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Lotta politica e per il potere nei principati di Domiziano e Nerva. Crisi dinastiche, complotti, strategie occulte: le oscure radici del "saeculum aureum"

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Academic year: 2021

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(1)Indice. Introduzione.................................................................................................................... 3 Capitolo I - Il regno di Domiziano: le ragioni del dissenso......................................... 8 1. Una fronda giudaico – cristiana? .............................................................................. 8 2. La cosiddetta opposizione senatoria ....................................................................... 18 3. Altre probabili ragioni del dissenso: la gestione delle finanze............................... 25 4. L’amministrazione delle province .......................................................................... 39 5. Domiziano e l’avanzamento delle carriere senatorie: rotture e continuità ............. 44 6. Le “carenze” diplomatiche del princeps................................................................. 54 Capitolo II - Il regno di Domiziano: cronaca di una fine annunciata?.................... 58 1. Una questione dinastica? ........................................................................................ 58 2. Scandali e complotti. I primi anni (81 – 85 d.C.) ................................................... 61 2.1. Iniziali segni di tensione .................................................................................. 61 2.2. Domitia Longina, Domitii Corbulonis filia, e le sue influenti alleanze .......... 67 2.3. Gli eventi antecedenti al matrimonio “imperiale”........................................... 89 2.4. Intrighi di corte: il temporaneo allontanamento di Domitia Longina, la presunta congiura dell’83, le ricompense dell’85................................................... 99 3. Complotti e sollevazioni militari. La fase centrale del regno (86 – 90). .............. 114 3.1. La misteriosa congiura dell’87 ...................................................................... 115 3.2. Sallustius Lucullus......................................................................................... 120 3.4. La sollevazione di L. Antonius Saturninus.................................................... 136 4. La fase finale del principato. La riemersione della questione dinastica (90 – 96) 157 4.1. Mettius Pompusianus (giustiziato 91) ........................................................... 159 4.2. L. Salvius Otho Cocceianus (giustiziato post 91: 93?)................................. 166 4.3. Ser. Cornelius Scipio Salvidienus Orfitus (esiliato 93? – giustiziato 93/94?)167 4.4. M’ Acilius Glabrio (esiliato 91 – giustiziato 95)........................................... 170 4.5. L. Aelius Lamia Plautius Aelianus (giustiziato 95?)..................................... 173 4.6. I fatti dell’anno 93 e la cosiddetta “opposizione filosofica” ......................... 175 5. Una coalizione antidomizianea come risposta a una crisi dinastica? ................... 187 6. La congiura ........................................................................................................... 195 6.1. Gli esecutori materiali ................................................................................... 195 6.2. Nerva ............................................................................................................. 197 6.3. Depistaggi...................................................................................................... 200 6.4. “Eminenze grige” .......................................................................................... 203 6.5. Il coinvolgimento di Domitia Longina .......................................................... 221 6.6. La Guardia Pretoriana.................................................................................... 226 Capitolo III - I comandi provinciali e la centralità strategica del Danubio .......... 229 1. Lo scenario militare danubiano ............................................................................ 229 2. Cn. Pompeius Longinus: origine e relazioni familiari.......................................... 238 3. Cn. Pompeius Longinus: la carriera ..................................................................... 246 4. I fatti del 96 – 97: Cn. Pompeius Longinus, un amicus Traiani?......................... 253 5. Gli ambigui rapporti con il nuovo princeps ......................................................... 255. 1.

(2) 6. Le ragioni del sospetto: la guerra segreta per la successione tra umori legionari e candidati “ombra”..................................................................................................... 262 7. Il caso di L. Caesennius Sospes............................................................................ 273 8. La condotta degli ufficiali: i governatori provinciali nel biennio 96 – 98............ 276 9. Cetera utcumque facilius dissimulari, ducis boni imperatoriam virtutem esse ... 317 Capitolo IV - Imperium quasi depositum. Il ruolo della diplomazia senatoria nell’adozione di Traiano ............................................................................................ 325 1. Libertas restituta? ................................................................................................ 329 2. Un Senato diviso: fazioni a confronto .................................................................. 335 3. Una compagine promettente: le Partes Traiani ................................................... 357 4. La cosiddetta adozione di Traiano. Alcune ipotesi moderne ............................... 369 5. “Deponas an partiaris imperium?”: la cosiddetta adozione di Traiano. Una possibile ricostruzione. ............................................................................................. 376 5.1. L’influenza del “circolo di Traiano” e le assegnazioni provinciali degli “uomini del Reno” ................................................................................................ 376 5.2. Una “deriva estremista”: la congiura di Calpurnius Crassus Frugi ............... 383 5.3. La sollevazione delle coorti pretorie e l’enigma di Casperius Aelianus ....... 393 6. Breve cronologia degli avvenimenti dal 18 settembre 96 al 27 gennaio 98......... 412 Conclusioni.................................................................................................................. 413 Bibliografia generale .................................................................................................. 427 Appendice.................................................................................................................... 448 Tavola 1: le “liaisons dangereuses” di Domitius Corbulo e della sua famiglia....... 449 Tavola 2: lo stemma dei Flavi .................................................................................. 450 Tavola 3: il network di Traiano ............................................................................ 451. 2.

(3) Introduzione. Il 18 settembre dell'anno 96 d.C., intorno all'ora quinta, l'imperatore Tito Flavio Domiziano viene assassinato nelle sue stanze, trucidato da 7 pugnalate. A compiere materialmente l'azione sono domestici di palazzo e anonimi frequentatori della corte, guidati dal cubicularius Parthenius e dal liberto Stefanus. I congiurati hanno già pronto un successore: si tratta dell'anziano senatore Marco Cocceio Nerva, che in meno di 24 ore riceve l'acclamazione della Guardia Pretoriana e la ratifica dei poteri dal Senato. Domiziano paga il suo atteggiamento dispotico, la sua saevitia, che negli ultimi anni aveva mietuto vittime anche tra innocenti e galantuomini. A decretare la sua condanna a morte comunque, sarebbero state però le due ultime, inspiegabili esecuzioni: quelle ai danni del liberto Epaphroditus, beniamino della corte flavia da trent'anni, e di Flavius Clemens, cugino e cognato dell'imperatore nonché padre dei futuri eredi designati alla porpora, gli ancora fanciulli Tito Flavio Domiziano e Tito Flavio Vespasiano1. Questi gli unici fatti accertati relativi alla morte del tiranno e agli ultimi anni del suo regno; il resto si riduce, per usare le parole di Ronald Syme, “a poco più che alle abitudini del tiranno, all’elenco delle sue scelleratezze, e alla lista delle sue vittime, con accuse casuali o di poco conto per spiegare il loro fato”2. Tuttavia, per una comprensione migliore degli eventi che precedettero immediatamente e che, a detta delle fonti, determinarono la congiura, occorrerà preliminarmente 1 2. Per qualsiasi informazione relativa alla congiura, si veda infra, capitolo II. R. Syme, Tacito, Brescia 1967 (ed. orig. London 1958), p. 782.. 3.

(4) delineare un quadro quanto più possibile esaustivo delle relazioni intercorrenti tra Domiziano e i vari protagonisti della politica del tempo. Molto si è scritto su questo argomento, e a più riprese gli studiosi moderni si sono interrogati sulle ragioni della dannazione postuma dell’ultimo flavio, in particolare dopo che le ricerche, a partire dal lavoro dello Gsell, ne hanno rivalutato consistentemente non solo l’operato in ambito amministrativo, economico e militare, ma anche la condotta diplomatica e l’attitudine nei confronti del Senato3. Nel meno lusinghiero dei termini, Domiziano non sembra essere stato un autocrate peggiore di alcuni illustri predecessori, come Tiberio, Gaio o Nerone, che non godettero certo delle simpatie degli storici e dei commentatori dell’epoca. Eppure mai come nel suo caso la condanna fu più radicale, assoluta, e pervicacemente duratura; senza contare l’unanime, e prevedibile, accanimento delle fonti letterarie, dobbiamo constatare come persino gli effetti della damnatio memoriae decretata dal Senato abbiano avuto un’estensione e un’incidenza enormemente superiori rispetto ai risultati riscontrati in occasione di simili provvedimenti contro altri imperatori: nel caso di Nerone, ad esempio, la cui accusa di perduellio esponeva le testimonianze epigrafiche e monumentali della sua esistenza al rischio di un’infamante abolitio, sul totale delle iscrizioni registrate nell’Année Epigraphique soltanto l’11, 9 % presenta erasione; per Domiziano si arriva al 35,2 %. Analoghe percentuali emergono dal sondaggio dei documenti collezionati nel Corpus Inscriptionum Latinarum4. Non solo; fino a quando le condanne postume ebbero un effettivo valore politico, ovvero fino all’inizio della fase della cosiddetta anarchia militare, quando cominciarono ad essere applicate regolarmente da ogni princeps nei confronti del proprio predecessore, le 3. Forniamo qui di seguito un sommario elenco dei più celebri studi aventi ad oggetto la “riabilitazione” di Domiziano; studi di carattere generale: S. Gsell, Essai sur le règne de l’Empereur Domitien, Paris 1894; K.H. Waters, The Character of Domitian, Phoenix 18 (1964), pp. 49 – 77; Id., Traianus Domitiani Continuator, AJPh 90 (1969), pp. 385 – 405; B.W. Jones, The Emperor Domitian, London – New York 1992; J.-M. Pailler e R. Sablayrolles (edd.), Les Années Domitien. Colloque organisé à l’Université de Toulouse – Le Mirail, Toulouse 1992; studi sulla politica finanziaria: R. Syme, The imperial Finances under Domitian, Nerva and Trajan, JRS 20 (1930), pp. 55 – 70; più equilibrato in tal senso il lavoro di I.A. Carradice, Coinage and Finances in the Reign of Domitian A.D. 81 – 96, BAR International Series 178, Oxford 1983; ricerche sull’amministrazione delle province: H. W. Pleket, Domitian, the Senate and the Provinces, Mnemosyne 14 (1961), pp. 296 – 315; contra P.A. Brunt, Charges of provincial maladministration under the Early Principate, Historia 10 (1961), pp. 189 – 227; B. Levick, Domitian and the Provinces, Latomus 41 (1982), pp. 50 – 73; studi prosopografici sui rapporti col senato: B.W. Jones, Domitian and the Senatorial order: a prosopographical study of the Domitian’s relationships with the Senate, Philadelphia 1979. 4 Escludendo dall’inventario le iscrizioni dell’instrumentum domesticum e i diplomi militari, e quindi tenendo conto unicamente dei libri relativi all’Italia e alle province (CIL II, III, V, VII, IX, XIV), recensiamo 8 iscrizioni martellate su 72 per quanto riguarda Nerone (11 %), e 28 iscrizioni erase su 82 per Domiziano (34 %): J.-M. Pailler e R. Sablayrolles, Damnatio memoriae: une vraie perpétuité, in Idd. (edd.), op. cit. 1992, pp. 14 – 15 e n. Decisamente irrinunciabile sull’argomento dell’abolitio memoriae di Domiziano è senza dubbio il lavoro di A. Martin, La titulature épigraphique de Domitien, Frankfurt am Main 1987.. 4.

