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Capitolo 1 Povertà: definizioni, metodi di identificazione e approcci per la misurazione.

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Capitolo 1

Povertà: definizioni, metodi di identificazione e

approcci per la misurazione.

1.1 Introduzione

La povertà è una delle questioni principali a livello mondiale che interessa non solo le famiglie, e gli individui che le compongono, ma soprattutto le società e i governi in ogni parte della Terra. Per capire la portata del problema sono emblematici pochi dati: secondo le Nazioni Unite, nel 1999, 1,2 miliardi di persone vivono in condizioni di estrema povertà non avendo neanche 1 dollaro al giorno per soddisfare le proprie necessità di vita, mentre 2,8 miliardi sopravvivono con meno di 2 dollari.

Nonostante siano stati fatti importanti passi verso la riduzione della povertà, il progresso non è stato uniforme e il quadro globale nasconde profonde differenze regionali: solamente nell’Africa sub-sahariana e nell’Asia del Sud si concentrano il 68% degli individui che vivono con meno di un dollaro al giorno, ossia circa 803 milioni di persone, invece l’Europa, con circa 20 milioni di poveri, non arriva neppure allo 0,2%.

Questi dati potrebbero portare alla conclusione, per altro errata, che la povertà costituisca un problema solo per i paesi in via di sviluppo, mentre per gli altri costituisca solamente un fenomeno marginale; tuttavia tale superficiale conclusione può essere immediatamente smentita analizzando la seguente tabella:

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Questa chiarisce immediatamente un equivoco di fondo: se è vero che la maggior parte dei poveri si trova nelle regioni maggiormente sottosviluppate (Africa Sub-Sahariana e Asia Meridionale), è altrettanto vero che l’Europa possiede i tassi più elevati di crescita della povertà dal 1987 ad oggi, essendo passata da una percentuale dello 0,2% ad una del 5,1%.

In passato la povertà è stata quasi del tutto associata ai paesi meno sviluppati, meno industrializzati, più emarginati dal moderno sistema economico di sviluppo e si tendeva, quindi, ad allontanare il problema dai paesi in cui ormai il capitalismo si era affermato. In realtà ricerche e analisi, come quella appena effettuata, hanno dimostrato la necessità di soffermarsi maggiormente sulla questione, in quanto ci si è resi conto che tale fenomeno, che si riteneva destinato progressivamente alla scomparsa, tende invece a persistere, e non solo nelle economie più arretrate, ma anche nei paesi più industrializzati.

Prima di discutere dei moderni sistemi di misurazione della povertà, è opportuno conoscere quale sia la definizione di questa, e quale le origini degli attuali metodi di studio.

Le risposte ai quesiti appena proposti tendono ad andare di pari passo dato che gli approcci e le impostazioni concettuali si sono evolute proprio sulla base delle diverse definizioni di povertà date nel corso del tempo.

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Il primo contributo sull’analisi della povertà risale agli inizi dell’Ottocento quando l’Inghilterra, spaccata dalla profonda disuguaglianza economica esistente tra la borghesia e il proletariato, fu terra di gravi scontri tra le diverse forze che avevano permesso l’attuazione della rivoluzione industriale. In questo clima di tensione, nel 1887 Charles Both 1 effettuò uno studio sulla condizione economica delle famiglie londinesi, dimostrando che circa 1/3 di queste vivevano in condizioni di povertà. Nonostante l’importanza attribuibile a questo lavoro, la prima analisi scientifica sulla povertà si deve a S. Rowntree2, il quale seguì in parte il metodo seguito da Booth. Entrambi gli Autori fondarono le proprie teorie utilizzando una concezione assoluta di povertà, definibile come “mancanza di risorse per consumare un certo insieme di beni e servizi per soddisfare le necessità essenziali”, ciò che Rowntree chiamava il minimo necessario “per il mantenimento della salute e dell’efficienza fisica”.

L’impiego di un tale tipo di approccio necessita di due fasi separate:

1. la prima serve per identificare il grado di diffusione della povertà all’interno del territorio di riferimento, e viene realizzata attraverso la determinazione di un certo livello minimo di reddito, detto linea di povertà. Se una famiglia o un individuo ha un reddito al di sotto della soglia di povertà, questa viene classificata come povera.

2. la seconda fase consiste nel calcolo dell’incidenza della povertà, mediante l’uso di opportuni indici definiti in funzione dei redditi dei poveri e della linea di povertà ricavati.

Lo studio effettuato da Rowntree divenne un punto di riferimento per le successive analisi, sia per l’alto livello di perfezionamento raggiunto nel definire la linea di povertà, composta dal minimo necessario, in termini monetari, per avere una adeguata nutrizione e per sostenere le spese per l’abbigliamento e l’alloggio, sia perché ogni volta che eseguiva un’indagine nel corso degli anni, la linea di povertà non solo veniva aggiornata per tenere conto della variazione dei prezzi, ma veniva

1

Booth, C. “The inhabitants of tower Hamlets, their condition and occupations” Journal of the Royal Statistical Society, 1887.

