, funghi, protisti e Archea, i quali hanno un ruolo importante per quanto riguarda l’approvvigionamento di nutrienti, il controllo omeostatico del metabolismo e la difesa immunitaria. Ciò è risaputo fin dalla prima metà del ‘900, a partire dagli studi di Reed e Spence (1929) e di Gibbons (1933) sulla flora presente naturalmente nel muco intestinale dei pesci. Tuttavia, l’argomento ha acquisito importanza soltanto con la recente espansione dell’acquacoltura intensiva, e soprattutto a seguito dell’introduzione di tecniche rapide per l’identificazione dei microrganismi sia a livello qualitativo che quantitativo, non basate sull’isolamento e la coltura degli stessi, ma piuttosto sull’analisi del DNA con l’utilizzo della PCR. In effetti soltanto una minima parte del microbiota intestinale dei pesci può essere isolato in coltura in condizioni di laboratorio, e per questo motivo fino alla fine degli anni ’90 si riteneva che questa fosse molto limitata e più che altro dipendente dalla dieta o in equilibrio con la popolazione microbica naturale dell’ambiente circostante.

In realtà col passare degli anni si è scoperto che la colonizzazione microbica ha tre diverse origini:

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1. Alla schiusa dell’uovo, l’embrione entra in contatto con la popolazione di microrganismi che vive nel corion, di origine materna, che è quindi considerata specie-specifica.

2. A partire da quando la larva comincia ad inghiottire acqua per la regolazione osmotica, fanno il loro ingresso i microrganismi presenti nell’ambiente circostante. 3. Con l’inizio dell’alimentazione, che costituisce il fattore principale nella

determinazione della composizione della flora microbica, durante tutta la vita del pesce, in particolare arricchendola con l’avanzare dello sviluppo del soggetto. Recenti studi sulla variazione della flora batterica nel tempo, in particolare quelli di McIntosh (2008) e di Larsen (2014), hanno evidenziato come una parte di questa sia variabile e venga avvicendata da diverse specie e ceppi a seconda della dieta, dell’habitat, della stagione e dell’età del pesce, mentre la restante componente, che si stabilizza già a partire dal 50° giorno di vita per molte specie, rimane costante anche quando questi parametri cambiano. Ovviamente vi è anche una certa differenziazione spaziale della popolazione microbica nei diversi tratti intestinali (Ringø et al., 2006). Tra i vari microrganismi gli unici che sono stati effettivamente studiati sono i batteri, che comunque costituiscono la parte preponderante della flora batterica. I generi più tipicamente presenti nei pesci pelagici sono Aeromonas, Alcaligenes, Alteromonas, Carnobacterium, Flavobacterium, Micrococcus, Moraxella, Pseudomonas e Vibrio (Perez, 2010) a cui appartengono sia specie simbionti che patogene; addirittura diverse specie, in funzione delle condizioni di stress del soggetto, possono comportarsi, a seconda dei casi, in un modo favorevole alla vita dell’animale o sviluppare delle patologie (Egerton, 2018).

Il ruolo del microbiota intestinale nella nutrizione è molto ampio e ancora solo parzialmente conosciuto nei mammiferi, e ancora meno nei pesci. Svariati studi dimostrano come questi microrganismi contribuiscano alla sintesi di vitamine (in particolare la B12), aminoacidi ed acidi grassi essenziali a partire da metaboliti di qualità nutrizionale anche molto scadente. Inoltre, antecedentemente alla trasformazione e sintesi di questi prodotti nutritivi, i microrganismi agiscono sulla digestione sia a livello diretto, producendo eso-enzimi che attaccano l’alimento ingerito, sia a livello indiretto, in quanto si viene a stabilire una relazione simbiotica tra i batteri e gli enterociti, in cui avviene uno scambio sinergico di metaboliti e la produzione di enzimi reciprocamente utili all’assorbimento dei nutrienti, con l’effetto di aumentare la digestione totale dell’alimento. Tale sinergia nella simbiosi mostra anche un coinvolgimento del microbiota nella differenziazione e maturazione del tessuto

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epiteliale intestinale, ossia degli stessi enterociti, che risultano compromesse in assenza della flora microbica (Bates, 2006).