(5) circostanze politiche e storiche contribuirono pressoché in tutti i casi ad attenuare l’entità di ciascuna damnatio: Commodo ad esempio, fu riabilitato da Settimio Severo, che lo designò come proprio frater, al fine di legittimare una diretta discendenza dagli Antonini; Elagabalo subì in effetti una condanna post mortem radicale, ma le ragioni di quest’ultima dovrebbero piuttosto ricercarsi in una crisi di rigetto culturale e ideologica, e in ogni caso l’appena adolescente sacerdote di Emesa lasciò una ben effimera impronta nella politica romana. Insomma, Domiziano, non fu solo il primo a subire nel più pieno senso dell’espressione questo affronto alla memoria, ma fu probabilmente anche colui che ne pagò gli effetti nella maniera più completa. Si è spesso sottolineato come sia un fattore storico ricorrente che l’ultimo esponente di una dinastia paghi un tributo maggiore in termini di discredito e diffamazione postuma: era una pratica comune per i nuovi arrivati misurare i propri meriti e la propria eccellenza attraverso il confronto con i demeriti e l’indegnità degli immediati predecessori. Un’analisi comparativa di casi analoghi a quello del calvus Nero ci spinge però ad un’ulteriore considerazione: la morte di Nerone e quella di Commodo scatenarono una reazione a catena che presto deflagrò in guerra civile; le necessità di ricomposizione diplomatica successive condussero all’attenuazione della condanna del passato regime o addirittura alla sua totale riabilitazione. Domiziano non ebbe altrettanta fortuna; e la ragione potrebbe risiedere proprio nella particolare contingenza storica che seguì al suo omicidio: non vi fu guerra civile. La classe dirigente formatasi e ascesa agli honores sotto i Flavi dovette allora fare i conti direttamente col suo passato, attraverso un percorso di reticenze e ambiguità in mezzo alle quali lo storico moderno fatica enormemente a districarsi. Questo processo, apparentemente pacifico e indolore, dovette invece determinare opportunistiche scelte di campo e imbarazzanti voltafaccia, e impose il sacrificio (politico, s’intende) di molte vittime in nome del nuovo corso e della completa revisione storica del passato. Saremmo tentati di far coincidere questa fase con il regno di Nerva, che in questa prospettiva si rivela di estrema importanza anche per una migliore comprensione delle ragioni della crisi del principato domizianeo, nonché della natura e delle caratteristiche della fronda politica sotto l’ultimo Flavio. Nel capitolo II ci occuperemo di analizzare i rapporti di Domiziano con le varie componenti della classe dirigente imperiale e della corte, ripercorrendo le tappe più critiche del suo principato, esaminando nel dettaglio le liste delle sue vittime e, laddove possibile, le cause reali delle trame eversive ordite ai suoi danni; tutto questo allo scopo 5.

(6) di individuare dei denominatori comuni della lotta politica e dell’opposizione al regime del figlio di Vespasiano. Solo in tal modo, a nostro avviso, sarà possibile avanzare verosimili ipotesi circa la composizione e la natura della cospirazione che tolse di mezzo l’imperatore. Uno degli elementi più problematici nello studio del principato domizianeo consiste proprio nell’individuazione delle ragioni dell’impopolarità del sovrano presso la classe dirigente, e del conseguente allargamento della fronda antiimperiale; in stretta relazione con esso, la definizione di una cronologia attendibile del processo degenerativo che portò all’assassinio del princeps, spesso accompagnata dall’identificazione di un momento decisivo, un salto di qualità nelle pratiche eversive che avrebbe spinto l’imperatore a una svolta autoritaria. Riteniamo assai difficile, se non impossibile, pervenire a una risposta credibile a tali problemi focalizzando l’attenzione sul solo regno di Domiziano, non foss’altro per la completa e capillare opera di mistificazione postuma messa in atto ai suoi danni da intellettuali e storici di estrazione senatoria. Uno degli obiettivi del capitolo IV, che avrà come oggetto principale la reggenza di Nerva, sarà appunto quello di spiegare l’impareggiabile sfortuna postuma dell’ultimo Flavio alla luce dei conflitti e delle tensioni politiche che animeranno il biennio 96 – 98. Nel capitolo III analizzeremo il riverbero di queste tensioni sugli equilibri dei comandi provinciali e sugli umori dei soldati. A questo proposito, è ormai opinione comune degli studiosi che vi fu continuità, di personale e di scelte di governo, tra i regni di Domiziano, di Nerva, e di Traiano; in effetti la congiura contro il figlio di Vespasiano fu, come vedremo, manovrata da insigni membri della classe dirigente formatasi proprio durante l’età flavia; ma come spiegare allora la freddezza dei rapporti tra Nerva e Traiano, in teoria due espressioni di questa continuità con la monarchia flavia? Come spiegare la rivolta pretoriana dell’ottobre 97? Se questa fu soltanto un episodico rigurgito di lealismo dei soldati verso la memoria del loro defunto benefattore, perché non avvenne prima, immediatamente dopo la congiura? Come interpretare l’ammissione di Plinio che la decisione di Nerva di adottare Traiano equivaleva a un’abdicazione5? Come rendere ragione di questi e di tutti gli altri indizi, che rafforzano in noi la sensazione che a Roma e nelle province, in quel breve e ambiguo periodo tra la morte di Domiziano e l’ascesa di Traiano, abbia avuto luogo non un pacifico passaggio di consegne tra un modello di principato ormai superato e uno. 5. Plin. Pan. 8.4: nam quantulum refert, deponas an partiaris imperium?. 6.

(7) “aureo”, ma un oscuro e sotterraneo conflitto per il potere assoluto? A questi interrogativi si cercherà di dare una risposta appunto nei capitoli III e IV. Resta comunque il fatto che reali fattori di conflittualità tra il figlio di Vespasiano e l’establishment dovettero necessariamente esistere; ragion per cui nel prossimo capitolo offriremo una panoramica delle ipotesi elaborate dagli storici moderni su questo argomento, cercando di sgombrare il campo, dove possibile, da interpretazioni a nostro avviso eccessivamente condizionate dall’ossequio a certi schemi radicati e sedimentati nella storiografia e nella tradizione antiche.. 7.

(8) Capitolo I Il regno di Domiziano: le ragioni del dissenso. Nel corso dell’ultimo secolo, sulla spinta di una generale rivalutazione dell’operato e della figura di Domiziano, molti studiosi si sono sforzati di rileggere il suo principato con un approccio meno “ideologico”. Ciò però ha condotto la maggior parte di essi a scontrarsi con il dato incontestabile dell’ostilità violenta della classe dirigente nei confronti dell’ultimo flavio, e del tragico esito di questo conflitto. Sono state quindi elaborate svariate ipotesi per spiegare questa situazione. Qui di seguito ne propongo una sintesi.. 1. Una fronda giudaico – cristiana? Per quanto attiene alla prima congettura, è d’uopo premettere che, se è possibile ravvisare qualche indizio di ostilità tra l’imperatore e gli adepti del culto giudaico, e se esistono tracce, nei resoconti delle fonti, di coinvolgimento di soggetti così caratterizzati in azioni eversive, e probabilmente anche nella congiura riuscita del 96, ciò non vale assolutamente per i Cristiani; nonostante alcune allusioni di Plinio lascino supporre precedenti non lontani nell’istituzione di processi a carico di questa minoranza1, la notizia di una vera e propria persecuzione messa in atto da Domiziano, o della presunta confessione cristiana di due o addirittura tre illustri vittime del tiranno, ovvero Acilius. 1. Plin. Ep. X, 96: cognitionibus de Christianis interfui numquam.. 8.