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anche cambiata la composizione del paniere originario sulla base dei cambiamenti del significato di “minimo di sussistenza”.

Concezione relativa della povertà.

Successivamente molti Autori tra cui Townsend e Abel-Smith3 sottolinearono i limiti di questa impostazione che lega il concetto di povertà solamente alle necessità fisiche e biologiche dell’individuo, escludendo ogni altra tipo di esigenza. Si andò via via consolidando una posizione chiara e diversa da quella precedente, ossia che la povertà potesse essere definita solamente in relazione ad un dato contesto storico-culturale ed economico, in quanto l’individuo confronta la propria posizione con il tenore di vita prevalente nella società di cui fa parte.

L’idea di fondo sta nel fatto che povero è chi dispone relativamente meno degli altri e quindi definizione e misurazione della povertà non possono ignorare il contesto economico-sociale a cui appartiene l’individuo. Anche quando si è in grado di soddisfare i bisogni di base, si può essere poveri perché le proprie condizioni di vita si collocano ben al di sotto di quelle prevalenti nella società.

La necessità di questo cambiamento di approccio risultava evidente in quanto un’impostazione basata sul concetto di povertà assoluta non era più applicabile nelle economie avanzate, visto che la soddisfazione dei bisogni primari, come il cibo e il vestiario, non costituiva più un problema di massa.

Approccio unidimensionale o tradizionale.

Dagli anni ’70 ad oggi sono stati effettuati vari studi sulla misurazione della povertà da parte di vari Autori tra cui Sen, Atkinson e Townsend4, e quasi tutti hanno in comune alcuni aspetti che ne caratterizzano la metodologia statistica e ne condizionano il risultato, tanto da poter parlare di un unico approccio, chiamato tradizionale o unidimensionale. Esso è basato fondamentalmente sulla definizione e calcolo della povertà a partire da un’unica variabile, che può essere tanto il reddito, quanto la spesa per i consumi. E’ proprio sulla base di questo approccio che viene identificata la povertà come mancanza di benessere economico, il che è

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Towsend, P. , Abel- Smith, “The poor and the poorest”, 1965. 4

Sen, A. , “Choice, Welfare and Measurement”, 1982 Atkinson, A.B. ,”On the Measurement of inequality”, 1970 Towsend, P. , “The concept of Poverty”, 1974

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identificabile quando un determinato indicatore monetario cade al di sotto di una opportuna soglia oggettiva (linea di povertà).

Un’analisi della povertà basata sulla sola variabile reddito, e sulla metodologia sopra indicata, non può tuttavia essere ritenuta sufficiente per varie ragioni:

• i dati relativi sono spesso inattendibili in quanto affetti da errori di rilevamento dovuto alla riluttanza delle persone a dichiarare le proprie entrate reali

• il reddito corrente può spesso essere soggetto a fluttuazioni come avviene nel caso del lavoro autonomo

• l’utilizzo di un solo indicatore economico monetario rappresenta un errore dato che la povertà non è un fenomeno unidimensionale, ma entrano in gioco numerosi fattori, che con il reddito non è possibile tener debitamente di conto

• come definire la povertà, in maniera assoluta o relativa?

• da cosa deve essere formato il paniere di beni considerato “necessario”?

Concezione soggettiva della povertà.

Alle due precedenti concezioni di povertà (assoluta e relativa), ne è stata recentemente aggiunta una terza, quella soggettiva, in base alla quale sono gli individui stessi a dare una valutazione del loro stato di benessere, utilizzando come punto di riferimento ciò che loro ritengono essere il minimo necessario per una dignitosa esistenza, tenendo conto che fanno parte di una società, e che quindi possono confrontarsi con gli altri individui che la compongono. Tuttavia proprio per la sua marcata soggettività, questa è la definizione meno usata, anche se ha avuto il merito di far capire che la povertà non è un fenomeno definibile a priori, ma è un problema che riguarda gli individui, che come tali hanno una propria idea del benessere e una propria opinione di quale sia il tenore di vita minino.

Approccio multidimensionale.

Partendo da un esame critico dell’approccio unidimensionale, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ‘80, l’economista Sen5 ne sviluppò uno radicalmente nuovo.

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In particolare Sen propone di studiare la povertà, la qualità della vita e la disuguaglianza, non solo attraverso i tradizionali indicatori economici-monetari quali il reddito o la spesa per i consumi, ma soprattutto analizzando la possibilità di vivere situazioni a cui le persone possano dare un valore positivo. Non solo, quindi, l’opportunità di nutrirsi e aver un alloggio, ma anche partecipare alla vita della comunità, avere una buona istruzione, ecc.