Inoltre, alcuni microrganismi sono in grado di neutralizzare le eventuali sostanze xenobiotiche presenti in acqua (S. Nayak, 2010). Gli studi recenti ci fanno comprendere che l’aspetto microbiologico nella nutrizione dei pesci è determinante nella valutazione di ciò che viene effettivamente digerito ed assorbito a livello intestinale; l’analisi del microbiota intestinale può essere dunque utile nella comprensione dei risultati discordanti che si riscontrano in molte ricerche del passato, dove si valutava semplicemente l’interazione tra l’apparato digerente e l’alimento, senza considerare la variabile del metabolismo microbico.

3.8 - RUOLO DEL LIVE FOOD, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL’ARTEMIA

Come già accennato, gli alimenti vivi utilizzati per la nutrizione di spigola e orata sono i rotiferi e l’artemia. Anche se la loro gestione e la manodopera specializzata necessaria rappresentano una voce di costo importante, tuttora è impensabile sostituire tali prede vive con mangimi e pretendere di ottenere tassi di crescita e di sopravvivenza accettabili per un allevamento intensivo.

Ad ogni modo, progressi importanti sono stati compiuti nello sviluppo delle micro diete. Queste sono costituite da alimenti artificiali che vengono somministrati in parziale sostituzione dello zooplancton prima dello svezzamento, in modo da anticipare quest’ultimo e ridurre l’impiego del live food. Gli studiosi che hanno condotto prove in completa sostituzione, come Tandler e Kolkovski (1991) e Weinhart e Rösch (1991), hanno attribuito le elevate mortalità e gli scarsissimi tassi di crescita al basso livello di ingestione (anche 1/10, in Sparus aurata, rispetto alla dose fornita), di digestione e di assorbimento; ne consegue che il supporto energetico e di metaboliti fornito dalle micro diete era appena sufficiente a garantire il metabolismo basale. Di contro, quando utilizzate in combinazione con l’artemia e i rotiferi, almeno nelle corrette proporzioni, le micro diete presentano un maggiore tasso di ingestione (fino al 120 % (Kolkovski et al. 1997)), attribuibile alla stimolazione visiva, e soprattutto chimica, da parte dello zooplancton, che sembra agire anche sull’alimento artificiale.

Più complesso e meno esplorato è il contributo delle prede vive al miglioramento del tasso di digestione e di assorbimento. Vi sono alcune teorie al riguardo: secondo una, gli esoenzimi

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litici contenuti naturalmente nello zooplancton causano l’autolisi degli animali, facilitando la digestione da parte delle larve dei pesci che, in questa fase, dispongono di un complesso enzimatico intestinale ancora poco efficiente (Dabrowski, 1984). Inoltre, secondo altri autori, i prodotti dell’autolisi stimolano una maggiore produzione di enzimi da parte dell’apparato digerente dei pesci stessi (Person-Le Ruyet et al., 1993). Tuttavia gli studi sul supplemento di enzimi da fonti esterne hanno mostrato dei risultati discordanti, ad esempio la somministrazione di pancreatina ha aumentato del 30 % l’assimilazione dei nutrienti in Sparus aurata (Kolkovski et al., 1993), mentre è risultata ininfluente su Dicentrarchus labrax (Kolkovski et al. 1997). Ciò fa pensare che il controllo enzimatico della digestione possa differire da specie a specie, oppure che l’artemia possa influenzare altri fattori che determinano la digestione, come la flora microbica. Altri studi hanno messo in correlazione la diversa dose di artemia somministrata con lo sviluppo dell’apparato digerente delle larve, come ad esempio quello di J. L. Zambonino del 1995: in esso si mette in evidenza come dosi corrispondenti a 1/4 e 1/8 della sazietà del pesce, fornite ai pesci dal 16° al 38° giorno di vita, rallentino, fino anche ad impedire, lo stabilirsi della funzionalità enzimatica intestinale tipica degli adulti. Le larve alimentate con la dose completa o con metà di essa hanno invece mostrato, alla fine del periodo sperimentale, alti livelli di tripsina e bassi livelli di amilasi, come è proprio dei pesci adulti. Tuttavia è molto complicato verificare quale tipo di stimoli in questo senso l’artemia possa effettuare sulla larva.