(9) Glabrio, Flavius Clemens e Flavia Domitilla, è completamente destituita di fondamento, e frutto di un’elaborazione molto tarda2. Decisamente differente la situazione per quanto riguarda la comunità ebraica: essa costituiva una realtà ben affermata e riconosciuta nell’Impero, e presente anche nella capitale; vi sono parecchie testimonianze letterarie di un diffuso antisemitismo nella classe dirigente romana, da Cicerone a Tacito3 (anche se è doveroso guardarsi dal. 2. Il primo accenno alla questione risale a Cassio Dione (67.14.3), il quale, riferendosi ai capi d’accusa nei confronti dei tre condannati, parla di 

(10)   (“reato d’ateismo”), aggiungendo che in tale fattispecie rientravano abitualmente i casi di soggetti che “cadevano nei costumi giudaici” (       ). Il fraintendimento è dovuto a un passaggio dell’Historia Ecclesiastica, nel quale Eusebio afferma che nel quindicesimo anno del regno di Domiziano (95 d.C.) scoppiò una violenta persecuzione nei confronti dei Cristiani, di cui fu vittima la stessa Flavia Domitilla (Eus. Hist. Eccl. 3, 18.4). Il vescovo di Cesarea non fa menzione di condanne a Glabrio e a Clemens, definisce Domitilla come cugina e non moglie del console ordinario dell’anno, e indica Ponza come meta dell’esilio. La notizia venne ripresa senza variazioni da Gerolamo, Chron. ed. Helm p. 192. Orosio (Hist. adv. pag. 7.10) rincara la dose, accusando l’imperatore di aver addirittura emanato un editto di persecuzione. Il primo a menzionare Clemens tra le vittime dell’intolleranza del despota è Sincello, il quale aggiunge che il cugino di Domiziano fu condannato  ! "# $ (Chronographia ed. L. Dindorf, vol. I, p. 650), mentre Flavia Domitilla, sua nipote, fu esiliata a Ponza. Si arriva così alla codificazione definitiva di questa fasulla tradizione, ad opera del cardinal Cesare Baronio, autore (tra il 1588 e il 1607) dei cosiddetti Annales Ecclesiastici. Ispirato dal furore ideologico tridentino, l’autorevole gesuita non si fa scrupoli a collegare l’esecuzione di Flavius Clemens e Domitilla con una più generale persecuzione contro i Cristiani; è inoltre il primo a postulare l’esistenza di due vittime di Domiziano chiamate Domitilla, nel tentativo di mettere accordo tra le fonti cristiane tardoantiche (Ann. Eccl. 4.586). Come si può osservare, le fonti antiche non menzionano in alcun passaggio i Cristiani, né tantomeno si fa riferimento a provvedimenti di carattere generale decisi dall’imperatore ai danni di questa nuova setta. Ogni collegamento o riferimento tra il fatto storico (la condanna di Clemens e Domitilla) e una presunta persecuzione viene compiuto in età molto tarda. Le uniche tracce documentarie di un possibile legame tra le vittime del 95 e la confessione cristiana, di natura archeologica, furono gli epitaffi dedicati ad alcuni Acilii, tra cui un Glabrio, ritrovati nelle catacombe di Priscilla, lungo la via Salaria. In essi il loro scopritore, G.B. De Rossi, credette di vedere una prova spettacolare della precoce conversione di questa famiglia. Tuttavia un esame più accurato della provenienza di tali iscrizioni, ha dimostrato che esse caddero nell’ipogeo dalle tombe della famiglia collocate in superficie, togliendo ogni validità a questo argomento (la bibliografia sull’argomento è vastissima; ci limitiamo a ricordare i lavori più importanti: G.B. De Rossi, L’ipogeo degli Acilii Glabriones nel cimitero di Priscilla, BAC 5, 1888 – 1889, pp. 15 – 133; corretto da P. Styger, L’origine del cimitero di Priscilla sulla via Salaria, Collectanea teologica publ. a soc. theol. Polonorum 12, 1931, pp. 5 – 74, e F. Tolotti, Le cimetière de Priscilla: synthèse d’une recherche, Rev. Hist. Eccles. 73, 1978, pp. 281 – 314). Nonostante ciò, molti studiosi moderni hanno sostenuto che Domiziano fosse un persecutore di Cristiani; in particolare, M. Sordi, La persecuzione di Domiziano, RSCI 14 (1960), pp. 1 – 26; Id., I Flavi ed il Cristianesimo, in Atti del Congresso internazionale di Studi Vespasiani, Rieti 1981, pp. 137 – 152; Id. , Il Cristianesimo nella cultura romana dell’età postflavia, CCC 6 (1985), pp. 99 – 117; P. Keresztes, The Jews, the Christians and the Emperor Domitian, VChr 27 (1973), pp. 1 – 28; P. Pergola, La condamnation des Flaviens Chrétiens sous Domitien: persecution réligieuse ou répression à caractère politique?, MEFR 90 (1978), pp. 407 – 423. Contra, M. Stern, Greek and Latin authors on Jews and Judaism, vol. II From Tacitus to Simplicius, Jerusalem 1980, p. 382, che dimostra quanto sia improbabile che le fonti cristiane antiche si siano lasciate sfuggire l’occasione di menzionare il martirio di un console; dello stesso avviso anche S. Cappelletti, The Jewish community of Rome: from the second century B.C. to the third century C.E., Leiden 2006, p. 132; fortemente critico verso le posizioni degli assertori della realtà storica di una persecuzione domizianea è poi B.W. Jones, op. cit. 1992, pp. 114 – 117. Per un ritratto più approfondito del cardinale Baronio, si veda S. Ronchey, Gli atti dei martiri tra politica e letteratura, in AA. VV., Storia di Roma, vol. III**, pp. 797 – 801. 3 Cic. Pro Flacco 67; Tac. Hist. 5.5; un palese disprezzo verso i costumi giudaici appare frequentemente in molti autori vissuti e operanti in età flavia; difficile negare che anche il princeps condividesse in linea generale questa ostilità; si veda ad es. Mart., Epigr. 7.55, 82; Iuv. Sat. 14. 96 – 106.. 9.

(11) cadere nella tentazione di dare a tali giudizi un peso maggiore di quello che avessero nelle intenzioni dei loro autori) e lo stesso Domiziano, nel suo rigido perseguimento di un programma di restaurazione del culto romano, non doveva esserne esente4; inoltre nei confronti della dinastia regnante la comunità ebraica non doveva certo nutrire un’incondizionata fiducia, considerati i drammatici precedenti (la distruzione del Tempio ad opera di Tito, la feroce repressione della rivolta del 67 – 70, la condanna e l’esecuzione, nel 73, di 3000 membri dell’aristocrazia giudaica di Cirene ad opera dell’allora proconsole. Valerius. Catullus. Messalinus5,. divenuto. poi. membro. influentissimo del consilium di Domiziano); questo era ancor più vero nel caso del suo ultimo rappresentante; lo dimostra anche la duplice versione redatta da Flavio Giuseppe sulla morte di Gaio: mentre nel Bellum Iudaicum il principe Agrippa I è lasciato relativamente in ombra, nelle Antichità giudaiche, scritte durante il regno di Domiziano, questi assume un ruolo di primo piano nella tutela degli interessi di Claudio e dell’opzione monarchica. In tal modo l’autore voleva forse offrire un’immagine lealista della leadership ebraica, non giustificabile se non in relazione al consapevole intento di smorzare l’ostilità dell’imperatore. Ancora più chiaro e inquietante in tal senso è il monito contenuto nell’esordio del suddetto resoconto, laddove Flavio Giuseppe tiene a precisare le ragioni che lo hanno indotto a dilungarsi in tal misura sulla congiura: fra queste la convinzione che l’assassinio di Gaio fosse la prova dell’implacabile giustizia divina, pronta a punire ogni oltraggio ed ogni violenza al popolo giudaico6( ammesso e non concesso che un cliente di Vespasiano, legato a doppio filo alla dinastia flavia, e tacciato dai suoi stessi compatrioti di collaborazionismo, potesse lasciarsi sfuggire minacciosi, per quanto velati, presagi, senza tema d’essere punito). Se a questi elementi aggiungiamo la notizia, riportata da Svetonio7, della rigidissima, spesso crudele, riscossione del Fiscus Iudaicus, oltre alle ben note vicissitudini degli eminenti senatori e cortigiani coinvolti nei processi per ateismo, è facile cadere nella tentazione di individuare una pianificata attività persecutoria nelle ultime fasi del principato domizianeo8, che ben si adatta al ritratto del tiranno responsabile dell’esilio di filosofi e 4. M.H. Williams, Domitian, the Jews and the Judaizers: a simple matter of Cupiditas and Maiestas?, Historia 39 (1990), pp. 209, 211; B.W. Jones, op.cit. 1992, p. 117. 5 Fl. Ios. Bell. Iud. 7.437 6 Fl. Ios. Ant. Iud. 19.15 – 16. E’ peraltro sorprendente l’estensione del resoconto sulla morte di Gaio nelle Antiquitates Iudaicae (circa 260 capitoli, fino al 273), opera compiuta intorno al 93 – 94, rispetto al breve accenno contenuto nel Bellum Iudaicum, scritto in età vespasianea (solo 4 paragrafi, nel II libro, da 205 a 209). 7 Suet. Dom. 12.2 8 Suggestione alla quale sembrano inclini R. Syme, op. cit. 1930, p. 67 n.2 (“... the ruthless exaction of the Fiscus Iudaicus is not a mere by-product of financial straits, but is something very much like a. 10.