L’approccio dell’economista indiano spinse molti studiosi a vedere, e a considerare nelle proprie analisi, la povertà non come un fenomeno unidimensionale, i cui indicatori rappresentano misure incomplete e parziali della qualità della vita di un individuo, ma ampliare il concetto di benessere e privazione in un’ottica multidimensionale, in cui si rende importante il fattore umano almeno quanto i fattori economici.

Il reddito, dunque, diviene solo una delle dimensioni della povertà in quanto ci si concentra maggiormente sulla qualità della vita, più che sulla ricchezza posseduta; questo permette, non solo di descrivere il problema, ma anche di dare una spiegazione più appropriata delle cause che lo hanno generato.

Nonostante i numerosi spunti critici emersi durante gli anni nel dibattito sulla povertà, sembrerebbe che gli economisti continuino a preferire le misure basate sul reddito o sulla spesa.

1.2 Le linee di povertà.

Secondo l’approccio tradizionale un individuo o un nucleo familiare viene

considerato povero se le sue risorse complessive risultano essere inferiori ad un certo livello prestabilito, che viene denominato linea di povertà ( l.p.).

Esistono vari criteri per l’identificazione di quest’ultima, classificati secondo differenti approcci: occorre distinguere tra definizione oggettive delle line di povertà, e definizioni soggettive. Le prime si costruiscono, per mezzo di diverse metodologie statistiche, sulla base della scelta di vari criteri quali l’unità d’analisi (individui o famiglie), le scale d’equivalenza, gli indicatori (reddito, consumo,

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spesa). Al loro interno le definizioni oggettive possono utilizzare come punto di riferimento una concezione della povertà assoluta oppure relativa.

Le seconde invece si fondano sulla percezione che gli individui hanno della propria situazione e per questo, per la loro costruzione, necessitano di risposte che le indagini di mercato rivolgono alla popolazione.

Oggi ci si è resi ormai conto che per analizzare la povertà in paesi economicamente arretrati è opportuno impiegare linee di povertà assolute, in quanto in tali paesi il problema più grande è ancora soddisfare i bisogni primari, mentre nel caso di società avanzate, dove appagare le necessità di base è un problema circoscritto, è preferibile avvalersi di linee di povertà relative, in quanto gli individui tendono a misurare il proprio benessere in rapporto a quello degli altri.

Nella categoria delle definizioni che riguardano la natura assoluta della povertà, troviamo due metodi di calcolo delle l.p.:

1) l’approccio dei bisogni fondamentali

2) metodo del rapporto alimentare (food-ratio)

Tra i metodi di calcolo delle linee di povertà basate su una concezione relativa, troviamo:

1) l.p. definite come percentuali della media o della mediana 2) l.p. basate sulla disuguaglianza dei redditi.

L’approccio dei bisogni fondamentali6: questo fu il metodo utilizzato per determinare le prime linee di povertà. Tale approccio si basa sull’individuazione di quei bisogni che si ritenevano essere necessari per la vita di un individuo come il cibo, il vestiario e l’alloggio, e successivamente sulla determinazione del costo per ottenere queste necessità considerate minime.

Partendo dalla considerazione che il cibo è sicuramente il più fondamentale dei bisogni, il primo passo fu quello di affidare ad esperti nutrizionisti il compito di determinare la somma delle calorie minime necessarie a mantenere l’efficienza

6

Questo metodo è stato introdotto nelle prime indagini sulla povertà da Booth

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fisica; il secondo problema fu quello di calcolare il valore monetario di questo paniere alimentare.

In questo metodo, il problema principale è la trasformazione del costo per procurarsi gli alimenti, il vestiario e l’alloggio, in un livello minimo di reddito che caratterizza la linea di povertà. Tra le metodologie usate vi è quella di utilizzare il coefficiente di Engel7, il quale riteneva esistesse una relazione empirica tra spesa per il cibo e reddito totale; in generale, si moltiplica la spesa per alimenti per l’inverso del coefficiente di Engel calcolato per i poveri: questo valore individua la l.p.. Pur trattandosi di una soglia assoluta, essa può essere relativizzata utilizzando il coefficiente di Engel medio calcolato considerando tutta la società, e non solo i poveri.

Metodo del rapporto alimentare8: questo metodo si fonda semplicemente sul calcolo del rapporto tra spesa per il cibo e reddito totale. In particolare consiste nel confrontare il valore di tale rapporto ad un certo valore soglia precedentemente stabilito, tale per cui tutte le famiglie che hanno un valore del rapporto al di sotto di tale livello sono considerate povere, e viceversa. In questo caso la linea di povertà, definita come il livello di reddito corrispondente alla soglia fissata, viene ricavata attraverso l’utilizzo della funzione di Engel.