Per quanto riguarda l’artemia, a parte gli innegabili effetti positivi sullo sviluppo delle larve di pesce e l’elevatissima accettabilità, essa è caratterizzata da un valore nutrizionale ottimale per le larve di spigola ed orata, come per praticamente tutti i pesci da allevamento. In primo luogo questo crostaceo è caratterizzato da un alto contenuto proteico e da un ottimo bilanciamento degli aminoacidi, presenti quest’ultimi ampliamente anche in forma libera e quindi facilmente digeribile, inoltre vi sono carotenoidi, vitamina C e tutti i minerali essenziali. Il contenuto lipidico dell’artemia è invece molto variabile, non solo in funzione della sottospecie e della zona di provenienza, ma anche a seconda del batch, e spesso va considerato insufficiente, sia dal punto di vista del fabbisogno energetico che da quello degli acidi grassi essenziali, tanto da poter causare elevate mortalità nei juveniles: per spigola ed orata è necessario utilizzare le sottospecie di artemia di acqua salata, le quali in genere hanno almeno un buon contenuto di EPA anche se non di DHA. Ad ogni modo queste mancanze vengono risolte facilmente con l’arricchimento e in parte anche con la scelta dei corretti ceppi.

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Proteine 52.2 ± 8.8

Grassi 18.9 ± 4.5

Carboidrati 14.8 ± 4.8

Ceneri 9.7 ± 4.6

La tabella mostra la composizione percentuale, con deviazione standard, dei naupli di Artemia, calcolata sulla base dei dati contenuti in 26 diversi studi (Leger et al., 1986, modificato).

Come già accennato, la via della sostituzione dell’artemia è comunque quella da intraprendere, non solo per un discorso di contenimento dei costi e di sostenibilità dell’acquacoltura intensiva, ma anche per perseguire una maggiore standardizzazione del processo produttivo. La produzione giornaliera di artemia presenta diversi punti critici, dove piccoli errori, ad esempio nel settaggio della temperatura dell’acqua o nella misurazione dell’ossigeno disciolto o del pH, per non parlare dei rischi di contaminazione e dei provvedimenti da prendere per evitarli, possono compromettere la schiusa delle cisti e l’efficacia dell’arricchimento, con conseguenze sulla quantità e qualità dei naupli. Utilizzare un mangime artificiale che va semplicemente dosato e distribuito in vasca garantisce sicuramente una produzione più stabile all’interno dell’avannotteria.

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CAPITOLO 4 – CARATTERISTICHE DELL’ALLEVAMENTO DELLE SPECIE D’INTERESSE

4.1 – CARATTERISTICHE DELL’ALLEVAMENTO DI S. aurata E D. labrax 4.1.1 – Impianti estensivi

Tradizionalmente l’allevamento di spigola e orata è estensivo, tipologia d’impianto che vede ancora adesso una notevole diffusione in Italia, basti pensare agli allevamenti nelle lagune costiere italiane (100.000 ha) e alla vallicoltura (36.000 ha), mentre nel resto d’Europa ormai è preponderante l’itticoltura intensiva.

Laguna di Marano, Provincia di Udine (www.visitmaranolagunare.it)

L’acquacoltura sostenibile praticata nella vallicoltura estensiva implica una bassa densità di pesci (non oltre 0.0025 kg/mc) all’interno di bacini naturali o semi-naturali, di grandi dimensioni, con superfici generalmente comprese tra 3-5 e 10 ha (ma esistono bacini di dimensioni superiori ai 20 ha), confinati da sbarramenti naturali o artificiali, in origine costituiti da argini in terra e canneti, poi da reti e muri in calcestruzzo. Questi allevamenti si basavano sull’ingrasso di avannotti selvatici catturati in fase di “montata”, che favoriva “l’impesciamento” della valle, ossia quando i juveniles di diverse specie ittiche, in primavera giungono in massa nelle aree costiere, attirati dalle temperature più elevate e dalla disponibilità di cibo, costituito da prede come insetti, anellidi, policheti, ecc. oltre a sostanze organiche in decomposizione come residui vegetali, sostanze umiche e altro.