(12) oppositori: un nemico della Libertas insomma, sotto qualsiasi forma si presentasse. Da qui poi a supporre un attivo coinvolgimento di alcuni elementi filogiudaici nelle trame dell’opposizione e quindi nella congiura, quale reazione alla persecuzione, il passo è breve. In effetti, quanti sostengono quest’ipotesi, sono poi indotti a immaginare che la cospirazione sia stata l’esito inevitabile di una radicalizzazione del conflitto tra l’imperatore e coloro che da costui erano oppressi: nel caso specifico, gli esponenti dell’opposizione filosofica e alcuni adepti del culto giudaico9. Questa logica d’indagine è però fuorviante e arbitraria, e perde di vista il contesto storico – politico in cui si svolsero i fatti. E’ peraltro ragionevole supporre che il culto giudaico avesse attecchito nella corte imperiale e che contasse proseliti anche tra i membri più eminenti dell’establishment; non si dimentichino l’appoggio offerto alle Partes Flavianae dai dinasti di Palestina M. Iulius Agrippa II e Berenice10, nel corso della guerra civile, e l’antica eredità di vincoli familiari e clientelari, che li univa al principato sin dall’età giulio – claudia11; la stessa Berenice, ci trasmettono le fonti, apertamente ammirata da Vespasiano, sarebbe arrivata a un passo dal matrimonio con Tito12. Non solo; il riferimento di alcune fonti talmudiche a un fedele di nome Onkelos, figlio di un Kalonikos o Kalonymos e nipote di Tito13, sottrattosi per tre volte all’arresto da parte dell’imperatore, potrebbe confermare la notizia di Dione14 sulla confessione giudaica di Clemens, in virtù di una vaga assonanza tra il nome Clemens e Kalonymos; e il Talmud babilonese attesta l’esistenza di un senatore di nome Keti’ah bar Shalom che, convertitosi al giudaismo assieme alla moglie, sarebbe stato condannato a morte. Della persecution”), nonché M.H. Williams, op. cit. 1990, p. 211. Meno convinto del carattere esplicitamente persecutorio del provvedimento, B.W. Jones, op.cit. 1992, p. 118. 9 Vedi, ad esempio, S. Applebaum, Domitian’s assassination: the jewish aspect, SCI 1 (1974), p. 119: “The importance of the philosophic opposition at Rome in this period may have been understimated”; cfr. anche S. Rossi, La cosiddetta persecuzione di Domiziano. Esame delle testimonianze, GIF 15 ( 1962), pp. 303 – 341. 10 J. Nicols, Vespasian and the Partes Flavianae, Historia Einzelschriften 28 (1978), pp. 128 – 129, descrive in maniera esaustiva i meriti dei due fratelli reali verso le ambizioni di Vespasiano, riassumendo con completezza i riferimenti delle fonti all’argomento. 11 Agrippa II era figlio di Erode Agrippa, amico fraterno di Caligola, nonché membro riconosciuto del cosiddetto “circolo di Germanico”, che gravitava attorno alla figura di Antonia Minor e riuniva alcuni dei più importanti dinasti orientali clienti di Antonio il triumviro. Di questo influentissimo gruppo facevano parte anche esponenti delle familiae novae più intraprendenti, come L. Vitellius, padre del futuro imperatore, ter consul e collega nella censura di Claudio, e come Vespasiano – il quale, non dimentichiamolo, visse per molto tempo, dopo la morte della moglie, in concubinato con Antonia Caenis, collaboratrice di origine libertina di Antonia Minor. Iulius Agrippa II, alla morte del padre (a. 44), fu cresciuto alla corte di Claudio (Fl. Ios. Ant. Iud. 19.360). 12 Tac. Hist. II, 2; Suet. Titus 7; sugli apprezzamenti di Vespasiano, Tac. Hist. II, 81. La principessa era stata anche moglie di M. Iulius Alexander, fratello di Ti. Iulius Alexander, prefetto d’Egitto e grande sostenitore di Vespasiano (Fl. Ios. XIX, 276 – 277). 13 BT Gittim 56b; BT Avodah Zarah 11a. Cfr. anche E.M. Smallwood, Domitian’s attitude to the Jews and the Judaism, CPh 51 (1956), p. 8 n. 35 14 Dio. 67.14.2. 11.

(13) medesima provenienza la notizia che un senatore “timorato di Dio” avrebbe avvisato una delegazione di rabbini in visita a Roma di un imminente decreto dell’imperatore, mirante all’espulsione di tutti gli Ebrei dall’impero: potrebbe trattarsi proprio del Keti’ah bar Shalom cui si è appena accennato15. La stessa Domitilla, moglie di Flavius Clemens, traeva il suo nome dalla nonna, Flavia Domitilla, moglie di Vespasiano, ma amante, prima del matrimonio, di una cavaliere della punica Sabratha16. Tra i rei di ateismo in quanto proseliti del giudaismo, lo abbiamo ricordato, c’era poi M’. Acilius Glabrio, console ordinario nel 91: costretto ad affrontare un leone nella Villa Albana fu poi messo a morte17. S. Applebaum ipotizza che anche altri personaggi di spicco della corte fossero convertiti, come ad esempio il prefetto del pretorio Petronius Secundus, o L. Aelius Lamia Plautius Aelianus18, ma le argomentazioni addotte sono tutt’altro che convincenti. Lo studioso quindi prende in considerazione la figura di Epitteto, esiliato nell’89 da Domiziano assieme a Demetrio il cinico e Apollonio di Tyana, sottolineandone il ruolo di mediatore tra giudaismo e opposizione filosofica al principato, quale prova della penetrazione di questo credo nell’alta società romana, in particolare come collante ideologico del gruppo degli “scontenti”: attraverso l’opera di alcuni intellettuali il giudaismo si sarebbe dunque diffuso a Roma catalizzando, almeno nei ceti più elevati, le istanze dell’ormai esausta fronda antitirannica19. Ma anche ammettendo una tale impostazione, è difficilmente dimostrabile un collegamento tra i cosiddetti martiri pagani convertiti al giudaismo (Glabrio, Clemens, Domitilla) e un più ampio fronte d’opposizione al tiranno; e se pure alcuni elementi filogiudaici presero 15. Su Keti’ah bar Shalom BT Avodah Zarah 10b; sulla delegazione rabbinica BT Sukkah 41b, BT Erubin 41b, Mishnà Shabbath 16:9, Mishnà Maasar Shenì 5:9. Vedi anche E.M. Smallwood, op. cit. 1956, p. 8 n. 36. 16 Suet. Vesp. 3; cfr. S. Applebaum, op. cit 1974., p. 116 n.: si potrebbe quindi supporre un’influenza semitica anche nella stessa famiglia flavia. 17 Dio. 67.14.3; Suet Dom. 10. Per un’analisi più approfondita della vicenda, infra. 18 Per quanto riguarda Petronius Secondus, Applebaum (op. cit. 1974, p. 117) sostiene che probabilmente egli fu cliente dell’eminente famiglia dei Petronii, in quanto eques; rifacendosi poi a un articolo di M. Stern, Simpathy for Judaism in Roman Senatorial Circles in the Period of the Early Empire, Zion 29 (1964), p. 155 e ss., lo studioso sostiene che proprio attraverso i contatti di questa gens, di cui sono state supposte simpatie filogiudaiche, egli avrebbe potuto avvicinarsi a tale credo. Inoltre, il suo incarico quale prefetto d’Egitto nel 92 potrebbe avergli offerto altrettante occasioni di relazione con le comunità ebraiche. Ancor meno convincente la motivazione relativa al presunto filogiudaismo di Aelius Lamia; la sua appartenenza alla famiglia dei Plautii, in merito alla quale si suppongono simpatie giudaiche, ne renderebbe probabile ipso facto il filogiudaismo. 19 S. Applebaum, op. cit. 1974, pp. 119 – 121, cita un paio di passi interessanti delle Dissertationes: in 4.7.6 Epitteto, in merito alla necessità di non temere il tiranno, sottolinea che, oltre alla mancanza di timore “giusta” (quella cioè motivata da una valutazione razionale), vi è anche una temerarietà irrazionale propria o dei folli o dei Galilei (termine con il quale il filosofo indicava non i cristiani bensì gli Ebrei Zeloti, i fanatici religiosi che furono protagonisti della rivolta del 67 – 70 e che furono massacrati dai Flavi, assurti ben presto a simbolo di coraggio soprannaturale alimentato dalla fede); in 1.22.4 Epitteto testimonia direttamente la diffusione del credo giudaico anche nell’alta società romana, dando peraltro prova di conoscerne assai bene i fondamenti rituali e concettuali.. 12.