Percentuale della media o della mediana dei redditi: per quanto riguarda questo

primo metodo per il calcolo della povertà relativa, occorre sottolineare la necessità di effettuare due scelte arbitrarie: 1) la scelta dell’indicatore (media o mediana), 2) la scelta di quale percentuale della media o della mediana deve essere presa come linea di povertà. Townsend (1962) e Abel Smith -Townsend (1965) furono tra i primi a definire le l.p. in questo senso; questi utilizzavano la media del reddito perché considerata un punto di riferimento più stabile per il confronto della povertà tra paesi. In particolare Townsend fece uso di due livelli soglia: una percentuale del 50% per individuare una l.p. molto bassa, e una del 80% per individuare una l.p. semplicemente bassa.

7

Engel, E. , “Der Werth des Menschen. I Teil: Der Kostenwerth des Menschen”, 1883 8

Tale metodo fu introdotto da Wotts (1967) e discusso da molti studiosi tra cui Rosebthal (1965) e Van Praag et all (1982)

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Rientra in questa impostazione l’International Standard of Poverty Line (ISPL), usata anche nelle indagini ufficiali condotte in Italia dall’Istat. La ISPL rappresenta una soglia convenzionale adottata a livello internazionale che definisce povera una famiglia di due componenti il cui reddito è inferiore al reddito nazionale medio pro-capite.

Quantili della distribuzione del reddito: questo secondo metodo, basato sulla

disuguaglianza dei redditi, fu proposto da Miller e Roby9: in questo caso il benessere delle famiglie dipende dalla loro posizione relativa nella scala dei redditi. In pratica, viene prima fissata arbitrariamente la proporzione dei poveri, e conseguentemente viene preso, come livello di povertà, quel livello di reddito che isola sulla propria sinistra una proporzione di redditieri pari a quella fissata.

Impostazione soggettiva: l’impostazione soggettiva della misurazione della povertà

parte dalla considerazione che quest’ultima è una condizione che riguarda essenzialmente l’individuo, e che quindi sia necessario sentire il suo giudizio su quale sia il proprio livello di benessere.

Anche in questo caso le linee di povertà possono avere sia natura relativa sia assoluta (anche se generalmente hanno una natura intermedia tra le due), e dipende dal tipo di domanda che l’indagine statistica effettua sul campione di individui intervistato.

Questo tipo di approccio ha favorito la nascita di diversi metodi per determinare la linea di povertà, i più importanti dei quali sono quelli riguardanti le cosiddette linee di povertà soggettive e linea di povertà di Leyden; la l.p. di Leyden si basa sull’assunzione che gli individui, nel momento dell’indagine di mercato, rispondono alla domanda sull’ammontare di reddito minimo di cui la famiglia dovrebbe disporre per condurre una vita “normale”. In base alle risposte date viene effettuata una regressione lineare che considera le caratteristiche familiari; dall’intersezione di questa con la distribuzione del livello del reddito effettivo si ricava la soglia di povertà.

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Per quanto concerne il metodo della linea di povertà soggettiva, la l.p. viene determinata chiedendo ad ogni famiglia del campione, oltre a quale sia il proprio livello di reddito effettivo, quale crede che sia il livello minimo di reddito con il quale una famiglia di quel tipo può “sbarcare il lunario”. Per il calcolo della linea di povertà viene stimata la relazione esistente tra il reddito minimo indicato dalla famiglia e il reddito effettivo10.

1.3 Scale d’equivalenza.

In generale la misurazione della povertà è eseguita prendendo come unità di analisi la famiglia anziché l’individuo. Quando si intende confrontare la situazione economica di due famiglie tuttavia occorre tener conto del fatto che queste possono essere diverse sia dal punto di vista della composizione, sia dal punto di vista delle caratteristiche demografiche.

Per effettuare tale confronto non si può utilizzare come misura ne il reddito complessivo del nucleo familiare, ne il reddito pro-capite, in quanto non si terrebbe conto di alcuni importanti aspetti, quale l’esistenza di economie di scala o il fatto che più numerosa è la famiglia, più reddito è necessario per avere lo stesso livello di benessere di una con minor componenti.

Proprio per ovviare a questi inconvenienti sono state “inventate” le scale di equivalenza con lo scopo di standardizzare le unità di analisi; queste scale possono essere definite come il rapporto tra il costo per una famiglia di raggiungere un determinato standard di vita, e il costo per una famiglia di riferimento per raggiungere lo stesso standard.

In particolare, la l.p. viene prima definita per una famiglia tipo, e successivamente viene adattata a tutte le altre tipologie familiari.

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Per ulteriori informazioni vedere Goedhart, Th., Halberstadt, V., Kaptein A, Van Praag, B.M.S. “The Poverty Line: Concept and Measurement”, 1977.

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