Le gestione della valle prevede 3 fasi; fase attrazione e intrappolamento dei pesci, durante la quale le barriere vengono tenute aperte nel periodo primavera – estate; fase di ingrasso in cui le barriere vengono chiuse, periodo fine estate - autunno; fase di cattura

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nel periodo fine autunno - inverno, durante il quale le barriere nell’impedire il ritorno degli animali in mare aperto si trasformavano in “lavorieri” per la pesca degli animali di taglia

commerciale che

naturalmente cercavano di guadagnare il mare aperto. In questo modo non si può avere un controllo delle specie che sono catturate, anzi la biocenosi che naturalmente si determina nel bacino della valle costituisce la vera ricchezza in termini di sostenibilità, favorendo la formazione di una policoltura naturale, in cui si producono sia specie di elevato valore commerciale (spigole, orate, cefali e anguille), sia specie che, sebbene di minore interesse di mercato, rappresentano le prede di cui si alimentano le specie carnivore più apprezzate.

In seguito, con la pratica della pesca del novellame e della riproduzione in avannotteria, sono diventate possibili le semine di avannotti, al fine di integrare l’abbondanza di specie pregiate peraltro già presenti nella laguna. Tuttora, a partire dagli anni ’60 per la spigola e dagli ’80 per l’orata, questa pratica, almeno per quanto riguarda queste due specie, è stata affiancata alla gestione della valle e ha contribuito in modo importante all’economia dell’impresa dell’acquacoltura estensiva.

Il nutrimento per le specie allevate è costituito esclusivamente o comunque in prevalenza dalle risorse trofiche già presenti naturalmente nell’ambiente di allevamento, mentre l’allevatore fornisce unicamente un’integrazione alimentare, soprattutto attraverso delle concimazioni che enfatizzano la produzione naturale d’invertebrati: protozoi, insetti, molluschi, anellidi ecc.

L’intervento antropico principale che si svolge nella valle è il controllo idraulico, che viene effettuato tramite realizzazione di idonee canalizzazioni che regimano sia le maree, che permettono l’afflusso dell’acqua di mare, sia il deflusso, che favorisce l’ingresso in

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valle delle acque dolci. Inoltre, possono essere realizzati a fianco alle lagune dei bacini di acqua dolce, utili per lo svernamento dei pesci adulti ma non ancora pronti per la vendita. Un’altra pratica è il controllo dei predatori, in particolar modo degli uccelli marini ittiofagi, contro i quali si agisce in modo sostenibile con reti anti uccello, emissione di suoni terrificanti ad imitazione dei rispettivi predatori (ad esempio nibbio, poiana, falco pellegrino).

I vantaggi dell’acquacoltura estensiva sono in primo luogo la preservazione della biodiversità e dell’ambiente costiero, che viene sottratto a scenari più antropizzati come quello degli stabilimenti balneari. Inoltre, la qualità del prodotto ottenuto è molto elevata, anche se tuttora il mercato ittico non consente una distinzione del prodotto sulla base delle caratteristiche di pregio, ad esempio il minor contenuto di grassi, maggiore consistenza delle carni, gusto più intenso, che si ottiene con alimentazione naturale e tempi di allevamento più lunghi, in contrapposizione ad un’alimentazione ricca di grassi e alla rapidità del ciclo produttivo dell’allevamento intensivo. La produttività della valle è invece molto scarsa, in media, in area Nord-mediterranea di 50-150 kg/ha/anno di produzione totale, di cui 30-60 kg di spigola ed orata insieme, con l’ottenimento di spigole di 400-500 g in circa 36 mesi e orate commerciabili di 350 g in 20 mesi, e quindi la remunerazione è bassa anche a fronte dei bassi costi di mantenimento dell’attività; infine, bisogna considerare l’attività di predazione e disturbo da parte degli uccelli marini che possono procurare ingenti danni.

Tuttavia, il valore economico di questa forma d’impresa gli può consentire l’affermazione sul mercato. Infatti, i “prodotti di valle” spuntano sempre un prezzo maggiore sul mercato rispetto ai prodotti della concorrenza degli allevamenti intensivi. Inoltre, i costi di esercizio sono necessariamente contenuti, cui si aggiunge anche la possibilità che attraverso lo smaltimento delle deiezioni animali (concimazioni organiche della valle), si ottenga sia un reddito aggiuntivo diretto (esempio i liquami della suinicoltura o le deiezioni della avicoltura intensiva), sia perché con le concimazioni della valle si ottiene una maggiore produttività dell’allevamento, il tutto favorendo la sostenibilità ambientale.

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