(14) parte alle trame eversive, certo ciò non avvenne in difesa degli interessi delle comunità ebraiche dell’impero: a essere coinvolti furono tutt’al più maggiorenti di corte con legami col giudaismo; il carattere “filogiudaico” va inteso quindi essenzialmente come qualifica ideologico – culturale, peraltro limitata ai singoli, e non come fattore politico autonomo e attivamente operante20. Tutt’altro problema è quello del Fiscus Iudaicus e dei provvedimenti di Domiziano finalizzati a renderne più rigorosa la riscossione. L’argomento è tuttora oggetto di un dibattito molto vivace e svariate sono le posizioni degli studiosi, in particolare riguardo alla definizione dei bersagli principali dell’inasprimento fiscale, e di conseguenza alla comprensione delle ragioni del repentino rimedio portato da Nerva21 (testimoniato dalle emissioni monetali recanti la legenda FISCVS IVDAICVS CALVMNIA SVBLATA22). Sembra peraltro inammissibile un collegamento tra questo provvedimento di Domiziano e la condanna degli aristocratici colpevoli di condotta “giudaizzante” al fine di costruire un teorema su una presunta persecuzione della comunità ebraica. La natura stessa del tributo dimostra come il culto fosse tollerato e ammesso su basi legali a Roma. Da quanto si riesce a evincere in maniera inequivocabile dalle fonti23, all’ultimo flavio veniva rimproverata la crudeltà dei metodi di denuncia e identificazione dei trasgressori, più che un ampliamento delle categorie dei potenziali contribuenti24: l’assenza di un’adeguata procedura di verifica comunque, spesso era causa di abusi. Sembra però difficile che a cadere vittime di tali soprusi potessero essere gli appartenenti alle classi agiate, e tantomeno i senatori. Domiziano poteva essere un inflessibile, e indubbiamente crudele, autocrate, ma di sicuro non gli difettava il buon senso. E’ quindi da escludere che i processi intentati a Glabrio, Clemens e Domitilla, potessero essere in qualche. 20. A sostegno della sua tesi di una diffusione sempre più capillare e più decisamente connotata politicamente del giudaismo, in aperta opposizione alle tendenze autocratiche dei principi, Applebaum (op. cit. 1974, p. 122) cita anche un passo di Cassio Dione (69.13) in cui lo storico afferma come fossero molti gli aristocratici a fare causa comune con i Giudei in occasione della seconda rivolta; non sembra però che questo particolare abbia avuto molta eco nelle fonti antiche; non solo, fatta eccezione per la congiura dei quattro consolari all’inizio del regno di Adriano, non si ravvisa traccia di forti movimenti d’opposizione al principato durante l’era degli Antonini. 21 Cfr., ad es., M. Goodman, Nerva, the Fiscus Iudaicus and the Jewish Identity, JRS 79 (1989), pp. 40 – 44, M.H. Williams, op. cit. 1990, pp. 196 – 211, B.W. Jones, op. cit. 1992, pp. 117 – 119, S. Cappelletti, op. cit. 2006, pp. 124 – 130. 22 H. Mattingly, Coins of the Roman Empire in the British Museum III, London 1923, pp. 15 – 19 (d’ora in poi menzionato come BMC). 23 Suet. Dom. 12.2. 24 M.H. Williams, op. cit. 1990, p. 200: “there is no evidence in this passage (scil. Suet. Dom. 12.2) for any radical new fiscal iniziative by Domitian”. Così anche S. Cappelletti, op. cit. 2006, p. 130. Più possibilisti circa l’esistenza di categorie precedentemente risparmiate dalla riscossione, M. Goodman, op. cit. 1989, p. 40, e B.W. Jones, op. cit. 1992, p. 118.. 13.

(15) modo originati dall’applicazione del Fiscus Iudaicus25, e, di conseguenza, che l’intervento riparatorio di Nerva avesse in qualche modo a che vedere con i malumori diffusisi tra le classi agiate a causa di questo provvedimento. Sembra invece di ravvisare una stretta relazione, nel racconto di Cassio Dione, tra la condanna dei tre sotto Domiziano, e la successiva decisione di Nerva di vietare processi per maiestas e per “adozione di costumi giudaici”26. E’ chiaro il riferimento del secondo passaggio all’accusa di

(16)  riferita nel libro precedente: considerate le premesse giuridiche dell’applicazione del Fiscus Iudaicus, il caso in questione appare di natura completamente differente. E’ stato notato poi, che condanne a morte, all’esilio o all’espropriazione, come conseguenze di un’accusa di ateismo, sembrano assolutamente illegittime27, e si è ipotizzato che l’imputazione mossa a Clemens, alla moglie e a Glabrio fosse in realtà quella di #% ", termine abitualmente utilizzato dallo storico per tradurre il latino maiestas28. Tuttavia un’accusa di questo genere avrebbe potuto essere rivolta contro cittadini che rifiutassero di celebrare i culti pubblici, mentre i Giudei erano molto probabilmente esentati da queste cerimonie29. Il quadro della situazione è ulteriormente complicato dal fatto che sia Glabrio che Clemens erano stati consoli: era pressoché impossibile che i detentori di tale magistratura potessero esimersi dal partecipare ai sacrifici e alle cerimonie religiose della città. L’intera questione può quindi essere meglio interpretata in altro modo. Va innanzitutto notato che con le generiche espressioni &"

(17)  % o   "   si indicavano probabilmente comportamenti e stili di vita facilmente assimilabili al giudaismo ma non per questo necessariamente rivelatrici di una reale adesione al culto: è stato a più riprese sottolineato che certe prescrizioni alimentari accomunavano la confessione ebraica a molte altre religioni o sette filosofiche, così come la pratica della circoncisione; non era raro poi, soprattutto in una città come Roma, che anche dei pagani frequentassero la sinagoga, spesso per ragioni che non avevano nulla a che vedere con la preghiera, o che gli stessi cittadini Romani, per effetto della loro notoria superstizione, adottassero il. 25. S. Cappelletti, op. cit. 2006, p. 137: “The two events are not correlated”. Dio. 67.14.1 – 3, 68.1.2 27 E.M. Smallwood, The Jews under Roman Rule: from Pompey to Diocletian. A study in political relations, Leiden 1981, p. 379; M.H. Williams, op. cit. 1990, p. 208. 28 M.H. Williams, op. cit. 1990, p. 208; C.L. Murison, Rebellion and Reconstruction: Galba to Domitian. An historical Commentary on Cassius Dio’s Roman History, Books 64 – 67 (A.D. 69 – 96), Atlanta 1999, pp. 258 – 259. Sull’uso peraltro assai ambiguo, e denotante spesso una certa confusione da parte dello storico, del termine #% ", si veda R.A. Bauman, Impietas in principem. A Study of Treason against the Roman Emperor with special reference to the First Century A.D., München 1974, p. 4 e ss. 29 P. Schäfer, L’antisemitismo nel mondo antico, Roma 1999 (ed. orig. Harvard 1997), pp. 160 – 164. 26. 14.

(18) sabato come dies nefastus30. Era poi una convinzione comune (testimoniata a più riprese nella tradizione letteraria latina31) che il culto monoteistico e la tendenza a una vita separata da parte degli Ebrei corrispondesse né più né meno a una forma di ateismo. Ora, Cassio Dione, l’unica fonte peraltro, tra quelle relative alle condanne del 95, a ricondurne le cause a un   ' , ricorre a questa singolare espressione subito dopo aver fatto cenno alla pretesa dell’imperatore di essere chiamato dai sudditi dominus et deus32. Alcuni studiosi ritengono che l’accostamento fosse assolutamente voluto e consapevole, in conformità con uno dei luoghi comuni più frequenti della vituperatio ai danni di Domiziano, mirante a stigmatizzare all’eccesso una sua presunta aspirazione alla divinizzazione: calcando la mano sull’immagine stereotipata degli Ebrei, gens contumelia numinum insignis, e, parallelamente, sul fervente rigore religioso del princeps, nonché sul suo desiderio di meritare una devozione pari a quella tributata agli dei patrii, non era difficile dare consistenza storica e verosimiglianza a una condanna per ateismo33; ne emergeva l’immagine di un despota follemente convinto della propria natura divina, al punto da condannare alla pena capitale, all’esilio, all’espropriazione chiunque si rifiutasse di tributargli gli onori dovuti, celando il proprio reale intento dietro al pretesto del mancato rispetto delle tradizioni religiose romane. E’ peraltro altrettanto probabile che, sulla base di queste premesse, e in condizioni di tensione politica particolarmente alta, essendo ben note le inclinazioni del princeps verso determinate questioni, inchieste e processi aventi ad oggetto la condotta morale dei senatori, declinata nelle sue diverse forme, non fossero rari; è a questo punto ancora più chiaro come le accuse di empietà o di ateismo legate alla confessione del culto giudaico fossero in realtà esclusivamente un pretesto, per determinare la rovina di personaggi eminenti e particolarmente ricchi, sfruttando magari la effettiva intolleranza del sovrano; ma questo genere di attacchi proveniva spesso e volentieri proprio da membri del senato, magari interessati all’eliminazione di uno scomodo avversario politico, o ad espropriarlo delle sue ricchezze34. Se ne deduce il carattere occasionale e per nulla generalizzato di un provvedimento strumentale, che come tale doveva essere interpretato dai protagonisti dell’agone politico. Potremmo dunque fornire una duplice 30. M. Goodman, op. cit. 1989, p. 41, M.H. Williams, op. cit. 1990, pp. 200 – 201; la sinagoga era spesso frequentata da semplici curiosi (Fl. Ios. BJ 7.45), o addirittura da uomini alla ricerca di avventure amorose (a causa dell’alto numero di donne presenti, Ovid. AA I, 77). 31 Si vedano, ad es., Plin. NH XIII, 46: gens contumelia numinum insignis; Tac. Hist. V, 5.2: nec quidquam prius imbuuntur quam contenere deos; Iuv. Sat. XIV, 97: nil praeter nubes et caeli numen adorant. 32 Dio. 67.13.4. Cfr. C.L. Murison, op. cit. 1999, p. 259. 33 M.H. Williams, op. cit. 1990, p. 208; C.L. Murison, Ivi. 34 B.W. Jones, op.cit. 1992, pp. 118 – 119. 15.

(19) spiegazione alle condanne per ateismo del 95: il risultato di una tradizione storiografica ostile, oppure la conseguenza prevedibile di una lotta politica che aveva come teatro principale il tribunale. Resta però il problema dell’entità delle pene, che non può che essere fatta risalire a un’imputazione per maiestas35. Inoltre Svetonio, la fonte più vicina agli avvenimenti di cui ci stiamo occupando, non fa il minimo cenno alle motivazioni riportate da Cassio Dione per la condanna di Flavius Clemens, limitandosi a una laconica espressione36 (ex tenuissima suspicione); quanto ad Acilius Glabrio invece, la cui sorte Dione accomuna a quella del cugino dell’imperatore, sia per ciò che concerne la natura dell’imputazione che per l’anno dell’esecuzione (a. 95), Svetonio afferma che invece fu condannato per aver tentato di sovvertire lo stato37 (quasi molitor rerum novarum). Questo caso ha un immediato precedente, ovvero la condanna degli oppositori stoici nel 93: anche in quella circostanza ciò che emerge dalle fonti si limita alla contestazione di un reato editoriale interpretato dal dispotico Domiziano come oltraggio alla maestà imperiale38. In altre due occasioni, quasi un secolo prima (2 a.C. e 8 d.C.), Augusto aveva scacciato da Roma la figlia e la nipote, ree di aver violato la lex Iulia de adulteriis, condannando all’esilio o alla morte complici e amanti. Tacito rimase colpito dalla durezza delle sanzioni, in particolare in associazione a un reato così comune39: nam culpam inter viros ac feminas vulgatam gravi nomine laesarum religionum ac violatae maiestatis appellando clementiam maiorum suasque ipse leges egrediebatur. Tuttavia, come già gli storici antichi avevano intuito, e come sembra assai probabile dall’esame della lista dei condannati, dietro all’imputazione per adulterio si nascondevano ben altre motivazioni40. Come ben ha sintetizzato R. Syme, “ragioni di stato avrebbero potuto indurre a perdonare una principessa che si ostinava a tenere un cattivo comportamento, tanto più che suo marito era ormai lontano e non aveva più peso; ciononostante il principe fu indotto o costretto a confrontarsi con uno scandalo nell’ambito della dinastia. Questo genera il legittimo sospetto che fatti più gravi siano stati occultati; le. 35. Vedi supra, n. 32. Suet. Dom. 15.1 37 Suet. Dom. 10.4 38 Plin. Ep. III, 11.3; IX, 13; Tac. Agr. 2; Suet. Dom. 10.5 – 6; Dio. 67.13.2 – 3. 39 Tac. Ann. III, 24.3 40 Dio. 55.10.6, afferma chiaramente, a proposito di uno dei condannati, Iullus Antonius, ( ) *) +  ,-. $   /   36. 16.

(20) trasgressioni morali, possono aggravare quelle politiche, ma anche contribuire a nasconderle41”. Altrettanto, crediamo, doveva essere accaduto in occasione delle condanne del 95. Era intervenuta una forma di “banalizzazione” dell’accusa, che nella sostanza però doveva coincidere col reato di maiestas; questo processo può avere almeno tre differenti spiegazioni: innanzitutto, come nel caso di Augusto, Domiziano poteva non aver avuto alcun interesse a pubblicizzare i reali motivi della condanna, tanto più nel caso in cui a essere coinvolti erano familiari o amici a lui molto vicini: il rifiuto di osservare i culti tradizionali, o la semplice prossimità ad alcuni comportamenti “giudaizzanti” e non conformi42, potevano essere considerati alla stregua di trasgressioni morali, esattamente come l’adulterio, e fornire un pretesto minimamente credibile al princeps; in secondo luogo, l’accusa di ateismo poteva aver rappresentato un argomento complementare nel corso del dibattimento, per poi diventare l’unica imputazione nell’elaborazione posteriore della tradizione ostile all’ultimo Flavio43; terzo, il processo di banalizzazione è da imputarsi per intero a storici e intellettuali impegnati nella diffamazione postuma di Domiziano; ad essi venivano offerti, da un blando ma serpeggiante antisemitismo della tradizione letteraria e dell’immaginario collettivo latino, dal rigido conservatorismo in materia religiosa del figlio di Vespasiano, da probabili voci e insinuazioni circa la condotta morale delle vittime, validi elementi per costruire un teorema incentrato naturalmente sulla megalomania e sulla crudeltà del tiranno44. Quale che sia stata la reale origine delle notizie trasmesseci, ricordiamolo, dal solo Dione, quasi tutti gli studiosi moderni sono concordi nel sottolineare la natura essenzialmente politica dei processi per ateismo45. Quindi nessuna fronda filogiudaica poteva nascere da un contesto del genere, quantomeno non nella forma di una factio con un’identità ideologica e un fine coerente;. 41. R. Syme, L’aristocrazia augustea, Milano 2001 (rist. ed. orig. The augustan aristocracy, Oxford 1986), p. 138. 42 La contemptissima inertia con la quale Svetonio definisce lo stile di vita di Flavius Clemens potrebbe fornire qualche indicazione circa la natura dei suoi “costumi giudaici”. In effetti, quello dell’inertia è uno dei topoi classici dell’invettiva latina contro l’ebraismo: si veda, ad es., Tac. Hist. V, 4 (dein blandiente inertia septimum quoque annum ignaviae datum), oppure Iuv. Sat. XIV, 105 – 106 (Sed pater in causa, cui septima quaeque fuit lux ignava et partem vitae non attigit ullam). Come si può notare dagli esempi, l’apparente inertia consisteva in sostanza nel rispetto del riposo rituale del sabato: è possibile allora che fosse quest’abitudine a essere contestata a Flavius Clemens. 43 E’ quanto sostiene ad es. R.S. Rogers, A Group of domitianic Treason Trials, CPh 55 (1960), p. 23, in relazione ai processi ai “filosofi” del 93. In questo seguito però da M.H. Williams, op. cit. 1990, p. 208, che definisce le accuse di ateismo come “subsidiary charges in treason trials”. 44 C.L. Murison, op. cit. 1999, p. 259. 45 M.H. Williams, op. cit. 1990, p. 208, C.L. Murison, ivi, S. Cappelletti, op. cit. 2006, pp. 136 – 137.. 17.

(21) ciò naturalmente non esclude che alcuni cospiratori fossero simpatizzanti giudaici, ma non fu certo questo aspetto a determinare la loro partecipazione46.. 2. La cosiddetta opposizione senatoria Un altro fattore di primaria importanza è rappresentato dal ruolo assunto dal Senato nel contesto dell’opposizione a Domiziano. E’ del tutto evidente che ogni forma di lotta politica, così come ogni aspetto relativo ai rapporti tra il princeps e la classe dirigente non può che presupporre l’assemblea dei patres come ambito di riferimento imprescindibile, perlomeno nella fase storica che stiamo prendendo in esame; in fondo, l’imperatore stesso era innanzitutto un senatore, così come la maggior parte dei suoi collaboratori, amici, e potenziali rivali. Data la vastità e la capillarità dell’argomento, occorrerà però precisare i limiti del nostro breve excursus. Oggetto principale non sarà l’analisi della relazione tra Domiziano e il Senato, argomento di estrema complessità e meritevole di uno studio monografico, peraltro già affrontato in misura ampia ed esauriente in altre sedi47, ma la valutazione della consistenza storica di alcuni modelli interpretativi moderni relativi al contrasto tra il figlio di Vespasiano e i patres, o meglio, una parte di essi, nonché all’estensione e alla natura di tali correnti d’opposizione. Una consuetudine diffusa tra alcuni degli storici moderni che si interessarono di Domiziano, in particolare tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo (e che vanta alcuni epigoni anche nei decenni successivi), ovvero prima dell’affermazione del metodo prosopografico, e della sua proficua applicazione al principato flavio, era quella di indicare come principale promotore dell’opposizione, nonché come attore determinante dell’assassinio il Senato, inteso come organo autonomo, mosso da una coerente unità d’intenti, deciso a rivendicare a sé l’usufrutto di quella libertas che il principe gli aveva negato. Questo al culmine di un processo degenerativo, innescato. 46. Cfr. J.D. Grainger, Nerva and the Roman succession crisis of A.D. 96 – 99, London 2003, p. 16 n., che a proposito dello studio di Applebaum nota: “only succeeds in demonstrating that there was no “Jewish aspect” to the assassination”. 47 Si vedano, ad es., i già citati lavori di K.H. Waters, op. cit. 1964, pp. 49 – 77 e Id., op. cit. 1969, pp. 385 – 405; ai rapporti tra Domiziano e il Senato è dedicata una parte del più generale studio prosopografico di W. Eck, Senatoren von Vespasian bis Hadrian: Prosopographische Untersuchungen mit Einschluss der Jahres – und Provinzialfasten der Statthalter, München 1970, pp. 55 – 76 (con particolare riferimento ai fasti consolari del regno); imprescindibile sotto questo aspetto è poi l’opera di B.W. Jones, in particolare, Domitian’s Attitude to the Senate, AJPh 94 (1973), pp. 79 – 91, e Domitian and the Senatorial Order: a prosopographical Study of the Domitian’s Relationships with the Senate, Philadelphia 1979 (quest’ultima pubblicazione corredata anche di un’appendice prosopografica contenente l’elenco dei senatori certi e incerti registrati sotto il regno dell’ultimo Flavio).. 18.

(22) dalla sollevazione di Saturnino dell’8948, nel quale, a partire dall’irrigidimento del sovrano su posizioni autocratiche, e dal conseguente lievitare dell’opposizione e dell’ostilità all’interno dell’assemblea, si assiste all’alternarsi meccanico di tentativi di congiura e di sanguinarie rappresaglie, fino all’inevitabile esito: un vero e proprio circolo vizioso, come nota acutamente B.W. Jones49. Il quale peraltro, non può fare a meno di evidenziare come in un’impostazione siffatta “there is a satisfyng inevitability”50. La ragione di una tale, fuorviante, analisi, si deve, molto probabilmente, a una forzatura nell’interpretazione delle fonti letterarie, causata anche dalla carenza di alternative documentarie. Presupposta l’ostilità generalizzata di autorità quali Plinio, Tacito e Svetonio nei confronti di Domiziano, si è facilmente individuato il denominatore comune della critica al regno dell’ultimo flavio nella denuncia della tirannide liberticida, la cui vittima principale non poteva che essere il Senato. Ovviamente, tale concetto, elaborato in coincidenza della ricomposizione politica avvenuta in età nerviana e traianea, pagava alla retorica revisionista e alla ristrutturazione ideologica del tempo un forte contributo in termini di attendibilità storica; in questa prospettiva, era evidente che non si potesse e non si volesse indulgere. 48. Per una trattazione più approfondita di questo episodio, e del valore decisivo ad esso attribuito da antichi e moderni sulla svolta autoritaria di Domiziano, si veda infra. 49 Lo stesso S. Gsell, op. cit. 1894, pp. 317 – 336, pur essendo il primo studioso a compiere uno sforzo di obiettività nella valutazione del regno di Domiziano, non si sottrae a quest’interpretazione meccanica degli anni della crisi e del conseguente assassinio: p. 336, “En 88, elle (sc. l’aristocratie) parvint à entraîner dans une révolte une partie des légions. Domitien s’en vengea par des actes de cruauté qui exaspèrent la noblesse. La lutte dura plusieurs années; elle devait nécessairement se terminer par le meurtre de l’empereur. (…) Après lui, les règnes de Nerva et de Trajan furent marqués par une réaction contre sa politique: la menace de la monarchie parut écartée”; identica impostazione per D. Mcfayden, The Date of the Arch of Titus, CJ 11 (1915), p. 131: “There was a succession of aristocratic conspiracies. Domitian retaliated with repressive measures, confiscations, executions, wich culminated in the last three or four years of his reign in a terrible persecution of the senatorial class and all their adherents. The result was Domitian’s assassination in 96”; J. Carcopino, L’hérédité dynastique chez les Antonins, REA 56 (1949), pp. 268 – 270, pur non insistendo sulla fatale alternanza di congiure senatoriali e rappresaglie imperiali, individua nel Senato l’origine del complotto decisivo (“âme du complot” è l’espressione che designa il ruolo dell’assemblea dei patres in questa vicenda), senza compiere particolari distinzioni tra le sue diverse componenti, e sottolineando l’aspetto della rivendicazione ideologica, come principale movente dell’assassinio; altrettanto esplicito M. Hammond, The transmission of the powers of the Roman Emperor from the death of Nero in A.D. 68 to that of Alexander Severus in A.D. 235, MAAR 24 (1956), p. 86: “The removal of Domitian (…) gave evidence of the strenght of the republican tradition among the upper classes throughout the empire (…)”; non diversamente, persino K.H. Waters, The Second Dinasty of Rome, Phoenix 17 (1963), p. 217, sembra adombrare, con l’immagine di un Senato unanimemente schierato nell’opporre alla scelta dinastica di Domiziano (i due nipoti Flavius Vespasianus e Flavius Domitianus), l’opzione di un candidato scelto in re publica, ovvero Nerva, l’ipotesi di un movente ideologico, facilmente identificabile con il concetto di libertas. La teoria del “circolo vizioso” viene ripresa da B.W. Jones, op. cit. 1979, p. 46 e n., il quale stigmatizza un’espressione di M. Cary e H.H. Scullard, A History of Rome down to the Reign of Constantine, London 1975 (3a ed.), p. 424: “precautionary executions undoubtedly created an additional sense of personal insecurity among the senators, out of which arose fresh plots and aggravated repression. Caught in this vitious coil, Domitian fell victim to a plot”. 50 B.W. Jones, Ibid.. 19.

(23) in imbarazzanti approfondimenti sulla condotta dell’assemblea, tantomeno in tediose distinzioni sugli assai diversificati orientamenti dei patres circa l’interpretazione della cosiddetta libertas. In nome di un rinnovato patto politico, era essenziale che il Senato fosse unito nella rivendicazione del suo ruolo di vittima dell’ormai passata sanguinaria autocrazia di Domiziano, così come lo era nell’esaltazione della libertà riacquisita per merito di Traiano51. Non è sorprendente quindi, che alcuni studiosi moderni siano stati tratti in inganno proprio da questo processo mistificatorio, e indotti dalle stesse testimonianze delle fonti ad applicare agli eventi della seconda metà del regno di Domiziano, lo stesso schema interpretativo adottato, ad esempio, nel caso della caduta di Caligola e, in parte, della crisi e della fine di Nerone. Questo vizio d’indagine determina poi un’errata valutazione del fatto storico; lo scontento crescente del senato, assolutamente chiaro e ben documentato, suggerisce così ai moderni, senza che però le fonti antiche si lascino scappare la minima traccia in tal senso, il teorema di un coinvolgimento dei patres, secondo lo schema sopra illustrato; così ogni notizia di processi, condanne, esecuzioni di senatori, o di qualsivoglia rappresaglia imperiale, viene interpretata a posteriori alla luce dell’assassinio dell’imperatore, acquisendo un valore che probabilmente nella realtà non ebbe mai, cioè quello di tappa di avvicinamento all’inevitabile vendetta ai danni del tiranno. Ciò determina anche una perversa attitudine a istituire collegamenti e relazioni tra avvenimenti che apparentemente non ne hanno, al fine di provare, in maniera forzosa e aprioristica, il teorema di cui sopra. Condividiamo, a questo proposito il monito del Jones: “The events of the last years of the reign ... must not be interpreted in the light of the subsequent assassination, on the assumption that every incident was part of the pattern culminating in and determining his death”52. 51. Il carattere ecumenico e generalista dello schema retorico fondato sul conflitto Domiziano – Senato, e sul conseguente confronto con l’aurea condizione attualmente vigente sotto i boni principes, emerge in maniera evidente, e con tinte drammaturgiche, in Plinio: ora nella forma di una netta, aprioristica contrapposizione (Pan. 62.3 – 4); ora attraverso la stigmatizzazione del folle isolamento del tiranno (a puro titolo di esempio, si vedano Pan. 49.1 – 4, Ep. IV, 11.5); meno accentuati nei toni, ma altrettanto esemplari, alcuni celebri passi di Tacito (Agr. 2 – 3, 45; a titolo esplicativo cfr. 3.3: non tamen pigebit vel incondita ac rudi voce memoriam prioris servitutis ac testimonium praesentium bonorum composuisse); altrettanto significativo in tal senso l’accordo delle fonti nel descrivere l’unanime entusiasmo con il quale il Senato accolse la notizia della morte del tiranno (Plin. Pan. 52.4 – 5; Suet. Dom. 23.2; Dio. 68.1 – 2). 52 B.W. Jones, op. cit. 1979, pag. 50 ; questa logica d’indagine ha in effetti prodotto anche risultati fortemente discutibili, per non dire decisamente sconcertanti: ne è un esempio F. G. D’Ambrosio, End of the Flavians: the case of senatorial treason, RIL 114 (1980), pp. 232 – 241, il quale suppone che l’escalation della crisi fra Domiziano e il Senato debba farsi risalire a una strategia accuratamente predisposta dai patres sin dall’epoca dell’ascesa di Tito, quando, a detta di Domiziano, sarebbe stato trafugato il vero testamento di Vespasiano, che, secondo lo studioso, avrebbe potuto sancire la coreggenza dei due figli, e sarebbe stato sostituito da una copia contraffatta, approntata dallo stesso Tito, famoso per le sue doti di falsario, per effetto della quale il più anziano dei due figli fu autorizzato a detenere. 20.

(24) In realtà, un netto, aperto contrasto tra Domiziano e il Senato non è da cercarsi, quantomeno non nelle dimensioni e nelle forme suggerite dalle fonti letterarie. L’indagine prosopografica ha dimostrato come il Senato fosse un organo già profondamente modificato all’epoca dell’ultimo Flavio rispetto ai momenti più critici dello scontro tra i fautori della libertas e i più intransigenti interpreti dell’autocrazia appartenenti alla dinastia giulio – claudia: un rinnovamento sia dal punto di vista della composizione dei rappresentanti dell’assemblea, che, conseguentemente, sul piano dell’ideologia sottesa all’esercizio delle magistrature curuli e al ruolo di ogni singolo senatore nell’establishment53. E’ difficile dire se tale processo giunse a maturazione proprio sotto Domiziano; i fatti sembrano suggerirci che fu Traiano il primo a beneficiarne, inaugurando un periodo “aureo” di rapporti tra le due più importanti. l’imperium. Tutto questo allo scopo di dividere i due fratelli, seminando discordia, in modo da evitare l’affermazione di una nuova dinastia; in seconda istanza, il falso sarebbe servito a delegittimare Domiziano, ponendolo in una condizione di debolezza una volta acquisita la porpora. Non solo, il senato avrebbe dato inizio a una campagna di elogio postumo di Tito per provocare l’impulsivo Domiziano, che scatenò il suo risentimento contro i patres, determinando in tal modo, a lungo termine, la sua rovina. Tale ipotesi sembra piuttosto fantasiosa; innanzitutto perché lo studioso si serve unicamente di Svetonio, quale fonte sugli avvenimenti, basandosi peraltro su pochi e sparsi accenni; a questo si aggiunga il fatto che la notizia del testamento trafugato e falsificato viene riferita dal biografo come diceria derivante dalle recriminazioni di Domiziano (Dom. 2.6: numquam iactare dubitauit relictum se participem imperii, sed fraudem testamento adhibitam) e non esistono altre prove, nemmeno letterarie, di un fatto del genere. Il tutto poi, per arrivare a provare una strategia occulta da parte del senato cervellotica e eccessivamente a lungo termine, nonché fortemente controproducente; difficile credere infatti che i senatori avrebbero mai potuto concepire un piano che li avrebbe esposti al non piacevole ruolo di esche per attirare in “trappola” il tiranno. 53 Tacito, Ann. III, 55, vede alla fine dell’età giulio – claudia la conclusione di un processo di rinnovamento del senato con l’immissione di uomini nuovi dei muncipi, delle colonie italiche e delle province, che portarono anche a Roma, rispetto al lusso nobiliare dominante in età giulio – claudia, la morigeratezza dei propri costumi d’origine; in effetti, dalle indagini statistiche compiute sui fasti consolari, è emerso come l’età flavia rappresenti un preciso punto di svolta sociale: mentre dal 16 al 54 d.C. il 54 % dei consoli, ordinari e suffetti, proviene da una famiglia consolare, dal 70 al 96 l’incidenza di questa componente scende al 24 %, per poi risalire in età antonina (32 %) e severiana (37 %), segno di un parziale ricompattamento del ceto nobiliare. E’ quindi chiaro che il regno dei Flavi rappresenta il momento di massimo rinnovamento del ceto politico del principato: cfr. K. Hopkins, Death and Renewal. Sociological Studies in Roman History, Cambridge 1983, pp. 132 e ss. Al ricambio della nobilitas tradizionale, falcidiata dalle lotte intestine che caratterizzarono in particolare i regni di Gaio, Claudio e Nerone, provvide in buona parte il reclutamento di provinciali, che ebbe inizio in forma sistematica con Claudio e la lectio senatus del 48, e che visse un altro momento di particolare impulso con la censura di Vespasiano e del figlio Tito, a cavallo tra gli anni 73 e 74. L’importanza di questo processo, per effetto del quale i senatori provinciali raggiunsero sotto i Flavi (e Domiziano in particolare) una consistenza di circa il 38 % sul totale dei membri noti dell’assemblea, fino a pervenire alla maggioranza delle presenze sotto Marco Aurelio, è stata messa in luce in maniera molto vivida da R. Syme, op. cit. 1967, pp. 769 – 800; sulla stessa linea J. Devreker, La composition du Sénat romain sous les Flaviens, in W. Eck, H. Galsterer , H. Wolff (edd.), Studien zur antiken Sozialgeschichte, Festschrift Fr. Vittinghoff, Köln – Wien 1980, pp. 257 – 267. Altrettanto importanti i contributi di Y. Burnand, Senatores Romani ex provinciis Galliarum orti, P. Le Roux, Les sénateurs originaires de la province d’Hispania Citerior au Haut Empire romain, e C. Castillo Garcìa, Los senatores beticos. Relaciones familiares y sociales, in Epigrafia e Ordine Senatorio II, Roma 1982, pp. 387 – 437, 439 – 464, 465 – 519, circa la composizione, l’estensione e le fasi di inserimento delle famiglie ispano – narbonesi nell’ordine senatorio.. 21.

(25) istituzioni dell’Impero, che si protrasse per circa un secolo54. Tuttavia già dalla documentazione relativa al regno del calvus Nero emerge l’immagine di un Senato sostanzialmente lealista, fedele alla dinastia flavia, cui una parte dei patres doveva la promozione al rango più prestigioso dell’uterque ordo: all’Imperatore si chiedeva esclusivamente una sostanziale equità nella gestione dei meccanismi di promozione e di distribuzione degli honores. Il filosofo Epitteto, stoico, inviso a Domiziano, e costretto all’esilio, cui certo non si possono muovere accuse di opportunismo o piaggeria, si espresse in maniera esemplare sulla questione: “Nessun senatore ha paura di Cesare, ma piuttosto della morte, dell’esilio o dell’espropriazione, e nessuno ama Cesare, ma solo la ricchezza o le cariche che egli può procurare”55. Sembra dunque impossibile ridurre la crisi del principato domizianeo all’esausto schema del conflitto tra autocrate e senato in nome della libertas, sia essa intesa come semplice difesa delle antiche prerogative dell’assemblea, o come aspirazione all’opzione senatoria sulla candidatura alla porpora, che pare presupposta dalla retorica dei primi capitoli del Panegirico pliniano o dal celebre discorso che accompagna, nelle Historiae, l’adozione di Pisone da parte di Galba56. Mezzo secolo di studi prosopografici, che hanno insistentemente frequentato l’assetto amministrativo e politico dell’età Flavia, hanno dimostrato in maniera evidente la sostanziale continuità della classe dirigente imperiale da Vespasiano sino a Domiziano, e da quest’ultimo (almeno in parte) sino a Traiano, escludendo ogni possibilità di un momento di rottura, tra principe e senato, perlomeno sino al fatidico anno 9657; ciò rappresenta la testimonianza più evidente del sostanziale accordo esistente tra i due soggetti, e dell’inconsistenza di qualsiasi ricostruzione presupponga una curia autonoma e solidale nella sua opposizione al dispotismo. Del resto, procedendo di pari passo alle indagini prosopografiche, anche gli studi sullo sviluppo del pensiero e dell’ideologia politica imperiale rivelano un sostanziale mutamento di. 54. Si veda, a questo proposito, M. Pani, Il principato dai Flavi ad Adriano, in AA. VV., Storia di Roma II.2, Torino 1991, p. 274 e ss. 55 Epict. Diss. 4.1.60 (traduzione del sottoscritto). 56 Plin. Pan. 7; Tac. Hist. I, 15 – 16. 57 E’ quanto almeno sembra emergere dagli studi sul consilium principis d’età flavia, che evidenziano una sostanziale continuità di personale: J. Crook, Consilium Principis.Imperial Councils and Counsellors from Augustus to Diocletian, Cambridge 1955, p. 48 e ss. o J. Devreker, La continuité dans le consilium principis sous les Flaviens, Anc. Soc. 8 (1977), pp. 223 – 243; contra, B.W. Jones, Titus and some flavian amici, Historia 24 (1975), pp. 454 – 462, il quale attribuisce a Tito propositi di discontinuità nella nomina dei suoi più stretti collaboratori; Domiziano invece sarebbe tornato ad appoggiarsi sugli uomini di fiducia del padre. Argomenti e digressioni più generali sulla continuità amministrativa tra l’età flavia e traianea si devono a R. Syme, The Imperial Finances under Domitian, Nerva and Trajan, JRS 20 (1930), pp. 55 – 70; Id., op. cit. 1967, pp. 15 e ss., 54 e ss., 785 e ss.; K.H. Waters, Traianus Domitiani continuator, AJPh 90 (1969), pp. 385 – 405; B.W. Jones, op. cit. 1979, p. 87; P.G. Michelotto, Aspetti e problemi dell’età traianea, in AA.VV., Storia della Società Italiana III, Milano 1996, pp. 51 – 54.. 22.

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